Indice
40 COME LA LUCE _ DAI MACCHIAIOLI ALLO SPAZIALISMO (2019)
39 NEL SEGNO DI LUCIO FONTANA (2016)
38 FONTANA, MELOTTI, LEONCILLO (1995)
37 REFLEXions - ANDRÉ VILLERS, FOTOGRAFO PERSONALE DI PICASSO
(Versione italiana e francese, Antibes-Aosta 2008)
36 LA GRANDE FOTOGRAFIA DI ROBERTO MOLINARI IN MOSTRA A VARESE (2018)
35 LA PHOTOSOPHIA DI ROBERTO MOLINARI (2017)
34 ARTE E TECNOLOGIA (2019)
33 ATELIER PELLINI: DA PIÚ DI UN SECOLO NEL CUORE DI MILANO (2019)
32 LA REALTA' VIRTUALE DI PIERO DI COSIMO (2019)
28 CHIESA DI SANT'ANTONIO DI VARESE Falò e luce interiore (2019)
26 VARESE, SALA VERATTI: UN'ARTE PIENA DI GRAZIA (2018)
25 EUGENIO PELLINI, "DUE TELAMONI" (Varese, 1905) (2017)
24 DE CHIRICO, "I BAGNI MISTERIOSI" (Triennale di Milano, 1973) (2017)
23 BERGAMO: LA MUSA INNAMORATA DI PALAZZO RONCALLI (2017)
22 ALI E RADICI NELL'ARTE La Chiesa di Pecetto e i bronzi di Tavernari a Macugnaga (2017)
21 IL PAESE DELLE PIETRE SOGNANTI - IVO SOLDINI A VIRA GAMBAROGNO (2015)
20 ROBERT RAUSCHENBERG Bed _ Letto, 1955 (2014)
19 I RAGGI X FRA ARTE E POESIA: PRIME LASTRE Gozzano e i Futuristi (2019)
14 CROSSMEDIALITA' ANTICA: LISIPPO (Biennale di Venezia, 2011)
13 ALESSANDRO MAGNO IN VALLE D’AOSTA: IL CASTELLO DI QUART (2008)
12 IL VIDEOGAME COME ALTERNATIVA ALL'EFFIMERO (2012)
11 ZURBARAN A FERRARA, QUEVEDO IN SOGNO (2014)
9 I TRONI DI LILLIPUT (1996)
In occasione di una mostra di modellini di “Sedie d’autore” alla Triennale di Milano
Mies van der Rohe, Le Corbusier: sedie per guardare in alto
Prova a sederti nell'Autunno Caldo _ Cul de Sac
8 ARCHITETTURA E POESIA NELLA SVIZZERA ITALIANA
Mario Botta/Giorgio Orelli Video
Luigi Snozzi, Livio Vacchini/Antonio Rossi Video
Aurelio Galfetti/Fabio Muggiasca Video
7 IL CASTELLO DI GRESSAN (2012)
5 ARTE E LAVORI DOMESTICI_MACCHINE DA CUCIRE due punti SCRIVERE (2007)
4 IO E LUCIO FONTANA (2011) Video
NESSUNA FORMA NESSUNA SOSTANZA
L’arte come esperienza dell’essere: esposizione di Daniele Di Luca
Dal 19 maggio al 22 giugno nella Chiesa di San Giovanni a Casciago (VA) l’installazione/mostra personale di Daniele Di Luca, scultore nato a Varese nel 1976 e tornato nella sua città dopo anni trascorsi a vivere e lavorare a Palermo. Un’esperienza immersiva, totalizzante, che va oltre la semplice mostra, perché tutto il lavoro di installazione presentato dall’artista verte su una riflessione dell’essere, dell’esistere e del prendersi cura dell’altro. Un percorso estetico-evolutivo che ha origine nella forma e nella scultura plastica, si trasforma poi insieme alla pittura e al segno, giunge a un ritmo nuovo, disteso, meditativo e sempre ricco di presupposti esistenziali.
La mostra è curata da Alessandra Poggianti, col suo testo critico nel catalogo in limited edition edito da TraRari TIPI, che ha la presentazione di Luca Traini e un’incursione di Debora Ferrari. Foto di Giacomo Vanetti.
NESSUNA FORMA NESSUNA SOSTANZA propone una visione olistica in cui ogni essere vivente può trovare una propria luce interiore, risvegliarsi e riconoscere nel vuoto un’illuminazione. Gli opposti non ci separano, ma ci completano, connettendoci con l’altro da noi e facendoci sentire parte di un tutto. Questo ci libera, permettendoci di sperimentare una nuova consapevolezza e di abbracciare una libertà interiore che trascende le convenzioni e le limitazioni imposte dalla società. In sintesi, il lavoro di Daniele Di Luca è un viaggio attraverso il nulla e la sostanza, un’esplorazione del vuoto e della luce che invita alla riflessione e alla contemplazione, offrendo un’esperienza estetica che va oltre il semplice significato delle opere, per raggiungere una connessione profonda con l’universo che ci circonda. (Alessandra Poggianti).
Le opere che trasformano l’ambiente senza intaccarlo ma velandolo di segni e significati, con un lavoro in loco dello scultore durato due settimane, nascono per sottrazione, capaci di far andare oltre l’apparenza per scivolare nella filosofia dell’autore e anche nello spirito archetipale. Sono testimonianza degli accadimenti del mondo, connessi al di là di ogni presupposto di pensiero ma collegati ad esso nel disvelamento dell’essere. […] C’è un moto nella composizione delle forme, anche dove sembrano essere annullate, un moto che è animo-colore-luce-materia. Si crea un percorso dentro lo spazio, una ricerca di finito per arrivare al senso, per poter sostare davanti alla creazione. L’opera è un ‘ciò che sarebbe stato comunque, irreversibilmente’, nell’ottone come nel legno di castagno e nella pittura ad acrilico. Qui, adesso. (Debora Ferrari).
La pagina bianca è dell’artista. Lo scrittore vi fa ritorno dopo aver visto il metodo della sua arte, il cammino attraverso e con le sue opere. Dopo essere stato “Rumore Bianco”, emersione cosciente di colore in simbiosi con altro. Prima o dopo monocromo de “La Gloria”, oltrepassando, strato dopo strato, per colori disvelati, velati e salvati fino a essere uno. Il passaggio davanti e dentro le opere di Daniele Di Luca è rito dove parola e materia vengono plasmandosi in una realtà essenziale, “distratta” in apparenza solo per alcuni dettagli, nel senso profondo di “distrarre”: volgere nuovamente occhi, respiro, pensiero e superiore attenzione al contenuto. Tutte queste attenzioni comportano il tempo in cui siamo - per l’artista che costruisce come per chi visita i suoi lavori - complesso di energie che necessita di una fame placata. Ecco allora “La mensa della mosca”, il tesseratto della quarta dimensione, la sua croce ipercubica rovesciata a testimoniare che noi umanità abbiamo appetito, aspiriamo a nuova energia per comprendere. Con dolcezza, con lo zucchero depositato sul legno, in terra, per insetti che hanno specie di coscienza diverse dalla nostra. E la stessa esigenza: volare, volare il più alto possibile, vedere con maggiore chiarezza. C’è un nuovo fare gentile - “fare”, “poesia” - nell’arte di Daniele, dopo la rabbia, la rivolta prima figurativa poi astratta degli anni passati, meglio, oltrepassati in qualità di soste necessarie, in vista dell’approdo. Conquista mai facile, lettura ogni volta più complessa nella semplicità che appare […] (Luca Traini).
Orari d'apertura: 16:30-20:00 | ven-sab-dom 16.30-22 | chiuso i lunedì | ingresso libero
*Meditazione libera e condivisa, ogni giorno ore 19:00 - 19:45
Chiesa di San Giovanni, 21020 Casciago (VA)
Info e visite fuori orario +39 339 6650341
PINA TRAINI 70 anni di pittura: protagoniste le donne
Commento musicale Francesca Caccini, Danza
Nell’imminenza dei suoi 89 anni Pina Traini porta a compimento il ritratto di Malala Yousafzai festeggiando il 70° della sua attività di pittrice e una nuova giovinezza artistica iniziata 9 anni fa: più di 60 quadri dedicati alle Donne che hanno fatto la Storia. Un grande lavoro sempre condotto in profondo e senza misure, riconosciuto per la sua originalità da un articolo a tutta pagina su “La Prealpina”, il quotidiano della città in cui vive dal 1978, Varese.
Ma la sua storia ha inizio altrove il 19 marzo 1935, in un piccolo paese dell’allora provincia di Ascoli Piceno, Ponzano di Fermo, in una casetta di mezzadri costretti fin da bambini a una dura fatica sui campi che, trasferitisi poi a Monte Giberto, cercano una vita migliore per la figlia sostenendola fino alla maturità magistrale, costringendola tuttavia, secondo le tristi abitudini del tempo, a non poter sviluppare il suo talento artistico in un liceo o in un’accademia al di fuori dall’entroterra marchigiano. La ragazza porta a compimento i suoi studi ma non dimentica la lezione fondamentale appresa dalla giovane zia materna Linetta, che le aveva insegnato a disegnare a carboncino nascondendosi con lei per evitare l’eredità della vanga e della zappa (ci riuscirà).
La pittrice diventa maestra elementare e per quarant’anni educa alla creatività e all’amore per la cultura centinaia di alunni fra Marche e Lombardia (fra questi anche il giovanissimo Neri Marcoré). Senza mai tralasciare la pittura, sempre vissuta quale espressione di riscatto, decisamente figurativa e con protagonista assoluta la donna.
Ha scritto la critica d’arte Debora Ferrari: “Dagli anni Cinquanta a oggi si può dire che Pina Traini abbia coerentemente continuato a scolpire su tele e tavole un unico grande monumento alla donna.” (dal catalogo edito da TraRari TIPI). Uniche eccezioni: io e mio fratello Luissandro (suoi figli, cresciuti con lei e i nonni materni) e il nipote Giacomo.
La matrice dei suoi quadri, almeno fino ai più placidi anni ’80, è sofferta e accompagna le durissime lotte delle donne di quegli anni che è bene non dimenticare mai. C’è un mondo al maschile che non le perdona il fatto di essere autonoma e bella, tutta una congerie negativa da risolvere, se non nella vita, almeno nell’arte. E poi in tutt’e due. Come avrebbe suggerito alla nipote Sophie (che ha ereditato il dono del disegno dalla nonna): “Chi meglio di una donna?”.
Chi meglio di una donna che a 80 anni, come ha scritto nell’articolo un giornalista del calibro di Paolo Grosso, “decide di condividere la sua storia con quella delle grandi protagoniste dell’emancipazione del passato. Scocca allora la scintilla che la spinge ad abbandonare tele e spatola - tecnica già di per sé tutt’altro che facile - per approcciare tavola di compensato, bomboletta spray, collage (anche di sacchetti presi dalla spesa al supermercato, packaging o altre carte riusate più che riciclate) e unire in simbiosi il tutto col suo disegno a volte scolpito nei minimi dettagli, altre quasi evanescente”. Specie ora che non esce quasi mai di casa, dopo il Covid e un tumore vinto, ma che le ha fatto perdere un seno.
Nella fotocomposizione in alto alcune delle sue opere più recenti. A partire dall’alto e procedendo da sinistra a destra: Penelope, Lisistrata, Ildegarda di Bingen, Trotula, James Miranda Barry, Bettisia Gozzadini, Maria Gaetana Agnesi, Rita levi Montalcini, Alda Merini, 2000Donne2000: contro il femminicidio, Olimpia de Gouges, Ginevra, Come Artemisia Gentileschi, retro di un Autoritratto, la pittrice al lavoro nel suo salotto, retro di 2000Donne2000, Coco Chanel, Sofonisba Anguissola, Amazzoni, Corinna di Tanagra, Saffo, Gaspara Stampa, Matilde Serao, Ursula von der Leyen.
Il ritratto di Maria Gaetana Agnesi insieme a quelli di Francesca Caccini, Rosalba Carriera e Ildegarda di Bingen saranno esposti durante la prima serata della rassegna IN_AUDITA MUSICA, curata dalla musicista Chiara Nicora e dedicata alla riscoperta delle armonie delle grandi compositrici.
La cavalcata tumultuosa delle sue Amazzoni è sempre viva in cuore, occhi e mani di questa giovane ottantenne.
IL VOLTO DELLE PAROLE
SCRITTURE DI LAGO SCRITTURE DI LUCE
Il volto delle parole
Fotografie di Paolo Della Corte e Raffaella Grandi
A cura di Debora Ferrari, Luca Traini
Banca Generali Private Como, dal 29.09.23 al 29.10.23
Viaggiamo in mondi infiniti e diversi quando siamo dentro un’opera di narrativa, incontriamo personaggi, odoriamo paesaggi, vibriamo di emozioni. Dalle parole scaturiscono miriadi di colori e suoni ed echi del nostro vissuto, non solo della storia. A quale epoca si rifaccia il testo non importa, siamo in grado di viaggiare sempre nel tempo e di cambiare noi stessi l’impatto col mondo descritto. Ma quand’è che incontriamo l’autore? Chi è l’alchimista del verbo capace di costruire mondi prima mai esistiti, se non pensati dalla sua anima creativa? (Debora Ferrari, Luca Traini).
La promozione della cultura in tutti i suoi aspetti è un aspetto fondamentale della mission di Banca Generali Private di Como e del suo District Manager Guido Stancanelli. Una delle punte di diamante di quest’impegno è certamente la promozione del Premio Scritture di Lago, nato per diffondere la conoscenza dei laghi prealpini attraverso la letteratura e incentivare sia la lettura che la scrittura di testi ambientati sui laghi, giunto quest’anno alla IV edizione.
Sulla scia del sempre maggiore successo acquisito dal Premio a livello nazionale, Banca Generali Private ha deciso di presentare nella sua sede di Via Lungo Lario Trento 9 un’importante mostra fotografica che ha per tema proprio il mondo della scrittura: SCRITTURE DI LAGO SCRITTURE DI LUCE Il volto delle parole.
L’esposizione si articola in 38 fotografie, che vedono rappresentati sia noti scrittori italiani affermati a livello internazionale che vincitori e finalisti del Premio Scritture di Lago, e vuole sottolineare tanto l’importanza dell’identità individuale quanto l’esperienza vitale che passa alla sapienza della parola scritta, alla sua unicità.
Nel primo caso si tratta di 24 ritratti a firma di uno dei più rinomati fotografi italiani, Paolo Della Corte, e vedono protagonisti: Simonetta Agnello Hornby, Antonia Arslan, Tullio Avoledo, Raffaello Baldini, Riccardo Calimani, Guido Conti, Carlo Della Corte, Alain Elkann, Luciano Erba, Giovanni Giudici, Franco Loi, Claudio Magris, Luigi Meneghello, Giovanni Montanaro, Alberto Ongaro, Fernanda Pivano, Giuseppe Pontiggia, Mario Rigoni Stern, Giuliano Scabia, Fulvio Tomizza, Alberto Toso Fei, Cesare Viviani, Andrea Zanzotto, Alvise Zorzi.
Vincitori e finalisti del Premio Scritture di Lago, sia nella sezione degli Editi che in quella degli Inediti, vengono invece proposti negli scatti di una fotografa emergente di particolare sensibilità psicologica come Raffaella Grandi: Camilla Baresani, Federica Brunini, Anna Danielon, Patrizia Emilitri, Gaia Manzini, Silvia Montemurro, Andrea Salonia, Franco Vanni e Giuseppe Battarino, Angela Borghi, Emilia Covini, Erica Gibogini, Alberto Pizzi. È inoltre presente un ritratto della scrittrice Marina Di Guardo opera di Luca Pozzaglio.
Paolo della Corte, figlio dello scrittore Carlo Della Corte (Premio Selezione Campiello 1977, 1990 e prezioso collaboratore di Fellini), insegna Fotografia all'Accademia di Belle Arti di Venezia. Nei suoi archivi compaiono più di cinquecento artisti e scrittori di indiscussa fama nazionale e mondiale. Sue foto sono state pubblicate nei principali giornali e riviste italiani e internazionali (Specchio de La Stampa, Venerdì di Repubblica, Sette del Corriere della Sera, Paris Match, Le Monde, Liberation, Die Zeit, The Guardian, Panorama, L’Espresso, Gambero Rosso). Il suo libro e la sue mostre più recenti sono (R)esistere a Venezia (TraRari TIPI, 2019) e Venezia2050 d. C.… e venne l’acqua grandissima (Sala Lettura dell’Ateneo Veneto, 2021).
Raffaella Grandi, fotografa dedita in particolare al ritratto e all’interior disegn, ha conseguito il Master di Reportage presso l’Accademia di Fotografia John Kaverdash di Milano. Ha esposto alla Libreria Feltrinelli di Varese per la Varese Design Week con la personale House Invaders e altre geometrie (2018), riproposta lo stesso anno alla Galleria Falchi di Diano Marina. Sue foto sono state presenti nelle mostre curate da Debora Ferrari e Luca Traini OBIETTIVOSOGGETTIVO Arte fotografica di Roberto Molinari (Museo Civico Floriano Bodini, Gemonio, 2018) e COME LA LUCE Dai Macchiaioli allo Spazialismo (Castello di Masnago, Varese, 2019), così come nei rispettivi cataloghi editi da TraRari TIPI.
Il pubblico del Premio, il pubblico delle mostre su territorio insubrico e lombardo potrà così assistere a un’esposizione inedita e originale, mai realizzata prima, che lo porterà a conoscere i volti della nostra storia letteraria e darà un posto ai vincitori del Premio nel panorama narrativo e poetico nazionale. Alle foto saranno unite brevi biografie con bibliografia importante dell’autore, dove presente.
Al progetto fotografico si unisce lo storyboard di Pier Luigi Acerbi che illustra la nascita della statuetta-stele, nuovo premio per Scritture di Lago, opera in ceramica di Walter Tacchini, che sta esponendo col sostegno di Banca Generali Private di Como in vari territori (Varese-Como 2022; Arcola 2023).
Alla Torre Pentagonale Obertenga di Arcola (SP)
E inaugurazione, ingresso libero, della mostra museale
ARCHETIPI DANZANTI
Opere di Walter Tacchini e del Museo Castiglioni di Varese
Arcola, il diamante della Val di Magra, è un luogo attraversato nei secoli da eventi, personaggi e avvenimenti che sono stati capaci di costruire un territorio ancora oggi crocevia di un’importante realtà economica, sociale, culturale e ambientale. Un solo Comune, tanti splendidi borghi, una pianura preziosa, la Magra che scorre verso il mare e colline rigogliose fanno da cornice ad altrettanti gioielli che l’umanità ha saputo creare nei secoli: la Torre Pentagonale, il Castello di Arcola, il Castello di Trebiano, il Forte di Canarbino, la Chiesa parrocchiale di San Nicolò, la Pieve dei Santi Stefano e Margherita e il Santuario di Nostra Signora degli Angeli, giusto per fare qualche esempio.
Con l’apertura del MAP_Museo Arti e Paesaggi nella Torre Pentagonale Obertenga di Arcola (XI secolo) inizia una lunga stagione di proposte espositive di rilievo che mirano a valorizzare il territorio e a creare sinergie anche interregionali. Archetipi danzanti con le maschere in ceramica di Walter Tacchini e quelle africane del Museo Castiglioni di Varese vuole far riflettere sulla forza evocativa dell’archetipo in un luogo dove la maschera è importante nella tradizione dell’Omo ar bozo e dove le attività artistiche si moltiplicano per continui scambi culturali.
L’operazione è stata fortemente sostenuta dal sindaco Monica Paganini con la Giunta e i collaboratori, interni ed esterni, per dare al borgo una forza aggiuntiva nell’attrattiva culturale e turistica e convalidare la volontà di valorizzazione del patrimonio storico-architettonico da parte dell’Amministrazione.
Nelle sculture di Tacchini c'è il segno di una grande stagione della cultura europea che si muoveva tra Sartre, le sorelle De Beauvoir, Cocteau e Prévert, con cui ha lavorato. Oggi ottantenne sempre dedito alla creazione con una verve ineguagliabile (sculture, quadri e mobili rigenerati con Liguria Vintage e le opere nella sede di Crastan Caffè ad Ameglia), Tacchini nel tempo elabora una vena creativa molto personale, dedita al recupero di forme e archetipi ancestrali, ispirati sia alle Steli antropomorfe di 5.000 anni fa della Lunigiana, sia alle maschere tipiche come nella tradizione del Carnevale storico di Ameglia dell’Omo ar Bozo che lui stesso risveglia e rinvigorisce coi suoi costumi. Accanto alle opere di Tacchini nella Torre si possono ammirare, in un dialogo continuo alto ben sette piani, maschere africane della collezione dei gemelli Angelo e Alfredo Castiglioni, noti archeologi ed etnologi a cui è dedicato il museo di Varese. La maschera non è un oggetto a sé stante ma parte di un contesto che comprende danza, musica, ritmo, estetica, sacrificio e cerimonia. Una maschera assume il suo significato completo, infatti, solo nel momento in cui è indossata da un particolare individuo, che esegue determinate azioni, in un preciso contesto. In Africa spesso le maschere rappresentano gli antenati mitici o gli animali totemici. Gli spiriti e le forze incontrollabili della natura vengono rappresentate in forme stilizzate, quasi astratte, perché, in quanto concetti incorporei, prendono vita attraverso la maschera.
L’esposizione, già avviata nel 2022 a Varese e Como e curata da Debora Ferrari e Luca Traini con Marco Castiglioni e Sara Conte, ricercatrice del Politecnico di Milano, è realizzata da Musea Trarari TIPI in collaborazione col Museo Castiglioni di Varese, insieme a vari partner territoriali - liguri e varesini - che ne hanno apprezzato il valore.
“Grazie all’incontro col Museo Castiglioni e col Comune di Varese, che hanno messo a disposizione una collezione di maschere africane di rara bellezza - dice il sindaco Monica Paganini - la mostra si arricchirà di suggestione e mistero nell’incessante percorso di ricerca della nostra comune origine. È in questo luogo, testimone del tempo, simbolo della nostra identità e storia, che Walter Tacchini, il nostro Walter, con la sua straordinaria potenza espressiva e la sua arte che si eleva da radici profonde e arcaiche verso orizzonti inesplorati, ha trovato lo spazio per far vivere le sue maschere, “Archetipi Danzanti” capaci di condurci in un fluire di emozioni potentissime che proiettano i nostri vissuti ancestrali”.
Accompagna la mostra un catalogo edito da TraRari TIPI edizioni, casa editrice specializzata in Arte &, e all’interno della Torre il pubblico potrà trovare materiali e brochure gratuite.
All’inaugurazione il 3 giugno 2023, ore 16.30 nella piazza davanti al Castello Obertengo e alla Torre, ci saranno i saluti delle autorità e dei partner, la presentazione delle opere in mostra e l’incontro con Walter Tacchini. Per l’occasione sarà possibile visitare gratuitamente a piccoli gruppi l’esposizione all’interno della Torre e ammirare la Sala Consiliare del Castello (sede del Municipio) inaugurata il dicembre scorso nella sua nuova veste con le opere del ciclo Kronos dello stesso Walter Tacchini. Seguirà un rinfresco con prodotti tipici del territorio in collaborazione coi supermercati Basko.
Per visitare la Torre occorre prenotarsi scegliendo giorno e ora di visita sul form del sito WWW.MUSEOTORREDIARCOLA.IT perché ogni visita, della durata di 45 minuti, è permessa a massimo 5 persone alla volta.
Gli orari di giugno sono: venerdì 17-21, sabato e domenica 10-12.30 e 17-20.30. Ingresso € 3 con varie esenzioni.
Per info e materiali
culturalbrokers@gmail.com – segreteria.sindaco@comune.arcola.sp.it
Hotel Byron, Lerici
Dal 18 marzo all’11 giugno 2023
A cura di Tania Calenda e Debora Ferrari
Catalogo e libro di poesie TraRari TIPI (marzo-dicembre 2023)
Fabio Chiesa, pittore e poeta di profonda sensibilità (complesso dove inizi l’uno e finisca, anzi, non finisca l’altro) in mostra di fronte al Golfo dei Poeti. Architetto, insegnante, appassionato di musica, letteratura e scacchi, per quadri e versi mostra come perdersi in Metamorfosi, Inconscio, Percorsi del cuore, Disvelamento e tornare con le geometrie sempre esatte dell’anima - c’è un preciso disegno tecnico (“techne” greca, dell’arte) nella rappresentazione di ogni sentimento - allo scavo interiore dei nostri occhi, della nostra voce sulla tela, nella pagina bianca.
“La prima sensazione che ho avuto guardando le opere di Fabio Chiesa è stata di serenità. I colori, così ben intrecciati, mi ritornavano un messaggio positivo e denso di ricercata personalità. Parlandogli, ne ho avuto conferma. Dipingere rappresenta un momento di gioia che appare in ogni tratto, in ogni scelta cromatica. Il colore come contraltare alla precisione del disegno tecnico altrettanto amato. Due dei volti di un uomo ricco di passioni creative.” (Tania Calenda).
“Sono frammenti di parole i colori delle sue opere, come piccole ali staccate da un volo, ora significano ferite, ora vortici di futuro, ora spiragli all’orizzonte. Una pittura tanto leggera quanto ricca e materica, perché sa cogliere la grammatica dell’essere universale, moto perpetuo di cambiamento a cui siamo tutti soggetti; niente è immobile e immutabile, così il pittore può esprimere l’incognita e la certezza dell’esistere.” (Debora Ferrari).
“La poesia di Fabio Chiesa non cerca scuse. Dice, parla e spesso lascia l’ultimo verso con tre punti di sospensione, invitando il lettore a continuare, commentare, sognare. Il poeta va sempre al dunque, con sincerità, eleganza e forza, testimoni della profonda sensibilità dell’uomo. La sua scrittura accompagna senza avere la pretesa di dirigere, eppure ogni parola è precisa, ogni situazione è chiara: composizione di elementi tutt’altro che facile. Vi riesce, con una facilità tutt’altro che semplice, frutto di una trasparenza di emozioni che, pagina dopo pagina, amore vero dopo amore vero (il figlio, gli amici, le donne amate, gli antenati, la terra, i lettori), invitano a immergersi nel concerto di colori dei suoi quadri.” (Luca Traini).
MARE IN CAMMINO
Nicola Perucca all'Hotel Byron e "In viaggio con Cesare Cosmico"
Una mostra che fissa lo sguardo in profondità nel Golfo dei Poeti - Byron, Mary e Percy Bysshe Shelley - ascoltando con attenzione la voce di ogni onda. C’è il Mare in cammino di Nicola Perucca all’Hotel Byron - e per ogni mostra curata con Tania Calenda e Debora Ferrari trovo sempre qualche verso del poeta - dal 17 giugno al 17 settembre. Un mare che è già il cosmo nel moto ondoso inquieto delle opere di Nicola. Un invito ad andare oltre, nel cielo e ancora più in alto nello spazio profondo, come già con le sue vertiginose Città librerie (ne abbiamo già scritto in https://lucatraini.blogspot.com/p/arte.html). Il dialogo tra riverberi, nuvole e stelle prelude sempre ad altro, questa volta sulla radiazione di fondo del suo amato Čiurlionis, compositore di musica e pittura in perpetua tensione, e con la memoria che torna a uno dei film più amati dal pittore, Solaris di Tarkovskij. Tutti gli oceani, reali e della memoria, in cui ci troviamo immersi, da cui cerchiamo ostinatamente di riemergere. E il Tirreno, che chiamiamo mare, per i geologi è un oceano. E chi più di un pittore ama la geologia, il discorso sulla terra che da cumulo di strati si fa polvere, colori? Chi più di un artista nato a La Spezia come Nicola, che ci offre composizioni concrete che trascendono ogni orizzonte?
Sono opere in linea con i lavori più recenti e in realtà molto legate a una mia vena espressiva mai esaurita che va avanti da tempo, che non prevede impianto grafico ma una maggiore libertà pittorica, meno illustrativa. Anche altri lavori di piccolo formato realizzati recentemente testimoniano questa mia potente tendenza e questo impulso sempre maggiore verso la libertà dal contorno (Nicola Perucca).
50 ANNI CON PICASSO
Commento musicale Eliane Radigue, L’Île Re-Sonante
ARTI QUOTIDIANE
Picasso
La conquista del quotidiano, la più difficile per un artista. Dipingere una casa. La casa. Ma le sue linee devono compensare quelle di un cardiogramma. Tetto, pareti, finestre, contenere tutte le vertigini di quegli impulsi e non darlo troppo a vedere, sennò i vicini, il prossimo, si spaventa. Il fuoco, uscendo dal camino in forma di fumo, continuerà il suo dialogo col cielo. E sulla terra, qui, a Mougins, sarà come condividere sigarette con amici. Parlando del più e del meno che fa battere i nostri cuori.
Hans Hartung
La conquista dell’arte ogni giorno, Pablo. Specie se una patria te la marchia come “degenerata” e devi combatterla in una guerra vera, in una legione straniera, perdendo l’uso delle gambe. La meravigliosa ciclicità del vivere, allora, è questo rullo che stendo su ogni tela per incidere i miei graffi. André lo sa che io cerco di strappare in questo modo al tempo della storia i suoi perché. Non spreca inutili parole, richiede azioni precise la nostra vita, la nostra arte.
Michel Butor
Anch’io che prendo forma nella foto e scrivo non perderò tempo. Metro dei versi: 0,75 litri. La misura concordata con André per il progetto Bouteilles de Survies. Bottiglie di sopravvivenza, perché non si vive di solo pane ma anche di quelle acque intellettuali care agli antichi filosofi, meglio se vino. Bere poesia: la cerimonia giusta oggi per consacrare pensieri, parole, opere a un tempo diverso da quelle due lancette in competizione.
FORME NECESSARIE DEL SOGNO
Picasso
Evocatemi pure la metamorfosi, il sogno, il gioco e vi ringrazierò. Ma fate bene attenzione anche mentre facciamo un autoscatto io e il giovane André. Sognatori, la vostra carezza impalpabile per me è come trovarmi concretamente in Africa: comprendere la vita di ogni maschera e poi tornare in Francia a combattere ogni colonialismo, convinto dall’eredità più onesta del mio continente. Esperti dell’incubo che può diventare sogno, utopia, lotta per una realtà migliore, è dai tempi del cubismo che rimetto in discussione le vecchie prospettive. Da Guernica alla Colomba della pace, da un esilio di cui non vedrò la fine, io ricerco da sempre un punto di vista più alto certo della bellezza del mondo.
Max Ernst
Le mie mani quando accarezzano hanno unghie così lunghe che possono graffiare. Sogni o incubi, lasciano sempre un segno. Sta a noi, Pablo, a tutte le tecniche da inventare, cercare la strada per ricomporre grafie che altrimenti restano dentro come ferite aperte. Se il viaggio andrà a buon fine, la Loira disvelerà ancora una volta un bellissimo corpo di donna. Parola del mio sorriso e di questi capelli bianchi fotografati liberi e scarruffati al vento.
Hans Arp
Io accarezzo sempre le mie opere, perché hanno le forme tonde e sinuose della vita. Le scolpisco, le accarezzo e le lascio subito andare, perché la vita è inafferrabile. Ogni giorno cerco di rinnovare la mitosi di queste cellule e lascio prendere loro la forma dei miti ancestrali che sono dentro di me. Devi sentirle come ho scritto in poesia: “Lamentarsi, cantare, gemere, sospirare”. La cura che riservo a queste esistenze che vanno oltre la mia è la risposta alle forme imposte dagli orrori della storia. Il caso mi ha dato questa necessità.
Joan Mirò
“Noi ci salviamo in giochi più profondi”, Pablo: l’ha scritto Arp. E ci sono anche donne che hanno 100 teste - Max ne ha fatto un romanzo-collage. Facciamo 1+1 e prima della somma inventiamo una nuova matematica. Usciamo dalla nube degli atomi come nella mia foto in bianco e nero. I colori poi daranno un’altra presenza. Quella dei bambini che fanno un mosaico di tutti i sassi colorati di Pollicino e poi lo disfano subito per dar vita a un altro. Tu resti in Francia e io torno dove la Spagna è meno Spagna nel ’40, a costruire labirinti dove giocare con biglie sempre di nuovi colori. Mi servono 35 anni per vincere la dittatura di Franco. Poi vince anche l’arte.
TRATTI, RESPIRI E ALITI DI VENTO
Picasso
C’è un ultimo ritratto che ho lasciato alla tela un anno prima della morte. Dopo tante opere dedicate all’amore ho visto in faccia proprio lei. E forse non era qualcosa di diverso. Ogni passione ha la sua sindone. Ogni tratto dipinto, per quanto fluido, conosce il gelo quando è compiuto. È una questione di passaggio di stati. Chi vedrà il quadro, se lo ama, riattiverà la chimica dell’arte.
Fellini
André mi ha fotografato per strada, per La strada. E in ogni tratto di strada, quando sono in crisi, trovo te, Pablo, come compagno di viaggio. Eppure ci siamo visti una sola volta a Cannes, forse era il ’61. In sogni a occhi aperti non so quante altre, perché cerco di riprendere ogni scena muovendo i macchinari come un pittore cubista. Ti dedico la mostra contemporanea di artisti antichi nel mio Satyricon. Lascio agli spettatori tutte le illusioni della realtà, dello schermo. Noto che muori ma io tornerò a trovarti, in un’altra Prova d’orchestra. E questa volta non dovremo abbattere muri.
Léo Ferré
Parli del futuro in una foto, Fellini, ma io di muri ne avevo già abbattuti tanti prima che tu cominciassi a fare film. Perché le note possono abbattere ogni muro. E se ci riescono diventano canzoni. D’amore e di anarchia: quelle pareti devi averle già infrante dentro di te. Poi torna il tempo, che gioca a farci costruire, costruire anche inutili difese contro di lui. Respira, Leo, respira quest’aria di Toscana. André ha trattenuto il respiro per fare questa foto. Respira anche per lui. È come una pausa in un’altra canzone. La stessa di quando altri canteranno le tue.
Alexander Calder
Tu non sai quanto ho dovuto respirare, Leo, quando giocavo a football o a lacrosse. Amici che avete nel cuore l’Europa, ricordate uno sportivo americano che finì a Parigi per fare giocattoli e si ritrovò a doversi inventare un circo in miniatura per tirare avanti da una costa dell’Atlantico e l’altra. Arte portatile, come il mio amico Duchamp. Questione di correnti, oceaniche. Sennò perché fare il fuochista in una nave che aveva il mio stesso nome? Al largo del Guatemala ho visto nello stesso tempo il sole sorgere e la luna tramontare. E chi siamo allora per diventare artisti? Plasmiamo, attenti al ritmo, al respiro: se una cosa cade, l’altra sale. Quindi continuiamo a costruire. Statue ben piantate per terra e poi altre che si alzano in volo, mobili come rami leggeri e foglie al primo colore. Sto parlando di questo mentre mi fotografa André. E il respiro non muore se un’immagine è la sua. Tu sai che basterà un soffio o un alito di vento a far danzare ancora una volta la vita che hai scolpito.
ANDRÉ VILLERS: PICASSO E GLI ALTRI Dialoghi in bianco e nero
ANDRÉ VILLERS, IL FOTOGRAFO DI PICASSO
ARCHETIPI DANZANTI Opere di Walter Tacchini
ARCHETIPI DANZANTI
Opere di Walter Tacchini
a cura di Debora Ferrari e Luca Traini
con Marco Castiglioni, allestimento Sara Conte
Museo Castiglioni Varese dal 9 luglio all’11 settembre
Inaugurazione con apericena Sabato 9 luglio Ore 18
Banca Generali Private Como dal 12 luglio all’11 settembre 2022
Inaugurazione con apericena Martedì 12 luglio Ore 18
PROROGATA FINO AL 6 GENNAIO 2023
Una doppia mostra a Como e Varese rende omaggio ai prodigi e alle fantasticherie di Walter Tacchini, artista di La Spezia dal respiro internazionale. Nelle sue sculture c'è il segno di una grande stagione della cultura europea che si muoveva tra Sartre, le sorelle De Beauvoir, Cocteau e Jacques Prévert. Oggi ottantenne sempre dedito alla creazione con una verve ineguagliabile (sculture, quadri e mobili rigenerati con Liguria Vintage e le opere collezionate da Crastan Caffè nella sua sede Romito Magra), a vent’anni Walter ha scoperto che le mani erano un efficace strumento di creatività e quindi ha cominciato a dipingere, fare statue, scolpire la pietra, intagliare il legno, giocare con qualsiasi materia malleabile. La svolta della sua vita data agli inizi degli anni Sessanta quando la ditta edile del padre era impegnata nella costruzione della nuova casa di Franco Fortini e di sua moglie Ruth a Bovognano, lungo la strada che da Ameglia conduce a Montemarcello. «Verso il 1962-63 Le Corbusier – racconta Tacchini – venne da Fortini, di cui era amico. È in quell’occasione che lo conobbi e che apprezzò il lavoro che facevo con mio padre. Mi fece guardare verso Carrara, verso le cave, e mi disse: “Tu sei uno scultore nato, perché non ti dedichi alla scultura?”. E’ così che Tacchini inizia a elaborare una vena creativa assolutamente originale, dedita al recupero di forme e archetipi ancestrali, ispirati sia alle stele antropomorfe lunigiane di 5.000 anni fa come alle maschere tipiche come nella tradizione del Carnevale storico di Ameglia dell’Omo ar Bozo che lui stesso risveglia e rinvigorisce coi suoi costumi fin dagli anni ’70.
“Considerare la cultura come forza formidabile e valore inesauribile è un segno distintivo che caratterizza l’impegno di Banca Generali Private di Como nella sua offerta in campo artistico. Questa fiducia incrollabile nelle capacità creative di dare un senso positivo alla vita dell’individuo e al suo rapporto con la società in cui opera per un progresso condiviso è in sintonia con la persona e l’arte, in perfetta simbiosi, di Walter Tacchini. Con la mostra a lui dedicata, Archetipi danzanti, presentiamo quindi una personalità dalla verve ineguagliabile, capace di esprimere quotidianamente tutta una serie di creazioni originali che spaziano dalla pittura alla scultura, giocando con qualsiasi materia malleabile”. Scrive Guido Stancanelli, District Manager BGP, con Daniela Parravano, nella presentazione in catalogo.
Dai manifesti per il Teatro di Strada, di cui è artefice insieme ai grandi nomi europei, ai quadri, alle maschere, alle sculture che realizza anche per enti pubblici come di recente a Lerici, alle Uova e ai mobili rigenerati di recente creazione per Liguria Vintage di Marco Natale, usando una ricca serie di materiali che vanno dalla ceramica al legno. Al Museo Castiglioni il percorso si articola in rapporto alla maschere africane della collezione dei fratelli Castiglioni, mentre a Como i quadri materici ci riportano al valore del simbolo e alla sua interpretazione contemporanea, sul tema del tempo e della luce, elegante e poetica per un totale di quasi 100 opere nelle due sedi. Le mostre sono state annunciate in una conferenza incontro alla Fondazione Sangregorio di Sesto Calende, partner culturale dell’iniziativa, il 25 giugno alla presenza dell’artista, di alcuni partner e dei responsabili della Fondazione.
Catalogo edito da TraRari TIPI editore in limited edition.
Lo spazio, tra fisica e sentimento vitale
[...] Per Walter Tacchini possiamo parlare di ‘pensiero tangibile’. Raccoglie ogni istante la storia dentro di sé, la metabolizza, la trasforma, la crea a propria immagine dando all’elemento intellettivo una forma destinata a durare e testimoniare il pensiero che l’ha generata. Tra fisica e metafisica le opere di Tacchini si collocano sia nello spazio illimitato che tutto contiene -con quel discorso di micro e macrocosmo che cogliamo nei lavori- sia nello spazio divino che nutre l’animo umano. C’è predominanza dell’elemento sacro in tutto, sia per l’esecuzione che per la poetica. Si vedano le forme delle sculture, delle maschere, delle stele, ma si raccolgano anche le gamme cromatiche usate per la definizione delle campiture e il risalto dei pani, sia bi/ che tridimensionali. Lo spazio è quindi condizione di esistenza per le sculture, naturalmente, ma diviene un concetto capace di contenerne altri, ritornando sia alla narrazione del tempo, sia alle radici recuperate e rielaborate. Questo nell’ottica della complessità della sua opera globale, ovvero nell’insieme di progetti e sculture, grandi e piccole, realizzate nella sua lunga e fertile carriera. Ma quando parliamo di spazio singolo di ogni opera il rapporto è 1:1 con il pubblico, da una parte una preghiera dall’altra una tauromachia. In che senso? Proprio nel confronto vitale: davanti a una scultura possiamo porci come in meditazione, ma anche in sfida qualunque cosa rappresenti o emani il soggetto creato. Si sentono le mani del demiurgo artista, si sente la sua forza dinamica, potendo raccogliere sia l’aspetto ispirato, sia il processo sofferto della produzione. Tutte le opere di Walter Tacchini contengono radici, tempo, luce, spazio, divino, sentimento. È la capacità di far danzare gli archetipi che ce le rendono tanto ancestrali e contemporanee così come contemporanee ma fortemente antiche. Nel per sempre, meravigliosamente.
Walter Tacchini è uno di quei giovani ottantenni che fanno impallidire chi è giovane solo all’anagrafe. C’è da chiedersi se il merito sia delle uova che continua a forgiare ogni giorno o del fatto che queste opere, che ti lasciano a bocca aperta per quanto sono belle, siano frutto della sua giovinezza senza età. Naturalmente no. La risposta esatta è la seconda. Quindi non voglio dilungarmi a discutere delle uova nella storia dell’arte – è chiaro che dietro c’anche la lunga covata estetica dei millenni – voglio piuttosto sottolineare che non si tratta di ellissoidi o sferoidi risistemati freddamente, ma di creature-creazioni vive e vivaci che sanno giocare con tutte le vibrazioni della luce e infondere nell’animo di chi le contempla quella gioia di vivere che solo la vera arte sa offrire. Il regalo, come nelle vere uova pasquali, è lo spirito di rinascita che sta dentro.
Poi, le maschere. Che non mascherano nulla, anzi, rivelano quanto mascheriamo. Una sfilata affascinante di se stessi che l’ordinarietà tende a ridurre a uno e invece sono la somma di un’individualità più grande. Perché in quelle di Walter, anche se le puoi godere esposte beate e tranquille, ci senti pulsare dietro il teatro, quello di strada (è un’altra via che ha percorso prima e durante l’insegnamento all’Accademia di Carrara). È il passaggio davanti alla porta di casa di tanti diversi io che sono altri e altro, che devi invitare a pranzo per mangiare e bere i frutti di quella terra da cui l’artista trae altro. Sempre per te. Walter non ama la distanza fisica, le religioni misteriche, peggio, l’élite. Lui ti guarda, di persona o nella magia di quanto compone, cerca il dialogo e il confronto come gli artisti di una volta, come quando Picasso passeggiava per Mougins e si fermava a parlare con le persone in giro. Come va? La vita, voglio dire. Se la vita e l’arte sono una cosa sola, e per tutti, va bene.
Walter Tacchini ritratto da Roberto Battistelli
Classe 1937, nato a Romito Magra, frazione di Arcola (SP), Walter Tacchini è un artista unico nel suo genere. La sua prolifica carriera di scultore e pittore, grazie anche a una formazione sviluppatasi fra Italia e Francia, può vantare una lunga serie di collaborazioni e riconoscimenti a livello internazionale. Legno e ceramica sono i materiali che predilige per esprimere una sintesi assolutamente originale fra astrazione e figurazione. La sua forte personalità, caratterizzata da un’operosità inesauribile e da una continua attenzione tanto alle eredità del passato quanto agli aspetti più innovativi, non ha mai cercato un’arte fine a se stessa, ma un costante rapporto con altre dimensioni estetiche. Lo testimoniano i numerosi contributi al mondo del cinema e del teatro, grazie al design di costumi e maschere dalle metamorfosi sempre in atto. Da sottolineare, inoltre, il suo tenace impegno sociale nel corso degli anni e la promozione della sostenibilità ambientale anche in tempi in cui non era di moda. Un artista capace di far arrivare la complessità del suo lavoro dritta al cuore, grazie a una visione fuori dal comune unita a una limpida chiarezza d’intenti e realizzazioni. Un uomo caratterizzato da una risoluta volontà costruttiva, ereditata dai tempi in cui lavorava nell’impresa edile del padre. E proprio mentre era alle prese con la casa di Franco Fortini a Bavognano sopra Ameglia, verso il 1962-63, un gigante dell’architettura come Le Corbusier, ospite del poeta, si rivolse all’artista ventenne indicando Carrara e le sue cave: “Tu sei uno scultore nato, perché non ti dedichi alla scultura?”. “Come me, Le Corbusier era figlio di un edile e non era laureato” ha tenuto a sottolineare Walter in un’intervista a Repubblica nel 2019. Fatto tesoro di questo prezioso consiglio, nel 1966 Tacchini può già presentare a Sarzana la sua prima personale, che ripete l’anno successivo, quando espone le sue opere anche alla Mostra di Pittura di Castiglioncello ricevendo la Medaglia d’oro del Presidente della Repubblica Italiana. Nel 1968 amplia il suo raggio d’azione in Toscana, vincendo il Primo Premio alla mostra Mare e monti di Marina di Carrara, al Concorso Castello Malaspina di Fosdinovo e alla Galleria L’approdo di Viareggio. L’anno seguente, dopo essere stato presente alla VI Biennale Internazionale di Scultura di Carrara e aver vinto il Primo Premio al Concorso Luci e colori di Massa, approda a Milano dove è presente alla VI Mostra d’Arte Moderna e al Museo di Arte Moderna Pagani. Tra il 1969 e il 1970 partecipa ad esposizioni a Genova, Ancona, Carrara e Milano, oltre a compiere il primo passo verso il mercato internazionale quando viene premiato alla Prima Biennale Europea d’Arte Contemporanea a Dubrovnik. E proprio durante la VI Biennale Internazionale di Scultura di Carrara nel 1969 la sua opera suscita l’interesse del diplomatico Lionel De Roulet, che rincontra nello stesso anno a Bocca di Magra con Franco Fortini – durante uno dei classici “concili” organizzati da Giulio Einaudi - insieme alla moglie, la pittrice Hélène de Beauvoir (sorella della scrittrice Simone). Fra i tre si crea un legame di profonda amicizia, rafforzato dalla frequente presenza della coppia in Liguria, dove possedeva una casa a Trebiano, restaurata dal padre di Walter e comune di residenza dello stesso Tacchini. Una riconoscenza reciproca che si concretizzerà nel lascito dell’abitazione proprio al nostro artista e alla moglie Milena, quella che Hélène chiamava “ma petite famille italienne”. Nel 1970 è sempre De Roulet, a capo della Direction pour les Affaires Culturales del Consiglio d’Europa, a invitare Walter Tacchini a Strasburgo per la realizzazione di una scultura in arenaria dei Vosgi a Goxwiller. Nel 1971 è nuovamente in Francia, questa volta su invito della de Beauvoir, per realizzare una coproduzione di scultura mobile. Nel 1972 partecipa sia alla III Rassegna Internazionale di Primavera Atene-Roma che alla XII Biennale Europea d’Arte Contemporanea al Pireo. Torna nuovamente in Francia nel ‘73, a Montbéliard, invitato da Jean Hurstel al C.A.C. (Centre d’Action Culturelle) per interventi di Social Art (animazione di laboratori di scultura, serigrafia, maschere, scenografie, carnevali, ecc). Nello stesso anno, sempre a Montbéliard, realizza un bassorilievo in ceramica, viene nominato Socio Ordinario alla Permanente di Milano, espone alla VII Biennale Internazionale di Scultura di Carrara e partecipa alla Mostra Collettiva di Scultura presso Galleria Tre Papi di Sarzana. Nel 1974 approda a Parigi per iniziare la collaborazione con Albert Diato, ceramista che aveva a sua volta collaborato con Picasso a Vallauris, quindi partecipa alla X Mostra di Scultura all’aperto del Museo d’Arte Moderna Pagani di Milano e realizza scenografia e maschere della Commedia dell’arte al C.A.C di Montbéliard. Nel 1975 inizia la sua attività di docente all’Accademia di Belle Arti di Carrara, che durerà fino al 2005. Nel decennio che segue arricchisce ulteriormente il proprio percorso artistico fra Italia e Francia. Da sottolineare, nel 1976, l’esposizione di giornali e manifesti realizzati per i film di Armand Gatti a Parigi presso il Centre Pompidou. Nel 1977, con profondi interventi di Social Art insieme agli abitanti di Ameglia, inizia l’opera di rivalutazione dell’antichissimo carnevale autoctono L’omo ar bozo: fondamentale esperienza fra antropologia e arte che porterà avanti nei decenni successivi e di cui darà testimonianza anche nel libro L’omo ar bozo: dalla tradizione all’arte popolare, pubblicato dalle Edizioni Giacchè nel 2002. Sempre per un intervento di Social Art, nel 1980 viene invitato a Bruxelles dal Ministero della Cultura belga. Partecipa quindi al Festival di Avignone realizzando di un grandissimo affresco nel quartiere La Rocade. L’anno successivo cura la scenografia di Behren à tire d’aile per l’Action Culturelle du Bassin Houiller Lorrain (A.C.B.H.L.) a Freyming-Merlebach e riceve il Primo Premio Ameglia per la Grafica. Tra il 1982 e 1983 cura in Francia la scenografia di Grezgeschichten a Petite-Rosselle e la scenografia per l’A.C.B.H.L. Printemps de la Creation a Stiring Wendel. Nel frattempo consolida il suo impegno ambientalista con azioni di Social Art insieme a Lega Ambiente nelle manifestazioni La pace a Roma (1983) e In nome del popolo inquinato (1984). Sempre nel 1984 approda in Germania a Ingolstadt per la Mostra Collettiva Grafik und Malerei. Nel 1986, in Francia, cura la scenografia per Vita Lorraine a Saint-Avold. Nel 1987 torna a Sarzana per curare un intervento di arte sociale: Un carnevale diverso. Nello stesso anno realizza in Francia mostre personali a Saint-Avold e a Freyming-Merlebach. Nel 1990 partecipa al Convegno Internazionale Arte Sociale realizzando diverse scenografie sul tema dell’immigrazione per 37 gruppi teatrali. Gli anni dal ’91 al ‘94 sono dedicati soprattutto a contribuire alla costruzione di un importante laboratorio di ceramica con l’associazione culturale Radovan per il lavoro sulla statua-stele, rinnovando anche in questo caso una preziosa eredità, quella della statuaria della Lunigiana (attiva dal III millennio al VII secolo a.C.). Nel 1995 viene invitato a Strasburgo al V Congresso Europeo sull’Arte Sociale e, sempre a Strasburgo, l’anno successivo partecipa a L’art dans les Banlieues. Tra il 1997 e 1999 espone per ben due volte una propria mostra presso l’evento Cibus di Parma e partecipa nel ‘99 alla Fiera di Carrara. Tra il 1998 e il 2001 contribuisce alla realizzazione di un Laboratorio di Arte Sociale a La Spezia, dedicandosi poi nel 2000 a restauri e decori del piano inferiore della Parrocchia dell’Immacolata Concezione del suo paese natale. Sempre a Romito Magra, tra il 2000 e il 2002, realizza la decorazione interna ed esterna della fabbrica Crastan Caffè. Nel 2003, a Milano presso il Teatro ArtandGallery, cura la performance Omo ar Bozo all’interno della manifestazione I Semi di Joseph Beuys. L’anno che segue realizza per una campagna di sensibilizzazione ambientale di Acam il cartone animato Metano Energia Sicura. Nel 2006 viene inaugurato il Museo Aziendale Crastan Caffè che ospita le opere di Walter Tacchini. L’anno dopo, ad Arcola, presenzia alla mostra Terra di Luna all’interno della manifestazione Teatralità e Mistero e alla Collettiva Hombelico presso la palazzina delle Arti di La Spezia. Nel 2008, a Valencia, partecipa alla manifestazione Cultura e Solidarietà su invito de L’Agence Européenne de la Culture del Consiglio Europeo. Data al 2010 l’inizio di varie collaborazioni con architetti, attraverso concorsi di idee, mentre nel 2011 realizza a Milano una grande personale di maschere di ceramica. Del 2012 è l’esposizione permanente Kronos al Mandorlo di Sarzana. Nel 2013, presso l’Istituto Comprensivo di Vezzano Ligure, realizza con gli alunni un murales in ceramica (380x380). Successivamente compone una vetrata (184x162) all’interno di una villa milanese dell’Ottocento. Sempre nel 2013 restaura un ambiente interno di origine medievale in Sardegna. Nel 2017 organizza e allestisce una mostra itinerante dedicata a Hélène de Beauvoir, con la collaborazione di Marco Ferrari e col patrocinio del Parco di Montemarcello Magra-Vara sotto la guida del presidente Pietro Tedeschi: 21mila presenze. Nello stesso anno, al Premio Lions Club Lerici, premia la regista spezzina Federica Di Giacomo donandole una scultura. Nel 2018 vince il concorso La Spezia Porta di Sion per la riqualificazione del molo Pagliari e, l’anno dopo, cura di nuovo a La Spezia, presso il Museo Etnografico e Diocesano, l’esposizione temporanea Carlevà. Il carnevale nello spezzino tra Ottocento e Novecento. Sempre nel 2019 realizza la scultura Le ali della libertà, vincitrice del concorso nazionale La Spezia Porta di Sion. Inoltre cura una grande personale al Castello di Lerici, Kronos – forme luci e colori di Lerici, visitata da oltre 25.000 persone. In contemporanea, con la partecipazione di 75 ragazzi e 150 adulti, attiva un laboratorio di arte sociale dentro il Castello di Lerici che partecipa alla sfilata del Palio del Golfo di La Spezia. Nel 2019 inizia l’elaborazione e la trasformazione di mobili antichi riciclati. Nel 2020 ne espone diversi in Val Graveglia, nel comune di Pignone. Inoltre, una maschera antropomorfica in ceramica del carnevale di Ameglia Omo ar Bozo viene presentata al Museo delle Maschere Mediterranee di Mamoiada. E sempre in Sardegna attiva un laboratorio di arte sociale a Santa Maria Navarrese, nel comune di Baunei, dal titolo Gabbiano Guerriero Contro l’Inquinamento Globale. Nello stesso anno organizza e allestisce la mostra dedicata a Hélène de Beauvoir a Casté curata da Debora Ferrari. Nel 2021, sempre a Casté, prepara alcuni bassorilievi dal titolo Le pietre raccontano. Negli ultimi due anni, infine, si è sviluppata la collaborazione con Liguria Vintage e il suo ideatore, Marco Natale. Le opere della serie Il legno racconta sono esposte all’interno della fabbrica e dello showroom Liguria Vintage a Riccò del Golfo. La sua mostra più recente, composta da una preziosa raccolta di maschere e uova di ceramica, è di quest’anno, da marzo a giugno , all’Hotel Byron di Lerici. Il 18 giugno 2022 è stata inaugurata la sua grande scultura Ninfa sul Sentiero 501 di Casté.
UNA NUOVA VISIONE DEL MIDeC DI LAVENO
Percorsi virtuali nella concretezza della ceramica
Neoludica è felice di aver lavorato e contribuito alla realizzazione dell’esperienza virtuale immersiva NUOVE TERRE, elaborata da API Srl per il Museo Internazionale del Design Ceramico (MIDeC) col bando della Fondazione Cariplo e il patrocinio del Comune di Laveno-Mombello e dell’Assessorato alla Cultura Istruzione Turismo e Commercio.
Debora Ferrari, già direttrice di museo e curatrice d’arte esperta anche nel settore della ceramica (non a caso il titolo “NUOVE TERRE” è una sua idea), e il sottoscritto, in qualità di storico (https://lucatraini.blogspot.com/2021/09/il-potere-della-ceramica-larte-non-e.html), hanno curato i contenuti e supervisionato la scelta delle opere, veri e propri capolavori - e non solo del genere - distribuite nelle varie stanze (anche nell’ultima, quella segreta, da ammirare solo se si sono visitate tutte le altre).
La realizzazione della parte grafica è stata invece frutto dell’attività di Biancamaria Mori (direzione artistica) e Carlo Gioventù (scansioni e fotogrammetria) insieme al team di giovani sviluppatori di API Srl (che ha lavorato sull'aspetto grafico, sull'User Experience e sviluppato l'esperienza in toto), con la supervisione del managing director Massimo Spica. Si sono creati i mezzi oltre che l'estetica. E la novità, condivisa da tutti, è stata quella di non riprodurre gli ambienti del museo come si è soliti fare, ma di rivisitarli dando libero spazio alla fantasia e all’emozione rielaborandone le forme in una dimensione onirica.
Immersi in quest’atmosfera è possibile ammirare perfette ricostruzioni in virtuale di alcune delle opere più significative di quest’arte così da poterne godere tutti i dettagli: dal vaso ad anfora liberty di Spertini al piatto futurista di Portaluppi, dal classismo monumentale dell’Orfeo di Biancini alla formidabile essenzialità del Ramo di Andlovitz, al mitico Portaombrelli C. 33 di Antonia Campi (solo per fare qualche esempio).
Un percorso costellato da piastrelle color Blu Laveno col logo del museo, macchine fotografiche e televisori vintage che, una volta puntati, svelano informazioni storiche, foto d’epoca e video che vedono protagonisti lavoratori, designer e progetti.
Un grande lavoro in sintonia con l’eccezionale capacità di innovazione espressa per un secolo e mezzo (1856-2003) dalla famosa Società Ceramica Italiana di Laveno, di cui il MIDeC ha fatto tesoro conservando una nutrita serie di pezzi della produzione di eccellenza. Infatti proprio l’industria lavenese, insieme e a gara con la Richard-Ginori, aveva fatto sì che questa “arte minore” diventasse vera e propria Arte in sintonia con i grandi movimenti artistici del XIX e del XX secolo. Un’arte di massa, disponibile per tutti, che ha trasformato gli oggetti del nostro vivere quotidiano in opere di grande bellezza. Ecco perché questa particolare sensibilità estetica oggi viene tradotta anche nelle nuove arti digitali. Per favorire una visione aggiornata e affascinante di una grande tradizione in una dimensione interattiva capace di coinvolgere anche un pubblico di non specialisti. Per rivolgersi in particolare a giovani e giovanissimi, che nel linguaggio digitale trovano una delle forme di espressione e comunicazione preferite. Con la funzione interattiva e immersiva si possono accogliere nel museo anche persone impossibilitate a recarvisi o stimolare un pubblico lontano a scoprire Laveno-Mombello.
Il tour virtuale è fruibile dal sito del MIDeC.
Vedi anche
STILL LIFE RELOADED (2020-21) Fabrizio Jelmini photographer
Inaugurazione Sabato 7 maggio Ore 11
Info, stampa e prenotazioni: culturalbrokers@gmail.com; tel. Banca 031 3254611
Dal 7 maggio al 30 giugno, in orario di apertura della filiale, a cura di Debora Ferrari e Luca Traini, dopo essere stata presentata a Legnano, arriva a Como la mostra di Fabrizio Jelmini nella sede di Banca Generali Private con una trentina di fotografie, stampate in grande formato.
L'esposizione è accompagnata da un originale catalogo ed. TraRari TIPI in limited edition con fotografie scelte dell’autore, sempre a cura di Debora Ferrari e Luca Traini - editori.
“Lo Still Life di Jelmini ci porta dentro il concetto di esistenza non solo in quello di tempo e vanitas. Ogni scatto della sua fotografia con oggetti inanimati o piante e fiori è un palcoscenico in cui gli attori si mettono oltre il sipario per portarci un profondo significato. Quello che opera con composizione, inquadratura, scatto e preparazione della fotografia su supporti speciali è un’alchimia di colori e volumi, come in un dipinto ma con la luce e gli sfondi, e i soggetti racchiusi nel suo teatro ci narrano di vita e di morte, racchiuse entrambe nella memoria, come in un duplice asse cartesiano. Anche qui conduce un reportage: dalla vita delle cose alla permanenza nell’arte” (Debora Ferrari).
"La traccia del grande viaggiatore – e Fabrizio Jelmini lo è stato in foto e video per anni e grandi spedizioni – resta anche nell’evidenza di quanto rivelato fra quattro mura o in un giardino. Rigore e passione non si misurano in chilometri ma in viaggi-luce. Fotografie di continenti strappati alla deriva i suoi still life, dove il magma di fondo si compone e trasfigura in colori o bianco e nero dai contorni così precisi che non possono che alludere altrove: la fuga da ogni cornice. La visione di una foto nasce a camera chiusa. Apri gli occhi e la mappa dei soggetti inquadrati è una cartina tornasole che non fa distinzioni fra quanto altri definiscono come cose e fiori, ma unisce in simbiosi quelle cronologie distanti in una sola, quella dell’obiettivo. La geografia dello sguardo prevede fiori fissati come meridiani con relative proiezioni che tendono al cielo fissandolo alle proprie radici. È una quotidianità che sottintende l’eterno, una pulizia formale che non teme le rughe del tempo. E i fiori di Fabrizio - teatro di anatomia e petali, sospesi - amano piegarsi e rivolgersi alle cose: è un dialogo che ricerca sostegno alla vita, allo stesso modo di noi umani verso quanto dovrebbe essere solo oggetto e invece è anche altro. È arte, è sentire con chiarezza la complessa differenza dei tempi fra diverse forme di esistenza, diversi tempi di esposizione" (Luca Traini).
Fabrizio Jelmini è fotografo tra i più apprezzati e richiesti, capace di dosare la sensibilità del suo scatto nei multiformi campi d’indagine di quest’arte unendo in simbiosi rigore, passione e originalità e spaziando, in più di quarant’anni di esperienza, dal reportage giornalistico e documentaristico alla moda, dallo still life alla psicologia del ritratto. Nato ad Arconate nel 1961, ma sempre in viaggio fra i diversi continenti (ha visitato più di cento Paesi), è giornalista pubblicista e professionista della fotografia dal 1980. Numerose le collaborazioni, in primo luogo con prestigiose testate nazionali (Corriere della sera, Il Giorno, Repubblica, I viaggi di Repubblica, D-La Repubblica delle Donne) e riviste quali Ulisse 2000, Riders, About BMW, Cafe Racer, Vie e trasporti, Flotte & finanza. Intensa anche l’attività con importanti emittenti televisive (Rai 1, Rai 3, Canale 5, Rete 4, LA7, Arte, solo per citare le principali), curando reportage di particolare interesse, come a Mostar durante la guerra nell’ex Jugoslavia o in Iraq con uno speciale sull’uso bellico dell’uranio impoverito, lavorando in qualità di operatore per il programma Overland e dirigendo numerosi documentari sportivi, aziendali e di carattere sociale. La passione per l’archeologia l’ha portato inoltre a seguire, in veste di fotografo e operatore, le spedizioni in Nordafrica dei noti antropologi Alfredo e Angelo Castiglioni, realizzando in Sudan dei film/documentario tra i quali Iveco Faraonic Track, selezionato alla XV Rassegna internazionale del cinema archeologico. Ha all’attivo tredici libri pubblicati, fra cui I presidianti: storia della rivolta popolare alla Cava Sant'Antonio (1991-1993), Sete d’Etiopia (2004), Nuotare nei cieli. Volare nei Mari (2012) e Metro Lilla (2015). Dal 2010 è docente di format, tecniche audiovisive e fotografia presso l'Accademia di Belle Arti ACME di Milano. Ha prodotto diverse mostre fotografiche: da I presidianti (1993) a La via dei faraoni neri (2003, esposta allo stand ufficiale Nikon durante il Photoshow del 2004), da I nuovi Milanesi (2013) a Ora d'aria (realizzata nel 2015 presso il carcere di Bollate e presentata al festival di filosofia Filosofarti) alla partecipazione a Matera 2019 col toccante reportage Favela (ambientato a Salvador de Bahia, nel Nordest del Brasile) nell’ambito della collettiva Fotografia e coscienza dell’uomo. Nella mostra Tempo autentico (Still life Reloaded 2020-21), a cura di Debora Ferrari e Luca Traini, nella sede di Banca Generali Private a Como (dal 7 maggio al 30 giugno) sono presenti anche le opere della recentissima esposizione nella sede di Banca Generali Private a Legnano. L’artista è presente sui vari social, in particolare su Instagram dove presenta una nutrita galleria di tematiche: @fabriziojelminiphotography.
LA MADDALENA DI CARLO CRIVELLI Il primo amore
Commento musicale Josquin Desprez, Praeter rerum seriem
La ricordavo sulla copertina di un catalogo - e dio sa quanto l’ho cercato – ma forse era un sogno quel libro, come le donne del pittore.
“Mamma, mi sono innamorato”.
“Ancora?”.
“Sì, ma questa volta è una signora?”.
“Una signora?”.
E indico il dipinto: “Questa. Ti piace? Ha i capelli biondi come te”.
“Certo che mi piace. Mi piace tanto. Ma cosa diranno le tue fidanzatine dell’asilo?”.
Questo sì che sarà un problema - e non solo all’asilo.
È l’estate del 1970 e ci ritroviamo ospiti della zia di mia madre, Linetta, dove l’anno prima avevamo assistito al lancio dell’Apollo 11 - ero certo di aver visto la luce del razzo alla finestra - e al successivo allunaggio nel Mare della Tranquillità (nome stupendo, sospirato).
La prozia aveva evitato il destino di contadina e insegnato alla mamma, di nascosto, a disegnare a carboncino. Dovrebbe scendere a lavorare nella piccola impresa di calzature del marito, al piano terra della loro palazzina, e invece si ferma, mi dà un bacio: “Ma quante ne pensi! A d’è bella ‘sa Maddalena, eh? Ma è ‘na santa: non la poi sposa’.” - e ride - “Però de Crivelli ha stroato un quadro pure ecco a Capudarca, jò la chiesa: chi sa se se pò jillu a vede’?”.
Era vero che c’era un Crivelli a Capodarco, frazione di Fermo, ma era del fratello di Carlo, Vittore, e - forse perché non c’erano sante (o non potevo sposarle) - dal vivo e nel vivo non lo vidi mai.
Ma, come diceva mia madre (che non vedeva l’ora di andarsene al Nord), che c’erano venuti a fare quei due nelle Marche? Da Venezia poi!
Scappavano o quasi, un po’ come noi, come avrebbe fatto in seguito il Lotto. Le Marche fra XV e XVI secolo erano un territorio tutt’altro che marginale e, in fatto di traslochi, l’esempio l’avevano già dato gli angeli con la Santa Casa di Loreto e il relativo miracolo economico generato dal crescendo dei pellegrinaggi.
E poi anche nella Serenissima non c’era posto per tutti, specie per i più inquieti. Infatti Carlo Crivelli, 517 anni prima, aveva rapito per amore Tarsia, moglie di un marinaio che era chissà dove, con cui aveva poi avuto per mesi una relazione appassionata, consensuale e con la donna riconosciuta parte attiva, alla faccia della Scolastica, dagli advocatores che poi li avrebbero condannati a sei mesi di detenzione. Un’inezia rispetto, per esempio, alla Bologna universitaria, dove gli adulteri venivano condannati a morte, o alla colta Ferrara, che condannava al rogo le donne adulterine. A questo proposito leggete l’ottimo articolo di Liliana Leopardi .
Scandalo, ipocrisie e timore di vendetta da parte di marito tradito e famiglia: Carlo, scampato anche alla pestilenza in carcere, abbandona per sempre Venezia e raggiunge Zara seguito dal fratello Vittore, probabilmente per evitare rappresaglie trasversali.
Di tutto questo periodo, dell’artista, resta poco di cui siamo certi. Nel contesto di un’inquietudine decisamente più grande che investiva anche la città in cui i due pittori si erano rifugiati, con la grande avanzata dell’impero ottomano che pochi anni prima aveva conquistato Costantinopoli.
Mentre di dubbi si accumulano l’unica sicurezza è che Carlo è il primo ad avventurarsi nelle Marche, perché nel 1468 era già nella mia terra. Forse perché temeva altri guai e vendette della Dalmazia veneta? Chi può dirlo? Fatto sta che in quell’anno firma il Polittico di Massa Fermana, quel minuscolo paese dall’ingresso gigantesco - la Porta Sant’Antonio - così strana e bella.
Cosa ribolliva in quell’uomo che trapassava nell’artista? Lo splendore tardogotico della pala principale in simbiosi con le forme già così umane, umanistiche dei quadri della predella. Nel Cristo nell’orto del Getsemani, in quello che risorge c’è l’eco del Mantegna (Crivelli era stato a Padova)? Nella flagellazione il pavimento piastrellato richiama quello di Piero della Francesca a Urbino? Domande sorte in seguito, io all’epoca ero tutto preso dalla Madonna mamma che pareva tanto stanca, dal quartetto dei suoi amici santi ora tutto lusso ora trasandati e stracci. Compagnia strana per Gesù bambino, che sembrava distratto con la voglia - se lo capivo! - solo di giocare a palla.
Avrei scoperto decisamente più tardi che aveva dipinto un Polittico a Porto San Giorgio nel 1470, dove esattamente 500 anni dopo sarebbe nato mio fratello Luissandro, biondo come il bambinello della Madonna Cook che sta alla National Gallery di Washington. Perché nell’Ottocento avevano demolito la vecchia parrocchiale in cui stava l’opera che, smembrata, avrebbe diviso il suo splendore fra Inghilterra, Polonia e Stati Uniti.
E proprio il fratello di Carlo, ormai trasferitosi ad Ascoli Piceno, approda nelle Marche qualche anno dopo, intorno al 1476. Vittore occupa lo spazio lasciato libero nel Fermano dipingendo anche un polittico a Sant’Elpidio a Mare (che sul mare non ci sta affatto), il vecchio comune nobile alle spalle di quello giovane e proletario, Porto Sant’Elpidio, in cui eravamo finiti ad abitare.
Vittore circondava più da vicino il nostro paese con la sua pacata bellezza, quasi figlia di campi, colline e mattoni in tutte le loro sfumature di giallo.
Carlo invece sembrava abbracciarmi a superiore distanza, con quella ricerca del sublime che sconfinava nei cieli. Camerino, Matelica, Fabriano, Pergola e Ascoli. Soprattutto Ascoli, con quell’Annunciazione dove l’angelo ha fretta di condividere qualcosa di bello mentre tutti guardano di qua e di là e parlottano.
Solo la Madonna e il pavone al piano superiore se ne stanno quieti, con quella luce che scende dall’alto e dovrebbe portare pace anche se il cielo sembra l’Adriatico in tempesta.
Poi si vorrebbe tornare a essere quei piccoli angeli che sostengono le braccia del Cristo nella Pietà di Montefiore dell’Aso, perché c’è quella cosa che allora non capivo. Gli esseri umani e quello che fanno non dura per sempre.
Si muore ad Ascoli Piceno come a Fermo. A volte mi chiedo ancora come sia possibile. Zia Linetta, anche tu sei morta, a Capodarco, e non ricordo quando.
La nostra Maria Maddalena sale l’ultimo gradino sollevando il mantello in punta di dita. L’ampolla degli unguenti, che forse potrebbero guarire, non si aprirà. Lo sguardo resta impenetrabile anche quando la ritrovo ad Amsterdam nel 1987. Certe verità, forse, erano accessibili al bambino che non ero e non posso essere più.
Ora diciamo che resta l’arte, in fondo il miglior sostituto dell’amore.
E resta un libro, che non trovo più.
BRAMANTINO E BRUEGEL Sentire l'arte sulla propria pelle
I primi, profondi contatti con l’arte - il tatto oltre la visione di quelle pagine di cataloghi che non erano il Postal Market - li ho sentiti con forza quand’ero bambino e vivevo in quello che, a torto, è stato considerato il paese meno artistico d’Italia: la piccola, felice Repubblica Popolare di Porto Sant’Elpidio degli anni ’70. Tutto nuovo, nessuna sudditanza rispetto a chissà quale passato favoloso, caratteristica castrante - e indegna proprio del nostro migliore passato - della mia Italia.
Dopo tante fughe dalle Marche dell’interno come dalla Lombardia profonda, il cassone dove mia madre, finalmente sola e pittrice, teneva i suoi libri d’arte era nella camera dei suoi genitori, che vivevano con noi. Lì stavano i Maestri del colore con Bramantino e i Classici dell’arte con Bruegel e io li sfogliavo sedendomi protetto in quel baule. Ma esiste protezione contro le scariche elettriche della grande arte?
Naturalmente no. E io cercavo di contrastare il Trionfo della morte di Bruegel imbrattando con la biro le pagine del libro con tutta una serie di soldati stilizzati di rinforzo contro l’esercito di scheletri che sembrava aver la meglio sui poveri umani, sulla pace che la mia famiglia materna aveva da poco conquistato sul ramo paterno, violento e nostalgico.
Poi, però, veniva Bramantino, con l’Ecce Homo allucinato, la Crocifissione di Brera e Madonna col Bambino che sta all’Ambrosiana, con quel cadavere composto accanto una rana mostruosa. Commento della nonna, vecchia contadina Azione Cattolica, che forse vuole solo andare a dormire (ma non è così): “Guarda, ormai hai sette anni: i peccati cominciano a essere mortali”. Così presto? I 10+ che mi ha dato in prima elementare il maestro Angelo Tocchetti, grande maestro per sempre, contano poco perché è un comunista…
Non mi arrendo. Continuo a disegnare aiuti contro la morte anche nei dettagli del Trionfo bruegeliano. Vorrei pure cancellare tutto il contesto di Bramantino. Mia madre con dolcezza mi dice di no: la bellezza, anche se fa male, va compresa. E io, che potrò andare all’università, troverò un giorno il modo per andare oltre.
Intanto scarabocchio nuovi difensori per le fortezze di Saul nelle pagine dell’artista fiammingo e, a 17 anni, scopro l’“apocatastasi” del teologo Origene, la non-eternità dell’inferno, per risolvere a lieto fine i drammi dell’altro pittore nato a Milano.
Oggi cerco di guardare con distacco questi due antichi amori violenti, tentando ancora una volta una soluzione, senza biro, senza alcun tipo di consolazione. Restano pagine, quadri: la nostra civiltà, che è un sogno ad angolo retto.
LEONI E ALTRI UMANI Opere di Samuele Arcangioli
LEONI E ALTRI UMANI Opere di Samuele Arcangioli
Banca Generali Private Como | organizzazione Musea
A cura di Debora Ferrari e Luca Traini
Fino al 6 febbraio 2022 è visitabile l’esposizione nella sede di Via Lungo Lario Trento 9
Si apre un nuovo evento per la città di Como, firmato Musea e Banca Generali Private, in collaborazione con LarioIN.
Dal 16 dicembre fino al 6 febbraio 2022 si può visitare nella prestigiosa sede sul Lago di Como LEONI E ALTRI UMANI, un’affascinante esposizione del pittore varesino Samuele Arcangioli che ha dedicato molte delle sue opere ai grandi felini africani e ai nostri felini domestici, ai ritratti e agli omaggi dei grandi del passato, curata da Debora Ferrari e Luca Traini e con un catalogo pubblicato da TraRari TIPI edizioni in limited edition per l’occasione.
“Arte” ha la stessa radice di “artiglio” e “tecnica”- la “techne” greca - deriva da “tek”, “legno”. Questo il richiamo ancestrale dell’arte di Samuele Arcangioli quando fa emergere dalle tavole i suoi Felini - e ci si ritrova per magia immersi in quello sguardo. Perché l’essere umano ha iniziato a rappresentare anche ispirato da quei graffi sulla pietra. E l’artista, cresciuto e tornato più volte in Africa, conosce bene quel segno.
In altra parte della sua vasta produzione Arcangioli - uno dei più originali e importanti artisti che abbiamo la fortuna di avere in Italia - si è dedicato ad affrontare la contemporaneità, cimentandosi anche nella Game Art nella mostra NEOLUDICA alla Biennale di Venezia del 2011. Ma nel suo alter ego felino la creazione di Samuele è sempre preistorica. Sarà quindi un graffio elegante e gentile, ma profondo, a farci vedere il mondo con occhi diversi. Grazie a quegli occhi di gatto, leone, pantera. Alle sette vite degli occhi di un artista.
Quattro le sale allestite per oltre 40 opere su tavola realizzate dal 2005 a oggi: Ritratti, Omaggi, Rapaci, Leoni e Felini.
“Banca Generali Private - dichiara Guido Stancanelli District Manager - testimonia una volta di più la volontà unire alla consolidata esperienza nel campo degli investimenti percorsi originali e fuori dagli schemi tradizionali di fruizione dell’arte, nel segno della migliore tradizione e innovazione italiana. Due leoni s’incontrano: il marchio storico di Generali e la cifra di stile di un artista. Una simbiosi che apparenta due felini anche nel contenuto. Entrambe le immagini rappresentano infatti un animale in pace, un’anima forte ma pacifica. Nel caso di Generali il rimando del logo leonino, fin dalla sua creazione del 1861. Un marchio sottoposto a successivi aggiornamenti e restyling in diversi anniversari - 1881, 1911, 1971, 1991, fino al più recente del 2014 - e rivisitato negli anni in campo pubblicitario da diversi importanti artisti (Achille Beltrame, Marcello Dudovich, Gino Boccasile, giusto per fare qualche nome). Un leone in sintonia quindi con i Leoni di Samuele Arcangioli, anch’essi portatori pacifici e possenti di un messaggio di forza vitale”.
Le visite sono libere in settimana secondo gli orari della sede, l’artista sarà in mostra in due speciali incontri tra gennaio e febbraio, accompagnato da un reading letterario di Luca Traini aventi per tema i pittori del passato e il collezionismo contemporaneo.
Info, contatti stampa e prenotazioni: culturalbrokers@gmail.com
Obbligo di mascherina e visita secondo normative anti-covid vigenti.
Altre importanti mostre curate da Debora Ferrari e Luca Traini a cui Samuele Arcangioli ha partecipato:
Come la luce: dai Macchiaioli allo Spazialismo (2019)
https://lucatraini.blogspot.com/2019/07/come-la-luce-dai-macchiaioli-allo.html
Nel segno di Lucio Fontana (2016)
https://lucatraini.blogspot.com/p/arte.html
Neoludica _ Art is a Game (Biennale Venezia, 2011)
https://lucatraini.blogspot.com/p/neoludica-game-art-gallery.html
WATERFALL OF TIME
Una nuova mostra a cura di Debora Ferrari e Luca Traini, un nuovo catalogo TraRari TIPI, col mecenatismo di Banca Generali Private e in collaborazione coi Musei Civici di Varese, patrocinio Comune di Varese
INAUGURAZIONE domenica 11 luglio ore 11.30, con la presenza dell’artista,uno dei grandi della scultura in campo internazionale
SALA VERATTI, VARESE, DALL’11.7 ALL’1.8.2021, dal giovedì alla domenica ore 15-18.30 Ingresso libero
Yoshin Ogata nasce a Miyakonojo in Giappone nel 1948. Espone le sue prime sculture nel 1969 a Tokyo e nel 1970 si trasferisce a Londra. Quindi viaggia in Europa, poi negli Stati Uniti e in Messico, dove svolge le sue ricerche nei musei locali. Vive tra Wakayama e il Golfo dei Poeti a La Spezia ed è uno dei più rinomati scultori giapponesi. Numerosissime le sue mostre e le opere pubbliche in tutto il mondo.
Le sue sculture sono da sempre caratterizzate dall’elaborazione dell’elemento ambientale, sia nel segno che nella materia, pietra, legno, metallo, spesso sul tema dell’acqua, della goccia come impronta e soggetto.
In Sala Veratti, da luglio ad agosto, con il sostegno di Banca Generali Private insieme a la collaborazione di Liguria Vintage Design e LarioIn, sono esposte sculture, fotografie dei monumenti realizzati nel mondo e bozzetti. Catalogo Trarari TIPI in mostra. Sarà presente lo scultore Yoshin Ogata per incontrare il pubblico nella sede espositiva.
“Banca Generali è orgogliosa di sostenere la mostra di Yoshin Ogata, un artista completo, dall’animo internazionale e con una visione aperta sul mondo. La personale ospitata dal Comune di Varese è un’iniziativa importante di cui, mai come in questo momento, sentivamo il bisogno. Abbiamo patito tutti la mancanza dell’arte e della cultura vissuta dal vivo. Finalmente siamo tornati” dicono Daniela Parravano della filiale varesina BGP e Guido Stancanelli district manager di Banca Generali e presidente di LarioIn, associazione culturale che da più di un decennio opera sul territorio.
“Può stupire che uno scultore decida di incentrare il proprio lavoro nel marmo, nei graniti e travertini, nel bronzo, su ciò che per antonomasia una forma non ha se non quella di ciò che la racchiude: l’acqua -scrive Debora Ferrari. Eppure Yoshin Ogata, dalla seconda metà del secolo trascorso a oggi, dedica la sua attenzione non al suo incessante scorrere eracliteo, ma all’attimo dinamico che ce la racconta. E’ un divenire diverso quello che cogliamo nell’istantanea scolpita nei sedimenti minerali della terra, un fermo-immagine solido, compiuto, universale: la trasmutazione che avviene nella materia grazie al pensiero del suo autore”. E prosegue Luca Traini “Nel segno della pietra, che unisce simbolicamente cielo e terra (e rispettive acque). Dai vulcani del Sol Levante alle Alpi Apuane, a quei marmi di Carrara in cui ha saputo fondere il lavoro della nostra tradizione con la concezione vitalistica della natura della cosmologia nipponica, dove non esiste una netta demarcazione fra oggetti e creature viventi”.
L’esposizione in Sala Veratti ospita una ventina di sculture tra il 1970 e i nostri giorni, pannelli fotografici con le opere monumentali dello scultore nipponico, informazioni sull’artista e un percorso guidato di visita insieme all’antropologo Armando Montoya, con la direzione artistica e organizzativa di Musea TraRari TIPI, la piccola casa editrice varesina che ha curato e pubblicato anche il catalogo per questo evento internazionale.
L'ospitalità dello scultore è stata curata da Capolago Hotel, che ha anche allestito un'area dedicata nella reception.
Info: culturalbrokers@gmail.com
Fb: Trararitipi_eventi e libri intorno all’arte
Twitter @trararitipi
www.yoshinogata.com
Vedi anche
lucatraini.blogspot.com/2021/07/waterfall-of-time-yoshin-ogata.html
NICOLA PERUCCA, Città librerie e altre storie
Una nuova mostra a cura di Debora Ferrari, un nuovo catalogo TraRari TIPI
Atelier Capricorno, Cocquio Trevisago (VA), fino al 25 luglio, nell’ambito dell’evento ComicSponde
Teamwork con l’autore Domenica 25/7 ore 16
“In Città Librerie e altre storie Nicola Perucca, esprimendo anche il suo amore letterario, ci prende per mano nella sua tecnica fluida e ci trasforma nel pubblico di lettori-pellegrini-viandanti, i libri diventano architetture su cui poggiare i piedi e rampe di lancio verso infiniti sogni, ma densi di materia e di possibilità non solo creative ma tangibili. Il Cosmo dipinto è multidimensionale e percepiamo la differenza dei protagonisti umani o di carta nella loro singolarità, in un dinamismo quasi futurista del XXI secolo, ancorato alla presenza più che all’assenza evocata comunque, dove astrazione e figurazione si scambiano le parti in un gioco di vuoti e pieni, di profondità e rilievo, com’è nella vita.
‘Se il tempo deve finire, lo si può descrivere, istante per istante - pensa Palomar - e ogni istante, a descriverlo, si dilata tanto che non se ne vede più la fine. Forse è quello il suo segreto: soddisfatto d’essere, riduce il fare al minimo? Non possiamo conoscere nulla d’esterno a noi scavalcando noi stessi’.
Questo e altri misteri ci vengono offerti da Nicola Perucca”.
Debora Ferrari (tratto dal catalogo edito da TraRari TIPI)
Introduzione/Emersione
“Borges nella valigia di Cesare Cosmico, il connesso viaggiatore nell’atto di estrarre un volume dalla Biblioteca, oceanica, del Mare. L’altra Biblioteca, quella di Babele, espressa o sottintesa, affiora da acquarelli, si spande per inchiostri, si dispone in acrilici per distendersi su carte indiane o cartone telato. Architetture di libri perché il libro è architettura e pietra angolare della nostra civiltà (un grande sogno ad angolo retto).
Città Librerie dove perdersi e ritrovarsi perché metropoli unica dove misura, cifra è smarrimento e stupore, preludio alla costruzione del nostro cosmo interiore, prologo alla visione, alla realizzazione di nuovi mondi più umani, superiori al 5% di noi stessi delegato al quotidiano.
Apparire piccoli e fantasmi nell’atto di contemplare, magari persi in un vortice, che sale, è una salutare presa di coscienza. Diventiamo voce del verbo “essere” nella Città Libreria delle Luci come in quella di Levante - Nicola vive e lavora a La Spezia - nel Cuore di ogni sua Biblioteca (le stele nere e blu come lo spazio profondo), custodi del suo Nucleo sempre luminoso”.
Esce il volume di Tiziana Zanetti, studiosa di Diritto dell’Arte e di Beni Culturali con
collaborazioni editoriali prestigiose alle spalle. Un libro dove le questioni giuridiche
sono rese chiare e piacevoli da un tono narrativo puntuale, scientifico e sagace.
Una nuova
pubblicazione TraRari TIPI (la casa editrice fondata da Debora Ferrari e dal
sottoscritto), Collana Lucernaria, 124 pagine, carta Fedrigoni, brossura, 2020, €
18,00. Sui maggiori store online e nelle librerie che sostengono l’editoria
locale e artistica.
L’arte
è molto più di quel che vediamo. Oltre al
soggetto, alla tecnica, alla composizione, al colore… c’è un’altra dimensione,
a volte registrata sul retro dell’opera (più facile immaginare la questione per
un dipinto) che testimonia la sua vita, la sua provenienza ovvero le vicende
che, suo malgrado, ha vissuto. Ma il titolo vuol riferirsi anche al diritto
dell’arte e del patrimonio culturale, “materia” che viene raccontata attraverso
la vita quotidiana, nella sua normalità e nei suoi momenti eccezionali, e al rovescio,
il diritto penale, chiamato ad intervenire in caso di furto, ricettazione,
contraffazione, esportazione illecita, danneggiamento.
La
forma del nostro Paese è il risultato “stratigrafico” dei suoi beni di
interesse culturale, dei suoi paesaggi, dei loro significati e valori, degli
uomini che li hanno compresi, rinnovati (o umiliati) nel tempo, ma anche delle “regole”
che si sono dati per difenderli: una tradizione che, nell’attraversamento
dei secoli e dei luoghi, parla di bellezza, civiltà, responsabilità (ma anche
di sgomento e impotenza di fronte alla barbarie). Una memoria viva che ha
plasmato il carattere degli italiani, e prima ancora il loro sguardo, che a
volte sembra essersi abituato a tanta ricchezza da darla per scontata.
Conoscere le regole della tutela e della
valorizzazione del patrimonio culturale può servire a ridestare l’attenzione, a
non abbassare mai la guardia. La loro finalità più alta è quella di difendere,
vivificare e restituire agli individui un bene che è fonte, tra l’altro, di una
joie de vivre intensa e benefica che diventa, per il viaggiatore
forestiero attento e curioso che attraversi il nostro Paese, uno dei più cari e
introvabili souvenir d’Italie.
Si
prova a disegnare una cornice, in forma di dialogo interdisciplinare (in uno
spazio privilegiato intitolato “Specialmente”) e di esperienza del tutto
personale, nella quale collocare alcune questioni, sempre attuali perché senza
risposte ultime e definitive, che sfidano il nostro sguardo e dalle quali dipende
il nostro modo di vedere, di percepire e di rapportarci con gli altri e con le
“cose” che ci circondano.
Si arriva a stabilire che non solo l’arte è molto
più di quel che vediamo ma quel che vediamo, tanto più in un Paese come l’Italia,
dipende da quel che siamo o scegliamo di essere ogni giorno, come singoli e
come comunità. In questa scelta rientrano anche la volontà e l’impegno nel
voler conoscere non solo il diritto ma anche il rovescio (ed evidentemente non
ci si riferisce solo a quello dell’arte).
Il libro appena uscito avrebbe dovuto essere presentato in un
museo civico con un evento di musica e parole, purtroppo rinviato a causa delle restrizioni per l’emergenza sanitaria. Verrà
organizzato a breve un incontro online con l’autrice e la casa editrice per
poter tener vivo il rapporto col lettore che TraRari TIPI ha sempre
coltivato con presentazioni, mostre, concerti e simposi artistici.
Sarà comunicata la data sulla pagina
Facebook www.facebook.com/groups/trararitipi/
Tiziana
Zanetti, studiosa del diritto dell’arte e dei beni culturali, vive sul Lago
di Gavirate. Ricercatrice dell’Istituto di Antropologia per la Cultura della
Famiglia e della Persona di Milano; Responsabile scientifico di progetti di
studio e documentazione relativi ai beni culturali (immateriali specialmente);
si occupa di educazione e formazione in materia di tutela (penale) del
patrimonio storico-artistico. Ha scritto per Gazzetta Ambiente, Il
Giornale dell’Arte, Hestetika.
Curatrice e co-autrice dei volumi, editi da San Paolo, Arte e legalità. Per
un’educazione civica al patrimonio culturale, 2018; Il Bello e il
Giusto. Sulla tutela del patrimonio culturale e la sua fragilità, 2019 e L’Arte
e il Mistero. Sui beni culturali di interesse religioso 2020, scritti con
magistrati, avvocati e antropologi.
Per contatti, immagini e libro da recensire per la stampa: culturalbrokers@gmail.com
UN POMERIGGIO NELL’ARTE
Presentazione del libro al Museo Bodini di Gemonio (VA) 30 Maggio 2021
In compagnia dei capolavori di Floriano Bodini, uno dei nostri grandi scultori del ‘900, nel museo che ha voluto nella sua Gemonio (VA). In armonia con la forza, la tensione spirituale e la dimensione epica delle sue opere quanto sottolinea con lucida passione l’autrice in un testo di particolare importanza per la salvaguardia del nostro patrimonio culturale: “L’arte è molto più di quel che vediamo ma quel che vediamo, tanto più in un Paese come l’Italia, dipende da quel che siamo o scegliamo di essere ogni giorno, come singoli e come comunità”.
In contemporanea la mostra di Mino Ceretti, (inaugurata il 9 maggio e visitabile fino al 13 giugno) un altro dei protagonisti del Realismo Esistenziale, renderà ancora più pregnante il discorso su vecchi e nuovi linguaggi con cui comprendere – e quindi tutelare – l’opera d’arte. Argomento che vedrà anche i preziosi contributi del giurista e docente universitario Leonardo Salvemini e del giudice penale Annalisa Palomba.
Con le ambientazioni sonore della fisarmonica di Saro Calandi, musicista di caratura internazionale, e del didjeridoo di Stefano Ravotti, polistrumentista e musicoterapeuta, perché l’arte è tradizione e ancestrale che guarda sempre al futuro.
Domenica 30 maggio al Museo tra arte, musica e libri.
L’arte dipende da quel che siamo o che scegliamo di essere ogni giorno
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IL DIRITTO E IL ROVESCIO DELL’ARTE
Fondazione Sangregorio 18.9.2021 ore 17
Un nuovo incontro dedicato all’Arte alla FondazioneGiancarlo Sangregorio di Sesto Calende. Sabato 18 settembre il
pubblico potrà dialogare con una studiosa varesina molto particolare, l’autrice
del libro Tiziana Zanetti, gli editori Debora Ferrari e Luca
Traini e la prof.ssa Stefania Barile del Centro Internazionale
Insubrico Carlo Cattaneo e Giulio Preti
(con cui sia la scrittrice che gli editori hanno collaborato in diversi
progetti sulla cultura della legalità e sul civic engagement).
Oltre alla Fondazione dedicata al grande scultore, organizzatrice insieme a Musea TraRari TIPI,
l’evento gode del patrocinio dell’INDAC (Istituto Nazionale per il Diritto dell’Arte e dei Beni Culturali), che ha fra i suoi scopi
principali la tutela e la valorizzazione del nostro prezioso e delicato
patrimonio culturale. Un patrocinio importante, perfettamente coerente con la
prospettiva culturale e giuridica del volume e delle riflessioni che verranno
proposte durante l’incontro.
La riflessione sul patrimonio culturale deve
necessariamente tener conto anche della dimensione internazionale e di quei
traguardi fondamentali per il benessere previsti in “Agenda 2030”, come
si legge nella Premessa del volume, col contributo prezioso ed
autorevole di Leonardo Salvemini, giurista ambientale, avvocato e
docente universitario.
Il diritto e il rovescio dell'arte. Come
una premessa
di Tiziana Zanetti, studiosa di Diritto dell’Arte e del Patrimonio
culturale con collaborazioni editoriali prestigiose alle spalle. Un libro nel
quale le questioni giuridiche sono rese chiare e piacevoli da un tono narrativo
puntuale, scientifico e sagace.
GUTTUSO RITROVATO
L'esposizione è prorogata fino al 31 Gennaio
È sempre interessante ricostruire i percorsi di un’opera d’arte, soprattutto quando da una vita pubblica passa a vita privata e viceversa, perché nel suo iter ripercorriamo i gusti e i tratti del collezionismo e del mercato dell’arte, tanto quanto l’importanza culturale del significato nella società di ieri e di oggi. Debora Ferrari
Una costante dell’arte di Renato Guttuso dalla prima giovinezza agli ultimi anni è la partecipazione ai diversi aspetti della sofferenza umana e alle forme di rivolta e di solidarietà che ne conseguono. Nel contesto di una natura, continuamente indagata ed evocata in profondo, che non è mai indifferente, anzi, in profonda simbiosi col sentire dell’artista. Luca Traini
COME LA LUCE _ DAI MACCHIAIOLI ALLO SPAZIALISMO
Una nuova mostra curata da Debora Ferrari e Luca Traini, un nuovo libro TraRari TIPI
Banca Generali Private, Piazzetta San Lorenzo, Varese
FINISSAGE Conferenza Collezionismo, mecenatismo e diritto dell'arte
NEL SEGNO DI LUCIO FONTANA
Comabbio, Sala Fontana: 26.6 >31.7.2016 Opere di Crippa, disegni di Fontana, Birolli, Rogers, sculture di Melotti, fotografie di Molinari.
Albissola, MuDA e Bludiprussia 2.7 >7.8.2016 Disegni di Fontana, fotografie di Molinari e Barbieri; Bludiprussia: disegni di Fontana e opere e ceramiche degli artisti varesini, foto di Molinari.
FONTANA, MELOTTI, LEONCILLO
Fra Terra E Cielo
REFLEXions - ANDRE VILLERS
Luca Traini legge REFLEXions al Salone del Libro di Torino (2008)
LA GRANDE FOTOGRAFIA DI ROBERTO MOLINARI IN MOSTRA
Finissage Domenica 12 Agosto Ore 15 con Lettura Poetica di Luca Traini
Il servizio di Cristina Pesaro sulla mostra
artevarese.com/gli-artisti-varesini-protagonisti-nella-mostra-di-roberto-molinari
Chi visita la mostra può ripercorrere più di trent’anni di arte varesina e non solo attraverso le figure dei protagonisti.
La sua ispirazione ci ha insegnato a vedere il mondo con la sua delicatezza poetica tanto da rendere icona ogni cosa che fotografava, come il grande lavoro per Lucio Fontana nella casa di Comabbio(2016) dove ha documentato, insieme ai nipoti del grande artista, in modo essenziale e poetico i suoi strumenti, come taglierino e colori, e i suoi indumenti di lavoro nell’ambiente di design domestico.
(parete di fondo della mostra)
Per approfondimenti
lucatraini.blogspot.com/2017/04/la-photosophia-di-roberto-molinari
lucatraini.blogspot.com/2016/07/nel-segno-di-lucio-fontana
repubblica/2016/07/26/conoscere-fontana-tra-la-mostra-in-comune-e-il-buen-retiro-sul-lagoMilano
ilgiornaledellefondazioni/casa-di-lucio-fontana-quasi-cinquantanni-dopo
LA PHOTOSOPHIA DI ROBERTO MOLINARI
Un grande fotografo, anche quando ci lascia, non chiude mai gli occhi perché resteremo sempre in quello che ha aperto per restituirci il mondo.
Qui e in alto Roberto Molinari in due ritratti di Debora Ferrari
ROBERTO MOLINARI E LA SUA PHOTOSOPHIA
ARTE E TECNOLOGIA
ATELIER PELLINI: DA PIÚ DI UN SECOLO NEL CUORE DI MILANO
LA REALTA' VIRTUALE DI PIERO DI COSIMO
TOMMASO DA MODENA: MEDIOEVO IN REALTÀ AUMENTATA
E la
rivoluzione del realismo di Giotto strizzò l’occhio alle nuove tecnologie. Dei quaranta
superbi ritratti di famosi domenicani affrescati da Tommaso nel Convento di San
Nicolò a Treviso (1352) è chiaro che ne balzano agli occhi soprattutto due. Il
cardinale Nicolas Caignet di Fréauville con la lente e il suo collega Hughes di
Saint-Cher con gli occhiali: prima assoluta nel mondo dell’arte. Non che mi siano
particolarmente simpatici - preferisco Alberto Magno che ti squadra e sembra
dire: “Solo l’esperimento dà certezza” – conoscendoli so che mi avrebbero spedito
dritto al carcere a vita o sul rogo. Ma l’artista: che fine psicologia, che
nuovi stupendi strumenti! Una rivoluzione in mano a due che immaginavano di
incarnare la più pura tradizione. Che invece è sempre - e per fortuna – impura
e soggetta alle nuove riflessioni imposte proprio dai nuovi mezzi della
tecnologia. Parlando di lenti e occhiali quasi certamente qualcosa di simile
era già stato escogitato in età antica, dalle pratiche degli astronomi assiri
agli studi di ottica dei grandi scienziati ellenistici a quella specie di lente
che usava Nerone, miope non solo in politica. Ma è il tanto bistrattato
Medioevo a realizzarli in silenzio, senza inventori, devotamente (e grazie agli
studi del francescano Ruggero Bacone, con cui inquadro i tre domenicani). Occhiali
antenati della nostra realtà virtuale e aumentata, ne accennavo già nelle Connessioni Remote della prima mostra di Neoludica ad Aosta nel 2009.
Grazie a loro riusciamo a vedere e a venire in possesso di informazioni non più disponibili sia nel campo dei media (all’epoca il libro) che in quello della vita (la realtà rivisitata con occhi nuovi). Prima c’era la memoria esercitata da un feroce insegnamento di nozioni da tenere a mente o il semplice aiuto di un’altra persona che leggeva ad alta voce o indicava quanto non più visibile (e c’è da dire che l’invisibile allora era di moda). Lenti e occhiali aiutarono una nuova dimensione di visione individuale del mondo e una lettura sempre meno ad alta voce e più mentale (come la nostra: difficile immaginare oggi il vocio delle biblioteche dell’epoca o, peggio, di quelle antiche piene di retori). Aprirono la strada verso nuovi mondi prima impensabili: il macrocosmo (col telescopio) e il microcosmo (col successivo microscopio). Due realtà sempre esistite, ma penetrate in quella ritenuta quotidiana e rese visibili, accessibili, studiabili solo con questi strumenti. E la “realtà”, termine in continua - e parziale – definizione, non fu più la stessa. In tempi più recenti l’ottica applicata all’arte avrebbe portato alla camera oscura (gioia di schiere di pittori dal Barocco alla Rivoluzione Francese), alla fotografia e alle cineprese: dal gioco delle ombre a quello dell’immagine riprodotta senza pennello o scalpello, alla riproduzione del movimento (ultimo scandalo: prima della democrazia dominava l’immobilità del signore, a muoversi era il servo). Fino alle nuove realtà tecnologiche che immergono la vista in nuovi panorami e intelligenze. Perché “intelligenza” deriva da “intus legere”, leggere dentro le cose, andare oltre l’apparenza. Perché le apparenze, come le realtà, sono tentativi di sintesi di differenze.
ARCHITETTURA E LETTERATURA Palladio e Trissino
CASTELSEPRIO-SIRIA: SANTA MARIA FORIS PORTAS
CHIESA DI SANT'ANTONIO DI VARESE Falò e luce interiore
MUSEO BAROFFIO, SACRO MONTE, VARESE: ASCESI ESTETICA
SALA VERATTI: UN'ARTE PIENA DI GRAZIA
EUGENIO PELLINI, "DUE TELAMONI" (Varese, 1905)
DE CHIRICO, "I BAGNI MISTERIOSI"
(Triennale di Milano, 1973)
BERGAMO: LA MUSA INNAMORATA DI PALAZZO RONCALLI
ALI E RADICI NELL'ARTE
La Chiesa di Pecetto e i bronzi di Tavernari a Macugnaga (2017)
Vedi anche lucatraini.blogspot.com/2017/08/macugnaga-i-bronzi-di-vittorio-tavernari
IL PAESE DELLE PIETRE SOGNANTI
"dal fondolago, fino al nuovo
I RAGGI X FRA ARTE E POESIA
PRIME LASTRE Gozzano e i Futuristi
RECANATI: LORENZO LOTTO E GIACOMO LEOPARDI
CURA E MALATTIA DEL GENIO
Hypnerotomachia
Poliphili,
“Combattimento d’amore in sogno di Polifilo (Colui che ama molte cose)”. Scritto
da un principe o da un frate? Composto da un umanista innamorato di Platone e
Neoplatonici che non rinunciò al piacere in vista di un Amore più grande.
Genio
l’editore del libro: Aldo Manuzio (Anno Domini 1499).
Genio
l’artista delle 169 xilografie. Forse Andrea Mantegna. Forse un grande artista
ignoto ispirato da lui. E che ispirò Giorgione.
L’incunabolo
più raffinato nasce primogenito già perfetto, come Iliade o Divina Commedia
della tecnologia rivoluzionaria della stampa.
Avvertenza:
Polifilo cerca, crede di abbracciare in sogno, ma in realtà perde Polia (“Moltitudine”).
Parabola cristallina e complessa del Rinascimento. Presagio del peccato di
hybris che la Repubblica pagherà con la sconfitta di Agnadello dieci anni dopo
(cantata con toni più umili ma sempre sublimi dal Ruzante nel Parlamento).
Incubo,
colonna altra della partita doppia del sogno, ma nello spirito già ferito
dell’Umanesimo sempre ”Cum mensurata et digesta distantia et intervallo, cum
gratiosi spatii compositamente” (Capitolo VII).
O donne che ascoltate,
Deh végnave pietà del mio dolore!
Queste pene spietate,
Ben me le crede chi ha provato amore,
Pregàti Dio signore
Che finisca li pianti
E torni in canti
La mia malinconia.
Dàtime a piena mano e rose e zigli,
Spargeti intorno a me viole e fiori;
Ciascun che meco pianse e miei dolori,
Di mia leticia meco il frutto pigli.
Matteo Maria Boiardo
(2011)
ALESSANDRO MAGNO IN VALLE D’AOSTA
IL CASTELLO DI QUART
DEATH OF THE POSTMODERNISM: NEW LIFE FOR THE VIDEO GAME!
(2012)
Delete©, Extreme Pong (Nothing vs Perfection), 2012
Commento musicale: Heinrich Ignaz Franz von Biber, Battalia a 10 in D major
QUANDO IL GREGGE E' ARTE _ WHEN THE HERD IS ART
Arcadia & Arcade Art from "Baaa Studs", Extreme Shepherding
ZURBARÁN A FERRARA, QUEVEDO IN SOGNO
Che sì dolce ferisci
Nel centro dell'alma, ove s'interna e cela!
Or che non sei più schiva,
E che lo vuoi, finisci:5
Rompi del dolce incontro omai la tela!
Se i rapimenti mi fanno uscire di me per la gioia, la mia anima viene colta da sospensione anche per un dolore molto forte e rimango priva di sensi. (Libro delle relazioni e delle grazie, 15).
¿Qué es la vida? Un frenesí.
¿Qué es la vida? Una ilusión,
una sombra, una ficción,
y el mayor bien es pequeño;
que toda la vida es sueño,
y los sueños, sueños son.
Pedro Calderón de la Barca, La vida es sueño
lágrimas beba y cuantos suda olores lacrime beva e quanti essuda odori
corteza funeral de árbol sabeo. funebre scorza d'albero sabeo.
Alla Vergine sfugge una lacrima.
[...]
Riprese del Bear Run prima della costruzione della “Casa sulla cascata” di Wright. Commento musicale: Charles Ives, "The Unanswered Question"
"Sta in alto una casa eretta per te,
Costruita da quel possente architetto,
Adorna di gloria sontuosa
E che resiste al tempo: a questa fuggi".
[...]
[...]
A biblical relax
E' l'Autunno Caldo e questa massa informe sembra sgonfiarsi sotto i primi colpi dell'imminente crisi energetica.
Luigi Snozzi, Livio Vacchini/Antonio Rossi
Luigi Snozzi, Livio Vacchini, Casa Snider, Verscio - Antonio Rossi, Deliberazione
Aurelio Galfetti/Fabio Muggiasca
Aurelio Galfetti, Torre degli ascensori, Castelgrande, Bellinzona - Fabio Muggiasca, Orientatio
IL CASTELLO DI GRESSAN (2012)
(2011)
PINA TRAINI Solo donne - Partitura incompiuta (2011)
PINA TRAINI Solo donne - Sogno Sonno Risvegli (2011)