Dicevi: “La mia magrezza”.
E, dio, com’eri magro!
Il volto incavato come l’uomo dantesco, su cui si legge la M di homo, a
fare da cavea per gli occhi, perché vi entrasse la realtà con tutta la
sua forza, dopo aver colpito gli zigomi.
E dai bulbi
oculari un colpo di frusta alla mandibola, fino alla bocca, luogo della
fame, per dire cantando, dolorosamente, dire prosa e poesia, fame e sete
di giustizia.
Pierpaolo,
nelle foto non mostri quasi mai i denti, mai volontariamente, e c’è un
pudore arcaico, una misura, profondo pudore, profonda misura in questo
celare il morso, la zanna, il riso sfrenato come l’inevitabile ritmo di
pietra nella carne delle parole.
Dice la tradizione popolare che le rughe sulla fronte sono segno di saggezza.
Quanto pensi,
figlio mio! E’ questo peso che ti alliscia i capelli e preme sulla
fronte, così le idee corrono alle tempie e gonfiano i capillari e
ridiscendono fino agli occhi e decodificano l’immagine entrata nel
cervello alla rovescia, come non la vedevano gli altri?
Io non posso
guardare Pierpaolo senza commuovermi, senza dire che era bello, perché
c’è in quella immagine - io cresciuto ad immagini - c’è in quel
corpo bianco&nero lo stesso odore di corpi, il suo ricordo in me di
un mondo fatto di terra, di arbusti che non si strappano, portoni di
casolari che tu entri, tu “bocchi” e “su lu focu”, sul fuoco ci sta la
marmitta dove nonna e zia stanno a fà la ricotta… capisci, Pierpà, io
vedo e me la sento ancora quella ricotta.
Ma tu, che
avevi il corpo medievale, che in “Petrolio” mi parli di oggi ma fai
l’elogio dello smegma che sta lì intorno alla cappella, come cazzo
avresti potuto sopportare la nuova civiltà del disinfetto, anestetizzo,
sto zitto, Deogled assorbo tutto e ti artificio, così passeggi
tranquillo per Corso matteotti di Varese con la “m” minuscola, perché
quello lì allora è morto per un cazzo.
Esco dal
quadro, esco dal quadro e dico che facevi bene a portare giacca e
cravatta, forse facevi bene, perché l’abito mica fa il monaco, perché mi
ci vestirei anch’io - che mi frega? - mica bisogna per forza fare i
monaci che bevono dalle pozzanghere per essere vicini al dio tutto uomo
che muore, se non necessario, se non indispensabile - io questo lo
prendo pari pari dal Rossellini di “Agostino d’Ippona” anche se non vi
prendevate bene, perché il tempo passa anche bene quando raccoglie le
vostre ceneri e le fa cadere come neve spirituale sui campi di
Travedona, dove passo per lavorare, a scuola, quella scuola media che
volevi abolire, probabilmente a causa del termine “medio”, e quasi quasi
non ti darei torto, ma c’è anche la “medietas” oraziana, il “termine
medio” della filosofia classica - mica devi per forza vestire altro per
dire «NO a questo. SÌ a quest’Altro, A maiuscola», «NO a questa tribù,
SÌ: Noi».
Pierpa', le
orecchie. Nel padiglione auricolare, nel gorgo, fino all’orecchio
interno, dove viene l’otite peggiore, la voce del mondo contadino: «Jemo
a mete, fenà (“mietiamo, fieniamo”)! E l’eco del grido, “lu grido”:
«Che ce stemo ffà ecco (“che ci stiamo a fare qui”)?» de chi d’è
emigratu in città = sottoproletariato. In bilico sul lobo sta poi
l’operaio iscritto al PCI, alla CGIL di Di Vittorio, che nella Resistenza sognava anche la vittoria
della classe operaia, vedi Rivoluzione, e ci sperava davvero, con tutto
quello che il Vero nel Greco stava col Bello e col Buono, cioè,
Aristocrazia di Spirito di Dante nello
scambio di sangue - analisi del sangue - con Gramsci, con Marx. Dietro
le orecchie, come rogna da grattare, la borghesia - tranne le élites
intellettuali, una parte, pochi eletti, pochi giusti rinnegati in
bilico sull’arricciamento della carne, la carne - e l’aristocrazia,
molto dietro, come forfora nascosta nella chioma nera.
Il mese in cui
nacqui - era marzo, ricordi? - tu fosti colpito da un’ulcera, tu che non
bevi, tu che non fumi, tu lo passasti a letto a leggere Platone -
perciò dialoghi platonici negli occhi - e mangiavi riso in bianco -
tutta una purezza per labbra denti gola fino allo stomaco, alla ferita
che si rimargina, al sangue che torna a scorrere nel posto giusto, e
l’ispirazione ti fa scrivere non 1 ma 6 drammi.
Ma tu, Cristo,
Pasolini, perché volevi me morto, me morto nato nel ‘66, per te figlio
dell’Omologazione. Non volevi che mettessi l’apparecchio ai denti -
cazzo, che privilegio! - nel ‘76 ad Ancona? Che non mi comprassi Asterix
- il fumetto, Pierpaolo, il fumetto, Pazienza! - in
un pomeriggio
da favola, tutto felice dopo l’ospedale in quella città-ventre-balena
col porto, dopo che i raggi x mi avevano detto: “Ti mancano 2 denti
sotto e, se nascevi prima, avresti avuto i denti sopra davanti come Bugs
Bunny, americano, coniglio: era questo che volevi? Io credo proprio di
no, però sai quanto mi hai fatto incazzare tu che avevi i denti giusti?
Mi sembri Massimo Fini quando ti imita da destra e fa l’elogio di uno
sciancato che era accettato più ieri che oggi: ma dici, ma dice sul
serio? Ma lo sciancato, pardon, l’handicappato tanto mica era lui, mica
eri tu!
Tu con lo
stesso cognome di quel motociclista che aveva passione incendiaria per
la vita, la vita, e la morte negli occhi: tutti e due morti prima del
tempo.
Tu Gioacchino
di Giotto, che sta sognando. Adamo di Masaccio, esule, nudo,
censurato. Ebreo di Paolo Uccello destinato al rogo . Mosé che cerca di
salvare le figlie di Ietro, Rosso, friulano, romano. Tu Pontormo che sta
male. Tu nel Deserto degli Ulivi di Mantegna. Tu testa mozzata di
Caravaggio in pugno a un Davide che non è Davide, che non ti ha ucciso.
Telefono a Ombretta e poi parlo con Enzo Siciliano che trasforma la grafite
in tungsteno incandescente - ti accende una centrale elettrica nel
cuore! - e allora si accenna a quel ritratto che ti fece e poi scomparve
in Francia, rapito o comprato da Francesco primo, Napoleone, da un
ex-terrorista o da un collezionista di riproduzioni,
riproduzioni italiane. Dove sei finito? Anche tu in esilio in Francia?
In un castello della Loire? O negli occhi di un ex-sessantottino
ogni mattina, nella “ville lumière”? Ah, ma qui, tra noi, almeno c’è il
tuo sangue, l’inchiostro, almeno quello!
Poi con Enzo si parla di un altro perseguitato, di Visockij, nella terra dove il paradiso sarebbe dovuto scendere d'autorità già nel 1980, l’ex-URSS. Che dire?
Che fare? Io sottolineo rubandogli la geometria che Vladimir sarebbe
stato corpo e voce perfetti per la tua “Affabulazione”, per certe
alienazioni mai risolte anche lì, anche lì dove il russo, il sovietico
si affogava nella vodka - mentre tu, come già detto sopra, non bevevi,
se non anche tu quel calice amaro - perché la lucidità fa male e invece…
“Sono stremato, ho i tendini a pezzi,
Ma
oggi, ancora come ieri,
Sono braccato. Braccato!
I tiratori, allegri,
corrono ad appostarsi!”.
Da “La caccia ai lupi”.
Di Visotskij.
O di
Pasolini?
O…
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