venerdì 17 maggio 2024

FABBRICHE DI SOGNI Il mio intervento al Festival della Meraviglia

 

Il nostro aprirci sul mondo con le nuove tecnologie è sempre più a tempo (una constatazione, non una sentenza senza appello): cronografie in progressiva accelerazione da riportare sullo schermo di un iPhone, di un PC e, in ultima analisi, su una antica tabula cerata o una vecchia lavagna - gli antenati del tablet - dove scienza, filosofia e arte devono avere senza sosta a portata di mano un cancellino per prevedere a priori o comprendere a posteriori un’incalzante abitudine alla “meraviglia” che rischia di sminuire la formidabile portata di questo termine.

Questo in sintesi il contenuto dell’intervento che proporrò - in dialogo con Giulio Rossini, critico cinematografico e fondatore di Filmstudio 90 -  sabato 18 maggio alle 15.30 nell’ambito del Festival della Meraviglia a Laveno-Mombello (di cui ho già scritto a proposito della Società Ceramica Italiana e del MIDeC), durante l’incontro Fabbriche dei sogni presso Villa De Angeli Frua, sede del Municipio.


Infatti sulle sponde del Lago Maggiore nel weekend lungo del 17-18-19 maggio (ma mostre ed eventi proseguiranno fino al 2 giugno) si terrà la seconda edizione del Festival della Meraviglia. Un Festival che ha come fil rouge il “Dialogo” come mezzo per riflettere sul tema della Meraviglia. Nel corso dei tre giorni infatti, tanti professionisti noti ed emergenti si confronteranno “a-tu-per-tu” col pubblico, in un dialogo aperto, spontaneo e interdisciplinare, tra ecologia, imprenditoria, filosofia, scienza ed arte. “Perché la Meraviglia, lo stupore sia per il 'bello' che per il 'brutto', è alla base di una riflessione su come vogliamo vivere in questo mondo: sia tra di noi, sia insieme a tutti gli altri abitanti del pianeta, viventi e non viventi” sostiene Frank Raes, presidente dell'associazione Casanova che ha ideato il Festival e fondatore del Museum of Anthropocene Technology.


La sede del Museo (fotografia di Debora Ferrari)

Alla meraviglia collegata alle nuove tecnologie avevo già dedicato buona parte del mio intervento Un problema di connessioni alla IULM di Milano del 2 ottobre del 2009, che ripropongo in quanto le sue tesi sono state riprese e approfondite - insieme a numerosi altri saggi, testi teatrali, poesie e racconti - nel mio libro La nostra civiltà è un sogno ad angolo retto di prossima pubblicazione per TraRari TIPI:

Il cammino scolpito più di 3.000.000 di anni fa nel deserto di Laetoli, in Tanzania (memoria di interazione fra viaggio di Australopithecus Afarensis, terra riarsa, cenere vulcanica e pioggia) porta fino in Patagonia, alle mani dipinte con lo sputo nella Cueva del las Manos durante l'ultima glaciazione. Il chopper dell'Homo Habilis prima di diventare mouse deve far premere le cinque dita contro una parete perché lì, dietro quella specie di schermo, c'è la presa di corrente della realtà: ciò che siamo soliti chiamare "meraviglia".

Ogni nuova interazione con la realtà suscita meraviglia. È la ricerca del contatto con realtà sempre nuove e perciò meravigliose che spinge a "navigare" con nuovi meravigliosi strumenti - il PC è solo l'ultimo della serie - per cercare di riprodurre su uno schermo (vuoi la pietra della Cueva, la Stele di Rosetta, un codice amanuense o le tv a polittico di Nam June Paik, i desktop), su uno specchio simbolico in termini di cifre, parole, immagini, l'interfaccia in continua metamorfosi del nostro mondo.


Il 25 maggio, inoltre, ci sarà una presentazione particolare: Atlante delle architetture e dei paesaggi in provincia di Varese dal 1945 a oggi, Silvana Editoriale, a cura di Luciano Crespi, con passeggiata a Laveno insieme ad alcuni architetti per leggere le opere edificate nella cittadina lacustre. Un libro con 200 luoghi censiti e capitoli dedicati alle grandi firme che esce dagli stereotipi dei manuali di architettura per entrare, sempre con grande scientificità, nell’ambito della valorizzazione territoriale, perché anche capire dove abitiamo può a volte meravigliarci. I luoghi dell’arte e della cultura e le schede relative sono stati curati da Debora Ferrari, con cui organizzo mostre di arte contemporanea e dirigo NEOLUDICA Game Art Gallery dal 2008. Il mio nome figura nel testo fra i ringraziamenti per alcuni particolari apporti.

Il meraviglioso è sempre bello, anzi, solo il meraviglioso è bello scriveva André Breton.

Lo riscopriremo nel meraviglioso contesto letterale e naturale del Lago Maggiore.

Luca Traini

domenica 28 aprile 2024

LUCA TRAINI BLOGSPOT: 2.450.000 VISUALIZZAZIONI E OLTRE

Raggiungere una simile audience è un’occasione importante anche per rivisitare il mio curriculum vitae e riscoprire momenti che stavo per dimenticare, perché, ufficialmente, è dal lontano 1986 che ho fatto dell’arte, in tutte le sue declinazioni, la ragione della mia vita. Originario di una regione, cresciuto in un’altra e poi vissuto in un’altra ancora non ho mai sentito di appartenere a un posto più di un altro. Tanto legato alla mia Italia quanto poco italiano nelle scelte che mi hanno ispirato. Europeo e contento di esserlo come dell’eredità classica greco-latina approfondita con rigore e passione ma cosciente delle terribili ombre che ancora gravano sull’essere “occidentale”, che, proprio per amore e studio, cerco di evidenziare in ragione del futuro. Poesia ,prosa, teatro (ho recuperato il mio dramma su Watteau, parte del romanzo teatrale su Villon e sto ancora ripescando i frammenti dei miei Teatri di guerra come reazione ai recenti orrori) e curatela d’arte sono sempre stati rivolti in primo luogo ai giovani.



Non si spiegherebbe altrimenti perché passare dalle mostre dedicate al fotografo personale di Picasso André Villers



ANDRÉ VILLERS: PICASSO E GLI ALTRI Dialoghi in bianco e nero 1

ANDRÉ VILLERS: PICASSO E GLI ALTRI Dialoghi in bianco e nero 2

all’arte dei videogame portata alla Biennale di Venezia con NEOLUDICA.


Ma i presupposti erano già nel mio romanzo d’arte Il Dittico di Aosta, dove rievocavo i videogiochi poetici del IV secolo di Optaziano Porfirio.


La questione sta tutta nel prendere coscienza a 360° di passato e presente senza timori reverenziali perché la lezione della storia dell’arte che prediligo è quella del continuo stimolo a pensare, immaginare e realizzare liberamente, con la propria testa, cosa ancor più difficile oggi, travolti da una temperie confusa di sollecitazioni e dati.

Il contemporaneo non ha bisogno di parole d’ordine, sempre superficiali, ma di suggerimenti per un ordine creativo possibile da mettere ogni volta in discussione.

Connessioni remote: una nuova filosofia aumentata per l'arte

È una scommessa formidabile quella di mettere in connessione senza remore passato e presente in vista di un futuro migliore: io ci credo - e continuo a crederci - da quando divenni vicepresidente di un importante spazio culturale ad appena 20 anni.

La morte dell’arte, pianto di coccodrillo dei mediocri ,non avrà mai il sigillo di nessuna anagrafe o censimento (parola di chi ci ha lavorato prima d’insegnare storia e filosofia).

Un grazie di cuore ai miei lettori.

L’aggiornamento continua

Luca Traini

https://lucatraini.blogspot.com/p/chi-sono.html


domenica 21 aprile 2024

TEATRI DI GUERRA Il dramma della scrittura

Frammenti ritrovati dal 1999 a oggi

Prologo: Protagora e Socrate




Ambivio Turpione: commedie?



Filosofia in guerra: Colpa e necessità (Plotino)



Rosvita di Gandersheim: avanguardia in clausura



Albertino Mussato e Dante Alighieri: teatro horror per virtù civiche

https://lucatraini.blogspot.com/2020/06/teatri-di-guerra-4-albertino-mussato-e.html


Poliziano e Botticelli: componimento di Orfeo, crepuscolo dell'Umanesimo



Agrippa d’Aubigné, Brantôme, Isaac Casaubon, Enrico IV, Jean de Sponde
Frammenti di dialogo



La "Gloriosa restaurazione" del teatro inglese
Aphra, Etherege e Rochester: sipario aperto, sipario chiuso


Pietro Metastasio: Arcadia al potere

https://lucatraini.blogspot.com/2020/10/teatri-di-guerra-6-pietro-metastasio.html


Georg Büchner: teatro di scienza della rivoluzione



Il dramma del Futurismo italiano



Erwin Piscator a New York: teatro epico in tempo di pace



Chruščëv e il Concerto per pianoforte n.2 di Šostakovič

https://lucatraini.blogspot.com/2022/07/teatri-di-guerra-10-chruscev-e sostakovic .html


Luca Traini

venerdì 12 aprile 2024

MEMORIA VITA STORIA Tre dimensioni al femminile per sei scrittrici

 

Per salvare questa esigenza fondamentale dell’essere umano, a cui mito e filosofia dell’antica Grecia avevano messo a guardia ben 2 divinità (Mnemosyne e Mneme), occorre in primo luogo sconfiggere quello che la nostra preziosissima Liliana Segre ha definito “il mare nero dell’indifferenza”, l’inquinamento della dimensione vitale della Storia.

Quindi è necessario rielaborare le proprie storie famigliari alla luce di eventi più grandi. Abitudini consolidate, anche eleganti, forse comprensibili, mai giustificate nel loro egoismo, da rimettere in discussione con coraggio nonostante e per l’affetto verso chi ci è caro. È il senso del Premio Strega ’76 Le quattro ragazze Wieselberger di una nostra grande scrittrice - e partigiana - da riscoprire: Fausta Cialente.

Infine, indagarsi a fondo con stile senza scusanti ma sempre con partecipazione assoluta al destino degli altri, che è sempre anche il nostro. Come ha fatto Annie Ernaux ne Gli anni, uno dei libri più belli che abbia mai letto: lo scandaglio abissale del passato di Proust più la vertigine dietro ogni attimo presente di Virginia Woolf.

Il respiro è concesso alla fine.

[…]


Karola Bloch è più conosciuta come la moglie del filosofo Ernst Bloch (cui devo molto),ma è stata un architetto ben capace di vivere di vita propria. La sua ironia, il suo sorriso è una luce in grado di descrivere con chiarezza le tragedie del Novecento cercando ogni volta di superarle(l’antisemitismo russo e polacco, il nazismo, il maccartismo, lo stalinismo): è lei il vero Principio Speranza di cui ha scritto il marito.
Il capolavoro di Olive Schreiner è invece del 1883 ma poteva essere scritto un secolo dopo tanto è stato il coraggio di questa femminista antirazzista sudafricana. Apre la strada che porterà a Doris Lessing e Nadine Gordimer.
Sally Morgan infine ci coinvolge nella scoperta - prima traumatica e poi esaltante - delle proprie origini aborigene.
E il libro viene pubblicato nel 1987 non un secolo prima.

[...]


Il testo completo in

lunedì 8 aprile 2024

CARAVAGGIO A LUCI SPENTE

 Commento musicale Joep Franssens, Echo's

Ho ritrovato Caravaggio senza accendere la luce.

La vocazione, la scrittura, il dramma avvolti ancora nel fumo dei ceri appena spenti.

Nel buio tre versi, di un altro Michelangelo:

“O notte, o dolce tempo, benché nero,

Con pace ogn’opra sempr’al fin assalta;

Ben vede e ben intende chi t’esalta”.

Eppure basterebbe una moneta per accendere i riflettori sui quadri di Michelangelo Merisi, luce fissa come il sole invece delle candele che tremavano quand’era vivo, quando la luce strappata alle tenebre vibrava nei quadri al ritmo degli stoppini accesi, del fumo sinuoso, in balia di ogni respiro.

Invece il buio. La cecità di chi obbligò quelle opere a essere deposte in spazi così infelici. La museruola agli occhi della Controriforma, il rifiuto della prima versione di Matteo e l’angelo. Di Matteo non più arcigno esattore ma non ancora santo, bravo a fare i conti ma impacciato nello scrivere l’addizione più  complessa: un dio che si fa uomo e muore sulla croce degli schiavi. L’angelo che guida della mano, quell’angelo così giovane, è una soluzione. E allo stesso tempo un problema.

Semioscurità. Come la foto che resta del primo quadro, bianco e nero. Incendi. Nel cuore del pubblicano che diventa apostolo. Negli occhi del pittore, perché la forma emerge da un fondo atro. E l’incendio che rifiuta ogni metafora, quello che brucia trama e tela in una torre di cemento a Berlino (A.D. 1945).

Il Matteo che oggi sopravvive meglio all’ombra non ha più angeli al suo fianco, ma una creatura celeste che pende sulla sua intelligenza avvolta in un lenzuolo dal cerchio perfetto. Mente dell’uomo non più assopita, messaggero di Dio che trascende ogni gerarchia di sintassi per computare all’evangelista un miracolo politico: i gradi di parentela di Gesù col re Davide.

Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi, Cappella del cardinale Mathieu Cointrel, dove un verso di Jean de Sponde sta ai tre quadri di Caravaggio:

“E m’inabissa, mi scuote e m’incanta”.

Matteo che senza l’indice di Cristo a spalancare un vortice di luce viva resterebbe nella penombra di una finestra dai vetri opachi.

[...]

Continua in

https://lucatraini.blogspot.com/2022/

L'Atto Unico "Morte di Caravaggio" in

https://lucatraini.blogspot.com/2014/11/caravaggio.html

domenica 31 marzo 2024

LODOVICO POGLIAGHI (1857-1950) E LE SUE ANTICHE CREATURE

Commento musicale  G. Martucci, Notturno (dir. Arturo Toscanini, 1938)
 

Casa Museo Lodovico Pogliaghi in cima al Sacro Monte di Varese, patrimonio dell’UNESCO: la dolcezza del tramonto lombardo fa quasi dimenticare il freddo che scende su questi ariosi contrafforti della Controriforma.

Doveva finire qui lo scultore della porta maggiore del Duomo di Milano, concepita durante le aperture di Leone XIII e collocata in piena chiusura antimodernista sotto Pio X. Nella sua giovinezza, lontano ricordo, i primi importanti lavori portati a compimento proprio nel Comasco. In qualità di pittore e nel segno della Vergine per la chiesa parrocchiale di Solzago (1878) e per quella di San Donnino a Como (1885). Sulle orme dell’amato Benvenuto Cellini  il crocefisso e i candelabri per il Duomo del capoluogo (1886).

La villa, cioè il museo (cosa che era già in vita l’artista), è un coacervo di stili che riassumono il lato ombroso della Belle Époque. Qui abitava un sognatore raccolto in contemplazione sincretica, ma ordinata. Una tradizione figurativa sentita ancora come viva quando già morta e sepolta. E riportata in vita con quella specie di spiritismo scientifico tipico dell’epoca.

Teurgia di bronzo la porta del Duomo, di cui resta la monumentale anima di gesso nella parete di fondo del grande salone-studio.

Prima: una finestra di alabastro. Perché qui, tranne qualche apertura su panorami struggenti, lo sguardo è introverso: il passato ha fatto sua questa casa, che non era né sarà mai contemporanea.

Sarcofagi egizi, vasi cinesi, greci, statue romane, frammenti, suture di un sogno.

Due tele del Magnasco da intravedere alla luce tremante delle candele, alcuni caravaggeschi. E tappeti, tappeti enormi, come puzzle intessuti del Grande Gioco euroasiatico.

Una testa di Dioniso e una di Mercurio reinnestate su copie romane acefale di originali greci.

Tutto l’insieme è di un’armonia commovente: la spinta al grandioso, esausta, si raccoglie in un intimo definitivo silenzio.

“Illuminato, immemore e fiorito come un quieto camposanto. Il tempo non s’era limitato a disfare antiche creature: vi aveva reso possibili, vi aveva creato raggruppamenti nuovi.” (Marcel Proust, Il tempo ritrovato).

[…]

Testo integrale in

Con aggiunte in

venerdì 29 marzo 2024

LE “MEMORIE” DI PHILIPPE DE COMMYNES Ricordi, dubbi, rimpianti

"Una grandissima efficacia di rappresentazione.
Personaggi e paesi sono colti sul vivo o con pochi tratti essenziali e
caratteristici che li rendono indimenticabili. Par di vedere sul volto,
solitamente grave del nostro autore, un finissimo sorriso che è già
un po' quello dello humour. Come Erasmo, Commynes conosce gli
uomini e compatisce le loro follie con discrezione e indulgenza"
Maria Clotilde Daviso di Charvensod

 
Ricordi, dubbi, rimpianti
Commento musicale Antoine BrumelSicut lilium

La Storia si fa coi “se” e i “ma” se sono i protagonisti a farla. E Philippe de Commynes lo fu ai più alti livelli, ministro e consigliere privato di sovrani in due grandi corti della seconda metà del XV secolo, prima in Borgogna e poi in Francia, dove si decidevano i destini dell’Europa nell“autunno del medioevo” (secondo la felice definizione di Huizinga). I suoi ricordi, i suoi dubbi, i rimpianti nei suoi Mémoires: seCarlo il Temerario non si fosse ostinato contro gli Svizzeri, se Luigi XI non si fosse accanito contro Maria di Borgogna, se Carlo VIII non avesse sperperato una fortuna per la sua calata in Italia…
Tutti quei soldi, tutti quei morti.
E forse non li avrebbe scritti se non invitato da Angelo Catone, arcivescovo di Vienne, cui dedicò l'opera. Il vescovo era un umanista, lui no, il passato lo aveva rispolverato dopo essere caduto per la prima volta in disgrazia, nel 1489, ma era il presente che aveva contribuito a costruire che avrebbe raccontato nel suo francese non troppo curato ma vivo, come bozza per una possibile messa in scena di altri, magari in latino, ma cosciente che dietro quella finzione ci sarebbero state le sue quinte, dove la storia che pulsa è fatta anche di giri di parole, di ripetizioni, di smemoratezze volute o impreviste. Non c’è traccia di idealizzazione nel racconto di questo uomo, di questo ministro e diplomatico razionale che ci ricorda il Guicciardini, pragmatico e costruttivo, che volle raccontare soprattutto quanto aveva vissuto in prima persona: il lento lavoro che prelude alle decisioni ponderate come ai compromessi e le improvvise accelerazioni imposte dagli eventi (dalle soluzioni geniali o da apparente follia).


Sconvolgimenti epocali

Sotto gli occhi vigili, prudenti e spesso spaventati di un memorialista che non si fa pudore di ammettere la paura come uno dei fattori determinanti dell’azione politica, nella fattispecie militare, viene passata in rassegna, senza ombra di retorica, un’età feroce e spregiudicata caratterizzata da mutamenti imprevisti, sconvolgimenti epocali. Nelle sue pagine non troviamo ancora descritti quegli elementi strutturali economici, politici e sociali, cardine del mutamento storico, fatti propri dalla nostra storiografia nell’ultimo secolo. Duchi e re sembrano ancora decidere i destini dei propri popoli e le memorie di un ministro avrebbero dovuto educarli alla giusta misura delle proprie azioni.
Ecco, in questo Commynes è in un certo senso anche umanista, quando rispolvera il suo Tito Livio di base, così diverso da quello del Machiavelli, e il punto di vista vincente di un imperatore elogiato per la sua tradizionale “misura” come Ottaviano Augusto. E visto che si parla di Machiavelli c’è da chiedersi come mai la teorizzazione del memorialista francese sia così scarsa a confronto di quanto espresso dallo scrittore de Il principe. La risposta, in sintesi, è semplice: le teorie rivoluzionarie, di norma, nascono dalle sconfitte mentre la prassi del regno francese era stata vincente, per meriti come per fortunate circostanze. Squadra che vince non si cambia e Commynes aveva assistito, dopo il disfacimento della potenza inglese sconvolta dalla Guerra delle Due Rose (1455), al tracollo improvviso e imprevisto del Ducato di Borgogna (1477), che sembrava destinato a sostituire come superpotenza continentale sia la Francia, reduce dagli incubi della prima metà del ‘400, che il Sacro Romano Impero germanico (in crisi da secoli). Il suo Dio, che ogni tanto compare fra le righe senza miracoli ma armato di legge implacabile (e imprevedibile), sembrava proprio parlare francese. Il rischio paventato, quella superbia che aveva travolto Inghilterra e Borgogna.


Gabbie di ferro e cannoni

Un “peccato” compiuto da Carlo VIII nella sua impresa italiana, che vide Commynes, consigliere poco ascoltato, decisamente contrario al tentativo di riconquista francese del Regno di Napoli. Lo storico conosceva bene la nostra penisola, era stato in missione a Firenze nel 1478, dove aveva avuto occasione di conoscere e stimare Lorenzo de’ Medici: sapeva quale razza di pericoloso intrico si nascondesse dietro il fragile equilibrio sorto dalla Pace di Lodi. D’altro canto qualche “peccato” l’aveva compiuto pure lui, tramando contro il giovane Carlo VIII  e finendo rinchiuso otto mesi, nel 1487, in una gabbia di ferro nel titanico castello di Loches (vi finirà prigioniero i suoi giorni anche Ludovico il Moro nel 1508, non in gabbia ma nel torrione), con tanto di confisca di un quarto dei beni. Riabilitato, viene spedito come ambasciatore a Venezia nel biennio 1494/95 per assicurasi la neutralità della Serenissima: "Io tardai qualche giorno a partire perché il re ebbe il vaiolo e fu per morire; gli venne la febbre, ma non durò che sei o sette giorni... Lasciai il re ad Asti e credevo fermamente che non sarebbe andato più oltre. In sei giorni giunsi a Venezia con muli e carri, poiché la strada era la più bella del mondo." (Mémoires VII, 7). Da questo punto di vista privilegiato analizzerà il formidabile - e inaspettato - successo della discesa in Italia delle truppe francesi: "Dappertutto in Italia non avrebbero avuto altro desiderio che ribellarsi, se le cose del re fossero state condotte bene, con ordine e senza ruberie." (Mémoires VII, 8). E Venezia resterà nel suo cuore per la bellezza e il sistema di governo, una repubblica aristocratica che, insieme al parlamento inglese, darà le ali al suo sogno, mai realizzato, di una monarchia affiancata da un forte potere assembleare della nobiltà. La borghesia e, tanto meno, il popolo minuto non rientravano nei disegni di questo signorotto di provincia assurto ai più alti onori, non è possibile chiedergli tanto. In compenso la sua descrizione di Venezia ispirerà molto l’immaginario francese fino a Proust e ad Assassin’s Creed II.
[...]

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