BLACK MOZART Musica, scherma e rivoluzione del Cavaliere di Saint-George LILI BOULANGER, JEHAN
ALAIN Musica Sospesa GUILLAUME DE MACHAUT "Amours me fait desirer" CURA E MALATTIA DEL GENIO La musica di Hugo van der Goes JOSQUIN DESPREZ E RAFFAELLO Santa Cecilia e L'homme armé VINCENZO
E GALILEO GALILEI Musica antica e nuova per sfere celesti
IO E MONTEVERDI 380 anni dalla sua morte? SAN
GIOVANNI IN BRAGORA La chiesa in cui fu battezzato Vivaldi JEAN-PHILIPPE RAMEAU Finesse de la géométrie de l'esprit PIETRO METASTASIO Arcadia al potere
MOZART, METASTASIO, MESMER Il sogno di Scipione
WOMEN WANT MOZART Due lettere dal Club delle Dame di Parigi
MUSICA,
CINEMA E MUSICISTI A CONFRONTO Händel_Domenico Scarlatti, Charlie Parker_Buster Smith, Jimi Hendrix_Eric Clapton
"PAST THE OUTSKIRTS OF INFINITY" Jimi Hendrix LA DISCOTECA FANTASMA IL ROCK FRA GERIATRIA E IMMORTALITA’ Un parallelo col teatro greco SANREMO: NIENTE MUSICA MAESTRO! Recital di Luca Traini su RAI Radio 3
BLACK MOZART Musica, scherma e rivoluzione del Cavaliere di Saint-George
Il successo di un film come 12 anni schiavo mi ha ispirato il ricordo di un grande amore musicale: Joseph Bologne Chevalier de Saint-George. Nato schiavo dalla senegalese Nanon e, probabilmente, da George (o Guillaume-Pierre) de Bologne, proprietario della piantagione di Baillif, avviato agli studi dal padre prima nella natia Guadalupa e quindi a Parigi, quest’uomo eccezionale avrebbe raggiunto l’eccellenza tanto nel violino che nella scherma (elegante e concreto modo per farsi rispettare, in tutti i campi). Di lui avrebbe scritto il futuro presidente degli Stati Uniti John Adams: “Quell’Americano è l’uomo più istruito in Europa in equitazione, corsa, tiro, scherma, danza e musica”.
Brevetto d'ami del Chevalier de Saint-George
("l'homme le plus prodigieux qu'on ait vu dans les armes", parola del maestro d'armi Antoine Texier La Boëssière)
Il “Mozart nero” (ma il nostro Joseph precede il compositore austriaco di almeno 11 anni e ha certamente influenzato la sua produzione per violino) sarebbe stato inoltre proposto come direttore dell’Opéra Royal nel 1776, incontrando però l’invidia, il razzismo e la decisiva opposizione dei suoi colleghi.
Appassionato non solo nel ritmo sempre coinvolgente delle sue musiche, ma anche nella difesa della libertà, avrebbe guidato la “Légion franche des Américains” durante la Rivoluzione Francese sostenendo anche la lotta dell’eroico Toussaint Louverture ad Haiti.
Nous n’appartenons à personne sinon au
point d’or de cette lampe inconnue de nous, inaccessible à nous qui tient éveillés le courage et le silence.
Non apparteniamo a nessuno, se non al lampo
di quella lampada ignota, inaccessibile,
che tiene svegli il nostro coraggio e il silenzio.
René Char, Feuillets
d’Hypnos (trad. Vittorio
Sereni)
Ci
sono state sere in cui mi hanno detto di non essere triste, loro che già in
vita passarono lievi senza piegare uno stelo d’erba. Se mi chiedi il nome di
due angeli rispondo: Lili e Jean. Lei le ali spezzate quando aveva solo 24 anni
e la Grande Guerra era lì per finire. Lui in combattimento, all’inizio della
Seconda, 29.
Due
lampi della lampada ignota di Char. Lili Boulanger: Di un mattino diprimavera o Di una sera triste.
E il silenzio che si fa musica nel Giardino sospeso di Alain. Ascolta
bene quando la luce apre gli occhi o diventa uno sguardo sottile.
Pochi
hanno amato lo spirito della vita come Lili Boulanger e lo stesso numero il
sogno dell’anima di Jehan Alain. Respirano attraverso gli spazi vuoti di cinque
lunghe – ora impalpabili – ferite.
Un amore
sbocciato in piena adolescenza, frutto della passione per le miniature
medievali, specie quelle della Bible de
Sens nella bibbia presa in offerta da mia madre
e
dalla lettura di Uno specchio lontano
della Tuchman.
Ma
questo la professoressa di francese della mia IV ginnasio (1980) non poteva ancora
saperlo:
“Non
è che ci siamo proprio in grammatica. Vediamo la parte culturale: parlami della
tua ricerca… Ah, vedo che hai portato la musica”…
La
musica per il primo poeta, che pur essendo soprattutto un grande musicista, l’abbandonò
per scrivere poesie da leggere e basta.
Un
tradimento. Ma anche il mio amore per Guillaume nacque tanto sincero quanto
mercenario.
Ero
entrato in un negozio di dischi che non esiste più e, abbagliato dalla
copertina, avevo fatto mie le sue Chansons
curate da Thomas Binkley, meravigliosamente in offerta come la bibbia di cui
sopra (qualcosa come 3.000 lire, 1,5 euro di oggi).
Eccomi
in quel mondo senza mezze misure, splendido e orribile. Nel suo splendore quest’uomo,
che immaginavo alto, biondo e triste. E le donne che ne possedevano l’anima,
come miraggi di un assetato. Miraggio della Fontana della Giovinezza che
allora, come oggi, credevo eterna.
Maestro della Bibbia di Jean de Sy, Guillaume de Machaut incontra Natura con le figlie Senso, Retorica e Musica (1377)
Qualche
dubbio mi venne con la Messe de Notre
Dame, in musicassetta, riproduzione di registrazione remota che si apriva
come una ferita nel Kyrie per immergersi progressivamente in un sublime fondale
d’oro, come l’Annunciazione di Simone
Martini.
“Luca,
torna sulla terra! Dove sei con la testa?”
E’
la prof.
“E’
Guillaume de Machaut”…
9
in cultura, 5 in grammatica. 14:2= 7.
E
scrive sul registro questa suddivisione ottimista, come un rapporto musicale
astratto pitagorico-platonico: Ars
Antiqua.
Mi
consolo con la filosofia che poteva andar peggio e, se anche ho sfruttato l’Ars Nova di Machaut per salvarmi in
francese, ho pur sempre al mio fianco il suo teorico, Johannes de Muris, e la Metafisica di Aristotele: “E’ chiaro che
l’esperienza relativa alle cose sensibili crea l’arte”.
Faccio
ritorno al banco e poi a casa.
E mi consolo come il compositore spossato: Le Lay de la Fonteinne.
CURA E MALATTIA DEL GENIO La musica di Hugo van der Goes
Hugo van der Goes, Edward Boncle in adorazione della Trinità (part.), 1480 c.a
Parlerò di come ho immaginato la
musica di un pittore che amo, curato col canto da quanto agli altri parve follia.
Ho sempre sfogliato con tenerezza
il volume dei Maestri del Colore dedicato ad Hugo van der Goes, perché la biografia in bianco e nero riportava
solo qualche notizia strappata al silenzio prima dei suoi accessi di malinconia
feroce. Restava segnata qualche traccia del successo di un artista inquieto -
dovevi investire nel tessile, fiammingo, e sei rimasto prigioniero della trama
di una tela: non avevi neanche trent’anni e, nel 1468, figuravi già tra i
migliori salari per le decorazioni delle nozze fra Carlo il Temerario e
Margherita di York. Decano della gilda dei pittori di Gent nel 1474, confermato
nell’incarico fino al 15 agosto del 1476, ma, già nell’autunno del ’75, frate
converso nel convento degli agostiniani presso Bruxelles: lo studio innamorato
del nudo de "Il peccato originale" diventava la slavina umana alle falde
della montagna nuda de "Il compianto di Cristo". I profeti aprono lo
scenario della sacra rappresentazione dell’"Adorazione dei pastori" e poi quella profusione di ori
nell’"Adorazione dei Magi", figlia delle ricchezze – e dell’arte – dei mercanti
fiorentini. Il priore del convento, padre Thomas, chiude un occhio ma tu sei
ossessionato dall’Antico Testamento, dal Vitello d’oro cui hanno consacrato la
loro vita gli agenti commerciali dei Medici, come Tommaso Portinari.
E il
"Trittico Portinari" è il tuo capolavoro e, contraddizione dell’Arte che
pretende la consunzione, forse lo termini in convento. Ora è il momento della
musica: Gilles Binchois, "Amoreux suy" per il ritratto della giovane
figlia del committente, Margherita, fulgida bellezza bionda accanto alla madre
diafana; "De plus en plus" la santa omonima col libro e il dragone e
la Maddalena, con gli unguenti che non guariranno. La natura morta di fiori – gigli rossi e aquilegia, iris bianchi e garofani che alludono a tragedia e
immortalità – e il covone di frumento che è l’eucaristia, “Betlemme”,
letteralmente “Casa del pane”, per te amaro. Eppure convitati e angeli sembrano
cantare la “Missa Ecce ancilla Domini” di Dufay, diretta dal mio René Clemecic,
dall’”antico” Clemencic Consort sulla quinta traccia dell’ LP e del CD, quel
maestoso finale del “Kyrie”. Poi, Hugo, ci dovrà essere quell’impassibile
"Ritratto di donatore con S. Giovanni Battista" o "La morte della Vergine" mentre il tuo
priore dispone il coro per cercare di rasserenarti, inventando la musicoterapia.
Ma il pane non può essere spezzato su una tavolozza di colori. Alle mani giunte
in preghiera deve essere strappato il pennello. La stessa cosa accade a
Botticelli più o meno negli stessi anni.
Tu, come scrive il tuo compagno
di noviziato Gaspard Ofhuys, vinci l’autodistruzione e la condanna di Dio ed
esci dalla “frenesis magna” per morire, come si dice, “sano di mente”. Forse
volevi diventare anche musicista ma non ne avesti il tempo. Il genio vuole
provare tutto prima che sia troppo tardi. Ed io, insano per la tua bellezza, a
più di mezzo secolo, non posso fare a meno di dedicarti il Planctus o la
Déploration di Ockeghem sulla morte di Binchois.
JOSQUIN DESPREZ E RAFFAELLO Santa Cecilia e L'homme armé
Giulio II
Quello che resta, Leone, è un povero vecchio. Un vecchio leone dal volto emaciato, gli occhi dentro due caverne che fissano il vuoto. Leggi il teschio, io mi pulirò la bava col fazzoletto. Con discrezione. È Raffaello: fasto sobrio, preziosi dettagli. Oro, rosso, il verde che ho dietro le spalle. Potere, sangue, speranza io non li curo, non mi curano più. Davanti a me c’è solo quella cosa che non si vede. E non è come nelle tue preziose miniature.
Leone X
Io sono il figlio di Lorenzo de’ Medici e ogni libro è sacro. Posare mi rilassa, specie dopo questo Concilio in Laterano che hai voluto tu. Dovevamo riformare la Chiesa, lavoro colossale: un affresco di Michelangelo, di Raffaello. E invece… miniaturisti di bottega. C’era da ricostruire una Chiesa sulla roccia e non riusciamo neppure a procedere con San Pietro. La Germania si è ribellata contro le indulgenze e io devo capire se processare questo agostiniano, questo Martin Lutero. Raffaello mi ha fornito una lente preziosa. Temo preziosa solo per le miniature.
VINCENZO E GALILEO GALILEI Musica antica e nuova per sfere celesti
Galileo, dopo duemila anni di successo, fece calare il sipario sul
concerto armonico delle sfere celesti di matrice pitagorica con l’accompagnamento
musicale del padre Vincenzo, compositore. Sperimentatore di fisica acustica,
aveva scritto un Contrappunto a due voci. E il figlio lo seguì fingendone uno a
tre, il Dialogo sui Massimi Sistemi (in realtà due, i copernicani Salviati e
Sagredo, sovrastanti il fastidioso basso continuo aristotolemaico di Simplicio).
Il sole al centro del nuovo universo, anche quello cantato nell’Inno
di Mesomede di Creta, pubblicato in un altro Dialogo dal padre. La nuova
astronomia in parallelo alla riscoperta del canto greco e col commento in
musica del nuovo melodramma della Camerata dei Bardi a Firenze.
Ritrovo un mio vecchio frammento per il teatro in cui Galileo dialoga in sogno col padre.
Vincenzo Figlio mio, cosa sperimenta il tuo cuore quando disegni la
luna, le sue voragini, quelle ombre che da sfera perfetta ed eterna la fanno
così simile a noi mortali?
Galileo Io sento, padre, il tuo mottetto “In exitu Israel de Aegypto”.
Quel ritorno da un esilio e la solitudine che accompagna ogni nuova libertà, l’ignoto
che segue una lunga abitudine a essere servi. Disegno e contemplo un’altra
terra nel cielo che sembra muto e forse cela un’altra musica.
Certi anniversari funerei sono sempre discutibili, specie se riguardano l’arte. Io so solo che il Magnificat di Claudio Monteverdi lo amo con tutte le mie forze da quando scese a consolare una precoce fine di saltatore in lungo e triplo nel 1980. Mia madre, prima, aveva sperato che diventassi un violinista, ma in quattro tristi anni di liceo musicale avevo imparato solo la paura della pece, quella da spalmare l’archetto. In atletica invece ero stato io, adolescente irrequieto e indisciplinato, a distruggere anche sogni miei, dell’allenatore e quasi la gamba che ho a sinistra.
Tirato via il gesso, zoppicando fino all’edicola, comprai quel fascicolo con disco della collana I grandi musicisti, perché c’era il ritratto di un uomo dell’età che mi interessava, il Barocco. L’amore per la storia mi era rimasto, almeno quello, e di musica volevo ascoltare solo quello che non si sentiva a scuola.
Tu, divinità così umana dall’armonia tanto strana e dolce, che al Verdi nazionale facevi preludere Monte, tu sì che trasformavi il calvario dei punti di sutura del mio quadricipite in un pentagramma dalla melodia sublime. Una donna decideva con tale soavità di curare nel proprio grembo un Dio che si sarebbe fatto uomo e sarebbe stato crocifisso (e io all’epoca ero molto credente).
Dai piagnistei sulle proprie sventure, ora sì, riuscivo a scorgere tra le lacrime qualcosa di incredibilmente più bello, come una carezza della Madonna di Michelangelo al figlio morto.
Quando si dice che il caso desta l’amore. Poi vengono i fiori se scopri che il brano è tratto dai Vespri della Beata Vergine e il compositore è nato a Cremona, di cui conoscevi solo il torrone e quello scrittore incapace di ogni misura, il vescovo Liutprando. E io allora coltivo l’amore più dei fiori, perché riesco a fare mia di lì a qualche anno anche un’edizione de L’Orfeo che quasi ti tirano in faccia, sempre perché c’è Monte prima di Verdi (solo all’università ho imparato ad amare anche Giuseppe).
Cosa c’è di più gratificante, per uno che spera di non essere disperato, di un mito di Orfeo rivisto e corretto? Dalla Toccata - l’Ouverture - al lieto fine che ancora oggi canto insieme ad Apollo che scende dall’empireo: “Saliam cantand’al cielo”. Che meraviglioso tradimento rispetto alle Georgiche di Virgilio!
Ma che importa? La passione mi guida in una nuova specie di orfismo dagli occhi lucidi che va dal teatro della Fabula di Orfeo di Poliziano - evocato nei miei Teatri di guerra - al cinema di Cocteau, dove nel suo Orfeoattraverso anch’io lo specchio per ritrovarmi oltre l’oceano, in Brasile, con l’Orfeo negro di Marcel Camus.
Poliziano e Botticelli: componimento di Orfeo, crepuscolo dell'Umanesimo
Passando per l’Euridice di Jacopo Peri e Giulio Caccini, le origini del melodramma e il suo trionfo con la sintesi già nel titolo - Orfeo ed Euridice - di Gluck, altro autore a me molto caro e poco ricordato come si deve, di cui racconterò presto.
Negli occhi le continue metamorfosi del mito in forma di storia, ora danzante in piena luce (Botticelli) ora al crepuscolo (Tiziano). Preghiera immobile di Giulio Romano a Palazzo Te, prima del crollo insieme ai Giganti, o doppia, in due quadri di Rubens (nel secondo Euridice sgrana quegli occhi alla coppia infernale: lei sa). La solitudine del poeta sulla terra abitata nel quadro di Poussin e poi il trionfo in cielo col Tiepolo nell’atto e nel secolo che segue (preludio all’ottimismo dei Lumi, a Gluck).
Appena uscito dall’edificio accanto, dalla mostra dedicata ai
veneziani resilienti del fotografo Paolo della Corte di cui ho curato il
catalogo Tra Rari TIPI, ricordo commosso le tappe del mio amore per la musica
del Prete Rosso. Quella orchestrale, da Salvatore Accardo a Fabio Biondi. Prima
serenissimo, una gondola che scivola sull’acqua. Poi inquieto, metallico: la Venezia
monumentale che tende allo spasimo i suoi tiranti prima di affondare (riemergerà
a fine ‘800 poco prima della riscoperta delle sue note). Le opere, da L’Olimpiade di René Clemencic all’Orlando finto pazzo di Alessandro De Marchi.
Ripenso all’oblio del tuo genio ascoltando l’organo di
Ton Koopman che suona il Concerto in Re minore, l’omaggio struggente che ti
dedicò Bach.
JEAN-PHILIPPE RAMEAU Finesse de la géométrie de l'esprit
2014: 250 anni dalla morte dell’uomo, 25 dal sorgere del mio amore per la sua musica immortale. Nella libreria dell’università il disco dei suoi Indes galantes, prima dell’esame sull’architettura visionaria francese del ‘700.
L’esame andò nel migliore dei modi ma i progetti dei miei cari Boullée, Ledoux e Lequeu, in realtà, erano l’alter ego crepuscolare del luminoso pomeriggio di Rameau, degno del fauno più elegante e raffinato. Erano l’incendio della rivoluzione rispetto al fuoco del tè o del caffè degli illuministi (ma non ho mai pensato di dover amare le stesse cose).
"À rebours", come avrebbe detto Huysmans (ma il sottoscritto è tutt'altro che decadente), i suoi capolavori per clavicembalo mi hanno sempre evocato i quadri di Watteau. E non a caso, visto che la prima produzione è coeva a quella del pittore. In entrambi è il fascino e il dramma sottile di un’epoca di passaggio come quella della Reggenza.
Le opere e i balletti fanno tuttora vibrare le corde delle tele di François Boucher: sono l’abito perfetto per il ballo e la rappresentazione dell’anima delle dame nude ritratte dall’artista.
Voltaire, grande ammiratore di Rameau e anche suo librettista, lo definiva “Orfeo-Euclide”. Infatti la precisa "géométrie des esprits" dell’autore del Traité de l'harmonie reduite à ses principes naturalesè inscindibile dall’appassionato incisore di tutta una coralità di affetti che troviamo solo nei grandi.
Una progressione esponenziale di Bellezza esemplare anche in epoca di geometrie post-euclidee.
Ovvero quando la politica non finisce ma inizia in canzone. Quando l’ideologia del dispotismo illuminato prende forma e si distende in arie: dalla corte degli Asburgo, passando per Haydn e Mozart, fino al Sanremo di una volta. Un amore critico nato nei primi anni di università. Prima le parole e poi la musica, questo il suo programma, la sua utopia in versi che erano già musica (e lo sono ancora). Una breve pausa durata l’arco della sua tirannia gentile, falsariga di una finzione di teatro greco mai tragedia, con l’Arcadia dei finti re pastori al posto della democratica Atene. Lieto fine sempre, ma definitivo ancora prima della morte dell’autore (con Vittorio Alfieri che, dietro le quinte, lo fissa in tralice mentre si genuflette all’imperatrice Maria Teresa). Nel mio dramma I re pastori c’è un dialogo fra la sovrana, il ministro Kaunitz e il Nostro, poeta cesareo a Vienna dal 1729 al 1782.
Buio. Dei servitori in livrea entrano in scena e accendono dei candelieri. La luce man mano illumina la presenza dei tre personaggi immobili come statue che prendono vita. L’inizio dell’aria “Aer tranquillo e dì sereni” da “Il re pastore” di Metastasio nella versione di Mozart accompagna i loro gesti. Poi la musica svanisce e i servitori escono.
Kaunitz
La grazia dei versi che Metastasio elargisce ai suoi compositori e quindi al pubblico sta alla grazia che voi concedete ai vostri sudditi. È un’equazione degna di Leibniz, non trovate, maestà? Che le riforme siano reali anche nel senso di sovrane, una concessione e non un diritto come sembrano sostenere certi francesi. Ma, si sa, in quanto all’opera e anche alla musica in Francia sono rimasti piuttosto indietro.
Maria Teresa
Lo dico spesso a mia figlia Maria Antonietta che devono trovare anche un compositore come si deve. Ma il re suo marito sembra più interessato agli orologi. Quelli si fermano e li si può ricaricare, ma l’orologio della storia non si ferma mai. Dovrebbe appassionarsi ai metronomi. Ricorda quando le spedimmo il nostro migliore musicista, il signor Gluck?
Kaunitz
Lo ricordo bene: era il 1774 ed erano ancora principi. E la principessa era particolarmente contenta di rivedere il suo vecchio maestro di musica. Si impegnò non poco per l’allestimento di una sua opera e, se non sbaglio, fu presente tutta la famiglia reale al successo della rappresentazione. Una prima.
Maria Teresa
Peccato sia stata l’ultima di Luigi XV. Caso vuole che di lì a qualche giorno il re sia finito preda del vaiolo durante una partita di caccia.
Kaunitz
E’ vero: morì pochi giorni dopo. Però vostra figlia divenne regina. E… Perdonatemi, maestà, non ricordo il titolo dell’opera.
Maria Teresa
Ifigenia in Aulide.
Kaunitz
Ah.
Maria Teresa
Già. Il sacrificio della figlia di un re, che solo i trucchi della poesia e del teatro hanno saputo rendere meno orrendo. Mi chiedo se non sarebbe stato meglio allestire un’altra messinscena con i tempi che corrono. Lei che ne dice, poeta?
Metastasio
Io, maestà, avrei scelto Le cinesi. Lo stesso Gluck, se ricordate, le aveva messe in musica nel ’54. E’ vero che erano passati vent’anni, ma la moda per le cineserie non è mai passata.
Maria Teresa
Mi chiedo perché non abbiamo insistito… Un viaggio ai confini del mondo è un’ottima distrazione.
Kaunitz
O Il re pastore, meglio ancora. Stesso compositore, stessa musica. E questa moda spero non passi mai.
Metastasio
“Sollevar gli oppressi,
Render felici i regni,
Coronar la virtù.
A fabbricarvi il trono
La mia fortuna impegno;
Ed a tanta virtù non manca un regno”.
Maria Teresa
Versi sublimi!
Kaunitz
E di meravigliosa utilità.
Maria Teresa
Ma questi francesi adesso si sono intestarditi a volere sempre una prima.
Si bloccano come automi o le statue di prima. I servitori tornano in scena, questa volta senza musica, e spengono le luci con una fretta che contrasta col fare compassato dell’inizio.
Voce fuoriscena
Anche l’Arcadia aveva i suoi problemi. I bravi pastori, forse cercando una pecora uscita dal gregge, avevano trovato chi dice un teschio chi sostiene una tomba. La morte, con tutto quello che ne consegue, era quindi già lì.
Caro
suocero, caro dottore, non vede come campeggiano dalla punta dei piedi al seno,
lungo tutta la rotta privilegiata dal fluido vitale, fino alla luce degli
occhi, che lei così cortesemente tiene in stato d’ipnosi.
O
sono forse nuda?
Una
sonnambula che sogna il proprio corpo Eden irrigato da acque magnetiche… Mi
calamita un dolce abisso nero dove si rispecchia il sonno.
(Pausa
di silenzio. Poi, un brivido)
…
Ubi quem agnovi, cohorrui equidem, sed ille inquit: “Ades animo et omitte
timorem”…
(Cicerone, “Somnium Scipionis”)
“O
dei,
Quale
abisso di luce!
Quale
ignota armonia! Quali sembianze
Son
mai sì luminose e liete!”.
(Metastasio, “Il
sogno di Scipione”)
Io
ora vedo… due pianiste… cieche. E due fiumi cristallini di note… Ogni nota un
occhio, maestro: sopracciglia rialzate, borse sulle palpebre… Nervi ottici le
righe dei pentagrammi….
Signora
Paradies, state suonando la glass harmonica? Vi piace? Piace anche al dottor
Mesmer, che vi ridarà la vista. Però finirete in manicomio.
Piace
anche a voi, Marianne Kirchgessner? Il signor Mozart, vostro parente, vi
dedicherà un Adagio e un Rondò. Poi morirà.
Un
abito di girasoli anche per voi, innamorate della luce!
E
un giardino, un paradiso di girasoli anche per te, piccolo genio, piccolo Wolf,
dove Persiani e Cinesi, Arabi e Giapponesi fanno risuonare le trasparenze del
vetro.
Dove
sei? Ti sei perso? Chi cerchi? Bastiano? Bastiana? Ricordi? Erano qui, con te,
14 anni fa - 7 pianeti, e 7 minerali preziosi - e cercavano l’amore.
L’amore…
Sempre lui… Oh, tenerezza, ma per questo occorrevano… un incantesimo, un mago,
una finzione.
Recitativo: E così, Mozart caro, non sareste soltanto ciò che resta di un piccolo delizioso incantevole automa Louis Quinze, ma un compositore di genio Luigi Sedici, statua di Salisburgo, affamato di fama a Mannheim? Bramate di uscire dall’oscurità ritrovando la Ville Lumière? E allora sbrigatevi che l’era dei salotti delle dame ormai volge al termine!
E forse é giusto che ci colga il sonno fra le pagine di D’Alembert, dentro un quadro di Boucher…
Abbiamo combattuto a lungo, sapete? E vinto: a Rocaille, a Versailles, nella vostra Meissen, come in Baviera: ascoltate “Talestri amazzone guerriera” di Maria Antonia principessa di Monaco!
Montesquieu scriveva: “E’ rimasto un solo sesso: tutti siamo nell’animo donne”. Due anni fa perfino un eroe, il Cavaliere d’Eon, sceglieva la femminilità pur restando virile (ma questo si vedrà: per ora ha ammesso di aver lottato e vinto vestito da uomo, pur essendo del nostro sesso).
Ma temiamo che il nodo gordiano di questo fatato gioco di specchi sarà presto reciso. Nella società di nuovo dei maschi forse di nostro resterà solo il “bon ton”. Perciò
Coro: Baci, e saluti, e decidete presto
Il catalogo delle dame è questo:
Aria: Princesse Carrignon
Marchesa Calvisson
Madame de Manchon
Duchessa di Bourbon
Duchessa d’Aguillon
Contessa Lillebonne.
W. A. Mozart, "Basta; vincesti: eccoti il foglio." KV 486 (1778). Testo di Pietro Metastasio, "Didone abbandonata", II,4. Edita Gruberová, soprano. Wiener Kammerorchester, György Fischer.
LETTERA COLLETTIVA SECONDA
Recitativo: Pregiato Wolfango, noi aristocratiche, noi ricche, noi sole, comunque sole, come dame rinascimentali, tentammo dunque una nuova umanità? Noi anche Lisinga cinese, Ircana persiana – anche voi amate, capite, comprendete le donne e l’Oriente da cui nasce la luce – noi alla corte della zarina Elisabetta, di Caterina, dove la festa del potere fu donna, dovremo tornare dall’Arcadia alla sala parto, a una povera e spoglia riproduzione del mondo – con la “o” maschile?
Amadé caro, a voi la preghiera e il compito di farci rinascere nel canto, di farci fuggire ancora una volta dal serraglio sulle ali della musica, che è donna.
P.S. Progressista adorabile, se verrete nell’Ile de la Cité, potrete conoscere anche un altro giovanissimo genio, femmina e donna, come vostra sorella. Si chiama Olympia de Gouge.
Scriveteci allora, e presto, presso Faubourg St. Germain, Rue de l’Université.
#IoRestoaCasa e combatto il #coronavirus a suon di note sfide musicali.
In primis la gara di virtuosismi organizzata dal cardinale Ruspoli a Roma in Palazzo Ottoboni fra i giovani Händel e Domenico Scarlatti, in quel meraviglioso sceneggiato tv God Rot Tunbridge Wells! che mi è rimasto nel cuore anche se passato in RAI più di 30 anni fa.
Certo l’incontro è un po’ romanzato - la sfida in realtà fu doppia, su clavicembalo (dove ai punti vinse l’italiano) e organo (dove ebbe la meglio il tedesco) – ma ogni volta che lo vedo su YouTube l’emozione è sempre la stessa.
Quindi il jazz in un altro film che amo, Bird di Clint Eastwood (1988), con il grande Charlie Parker degli inizi nel suo rapporto contrastato con un protagonista del sassofono della generazione precedente, Buster Smith.
Infine il recente Jimi: All Is by My Side (2013), dove il mio adorato Hendrix sciocca al primo incontro un altro nume tutelare della chitarra, Eric Clapton.
Julian Beck, Dieci Canti per affrontare la rivoluzione
In quest’ultimo caso, più che nei precedenti, possiamo dire che #andràtuttobene perché nascerà una grande amicizia, testimoniata dalla foto che ho diviso a metà ma che li ritrae insieme nel segno della comunione fra geni dell’arte.
"Oltre le periferie dell'infinito" non puoi che
danzare, continuare a innestare elettrodi nella carne, nello spirito, perché ci
fu un tempo che anche l’elettricità era spirito, come l’interruttore dello
Zaire che Mohamed Alì poteva premere e tornare a letto prima che la luce fosse
spenta, quando la luce è ancora mito e a mezzanotte, anche a mezzanotte, tu
vedi i lampi nella Casa Rossa, non puoi che vedere lampi, aurore boreali e
nebbia purpurea negli occhi di una donna-volpe-sirena-angelo.
Jom, "Joachim Müllerchen,Memorial of Jimi Hendrix "
Com’è che ci sono queste pause
eterne dopo le canzoni? Perché il nastro della batteria torna a girare nel senso
giusto che è quello sbagliato che è l’opposto del nastro rovesciato di Are You Experienced? Il vento grida “Mary” e quella non c’è più. E anche Janis Joplin muore.
Ci sono lunghi intervalli in cui
bisogna morire, è così, sennò la gente non ci crede. Si dovrebbe stare con i
piedi ben in terra invece di rotolare sulla Terza Pietra dal Sole.
Magari morire senza essere soffocati dal
vomito, aspettare l'83 invece del '70.
E’ certo, esistono morti stupide
come guerre, ma non è la vita quella che conta, voglio dire quella dell’arte, Wild Thing, Fire?
La tua biologia avrà per me
sempre il corpo di una chitarra elettrica con la sua teoria di stringhe, Star Spangled Banner.
E poi
e ancora ”Mi pulisco gli occhi per vedere un giorno/ La mia testa fra le
nuvole, i miei piedi ovunque".
Le coppie che hanno appena smesso di danzare per abbracciarsi potrebbero essere ancora lì, dietro i pilastri. Di più, una cosa sola col cemento, metamorfosi per far durare l'amore di una sera nel tempo.
Io no. Ero già fuori. Di un'altra tribù, un altro mondo - unica concessione: uno spolverino bianco. Sotto, certamente una camicia stile il Jimi Hendrix che avevo in testa.
Un antropologo e allo stesso tempo un selvaggio agli occhi degli altri. Ognuno ha ritmato i suoi passi alla giusta distanza, la memoria che ne è rimasta è piacevole.
Sarà stato il nome del posto, Il Caminaccio, a conservare la memoria di qualcosa di caldo.
O è solo perché era inverno, fronda fantasma che dalla luce della finestra mi inviti a ballare?
Uno sviluppo illimitato, come l’economia postbellica.
Chitarra elettrica, emancipazione sociale, nobilitazione della figura del giovane: mai visto prima.
Nato nell’epoca del culto della modernizzazione, maturato in anni di lotta e speranza nei grandi varchi aperti dall’arte contemporanea: jazz e tabula rasa dei compositori del Novecento.
Una nuova lingua per la musica, l’inglese, moda e modo d’essere - quindi morale - dirompenti, come l’impatto di massa, imparagonabile a quello delle arie d’opera del secolo prima.
Occidentale e mondiale, come le idee di sviluppo, progresso, rivoluzione: uno dei migliori cocktail forgiati dalla storia.
Tre/quattro elementi di base come quelli delle cosmologie di un tempo, capaci di sintetizzarsi in migliaia di identità, di nomi di successo.
Nell’epoca d’oro, dalla metà degli anni ’60 alla fine dei ’70, un impegno incessante in ricerca e ridefinizione di forme - come l’arte contemporanea, sempre lei - fino alla loro distruzione, alla distruzione materiale degli stessi strumenti (Wind Thing, Jimi Hendrix, con Janis Joplin e Jim Morrison trinità martire).
Poi la Forma, la grande montagna da scalare per l’ennesima volta, è tornata pietra angolare, in tutte le arti. La tecnologia dell’epoca, raggiunti i suoi estremi, si rinchiude come al solito nella tradizione, corretta o corrotta a seconda dei punti di vista. Il ritorno alla normalità, dopo 4’33” di Cage, prevede un pubblico che tace e un piano che torna a suonare Chopin (anche se Chopinavrebbe preferito Cage). E come dopo il compositore diventa di moda il direttore d’orchestra così, nel rock, il successo di moda è roba del produttore.
Oggi, nella geriatria autunnale delle band classicizzate (che impressione facevano negli ’80 i 40 anni di Dio – Ronnie James), annaspando fra revival e vintage, si cerca di esorcizzare l’inverno. Quanto pesano i volti invecchiati in una musica che dell’immagine aveva fatto un punto di forza! Immaginali ancora giovani e leggeri nell’etere, oltre le Fasce di Van Halen, ma nella Terra della caduta dei gravi Bowie è morto e Sisifo trascina i Marshall mentre si sbaracca il concerto.
Penso e temo un parallelo con la grande tragedia greca, ateniese - e il rock dei grandi è soprattutto tragico: “Cry, Baby” “Breve è la vita, chi insegue troppo grandi destini non gode il momento presente” (Joplin/Euripide “Baccanti”) - che durò 70 anni o giù di lì per chiudersi in un silenzio che, tranne alcune voci disperse nei secoli, giunse fino all’epoca shakespeariana.
Parallelo discutibile, come un’analisi storica fatta di alti e bassi o, peggio, “decadenze”. Ma qui più che lo storico parla l’artista e, pur facendo appello alla ragione e a un nuovo salto di qualità tecnologico ed estetico, non può nascondere l’ennesima scarica elettrica al cuore “With a Little Help from My Friends” (Joe Cocker, Woodstock, 1969).
Con fatica, come sempre, dovremo andare oltre.
P.S. Le mie foto: pietre che non rotolano più, scolpite già con la traccia della rovina, ormai monumenti del passato che più che alla terra guardano al cielo. “Il luogo dei quattro punti cardinali” (Giò Pomodoro, 1991), opera di struggente, composta bellezza nel parco pubblico di Taino (VA). Orchestra di granito, ferro e acqua. Sinfonia di gravi in precisi rapporti e contrasti, numerici e simbolici. Ogni anno attende il suo direttore nel mezzogiorno del solstizio d’estate, per catturare nell’ombra del pilastro più grande un raggio: quel raggio di sole.
Ma avete mai notato quanto è tragico il testo di “Casetta in Canadà”? Un uomo, un tale Martin, cerca disperatamente di costruirsi una casa, anzi una casetta, e regolarmente un farabutto di nome Pinco Panco gliela incendia. Non è roba poco, è peggio del lupo cattivo coi tre porcellini. E nessuno lo aiuta. La gente lo lascia vagare da solo per la città e le ragazze si accorgono di lui , o meglio della sua casetta, solo quando la riempie di “vasche, pesciolini e tanti fiori di lilla”. Poi basta. Solitudine totale. Una fiaba crudele come la speculazione edilizia degli anni in cui la canzone fu scritta (1957). Messa in musica in modo allegro, surreale - e perfido - per l’ennesimo Sanremo della coppia d’oro dell’epoca: Gino Latilla e Carla Boni.
La musica, si sa, è anche terapeutica e, in questo caso addolciva, anzi, stravolgeva il dramma trasformandolo in commedia. Beh, io, a 50 anni di distanza, ho sentito che bisognava rendere giustizia alla tragedia di Martin, con un po’ di ironia, un dovuto omaggio agli autori del testo.
Perché è vero che la musica è più forte, ma la parola resta, come una specie di fossile. Ecco che allora ci vuole una specie di paleontologo della canzone per rimettere insieme i vari pezzi, un paleontologo che deve essere anche poeta per ridare carne allo scheletro delle note in modo originale. Perché i testi delle canzoni sono pur sempre poesie e in una poesia si trova sempre qualcosa di nuovo.
Recitare i versi di canzoni che hanno fatto epoca può servire a far riassaporare qualcosa che oggi si è perso, a mettere in rilievo quanto la musica aveva messo fra le righe. Il mito dello sviluppo senza fine dell’Italia del boom economico in “Casetta in Canadà”. La crisi di qualche anno dopo riflessa nel fatalismo di “Finché la barca va”. L’euforia della liberazione sessuale in “Triangolo” ma anche i nuovi problemi della coppia anni ’70 in “Grande grande grande”. Fino allo smarrimento di fine secolo di “Nord sud ovest est”.
Signore e signori, eccovi quindi una nuova lettura di cinque canzoni emblematiche.
Già, il Canadà, l’America senza apostrofo, terra di emigranti, sotto sotto c’è anche questo. E se questo Canadà di cartapesta va in fiamme, tanto vale tornare in Italia. In nave naturalmente, anzi, in barca. E finché la barca va e non fa la fine del Titanic, tanto vale lasciarla andare. Fino all’Italia del 1970 e di Orietta Berti. Il boom economico ormai è alle spalle. La crisi, il ‘68, l’Autunno Caldo sono altrettanti incendi da esorcizzare: “all’ombra di ginestre e di lillà”. Come prima, il dramma si presenta sempre molto floreale.
Il campanello finalmente suona, l’amore viene, solo che è già in compagnia. L’amore sarà carnale ma è figlio dello spirito dei tempi perché è il 1978 e la liberazione sessuale si aggiunge alla coppia tradizionale. 2+1 fa 3 recita la matematica di un testo in cui sta scritto “la geometria non è un reato”. Una matematica che è già nel cognome dell’autore: Renato Zero, “Triangolo”.
Loro… Loro potrebbero essere, anzi, sono i classici uomo e donna in una canzone di Mina di qualche anno prima, il 1972. Lei è certo una combattente, che difende il suo amore peggio che i Nomadi nella loro famosa canzone. Lui invece potremmo dire semplicemente che è uno str… strenuo difensore di certe prerogative maschiliste dure a morire, ancora oggi. Un grande str…enuo, che però, al momento giusto... Come sono buone le donne – e poi l’arte, Promessi Sposi a parte, non ama le coppie felici, sennò gli autori mica citavano letteralmente il poeta latino infelice per eccellenza, Catullo, col suo “Odio e amo” .
Insomma al momento giusto sa farsi perdonare. Un po’ una metafora dell’Italia che da il meglio di sé nelle emergenze. [...] Segue su RAI Radio 3
.....caro Luca sei una continua scoperta! Molto apprezzata la tua interpretazione de La casetta in Canada!
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