THE MEMORY OF LYSIPPOS IS CROSS MEDIA
Una grande originalità senza originali
Apro il catalogo della mostra di Lisippo a Roma e delle 1500 statue che
gli attribuisce Plinio il Vecchio non sembra essere rimasto nessun
originale se non forse tre. Forse anche un piedistallo. Forse.
Leggi che aveva inventato una tecnica per forgiarne in serie in bronzo e
guardi le copie romane in marmo sopravvissute allo scempio del tempo:(noi conosciamo l'arte greca soprattutto per il suo design romano).
Danzatrice dalla Villa Adriana di Tivoli, forse copia della Prassilla di Lisippo (foto di MM)
L’opera di Lisippo sono dunque soprattutto memorie riportate su papiri
di cui non resta traccia, da schiavi senza nome, tramandate da pergamene
che hanno avuto in sorte, specie se latine, di non essere raschiate per
far posto a relitti ricomposti di altre culture in una nuova. E qui
penso alle commedie di Plauto e alla loro fonte principale: il Palinsesto Ambrosiano. Lì stavano scritte, prima di essere raschiate e
far posto – per ragioni di risparmio? Per una condanna morale? Più il
risparmio che la condanna, sembrerebbe – ai Libri dei Re della Bibbia,
anch’essi frutto di una scelta (quasi nessuno di questi sovrani fa bella
figura anche perché i regni erano due, la storia a noi pervenuta
scritta da uno solo e poi il concilio di Calcedonia mille anni dopo
voleva separare il grano dal loglio, i cosiddetti apocrifi).
E le
commedie, per tornare in scena e sulla carta avevano dovuto attendere
altri mille anni e un cardinale, Angelo Mai, che con una spugna imbevuta
di acido gallico aveva fatto riaffiorare per un po’ l’originale.
Poi la chimica, altro segno dei tempi, aveva di nuovo reso tutto quasi
illeggibile e c’era voluto l’amore d’acciaio di uno studioso prussiano,
Wilhelm Studemund, perché tornassimo a ridere su quelle pagine. Ci aveva
rimesso la vista. “Se non ti amassi più dei miei occhi” aveva
postillato a sua volta citando Catullo. Quando lo lessi la prima volta
mi tolsi gli occhiali e piansi.
Torno a cercare d’intravvedere un originale di Lisippo su una moneta
romana. Cerco una statua che non c’è più passando con moto
bustrofedico dalla foto riprodotta alle righe di un testo stampato da
sinistra verso destra per la gioia di De Kerckhove (Dall’alfabeto a internet) e mia, da un JPEG di Google Immagini a una pagina web di
Wikipedia a cui non so se fare aggiunte o meno. La statua di Alessandro
Magno che alza gli occhi al cielo cercando il sole è a pagina 401 e fa
il paio con la mia ricerca di una presa della corrente perché ho
dimenticato ricaricare il portatile. Da una serie di affreschi della
leggenda di Alessandro Magno riportati alla luce nel castello di Quart
(AO) ebbe origine l’idea di fare una mostra su videogiochi e beni culturali ad Aosta nel 2009 e poi di portare questa nuova arte alla Biennale di Venezia: Neoludica _ Art is a Game.
Ma dov’è l’opera antica?
L'Apoxiomenos pio-clementino ai Musei Vaticani: lavori in corso (foto di Sailko).
Ascolti Paolo Moreno, emerito esperto dello scultore greco, dal canale
che ha in Youtube, ne leggi l’intervista nell’archivio on line del Corriere e speri che abbiano davvero un fondamento, un basamento anche
le attribuzioni al Pugile delle terme, all’Eracle di Chieti,
all’Atleta pescato al largo delle mie Marche e finito al Getty Museum
di Malibù.
Ma anche non fosse così, c’è una storia di tecnologia che si fa arte e
da una perfezionata meccanica di calchi in gesso moltiplica le statue in
bronzo col sistema della fusione indiretta, si riflette in antichi
specchi di metallo nel marmo delle copie romane e trapassa, sempre più
impalpabile, nelle copie di papiro decomposto, affiora dalle pergamene
raschiate per farsi più evidente nelle stampe d’epoca ormai ingiallite
fino al catalogo del ‘95 acquistato remainder, all’Eros a
Tespie della pagina Lisippo in inglese di Facebook.
Vorrei twittare con Posidippo il dialogo in forma di epigramma che aveva dedicato alla statua del Kairos, è il momento:
“Chi lo scultore e da dove veniva?”
“Veniva da Sicione”.
“E come si chiamava?”.
“Lisippo”.
“E tu chi sei?”
“Sono il Tempo che controlla ogni cosa”.
Il tempo e lo spazio di una realtà aumentata dove ogni volta lo studio
scientifico dell’arte è anche il sogno di una cosa: Michelangelo che non
vuole completare il torso dell’Ercole Farnese e poi elogia le gambe
della statua rifatte da Guglielmo della Porta a fronte di quelle
originarie appena ritrovate. In realtà copie romane come l’Apollo del
Belvedere, di altro scultore, pietra angolare di Winckelmann e della
storia dell’arte contemporanea.
Le gambe dell'Ercole Farnese rifatte da Guglielmo della Porta al MANN di Napoli (foto di Sailko)
Tutto un mondo del doppio con cui ogni volta cerchiamo di definire la
nostra identità tentando di inquadrare un passato che sfugge.
Come in questo momento di fronte a questa schermata, dove il Ritratto di
Aristotele (in potenza opera sua) dovrebbe essere l’ennesima copia del padre del "virtuale",
Alessandro a cavallo un videogame (Sparta II) e l’Apoxyomenos era
forse già negli Hyper Sports della Konami.
Attenzione alla hybris, specie se gioco in Flash 8-bit nato già vintage come ogni mito.
Crossmedialità antica.
Luca Traini
Nota di aggiornamento L'articolo precede ulteriori riflessioni sul rapporto crossmediale fra classicità, ellenismo e videogame sviluppate dal sottoscritto e da Debora Ferrari nella curatela della mostra Assassin's Creed Origins a Lucca Comics&Games del 2017 (più di 30.000 visitatori) e nelle considerazioni su Assassin’s Creed Odyssey del 2018.
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