PARCHEGGIO RISERVATO
MORTE A VENEZIA 2
LIKE AN UFO SOLAR
LA CONSOLAZIONE DI SUPER MARIO
TAXUS BACCATA O TORQUATO TASSO?
MORTE A VENEZIA 2
LIKE AN UFO SOLAR
LA CONSOLAZIONE DI SUPER MARIO
TAXUS BACCATA O TORQUATO TASSO?
DUE ARCOBALENI (2012)
LUCA TIPO "0" (2000)
Agnus
Il triangolo sacro
Il triangolo sacro
A 14 _ Highway 14
L'inferno _ The child and Bramantino
La Corva: il paradiso _ The "Maga Maghella" kindergarten in Porto Sant'Elpidio, 1971
Come Wile Coyote _ As Wile Coyote
Kafka in Italy (cockroaches and nuclear by the Adriatic Sea, 1976)
Come Wile Coyote _ As Wile Coyote
Kafka in Italy (cockroaches and nuclear by the Adriatic Sea, 1976)
Nonna Papera Video
Pro-zia Ida
La signora Tocalli Video
IL VOLTO DI PASOLINI (2004)
VELOCITA' DELLA LUCE _ SPEED OF LIGHT
A OROLOGERIA _ FAILED TIME
A SIRMIONE, COME CATULLO
VELOCITA' DELLA LUCE _ SPEED OF LIGHT
A OROLOGERIA _ FAILED TIME
A SIRMIONE, COME CATULLO
LA CITTA' E IL BAMBINO (1995)
NON SOLO GIACOMO LEOPARDI: MENAHEM DA RECANATI 1250-1310 (2005)
NON SOLO GIACOMO LEOPARDI: MENAHEM DA RECANATI 1250-1310 (2005)
PENNA A SFERA Architettura autobiografica (2010) Video e testo
PARCHEGGIO RISERVATO
Sembrano maschere, divinità ctonie con la bocca spalancata a difesa dell'ingresso agli inferi (vedi quella pesante lastra colore del bronzo).
Chi ha progettato le forme del sotto di quelle plastiche rosse forse aveva in mente i volti delle statue olmeche o i totem degli Kwakiutl.
Così i lavori stradali aprono nuove vie all'immaginazione. Il mito lambisce i marciapiedi, resta inquieto sotto l'asfalto, i treppiedi dei geometri.
Testo e foto di Luca Traini
MORTE A VENEZIA 2
13 Settembre. Sulla strada per la spiaggia di Alberoni, al Lido.
Visconti negli occhi: "Morte a Venezia".
Commento musicale: Gusta Mahler, Sinfonia n.5, Adagietto.
Che però s'interrompe di colpo.
Dirk Bogarde ha perso di vista Tadzio.
E anche Silvana Mangano svanisce nello spazio vedo-non vedo fra due pilastrini di cemento.
Metamorfosi della Belle Époque nell'oasi modernista in abbandono del Centro Vacanze INPDAP.
Commento musicale Erik Satie, Vexations
Non dovresti commuoverti. Non sono passati cent'anni, non c'è stata una Grande Guerra, i fronzoli fin de siècle imbrattati di sangue.
Semplicemente, i maestri di Vigevano passano le vacanze da un'altra parte.
Da ex-insegnante riconosco soprattutto l'impronta della scuola di una volta, marchio ENPAS, con tutto il suo microcosmo di certezze geometriche.
La scuola in costume: insieme continuo di microclassi squadrate a dovere, morigerato non creato, con l'immagine della Città di Dio a guardia della pedagogia contemporanea.
Unica concessione alla sensualità nella stagione calda, qualche scalone sinuoso (i programmi ministeriali prevedono anche il barocco).
Secondo me c'era anche la campanella del risveglio. E quella dell'intervallo, perché il sole dopo le 11 fa male (è vero) e la domenica c'è la messa.
A mezzanotte tutti a nanna sulle note del silenzio (educazione musicale dopo il 1977).
Anche la natura sembra far propria la rettitudine angolare della costruzione umana.
Questo era certamente l'albero del preside.
Ora è vivo solo il grande campo di golf dall'altra parte della strada, segno dei tempi.
Il sogno del grande provveditorato interiore invece riposa in una pace inquieta.
Ti piacerebbe definirla "ancestrale", ma non è così: lo testimoniano i pacchi di elenchi telefonici ancora nella plastica.
Te lo dice a chiare lettere il grande sogno razionalista di questo edificio edificante nel senso profondo della parola.
"E' un peccato dover mettere razionale da un lato della barricata
per poter lasciare a colpo sicuro accademico dall'altra parte"
Le Corbusier
P.S. Speriamo ne facciano un ostello per viaggiatori nel tempo.
Testo e foto di Luca Traini
LIKE AN UFO SOLAR
Le sonde Voyager sono in
viaggio da un anno e il loro arrivo nell’orbita di Giove è previsto per il
prossimo.
Atlas Ufo Robot potrebbe
averle precedute, ma non credo.
In ogni caso mi appresto a
gonfiare il mio Ufo Solar.
1978. Estate: finalmente. Un
inverno gelido si è protratto anche nella bella primavera per motivi che vanno
oltre il clima. Il nuovo campo dell’oratorio è vuoto sotto il sole e io mi sono
piazzato al centro con in mano una specie di sacco dell’immondizia nero fatto a
Taiwan.
Nella pubblicità su Topolino c’è un gruppo di amici che si
diverte a farlo decollare, quindi qualcuno arriverà.
O no?
Abbiamo traslocato da poco a
Varese e sento che vorrei tornare ancora a Porto Sant’Elpidio, anche in volo su un sacco della
spazzatura. Mia madre mi ha dato le 2.000 lire necessarie all’acquisto certo perché
devo essere felice in questa nuova città, così piena di prospettive. E una di
queste pare allora riguardi il cielo, immagine consolidata del futuro, in
questo momento così terso.
Dove sei Tu, che raccogli
tutti i palloncini scappati in volo? Perché non viene nessuno? E tu, sacchetto
accartocciato che vuoi diventare grande presto come me, ci mettiamo a correre
anche se non c’è un alito di vento? Se ti gonfi, io ti lascio libero.
Polvere, sudore… ma quanto è
bello, quasi scoppiamo! “Ora però ti devo legare, sennò ti sgonfi. Dai, anche
gli astronauti passeggiano legati nel cielo”. Ormai sono tranquillo sotto la
sua ombra quando finalmente arriva qualcuno. Ragazzi che già conosco,
simpatici, che sorridono. Ricambio il sorriso e mollo la presa.
C’è perplessità. Qualcuno mi
giudica con gli occhi, ma i più guardano verso l’alto. Senza pensarci troppo. Hanno
un pallone sottomano e gli serve un portiere, uno capace di volare fino all’incrocio
dei pali anche quando sembra improbabile.
Io ricadrò a terra. Ma tu
continua a volare
Silenzio e musica finale: Procol Harum, Salty Dog
LA CONSOLAZIONE DI SUPER MARIO
Non ho finito il compito di Educazione Tecnica... ma sono passato subito ai videogiochi
1 “TECNOLOGIA” DA “TEK” (“LEGNO”): CHIODI E
MARTELLO
Sono passati più di 30 anni e non ho ancora finito il compito di Tecnica.
Sono passati più di 30 anni e non ho ancora finito il compito di Tecnica.
E’ il marzo
del ’79 e devo piantare non so quanti chiodi su una lastra di compensato.
Risultato:
una grande “X”.
Il prof.
Pagani somigliava a Sebastian Cabot, quello di “Tre nipoti e un maggiordomo”,
gli mancava solo il frac. Era un burbero bonaccione e amava raccontarci le
marachelle che faceva da piccolo ( difficile immaginarlo piccolo, in tutti i
sensi).
Una delle
sue bravate mi è rimasta conficcata nella memoria. Erano i primi tempi del
codice stradale e - a suo dire - avevano appena inventato e dipinto le prime
strisce pedonali. Lui e i suoi amichetti si divertivano a sbucarci sopra
all’improvviso. Immaginiamo il poverocristo in “Topolino” che tira giù una
frenata della madonna e li manda all’inferno.
E il prof.,
con noncuranza e ghigni malefici sotto il barbone, borbottava di feriti,
morti...morti?!
“I
sopravvissuti avrebbero narrato ai posteri - che non è il plurale di poster -
le audaci imprese”.
Bella roba!
E poi magari ce la pigliamo con un povero dodicenne se non riesce a intrecciare
un filo rosso in mezzo a una selva di chiodi.
Cos’è che
vuoi che disegni? Una stella? Un diamante? Un fiore? Una croce?
Il chiodo
di ferro si piega. Il chiodo d’acciaio si spezza.
Doppia insufficienza: primo e secondo quadrimestre.
2 LA CONSOLAZIONE DI SUPER MARIO
L’anno dopo le cose non vanno
tanto meglio, ma per superare lo sconforto posso andare nella Sala Giochi che
ha appena aperto e dare il mio contributo per difendere la terra dagli alieni.
Tecnologia d’avanguardia altro che chiodi e martello! Tutta a colori, mica solo
quella maledetta vernice nera che avevo sbrodolato sul banco .
Space Invaders: Defender!
Soprattutto dalla fitta nebbia di fumo che separa l’ingresso dalla strada,
dagli scarichi trasparenti delle auto, perché entrare in una di quelle sale era
come andare in chiesa per le grandi festività, fra nuvole d’incenso.
Officiavano i grandi tamarri del quartiere appena scesi dal cocchio (il
Vespino) o dalla biga a tre marce (Benelli, Garelli). Seguivano torme di
chierici monomarcia dal Ciao e chierichetti a piedi sognando le due ruote e
facendo la fila per 8 bit.
Salvata la terra e le Medie,
approdo al livello superiore, il ginnasio, noioso come un vecchio gioco a
carte. Con la testa sono già avanti (e infatti i tre anni di Liceo saranno ben
altro), ma nel frattempo mi consolo con Super Mario. Che, all’epoca, non aveva
ancora questo nome, anzi, era senza nome, come Ulisse davanti al Ciclope o al
Gorilla di Donkey Kong. Io ero sempre
stato dalla parte di King Kong. E la tipa con le trecce (bionda? Rossa? Io
preferivo le more) che non faceva altro che aprire la bocca in un grido senza
voce: non era mica Jessica Lange. Però quel traccagnotto vestito da carpentiere
con i baffi di Magnum P.I. mi piaceva. Era uno di noi, costretto a salire dal
basso per salvare la sua bella, mica Perseo da Andromeda, e io dovevo salire
quel cantiere in costruzione di un nuovo mondo, trasformare le chiodi in viti
da avvitare col martello trasformato in chiave inglese, perché l’eroe era un
carpentiere come i parenti di mio nonno.
Finalmente al Liceo, durante
l’interrogazione di Storia dell’Arte, paragono come salta le botti alla rappresentazione
del volo al rallenty della Gorgone sull’anfora del Pittore di Nesso. E prendo
8! Visto che andare in Sala Giochi è stato un bell’investimento! Mi sembra di
essere Medoro che frega Angelica a Orlando.
Poi scopro che Super Mario è
giapponese, come Atlas Ufo Robot, Megaloman e Genji il principe splendente. Ormai sono grande e scelgo quest’ultimo. Nella biblioteca di
scuola figurati se c’è! Tento allora di rubarlo in libreria, ma riesco solo a
portarmi via in grembo le Memorie di Murasaki Shikibu.
Il mio Super Mario sarebbe stato
assunto nel cielo dell’ultimo livello in una Sala Giochi di La Spezia nel 1983,
durante la mia prima vacanza da solo, se, prima dell’ultimo gradino, non mi
avesse piacevolmente distratto la mora a cui stavo dietro (merito delle
Memorie).
E’ la vita: che ci vuoi fare?
Dopotutto anche Super Mario sarebbe diventato Galaxy solo molti anni dopo.
E io mi godo la sua testa-pianeta
verde tornando con la mente al primo Arcade, a quelle Memorie.
E anche quando porto alla Games Week il quadro di Murasaki Baby, le Memorie di Murasaki Shikibu sono sempre con
me.
Taxus Baccata o Torquato Tasso?
Do not disturb my happiness with doubts
Aphra Behn
Del tasso in quanto animale o del Tasso poeta?
Il tasso è un animale che russa. Il Tasso, un poeta rinchiuso in manicomio.
Io ricordo la quercia del tasso dentro i giardini comunali di Induno Olona (VA). E mi torna in mente un amico, senza nome, senza volto, che mi dice che i suoi frutti sono buoni, rossi, smaglianti.
Sputare il nocciolo. Ma il resto della pianta ha un che di polveroso.
E’ il 1977: il tasso di inflazione è al 18,11, i miei quattro miniassegni perdono ogni giorno di valore, così, invece del "Kilt", finisco per assaggiare quelle bacche… Mi piacciono, ne mangio una dietro l’altra: succose, zuccherine.
Poi è il turno di altre presenze, anche queste polverose, che mi dicono: “Quell’albero è veleno - ma sei scemo? - fanno male!”.
Troppo tardi: mi sono abbuffato.
Ma non morirò: ne ho sperimentato la dolcezza e - restando in vita, sano come un tasso, anelando come il Tasso - provo su di me la completa bontà di quelle bacche. Me lo confermerà il medico di base.
E così da anni continuo a mangiare l’1 per 1000 di quella pianta velenosissima: i suoi frutti.
Perché la radice è proibita, il fusto è proibito, la foglia è proibita. Il frutto, no.
DUE ARCOBALENI (2012)
Debora Ferrari, Luca Traini, Coppia di arcobaleni, 2012 Riproduzione riservata
Non riesco a immaginarti dopo il diluvio, non riesco a fissarti con gli occhi di Noè, di un Sumero, di un uomo del Medioevo, peggio, del Rinascimento – il Medioevo amava i colori brillanti – perché mentre cerchi di salire nel cielo mi ricordi un ghiacciolo di quando ero bambino, di quando i coloranti non erano ancora stati messi al bando.
Un gelato per gli occhi, che a mangiarti mi facevi schifo.
Sei troppo moderno, troppo pop, non ti immagino negli occhi di Newton, prisma che fai a pezzi le accademie e scagli il chiosco di un oratorio fra gli angeli.
Allora, cosa c’è nelle nuvole?
I denti sentiranno il freddo, sentiranno il freddo, ma ti devono mangiare.
LUCA TIPO "0"
(2000)
Agnus
Ho fatto o non ho fatto in tempo a vivere
quell’Italia arcaica e contadina di cui parlò Pasolini?
Forse sì. Forse no. Più no che sì. Ma uno dei miei
primi ricordi è che passai l’estate del ’69 coi nonni materni e mezzadri a Monte Giberto (FM).
Mi piaceva ficcare le dita nel culo delle galline (i
galli credo non me lo permettessero) per cercare le uova. Portare i coniglietti
a dormire con me. Buttare ogni cosa dalla finestra della cucina nel porcile.
“Ha buttato la scopa nel maiale!”.
Me la ricordo bene mia nonna, che riuscì a strappare
dalle fauci del porco il suo arnese.
Passavo un sacco di tempo nella stalla, dove ero
diventato amicissimo di un vitello. E della sua mamma, che lasciava fare.
Poi un giorno andai e lui non c’era. Quando, con un
fare brusco ma naturalissimo, i nonni mi dissero che l’avevano portato al
macello - e la mamma fu costretta a spiegarmi cosa significava quella cosa...
Forse è impossibile descrivere il pianto disperato
di un bambino.
Qualcosa di simile l’ho sentito solo anni dopo.
Quando altri parenti staccarono un agnellino dalla
madre e lo tennero per tutta la notte legato a un palo.
IL TRIANGOLO
SACRO
Non distolgo lo sguardo, che dalla piattaforma di
Moregnano - frazione di Petritoli (FM) - dilata verso la valle punteggiata di
cascinali solitari.
Là mia madre bambina è passata certi giorni di festa
in compagnia del padre. Me ne accennò proprio qui, come un ricordo prezioso. E’
bello, è importante che una persona cara sia stata felice.
Non devo piangere: la vita è così.
Mio nonno accompagna la figlia dai parenti della
moglie, che non era con loro, che vagava in preda alle sue follie da qualche
parte.
Così, nell’infelicità, quel momento di sollievo. E
questo paesaggio, ora così in pace a un occhio estraneo, per qualche momento lo
è stato anche a persone esperte del suo dolore. Quasi ne scorgo le impronte...
No, non piangere: la vita è così.
Non c’è vento o pioggia che possano scalfire quelle
orme dalla tua memoria. Ci sono volti sorridenti che attendono gli invitati a
quel giorno di festa. E forse c’è anche un Dio, che ha estratto dal nulla un attimo
di gioia.
Fa tutto parte del gioco, anche le pupille lucide,
che non piangeranno.
C’è un triangolo sacro di terra, che ha i vertici a
Monte Giberto, Ponzano, Petritoli.
Porto Sant'Elpidio è una lunga lisca di case:
chilometri e chilometri da un capo all’altro. La periferia nord la chiamano “Svizzera”.
Dal Chienti al Tenna, Da La Corva al mare: cercando
nei giorni più belli... la Jugoslavia. Che non vidi mai.
Ma alle spalle del paese, alle mie, in uno di questi
giorni radiosi ultimarono il viadotto dell’autostrada.
E’ la “A 14”. Era il ’73. E quell’arcobaleno di cemento armato non fu mai - almeno per me - soltanto la stampella gigante di
un sistema viario. Piccole troppo piccole le automobili. E ancora più piccoli
gli esseri umani dentro, invisibili.
Sei qualcosa di talmente grande che può contenere
tutta la mia gioia.
Sei qualcosa di talmente alto che non finirò mai di
salire.
Eppure - sembra incredibile - un giorno d’estate c’inerpicammo lungo il sentiero che dallo stagno al confine della “Svizzera” porta a La
Corva. E arrivammo in cima.
Un piazzale d’asfalto con tavolo, qualche sedia… una
capanna. E l’autostrada, vuota.
Verso nord. Verso nord.
Dove porti? Dove mi porti?
Verso la Svizzera, quella vera?
Ma no, non è ancora tempo.
E fisso l’Adriatico, le piattaforme petrolifere al
largo.
La Jugoslavia, dove il maresciallo Tito sta
preparando la sua sfortunata costituzione, non si vede neanche da qui.
L’inferno _ The child and Bramantino
7 anni: l’età in cui avrebbero iniziato a pesare i
peccati mortali.
Fu quanto mi rivelò la nonna mentre sfogliavo il
fascicolo dei “Maestri del colore” dedicato al Bramantino. C’erano l'Ecce homo allucinato e la Crocifissione di Brera, con la luna che piange e
l’angelo del demonio sopra il ladrone cattivo.
Io resto senza parole. Ho appena il coraggio di
spostare lo sguardo sopra un cadavere scomposto e una rana mostruosa ai piedi
della Madonna col bambino che sta all’Ambrosiana.
Poi vado dalla mamma e le dico che ho davvero paura
del fuoco eterno. Lei cerca di confortarmi e all’inferno ci manda la
numerologia sacra di sua madre.
Già irrequieto di mio, per anni non riesco ad essere
davvero tranquillo. “E il peccato mi sta sempre davanti” (Salmo L, 5-7).
A 17 anni scopro che il teologo Origene aveva
teorizzato l’”apocatastasi”, ovvero, la non-eternità dell’inferno. Finalmente
un giorno tutti - ma proprio tutti - ci saremmo riuniti al creatore, al padre
(e io di padre vero non ne avevo mai avuto uno).
La chiesa condanna la posizione di Origene.
Per 5 anni persevero. Poi, a 22, abbandono
cristianesimo e cattolicesimo come oggetto di fede. L’inferno, il paradiso:
sono qui. E anche il purgatorio (l’invenzione più bella).
Di Bramantino oggi apprezzo la forza visionaria e i
fantasmi di architettura classica.
La Corva: il paradiso
The "Maga Maghella" kindergarten in Porto Sant'Elpidio, Italy, 1971
La Corva - frazione di Porto Sant’Elpidio (AP):
1971.
Qui l’asilo invece era il paradiso: un grande
giardino con alberi altissimi.
Fra le tate laiche ce n’era una bellissima che mi
voleva particolarmente bene e che adoravo.
Un giorno, mentre ci faceva ascoltare il 45 giri di
“Maga Maghella”, il suo moroso entrò dalla finestra, le consegnò dei fiori
appena colti e la baciò.
Per qualche attimo fui gelosissimo.
Poi invece mi strinse la mano (sapeva che ero un suo
pericoloso rivale) e si mise a parlare e giocare anche con noi bambini. Questo
sì che sarebbe stato un bravo papà!
E intanto dalla finestra spalancata la luce era
tutta un fondale d’oro e un palpito di riverberi tra le fronde.
E c’è un pomeriggio in cui siamo nella stanza del
sonnellino, stesi sopra piccole sdraio con tante coperte di Linus. Ho sonno ma
non ho voglia di dormire perché sono troppo felice.
Da uno scatolone in cima all’armadio sbuca la testa
di un burattino. Mi guarda, sorride: ha il sorriso piacevolmente stanco di chi
ha fatto bene il proprio lavoro.
Poi, lo vedo chiudere gli occhi. Sono i miei. Sto
sognando Katia. Ci baciamo.
Come Wile Coyote _ As Wile Coyote
Kafka in Italy
(cockroaches and nuclear by the Adriatic Sea, 1976)
Il giorno in cui venni a sapere che gli scarafaggi, a differenza degli esseri umani, sarebbero sopravvissuti alla radiazioni atomiche, presi uno di questi animaletti, lo rovesciai e lo feci morire gocciolandogli addosso cera bollente.
Nonna Papera
Regia di Paolo Grosso
Tante di quelle volte ho sbattuto le corna, fin da
quando ero piccino piccino. Se mi tasti la fronte - oh, se le senti!
Mura, porte, finestre, spigoli - soprattutto
spigoli. Scivola, inciampa, buttati, girati e... pam! La testa, la testa:
sempre lei.
Al tatto riconosco il ghiaccio; all’olfatto, il
burro: 2 sensi trascurati dalla cultura occidentale.
Conosco il tonfo sordo, subacqueo. E quello aereo,
di corpo che cade... su me.
Chiudo gli occhi e immagino un mondo soffice,
smussato - lo zero assoluto.
Poi li riapro subito. Ed eccomi pronto a
riaffrontare la dinamica del dolore.
Come Wile Coyote.
Kafka in Italy
(cockroaches and nuclear by the Adriatic Sea, 1976)
Porto Sant'Elpidio 1976
Il giorno in cui venni a sapere che gli scarafaggi, a differenza degli esseri umani, sarebbero sopravvissuti alla radiazioni atomiche, presi uno di questi animaletti, lo rovesciai e lo feci morire gocciolandogli addosso cera bollente.
Non è vero: lo uccisi per gioco, per vedere come
muore una cosa viva. Il dato scientifico mi fu noto solo diversi anni dopo.
Tutto era stato pianificato. Lo stoppino della
candela, acceso.
La casa era una mezza topaia e pullulava di scarafaggi:
quanti ne avevo schiacciati. Ma lì la vita finisce e neppure te ne accorgi.
Quell’unico invece - non so per quanto - prese a calci lo spazio vuoto.
E i miei occhi, che sono sempre lì per ridere o
piangere, dilatarono le pupille per consegnare alla memoria ogni minimo
istante.
Nonna Papera
Pro-zia Ida
Zia Ida, tu sei lì, in quella foto, con tutta la tua
dolce solitudine: un terrazzo neutro - e il mare, il cielo delle Marche in
lontananza. La mano con cui ti sostieni alla ringhiera, la mano con cui forse
indichi qualcosa, non c’è, non si vede: è svanita nella cornice bianca della
Polaroid.
Sei una robusta signora anziana dai capelli bianchi,
sei la degente del manicomio di Fermo da cui le sorelle ti hanno fatto uscire,
per condividere un giorno di festa: Adele, mia nonna, zia Lina, zia Teta,
forse. Zio Titta è morto da un pezzo (non parlava quasi mai), zia Maria è
invece suora di clausura, da 60 anni. Vedi, tutto questo lo so da mia madre,
quando mi parla di un altro mondo.
Una follia serena, come quella del poeta Holderlin,
scaturita con un grido disperato, di cui non resta traccia. Da 40 anni è così,
zia.
Dovremmo incontrarci un giorno d’estate dell’81. Poi
accade qualcosa d’imprevisto e non riusciamo a vederci.
L’inverno successivo io sono lontano, a Varese, e tu
muori. Dio spegne un’altra parte di sé. Il tuo dio, zia, quello che non
riuscirò mai a capire, quello di Pio XII, dell’età del ferro. Tu ne ripetevi
ossessivamente le litanie: ti era cresciuto intorno al cuore come un rovo. E
dentro, in fondo a quanto chiamavi “anima”, dalle fattezze del Cristo emergeva
un altro volto: Angelo, il fascista che avevi amato e che era morto in Spagna.
Quando ero davvero piccolo, avevo creduto che si
chiamasse Augusto e gli avessero dedicato un libro scritto in latino. Poi la
mamma aveva contraddetto il racconto di sua madre: il testo era una dispensa
universitaria; il protagonista, l’imperatore romano sotto cui era nato Gesù.
Tutti possono sbagliare, zia. Chissà quante volte,
nei primi tempi della tua follia, avranno cercato di convincerti che non era
quella la via giusta, che dovevi sposarti come le tue sorelle o, almeno, farti
monaca, come Maria.
Ma tu hai scelto l’amore senza regole per un morto e
per il grande Assente. Ed io, pur senza condividere né l’uno né l’altro, ma
vivendo di storia, di memoria, immagino l’ultimo giorno di festa in cui sei
uscita.
Al tuo fianco, nella foto, ora ci sono anch’io. E le
due realtà azzurre.
La signora Tocalli
Regia di Paolo Grosso
(2004)
Dicevi: “La mia magrezza”.
E, dio,
com’eri magro! Il volto incavato come l’uomo dantesco, su cui si legge la M di homo, a fare da cavea per gli occhi, perché vi entrasse la realtà con tutta la sua forza, dopo aver colpito gli zigomi.
E dai bulbi oculari un colpo di frusta alla mandibola, fino alla bocca, luogo della fame, per dire cantando, dolorosamente, dire prosa e poesia, fame e sete di giustizia.
Pierpaolo, nelle foto non mostri quasi mai i denti, mai volontariamente, e c’è un pudore arcaico, una misura, profondo pudore, profonda misura in questo celare il morso, la zanna, il riso sfrenato come l’inevitabile ritmo di pietra nella carne delle parole.
Dice la tradizione popolare che le rughe sulla fronte sono segno di saggezza.
Quanto pensi, figlio mio! E’ questo peso che ti alliscia i capelli e preme sulla fronte, così le idee corrono alle tempie e gonfiano i capillari e ridiscendono fino agli occhi e decodificano l’immagine entrata nel cervello alla rovescia, come non la vedevano gli altri?
Io non posso guardare Pierpaolo senza commuovermi, senza dire che era bello, perché c’è in quella immagine - io cresciuto ad immagini - c’è in quel corpo bianco&nero lo stesso odore di corpi, il suo ricordo in me di un mondo fatto di terra, di arbusti che non si strappano, portoni di casolari che tu entri, tu “bocchi” e “su lu focu”, sul fuoco ci sta la marmitta dove nonna e zia stanno a fà la ricotta… capisci, Pierpà, io vedo e me la sento ancora quella ricotta.
Ma tu, che avevi il corpo medievale, che in “Petrolio” mi parli di oggi ma fai l’elogio dello smegma che sta lì intorno alla cappella, come cazzo avresti potuto sopportare la nuova civiltà del disinfetto, anestetizzo, sto zitto, Deogled assorbo tutto e ti artificio, così passeggi tranquillo per Corso matteotti di Varese con la “m” minuscola, perché quello lì allora è morto per un cazzo.
Esco dal quadro, esco dal quadro e dico che facevi bene a portare giacca e cravatta, forse facevi bene, perché l’abito mica fa il monaco, perché mi ci vestirei anch’io - che mi frega? - mica bisogna per forza fare i monaci che bevono dalle pozzanghere per essere vicini al dio tutto uomo che muore, se non necessario, se non indispensabile - io questo lo prendo pari pari dal Rossellini di “Agostino d’Ippona” anche se non vi prendevate bene, perché il tempo passa anche bene quando raccoglie le vostre ceneri e le fa cadere come neve spirituale sui campi di Travedona, dove passo per lavorare, a scuola, quella scuola media che volevi abolire, probabilmente a causa del termine “medio”, e quasi quasi non ti darei torto, ma c’è anche la “medietas” oraziana, il “termine medio” della filosofia classica - mica devi per forza vestire altro per dire «NO a questo. SÌ a quest’Altro, A maiuscola», «NO a questa tribù, SÌ: Noi».
Pierpà, le orecchie. Nel padiglione auricolare, nel gorgo, fino all’orecchio interno, dove viene l’otite peggiore, la voce del mondo contadino: «Jemo a mete, fenà (“mietiamo, fieniamo”)! E l’eco del grido, “lu grido”: «Che ce stemo ffà ecco (“che ci stiamo a fare qui”)?» de chi d’è emigratu in città = sottoproletariato. In bilico sul lobo sta poi l’operaio iscritto al PCI, alla CGIL di Di Vittorio, che nella vittoria della classe operaia, vedi Rivoluzione, ci sperava davvero, con tutto quello che il Vero nel Greco stava col Bello e col Buono, cioè, Aristocrazia di Spirito di
Dante nello scambio di sangue - analisi del sangue - con Gramsci, con Marx. Dietro le orecchie, come rogna da grattare, la borghesia - tranne le élites intellettuali, una parte, pochi eletti, pochi giusti rinnegati in bilico sull’arricciamento della carne, la carne - e l’aristocrazia, molto dietro, come forfora nascosta nella chioma nera.
Il mese in cui nacqui - era marzo, ricordi? - tu fosti colpito da un’ulcera, tu che non bevi, tu che non fumi, tu lo passasti a letto a leggere Platone - perciò dialoghi platonici negli occhi - e mangiavi riso in bianco - tutta una purezza per labbra denti gola fino allo stomaco, alla ferita che si rimargina, al sangue che torna a scorrere nel posto giusto, e l’ispirazione ti fa scrivere non 1 ma 6 drammi.
Ma
tu, Cristo, Pasolini, perché volevi me morto, me morto nato nel ‘66, per te figlio dell’Omologazione. Non volevi che mettessi l’apparecchio ai denti - cazzo, che privilegio! - nel ‘76 ad Ancona? Che non mi comprassi Asterix - il fumetto, Pierpaolo, il fumetto, Pazienza! - in
un pomeriggio da favola, tutto felice dopo l’ospedale in quella città-ventre-balena col porto, dopo che i raggi x mi avevano detto: “Ti mancano 2 denti sotto e, se nascevi prima, avresti avuto i denti sopra davanti come Bugs Bunny, americano, coniglio: era questo che volevi? Io credo proprio di no, però sai quanto mi hai fatto incazzare tu che avevi i denti giusti? Mi sembri Massimo Fini quando ti imita da destra e fa l’elogio di uno sciancato che era accettato più ieri che oggi: ma dici, ma dice sul serio? Ma lo sciancato, pardon, l’handicappato tanto mica era lui, mica eri tu!
Tu con lo stesso cognome di quel motociclista che aveva passione incendiaria per la vita, la vita, e la morte negli occhi: tutti e due morti prima del tempo.
Tu Gioacchino di Giotto, che sta sognando. Adamo di Masaccio, esule, nudo, censurato. Ebreo di Paolo Uccello destinato al rogo . Mosé che cerca di salvare le figlie di Ietro, Rosso, friulano, romano. Tu Pontormo che sta male. Tu nel Deserto degli Ulivi di Mantegna. Tu testa mozzata di Caravaggio in pugno a un Davide che non è Davide, che non ti ha ucciso.
Telefono ad Ombretta e poi parlo con Enzo Siciliano che trasforma la grafite in tungsteno incandescente - ti accende una centrale elettrica nel cuore! - e allora si accenna a quel ritratto che ti fece e poi scomparve in Francia, rapito o comprato da Francesco primo, Napoleone, da un ex-terrorista o da un collezionista di riproduzioni, riproduzioni italiane. Dove sei finito? Anche tu in esilio in Francia? In un castello della Loire? O negli occhi di un ex-sessantottino ogni mattina, nella “ville lumière”? Ah, ma qui, tra noi, almeno c’è il tuo sangue, l’inchiostro, almeno quello!
Poi Enzo mi parla di un altro perseguitato, di Visotskij, nella terra del paradiso realizzato, l’ex-
URSS. Che dire? Che fare? Io sottolineo rubandogli la geometria che Vladimir sarebbe stato corpo e voce perfetti per la tua “Affabulazione”, per certe alienazioni mai risolte anche lì, anche lì dove il russo, il sovietico si affogava nella vodka - mentre tu, come già detto sopra, non bevevi, se non anche tu quel calice amaro - perché la lucidità fa male e invece…
“Sono stremato, ho i tendini a pezzi,
Ma
oggi, ancora come ieri,
Sono braccato. Braccato!
I tiratori, allegri,
corrono ad appostarsi!”.
Da “La caccia ai lupi”.
Di Visotskij.
O di
Pasolini?
O…
LA CITTA' E IL BAMBINO
VELOCITA' DELLA LUCE _ SPEED OF LIGHT
Commento
musicale: Concerto a quattro n.4 in do minore di Baldassarre Galuppi (1706 -
1785)
300.000 km al secondo.
Una sveglietta Braun Quartz batte le 18 e 10 del 3
ottobre 1999. Io, che non amo i vezzeggiativi, avevo proprio bisogno di
scrivere “sveglietta”, di sentirmi dentro queste 10 lettere, come una carezza.
Volevo essere freddo, ma è stato più forte di me.
18.000.000 di km al minuto.
Piove. Noto il mio spicchio di mondo attraverso le
tendine di pizzo della finestra. C’è un disegno di foglie e fiori in serie che
mi stampo negli occhi in tutta la sua tenue evidenza. Così, fuori, è ancora più
nebuloso.
1.080.000.000 km all’ora.
Ma sono i secondi a essere terribili. Non vorrei
ripetere cose già dette. La lancetta dei secondi, esile, gialla. Le lancette
dei minuti e delle ore, bianche, rettangolari, piatte, immobili, rassicuranti.
9.467.280.000.000 km all’anno.
Dal soffitto pende un lampadario del 1979. Si
compone di 2 cilindri concentrici aperti: quello interno di cartapecora, quello
esterno di listarelle di rafia intrecciate. Dentro c’è la lampadina accesa.
Sotto, a picco, ci sono io, e non posso alzarmi. L’ombra della mia testa cade
sul foglio bianco.
Sono passati 10.000.000.000 di anni:
94.672.800.000.000.000.000.000 km.
Stando all’età media dei maschi italiani, sono morto
194.805.190 volte.
15.000.000.000, anno più anno meno, l’età
dell’universo. 142.009.200.000.000.000.000.000 km percorsi.
Siamo tornati al punto di partenza. A passo d’uomo
vi giungerò fra circa 35.502.000.000.000.000.000.000 ore. Poi, farò un salto.
Lì, c’è il Nulla.
Sono le 18 e 47.
A OROLOGERIA _ FAILED TIME
A SIRMIONE, COME CATULLO
CLIENTE Buongiorno.
OROLOGIAIO Buongiorno.
CLIENTE Il mio orologio si è rotto.
OROLOGIAIO La perfetta beatitudine consiste nel non avere coscienza del tempo.
CLIENTE Poiché il mio orologio si è rotto non posso agire in sincronia con i miei simili, che hanno un orologio.
OROLOGIAIO Il suo orologio non ha sofferto, non soffre e non soffrirà neppure una volta sistemato.
CLIENTE Il sistema in cui vivo prevede la presenza di orologi.
OROLOGIAIO Il sistema in cui non possiamo che vivere prevede la coscienza di un tempo che passa.
CLIENTE Quando vedo, quando sento un orologio mi sento più sicuro/a.
OROLOGIAIO Ma la perfetta beatitudine...
Sorride facendo un gesto di rassegnazione. Pausa di silenzio.
CLIENTE Per quando?
OROLOGIAIO Domani.
CLIENTE Buongiorno.
OROLOGIAIO Buongiorno
A SIRMIONE, COME CATULLO
Di’ che ti sarebbe piaciuto incontrare il fantasma del poeta
da ragazzo solo a solo un giorno d’autunno, ridere, piangere, fingere di essere
antichi, invece è estate e sei nel casino all’ingresso del borgo storico.
Tu e il nocciolo delle cose
Quando il romanticismo si vende così bene
Tutto ristoranti e shopping, come all’epoca di Catullo: Lesbia,
me la dai se pago il conto?
Ecco, non te la dà più
Dà con
l’accento
E tu ti ubriachi con un filologo prussiano, dici un sacco di
parolacce in modo veramente raffinato, poi vomiti, poi vedi un fiore, poi pensi
alla notte eterna. Lui ti studia per 1900 anni e diventa cieco – sei sempre
stato un libro da sega – “Se non ti amassi più dei miei occhi”, “Ni te amarem…”,roba
tua, ma lui l’ha dedicata a un altro. Ma dov’è una libreria? A Desenzano.
Mi fermo al lido perché fa troppo caldo e tutto è perfetto –
dai, che devi essere felice, anche se non hai il costume – e il Garda sembra il
mare.
Poeta, è questa l’immortalità per cui facciamo una vita di
merda?
Ce li sentiamo già addosso questi 2/3.000 anni che creperemo
presto?
Mi sa
che eri tu quel passerotto sul ponte di pietra della Rocca. Passer, deliciae
meae puellae (guarda la traduzione su internet), sai che l’hanno restaurata proprio
bene. Ma qui si vive di restauri.
Io non voglio restaurare niente. Oggi va bene così. Sì, oggi
è andata proprio bene.
Il parcheggio non era a tempo
Non era neanche a pagamento
Tutto
gratis, tranne un caffè e un pacchetto di Fortuna, perché la mia è un’epoca
felice.
LA CITTA' E IL BAMBINO
(1995)
[...] Sono
nato in città. Ah, la città, la ville lumière! “Allora la città era tutta
racchiusa in se stessa come in un bozzolo, che era gonfio di me e della mia
felicità”. (W. Benjamin)
Che
culo! Mi è andata proprio bene.
Sulle
vetrate del padiglione sono scolpiti col vapore
La
iniziale quanto inevitabile postura orizzontale mi dà forza come Anteo. Nello
spazio tormentato dalle mie manine nugoli di angioletti come mosche.
Ho
fame: neon diventa tetta!
Le
mie tenere manine in costruzione come pilastri di un grattacielo. Ci divertiamo
a tormentare lo spazio. A solleticare il nonsesso degli angeli.
Ricordo
città attorcigliate come la mia tenera merda... La torre di Babele, il
Labirinto... La mia piccola merda prodigiosa. Che concima i campi, che
concimarono i villaggi, che concimarono le città, concimarono me. E la mia
vertiginosa merda. Con l’ultimo stronzo eretto come il pinnacolo di una
cattedrale.
Dal
basso verso l’alto... La purezza, la salvezza - what? -... Dal basso verso
l’altro: ho un nome e sono parole diversamente, variamente certificate,
codificate. Sono la cartina al tornasole del genere umano, un successo dal
punto di vista biologico, un puntino inquieto nella cartina della mia città
gentilmente offerta dalla Telecom.
Nato
dal raccordo anulare
Vicolo
Corto, Vicolo Stretto
Chiusa
la porta, stretta la via
L’obiettivo
dei miei
Erano Viale dei Giardini e Parco della Vittoria.
[...]
Le
conosco queste città bambine, eternamente bambine, le più crudeli, che hanno
tanto di data di nascita all’anagrafe e il duce e il gran sacerdote hanno
battezzato la prima pietra. Le hanno costruite come Frankenstein.
“Perché?
E le altre allora?”.
Maledetti!
Cosa c’è di più commovente che la costruzione del proprio avvenire?
Queste
città si chiamano Latina, Nowa Huta, San Pietroburgo, Palmanova,
Costantinopoli, Alessandria. Progettate a tavolino, come il figlio che farà
carriera. [...]
NON SOLO LEOPARDI: MENAHEM DA RECANATI
Un Commento alla Genesi molto particolare
Il testo sulla rivista Tellus http://www.tellusfolio.it/index.php?prec=/index.php&cmd=v&id=6101
PENNA A SFERA
Architettura autobiografica
(2010)
Tradate 1/31966 Il cielo è una limpida sfera: al
centro, il disco della terra, piatto come un piano euclideo, come un 45 giri
dello “Zecchino d’oro”. E io sono il perno di questo stereo universale, sono un
piccolo bambino nato in ospedale. All’epoca del grande Augusto c’era la grotta
al freddo e al gelo, ma io, grazie a dio, sono figlio del Servizio Sanitario
Nazionale.
Pogliana,
frazione di Bisuschio 9/6/69 Un palloncino mi è scappato di mano, ormai è su
su che lo afferra una cicogna fra le ali reggendo un cavolfiore che il prete
scaglierà a due mani sulla grande zuffa polverosa di vocine e piedini che
scalceranno di tutto nella rete di San Carlo, rione di Varese. Fermo1/7/71 Scoperta dell’”Idrolitina”. Porto Sant’Elpidio 6/7/76 Solfeggio,
piccole sfere prigioniere di un pentagramma: non imparo a suonare il violino.
Culi a mandolino dei primi giornali pornografici. Induno Olona 7/7/77 Due palle: il cerchio, la sfera e il libro di
Geometria per 3,14 anni di Medie, inferiori + un pallone scagliato da Tampa
Scarparo forse fino all’orbita geostazionaria, sopra l’oratorio. Varese 3/8/83 Scuole superiori: mi
regalano una stilo, ma preferisco la biro. “Somnium Scipionis”: le orbite del
cielo sarebbero sfere che risuonano come i piccoli globi di metallo cinese per
rilassare le mani. Ma questo è latino e Cicerone finisce decapitato. Milano 8/8/88 Alla Statale Carlo Sini mi
spiega Parmenide l’anno dopo lo scudetto del Napoli: Maradona palleggia la
testa di una statua greca. L’Essere è una sfera perfetta che Platone e
Aristotele fanno rotolare in cielo come una palla da biliardo o una di quelle
abatjour multicolori da quattro euro, tanto adorate dal mio cane. Monreale 8/9/98 E il globo terracqueo
del Pantocratore dove lo metti? Nel medioevo mica credevano la terra piatta:
l’Ulisse di Dante varca le Colonne d’Ercole e fa naufragio davanti a Rio de
Janeiro, al Pan di Zucchero. Albissola Marina-Aosta 20/08/2008 Servizio
“Saline di Chaux” per il sale sopra i pomi d’oro delle guardie di Ledoux. Vendo
piatti di ceramica d’autore per una nuova Tavola Rotonda popolare dal mare
alla montagna sempre in volo, reale e
virtuale: IO sono un’opera d’arte multimediale interattiva.
Varese 0/1/10 Sfera dopo sfera riplanerò a
Varese con lo stormo di macchine in uscita dall’Autolaghi, dentro una bolla di
Google Earth. Quando anche l’ultima sarà esplosa Mario Botta mi trapianterà il
cuore con il “Cenotafio di Newton” di Boullée perché ti cerchi sulla terra
anche dalle stelle, mia città. Fine.