Tra cambiamento climatico, guerre, AI, realtà virtuale, innovazioni scientifiche e tecnologiche, nuova consapevolezza sociale, mondo della comunicazione esteso e grandi solitudini a confronto, può l’arte offrire le domande giuste per ritrovare una risposta al nostro essere umani?
Partiamo da una delle prime testimonianze di pensiero simbolico a opera dell’Homo Sapiens: le losanghe incise su ocra rossa ritrovate in una piccola grotta a Blombos, in Sudafrica, databili oltre 70.000 anni fa. Senza queste forme astratte non avremmo tutta le nostre realtà domestiche ad angolo retto (porte, finestre, schermi, libri). Come senza la rivoluzione agricola del Neolitico e la nascita di architetture più stabili di villaggi e città grazie all’invenzione del mattone (o della pietra squadrata) non avremmo avuto la cultura della stele, del tempio ad architrave, dell’affresco a parete costruita, del quadro.
Cosa ha spinto i nostri antenati a dar vita a questa forma originale di rappresentazione?
Luca Traini, storico e filosofo, ci conduce in una navigazione scritta con voce precisa e musicale, fra teatro, saggistica, narrativa, poesia, fino alla considerazione che tutto sta nella geometria della nostra civiltà, trasformatasi dal momento in cui ha inquadrato in senso letterale il suo habitat, ancora oggi in perenne divenire.
Un saggio poetico e ispirato, ricco di visioni a cavaliere del tempo dove le fotografie dello stesso autore aprono finestre inaspettate.
Come quelle che si aprono sull'esposizione TRA LE LINEE, curata da Debora Ferrari nella stessa manifestazione, e che vede fra i numerosi artisti presenti diversi già presentati da Debora e dal sottoscritto, in primo luogo Walter Tacchini, a cui abbiamo recentemente dedicato un romanzo d'arte (il secondo dopo Il Dittico di Aosta).
Segni, forme e materia nell’incontro tra arte, design e parola
Mostra collettiva a Lucca Città di Carta, 25/27 aprile 2025
A Lucca Città di Carta 2025, uno degli appuntamenti culturali più vivaci e amati del panorama italiano, arriva TRA LE LINEE, una mostra collettiva a cura di Debora Ferrari (Musea Trarari TIPI, Varese) in collaborazione con Marco Natale (Liguria Vintage), che unisce arte contemporanea, arredo d’autore e linguaggio visivo in un allestimento di grande fascino e originalità.
Il progetto espositivo prende vita in un salotto d’arte immersivo, dove opere pittoriche, sculture, installazioni e mobili dialogano tra loro, invitando il pubblico a muoversi “tra le linee” - fisiche e simboliche - che attraversano e connettono i linguaggi creativi.
Espongono:
Walter Tacchini, Rosanna Rotondi, Nicola Perucca, Fausto Bianchi, Anny Ferrario, Taddi, Gloria Giuliano, Pietro Bellani, Nes Lerpa, Paolo Megazzini e Leona K.
Artisti provenienti da percorsi differenti ma uniti da una sensibilità comune per la ricerca formale, la forza del segno e il valore narrativo della materia.
Accanto alle opere il pubblico potrà scoprire mobili d’artista e pezzi unici selezionati da Liguria Vintage, che arricchiscono lo spazio espositivo e lo trasformano in un ambiente abitato dalla creatività.
All’interno della mostra sarà presente anche una selezione dei libri pubblicati da TraRari TIPI, casa editrice indipendente con sede a Varese che unisce arte e parola in progetti editoriali originali e visionari.
Tra gli eventi in programma, segnaliamo la presentazione del libro La nostra civiltà è un sogno ad angolo retto di Luca Traini, in calendario il 25 aprile, un’opera che attraversa narrativa, teatro, poesia e riflessione filosofica, in sintonia con lo spirito trasversale del festival.
TRA LE LINEE è un invito a perdersi e ritrovarsi nei tracciati dell’arte, a leggere con gli occhi e con il cuore il paesaggio sensibile che ogni artista costruisce, tra gesto, materia e pensiero.
A quasi vent’anni dal
mio ultimo romanzo d’arte (Il Dittico di Aosta) ho avuto il grande
piacere di dedicarmi nuovamente a questa forma originale di narrazione. Questa
volta non si è trattato di scrivere di una singola, anonima opera rievocandone
il drammatico contesto di passaggio fra antichità e medioevo, ma di esporre in
modo diverso dal solito la dimensione storica dell’intero corpus di uno dei più
importanti artisti europei contemporanei.
7 vite di un
giovanissimo ottantottenne sempre impegnato a confrontarsi con qualsiasi sfida
nel campo della scultura e della pittura per orizzonti di grande respiro
costantemente attenti al sociale. 7 vite per 7 capitoli dedicati ai passaggi
fondamentali che caratterizzano il suo incessante lavoro - La Casa, Il Quadro,
La Scultura, La Maschera, La Festa, L’Uovo, Il Mobile - e costituiscono la
Prima Parte del testo, preludio all’approfondimento critico della Seconda,
stilato dalla curatrice d’arte Debora Ferrari, che svela le matrici estetiche
più recondite dell’autore. La Terza Parte presenta la corposa cronologia aggiornata
dell’artista ed è seguita da una Quarta, dedicata agli sponsor (istituzionali e
privati) che hanno creduto e credono nel formidabile impatto dell’opera del
Maestro (dal Comune di Arcola a Banca Generali Private di Como).
200 pagine e 350
fotografie (in buona parte scatti di un biografo per immagini quale Pier Luigi
Acerbi) per il primo libro - edito da TraRari TIPI, collana Monografie d’Arte -
che analizza in toto l’enorme attività di Walter Tacchini a 60 anni dalla prima
personale a Sarzana e a 50 dalla mostra al Centre Pompidou di Parigi. Perché
l’ex muratore di Arcola (SP), diventato scultore grazie ai consigli del poeta
Franco Fortini e dell’architetto Le Corbusier, sodale di Hélène de Beauvoir (sorella di Simone), negli anni ’70 e ’80 si è diviso tra Italia
e Francia, mettendo con successo in gioco la sua arte nelle banlieue d’Oltralpe
al fine di recuperare ogni genere di emarginati su invito dell’allora
Commissario alla Cultura della CEE Lionel de Roulet (testimoni i numerosi
articoli su Le Monde e Libération). E ancora oggi, da vero lavoratore a 360°
figlio del Novecento, ex docente trentennale dell’Accademia di Belle Arti di
Carrara (conquistata con enormi sacrifici), tiene in modo particolare a uno
sguardo sempre rivolto al futuro, alle nuove e nuovissime generazioni, con cui
mantiene uno stretto rapporto costruttivo in tanti, diversi progetti condivisi tanto
sociali quanto ecologici (l’ultimo solo in ordine cronologico Gabbiano
Guerriero contro l’inquinamento globale, realizzato fra Sardegna e Liguria).
L’uomo e l’artista a
tutto tondo - non a caso conterraneo dell’indimenticabile Sandro Pertini - meriterebbe
proprio, all’alba dei novant’anni, il titolo di Cavaliere del Lavoro della
Repubblica da un grande Presidente come il nostro, così attento all’impatto
sociale dell’Arte, imprescindibile Patrimonio della nostra Cultura.
Le mani dell'artista in una foto di Pier Luigi Acerbi
ARCOLA CELEBRA
WALTER TACCHINI CON IL SUO ROMANZO D’ARTE
Presentazione
della monografia in Sala Consiliare, sabato 12 aprile 2025
Sabato 12 aprile alle ore 17, presso la sede del Comune di Arcola, si terrà la
presentazione ufficiale di 7 VITE UN ARTISTA, il romanzo d’arte dedicato a
Walter Tacchini, edito da TraRari TIPI di Varese. Il libro, curato e scritto da
Debora Ferrari e Luca Traini, nasce da un lungo lavoro di ricerca e
approfondimento durato oltre un anno, in collaborazione con il fotografo Pier
Luigi Acerbi, per restituire attraverso parole e immagini la straordinaria vita
e opera dell’artista.
L’evento vedrà la partecipazione dei curatori, degli
editori, dell’artista stesso e delle autorità locali, con la sindaca Monica
Paganini attiva alla presentazione, in un dialogo aperto sul valore dell’arte
come strumento di trasformazione e memoria. “Sette vite per Walter Tacchini -
scrivono gli autori nel prologo - e non bastano. Ogni fase della sua vita
d’artista è esponenziale rispetto alla precedente. Qui cerchiamo di fare un
quadro, meglio, un polittico.
Possiamo parlare di 'magia'? Certo. E senza
timore. L’artista non ne ha, come il suo pubblico, un vero pubblico di massa
portavoce di ogni strato sociale. Magia che è forse nata quando un gatto ha
fatto cadere un quadro del padre e gli occhi di un bambino hanno imparato a
riconoscere i giochi di luce e ombra sul vetro in frantumi. Magia vera -
bianca, pulita, multicolore e combattiva - quella che nasce da un’illuminazione
tanto razionale quanto viscerale, quella di occhi bene aperti sul mondo. Mondo
di mondi ogni volta in metamorfosi, reinventati e riplasmati in dilatazioni
costruttive dallo scultore, dal pittore. Da Walter Tacchini”.
In concomitanza
con la presentazione, i visitatori avranno l’opportunità di ammirare le opere
di Tacchini esposte presso il MAP - Museo Arti e Paesaggi nella suggestiva
Torre Obertenga, accanto al luogo dell’evento. Sarà inoltre possibile scoprire insieme a quelle di Tacchini le maschere del Museo Castiglioni di Varese,
sempre visitabile, che offrono uno spaccato sull’affascinante ricerca
dell’artista tra antropologia e scultura. Un appuntamento imperdibile per chi
desidera approfondire l’universo di Walter Tacchini e il suo instancabile
contributo all’arte contemporanea.
"Arcola ha da sempre nutrito un forte legame
con l'arte e la cultura, un legame che nel tempo si è trasformato in impegno
concreto per far brillare il nostro territorio, mettendo in luce in modo
creativo le proprie peculiarità - commenta il sindaco di Arcola Monica Paganini - e abbiamo trovato nel lavoro di Walter Tacchini un'alleanza perfetta,
capace di trasformare uno spazio pubblico nel luogo dove l'arte si fonde con la
quotidianità.
Presentare il volume a lui dedicato nella nostra sala del
Castello è la chiusura simbolica di un cerchio: proprio qui Walter ha
realizzato le pitture murali che hanno arricchito l'ambiente istituzionale,
dando vita a una decorazione che non è solo estetica, ma che racconta storie di
emozioni e riflessioni. L'artista, con il suo linguaggio potente ed evocativo,
ha trasformato lo spazio in un luogo di dialogo visivo, dove ogni dettaglio
parla di un passato che si intreccia con il presente.
A questa grande opera si
è aggiunta la realizzazione di una scultura destinata al cortile dell’Istituto Secondario di Primo Grado 'Bastreri' di Arcola, un gesto che, oltre a essere un
dono tangibile, rappresenta un messaggio forte e positivo per le nuove
generazioni, invitandole a guardare l'arte come una compagna di viaggio.
A
coronare questa proficua collaborazione, abbiamo dato vita a un museo
temporaneo, il MAP (Museo Arti e Paesaggi) all’interno della Torre Pentagonale,
che ospita le maschere di Walter Tacchini accanto a quelle del Museo Castiglioni di Varese, creando un dialogo tra le culture, le tradizioni e le
innovazioni artistiche. Un progetto che ha reso tangibile la bellezza
dell'arte, mettendola a disposizione della comunità e permettendo a tutti di
entrare in contatto con la forza creativa che da sempre anima il lavoro
dell'artista".
Walter Tacchini ritratto da Roberto Battitstelli
Nato nel 1937 a Romito Magra, frazione di Arcola (SP), Walter
Tacchini è un artista unico nel suo genere. Scultore e pittore prolifico da
oltre sessant’anni, predilige legno e ceramica per realizzare opere che fondono
astrazione e figurazione in una sintesi originale. Docente per trent’anni
all’Accademia di Belle Arti di Carrara, ha esposto in Italia e all’estero,
collaborando con protagonisti come Hélène de Beauvoir, Albert Diato e Armand Gatti, con cui ha esposto al Centre Pompidou di Parigi. Artista poliedrico, ha
contribuito al cinema e al teatro con il design di costumi e maschere, sempre
in trasformazione. Impegnato nella sostenibilità ambientale e nel sociale, il
suo lavoro riflette una visione straordinaria, capace di rendere contemporaneo
l’ancestrale (stele preistoriche della sua Lunigiana in primis).
Come scritto dalla critica Debora Ferrari, nelle sue opere si
colgono “radici, tempo, luce, spazio, divino e sentimento.” Recentemente ha esposto
a Como, Varese e presso il MAP_Museo Arti e Paesaggi nella Torre Pentagonale di
Arcola, consolidando il suo percorso come maestro capace di coniugare
tradizione e innovazione.
Viva la complessità! Basta essere
chiari. Vivere in profondità con passione e studio passato e presente in vista
del futuro senza mai dare nulla per scontato e condividerlo con chiunque abbia interesse
a partecipare al patrimonio di bellezza in cui siamo immersi, che è per tutti.
Evitare la banalità non è così
difficile: importa cercare la comprensione di quanto non sembra attuale e
invece lo è. Il filo conduttore è la speranza, andare oltre gli orrori del
passato perché il futuro sia una memoria serena e partecipe: tempo di ricordare
e vivere il meglio di quello che siamo.
I tempi remano contro? Ragione in
più per continuare. Offrire orizzonti più ampi può sempre servire per
evidenziare e andare oltre piccoli spazi e paesaggi di comodo. Essere Homo
Sapiens - ma sarebbe più giusto dire Donna Sapiens, data la nostra Eva Africana
(Rita Levi Montalcini docet) - è una responsabilità che ci riguarda da decine
di migliaia di anni, perché abbiamo avuto in dono dalla natura un peculiare
tipo di autocoscienza.
Consapevoli di essere signori di
niente, possiamo diventare persone capaci di dare nuova vita a quanto sembra in
apparenza virtuale e in realtà scolpito sulla roccia, cercando di levigare
l’ennesimo specchio a cui dare luce.
Ancora una volta: arte, prosa,
poesia, teatro, storia, filosofia, musica, sport, fotografia e nuove arti.
Ripropongo i dialoghi che avevo scritto per la mostra REFLEXions dans les chambres d'André Villers, curata da Debora Ferrari e dal sottoscritto ad Aosta nel 2008 e dedicata al nostro caro amico André, fotografo personale di Picasso e di altri grandi artisti del Novecento, scomparso nel 2016 e di cui ricorrono i 95 anni dalla nascita.
Poiché avevamo dato priorità alla parte antologica, il testo non era stato inserito nella pubblicazione del nostro Album Vilers ou l'imaginaire portatif. Scritto a mano, letto durante la presentazione del catalogo al Salone del Libro di Torino dello stesso anno, si era perso nella massa cartacea del grande lavoro di preparazione.
GIORNO DI FESTA
Picasso
Oggi è un giorno di festa. Ogni opera d’arte è un giorno di festa, per i vivi, per i morti. Ci permettiamo il lusso di scordare che tutti i colori sbiadiscono.
Prévert
Come il tabacco che diventa cenere. Un’altra sigaretta, la scintilla di un nuovo amore e il fumo che non si vede nel bianco del cielo di una fotografia. Bianco e nero come i sogni più belli: non è vero, André?
Boulez
Rispondo in foto a nome del fotografo, permettendomi di scordare anche gli strumenti. Convertendo in musica la vostra conversazione nel mio “Dialogo dell’ombra doppia”, per clarinetto.
Le Corbusier
Considerando la lentezza della velocità del suono rispetto a quella della luce forse avremo tempo di progettare una nuova città ancora più umana. Se resta solo sulla carta, Picasso la abiterà con i suoi schizzi. Ogni nuvola, un verso di Prévert.
REFLEXions
Cocteau
Si discute di città e poi si finisce a parlare del proprio studio o di un qualsiasi luogo dove esporre, esporre noi, quei caleidoscopi che siamo e cerchiamo di fissare in un’immagine che però contempli tutti i suoi cambiamenti. Ecco che allora, Pablo, io vorrei una città che sia tutte le città a seconda dei punti di vista. Da sud è Parigi, da nord è Roma e così via. Ma resta la Città, una, una città mutante.
Picasso
Io, Jean, mi accontenterei anche solo di una città in mutande. Mutande semplici e bianche come quelle che porto io e non mi vergogno di mostrare, come i bambini. Quando tornerò finalmente a disegnare come un bambino… E poi lo sai bene anche tu che in questo momento ci sentiamo come loro, dentro un’opera d’arte. Sempre felici come bambini nella quadratura del cerchio dal nostro Villers.
Simone De Beauvoir
La felicità è un figlio desiderato e non imposto. È una città dove anche le donne costruiscono con gioia, mattone dopo mattone come nella “Città delle donne” di Chistine de Pizan. Per questo il vostro vicino di casa Fernand Léger dovrà dipingerle fianco a fianco dei suoi muratori. Nella mia riproduzione in foto di André, nei miei occhi leggi anche i mei libri: resteranno progetto definito e concreto di architrave dell’essere umana e donna.
Xenakis
Saffo o Anattoria per te, Simone, le donne di una Grecia libera che mi costarono letteralmente un occhio della testa. La mia musica per la metà del volto che ho perso per la Resistenza, ricostruito ad arte e fatto proprio dalla foto di André. Il fotografo ha conosciuto il sanatorio, sa bene quanto sia luminosa anche la parte lasciata in ombra. Più di qualsiasi arma che pretenda di deformarci, infinitamente più bella la realtà, l’immagine di lei, la melodia, il ritmo che siamo coscienti di amare.
TEMPI DI DANZA
César
André ci ricorda che siamo presenze che affiorano, per dire qualcosa di più oltre il moto ondoso che finirà per sommergerci. Lo sfasciacarrozze ha già composto per chi vorrà diventare direttore d’orchestra e io, che emergo grazie a uno spruzzo di acido rivelatore, ho compresso macchine, automobili come noi, perché forse anche noi siamo un assemblaggio degno di memoria.
Picasso
Ho danzato fra un’opera e l’altra anche quando crepavo di fame. Periodo rosa, periodo blu, ma ogni volta c’era quella specie di pausa musicale che è la vita. Una canottiera, un paio di calzoncini e poi l’esposizione in mostra, alla luce dove le opere parlano ormai sazie come l’autore. Quando diventi storia dell’arte e sei vivo, vuol dire che hai mangiato.
Clouzot
Una danza di 24 passi al secondo per vincere il Premio Speciale della Giuria a Cannes. Dovrà esserci una capra, che tu dipingerai e io riprenderò a colori da questa notte che sembra gravare sul set. Luce artificiale, montaggio, postproduzione. Come la vita, la vita di un genio o due quando l’attimo della creazione non ci fa più soffrire. La capra sembrerà sul punto di belare dal dipinto nel film, come il nostro dialogo muto in apparenza nella foto, in attesa del sonoro al cinema.
Ionesco
E io non smetto di saziarmi della danza dei “capelli d’angelo” che André ha rielaborato vis-à-vis in camera oscura. Tutto sembra così chiaro e invece tutto è assurdo. Assurdamente bello vivere, mangiare ed essere riprodotti su ogni foglio di carta.
La conquista del quotidiano, la più difficile per un artista. Dipingere una casa. La casa. Ma le sue linee devono compensare quelle di un cardiogramma. Tetto, pareti, finestre, contenere tutte le vertigini di quegli impulsi e non darlo troppo a vedere, sennò i vicini, il prossimo, si spaventa. Il fuoco, uscendo dal camino in forma di fumo, continuerà il suo dialogo col cielo. E sulla terra, qui, a Mougins, sarà come condividere sigarette con amici. Parlando del più e del meno che fa battere i nostri cuori.
Hans Hartung
La conquista dell’arte ogni giorno, Pablo. Specie se una patria te la marchia come “degenerata” e devi combatterla in una guerra vera, in una legione straniera, perdendo l’uso delle gambe. La meravigliosa ciclicità del vivere, allora, è questo rullo che stendo su ogni tela per incidere i miei graffi. André lo sa che io cerco di strappare in questo modo al tempo della storia i suoi perché. Non spreca inutili parole, richiede azioni precise la nostra vita, la nostra arte.
Michel Butor
Anch’io che prendo forma nella foto e scrivo non perderò tempo. Metro dei versi: 0,75 litri. La misura concordata con André per il progetto Bouteilles de Survies. Bottiglie di sopravvivenza, perché non si vive di solo pane ma anche di quelle acque intellettuali care agli antichi filosofi, meglio se vino. Bere poesia: la cerimonia giusta oggi per consacrare pensieri, parole, opere a un tempo diverso da quelle due lancette in competizione.
FORME NECESSARIE DEL SOGNO
Picasso
Evocatemi pure la metamorfosi, il sogno, il gioco e vi ringrazierò. Ma fate bene attenzione anche mentre facciamo un autoscatto io e il giovane André. Sognatori, la vostra carezza impalpabile per me è come trovarmi concretamente in Africa: comprendere la vita di ogni maschera e poi tornare in Francia a combattere ogni colonialismo, convinto dall’eredità più onesta del mio continente. Esperti dell’incubo che può diventare sogno, utopia, lotta per una realtà migliore, è dai tempi del cubismo che rimetto in discussione le vecchie prospettive. Da Guernica alla Colomba della pace, da un esilio di cui non vedrò la fine, io ricerco da sempre un punto di vista più alto certo della bellezza del mondo.
Max Ernst
Le mie mani quando accarezzano hanno unghie così lunghe che possono graffiare. Sogni o incubi, lasciano sempre un segno. Sta a noi, Pablo, a tutte le tecniche da inventare, cercare la strada per ricomporre grafie che altrimenti restano dentro come ferite aperte. Se il viaggio andrà a buon fine, la Loira disvelerà ancora una volta un bellissimo corpo di donna. Parola del mio sorriso e di questi capelli bianchi fotografati liberi e scarruffati al vento.
Hans Arp
Io accarezzo sempre le mie opere, perché hanno le forme tonde e sinuose della vita. Le scolpisco, le accarezzo e le lascio subito andare, perché la vita è inafferrabile. Ogni giorno cerco di rinnovare la mitosi di queste cellule e lascio prendere loro la forma dei miti ancestrali che sono dentro di me. Devi sentirle come ho scritto in poesia: “Lamentarsi, cantare, gemere, sospirare”. La cura che riservo a queste esistenze che vanno oltre la mia è la risposta alle forme imposte dagli orrori della storia. Il caso mi ha dato questa necessità.
Joan Mirò
“Noi ci salviamo in giochi più profondi”, Pablo: l’ha scritto Arp. E ci sono anche donne che hanno 100 teste - Max ne ha fatto un romanzo-collage. Facciamo 1+1 e prima della somma inventiamo una nuova matematica. Usciamo dalla nube degli atomi come nella mia foto in bianco e nero. I colori poi daranno un’altra presenza. Quella dei bambini che fanno un mosaico di tutti i sassi colorati di Pollicino e poi lo disfano subito per dar vita a un altro. Tu resti in Francia e io torno dove la Spagna è meno Spagna nel ’40, a costruire labirinti dove giocare con biglie sempre di nuovi colori. Mi servono 35 anni per vincere la dittatura di Franco. Poi vince anche l’arte.
TRATTI, RESPIRI E ALITI DI VENTO
Picasso
C’è un ultimo ritratto che ho lasciato alla tela un anno prima della morte. Dopo tante opere dedicate all’amore ho visto in faccia proprio lei. E forse non era qualcosa di diverso. Ogni passione ha la sua sindone. Ogni tratto dipinto, per quanto fluido, conosce il gelo quando è compiuto. È una questione di passaggio di stati. Chi vedrà il quadro, se lo ama, riattiverà la chimica dell’arte.
Fellini
André mi ha fotografato per strada, per La strada. E in ogni tratto di strada, quando sono in crisi, trovo te, Pablo, come compagno di viaggio. Eppure ci siamo visti una sola volta a Cannes, forse era il ’61. In sogni a occhi aperti non so quante altre, perché cerco di riprendere ogni scena muovendo i macchinari come un pittore cubista. Ti dedico la mostra contemporanea di artisti antichi nel mio Satyricon. Lascio agli spettatori tutte le illusioni della realtà, dello schermo. Noto che muori ma io tornerò a trovarti, in un’altra Prova d’orchestra. E questa volta non dovremo abbattere muri.
Léo Ferré
Parli del futuro in una foto, Fellini, ma io di muri ne avevo già abbattuti tanti prima che tu cominciassi a fare film. Perché le note possono abbattere ogni muro. E se ci riescono diventano canzoni. D’amore e di anarchia: quelle pareti devi averle già infrante dentro di te. Poi torna il tempo, che gioca a farci costruire, costruire anche inutili difese contro di lui. Respira, Leo, respira quest’aria di Toscana. André ha trattenuto il respiro per fare questa foto. Respira anche per lui. È come una pausa in un’altra canzone. La stessa di quando altri canteranno le tue.
Alexander Calder
Tu non sai quanto ho dovuto respirare, Leo, quando giocavo a football o a lacrosse. Amici che avete nel cuore l’Europa, ricordate uno sportivo americano che finì a Parigi per fare giocattoli e si ritrovò a doversi inventare un circo in miniatura per tirare avanti da una costa dell’Atlantico e l’altra. Arte portatile, come il mio amico Duchamp. Questione di correnti, oceaniche. Sennò perché fare il fuochista in una nave che aveva il mio stesso nome? Al largo del Guatemala ho visto nello stesso tempo il sole sorgere e la luna tramontare. E chi siamo allora per diventare artisti? Plasmiamo, attenti al ritmo, al respiro: se una cosa cade, l’altra sale. Quindi continuiamo a costruire. Statue ben piantate per terra e poi altre che si alzano in volo, mobili come rami leggeri e foglie al primo colore. Sto parlando di questo mentre mi fotografa André. E il respiro non muore se un’immagine è la sua. Tu sai che basterà un soffio o un alito di vento a far danzare ancora una volta la vita che hai scolpito.
"Luca Traini ha creato una combinazione davvero curiosa e molto suggestiva: ha messo insieme il teatro e la pittura.
Ha dato la parola ai ritratti di gente sepolta da secoli e li ha fatti dialogare con i pittori che li hanno dipinti
o con altri personaggi dei quadri usando uno stile lirico e rarefatto, delicatissimo"
Dacia Maraini, Amata scrittura, Rizzoli, Milano, 2000
Prima di lavorare come curatore d’arte ho scritto diversi drammi su artisti a me cari. Quello che propongo è stato composto nel dicembre 1989, accompagnato dalla furia degli elementi di Rebel temprata dalle armonie di Rameau, recitato a teatro l’anno successivo e trasposto in mediometraggio nel ‘96. Nel 1997, ospite del programma RAI Io scrivo, tu scrivi presentato da Dacia Maraini, ho letto parti dell’opera alternandole alla messa in onda di spezzoni del video.
La stessa Maraini ha riassunto il suo giudizio nel capitolo che mi ha dedicato in Amata scrittura, (Rizzoli, 2000): “Luca Traini ha creato una combinazione davvero curiosa e molto suggestiva: ha messo insieme il teatro e la pittura. Ha dato la parola ai ritratti di gente sepolta da secoli e li ha fatti dialogare con i pittori che li hanno dipinti o con altri personaggi dei quadri usando uno stile lirico e rarefatto, delicatissimo”.
La particolare originalità del testo consiste nel fatto che l’azione drammatica vede il protagonista dialogare post mortem direttamente con i suoi quadri (a teatro mi rivolgevo alla proiezione delle opere per intero e in dettaglio con le voci fuoriscena dei personaggi dipinti).
Il senso della rappresentazione consiste nel richiamare l’irrevocabile, tragico distacco fra la vita dell’artista e quella delle sue opere: la prima destinata alla morte, la seconda all’immortalità congelata delle persone in carne e ossa che hanno fatto da modello.
Contesto, il raffinato labirinto di maschere in cui la Francia della Régence (1715-1723) cercò nella prospettiva di Watteau (1684-1721) un’eternità tutta umana, cosciente della propria fragilità, di quel gioco di contraddizioni tanto lontano dalla precedente “gloire” del Re Sole quanto dalle future certezze dei Lumi, ma così attuale.
Il dialogo sospeso fra un pittore scomparso e le sue tele consegnate alla vita degli altri, alla Storia, è figlio dello spirito di quei tempi, ma anche di una condizione esistenziale più ampia: il rapporto fra essere umano e cose che dice sue e altri poi chiamano “arte”.
Domande senza risposte. Realtà sognanti.
Ognuno dei 16 Quadri di cui si compone l’opera viene alla luce con l’inizio di un brano musicale dell’epoca.
A nome mio e di questo gelido volto di pietra su cui poso la mano
A nome di questi occhi certo non miei ma vostri
A nome di questa lunga parrucca bionda
Voi che tanto avete amato la maschera
A nome di questi bottoni che voi
E voi soltanto
Avete impedito di pagare quale obolo a Caronte
A nome di questa tenebra che la vostra mano ha reso così dolce
A nome mio e di questa luce non più mia né vostra
Addio
Vostro Antoine Pater
Che vi destò un certo interesse a trent’anni
E di cinque vi precede nella tomba
Silenzio.
“Antoine Pater” svanisce.
Quadro 1/15
Luce. Sulla destra della scena Watteau, pallido e sudato. Veste una camicia slacciata che pende da un paio di calzoni a mezza gamba. Accanto a lui una sedia nera - o di paglia - sulla quale di tanto in tanto si riposerà.
Watteau
Io sono Jean Antoine Watteau
Morto di tubercolosi il 18 luglio 1721
Battezzato il 10 ottobre 1684
Anche se non ricordo con esattezza
Il giorno in cui sono nato
Uno degli artisti più amati del mio tempo
Ma
Con estrema fatica
E dolore
Faccio ritorno alla vita
Appare "Gilles".
Gilles
Come sei triste Gilles
Gli ultimi giorni a Parigi
Prima di fuggire
Li abbiamo passati insieme
In un buio scantinato
L’uomo a cavallo dell’asino
Niente paura creatore
Facciamo noi la guardia al suo Gilles
Watteau
Gilles mi sei venuto alla luce
Che quasi ero cieco
L’uomo vestito di rosso
Strana bestia l’asino
Occhi nobili di pietà
Intelligenti
La donna
Povera piccola bestia
Non scalciarmi
Non scalciarmi
Watteau
Guarda l’uomo col cappello a cresta che ho dipinto dietro di te