NUOVE SFIDE DEI BENI CULTURALI POST LOCKDOWN
Ipotesi di futuro-presente con nuove tecnologie e servizi di API Srl
In questi mesi di fermo forzato per le realtà museali ed espositive abbiamo fortunatamente potuto assistere a una mobilitazione verso il ‘virtuale’ che è altrettanto reale, ma si sposta dalla fruizione di persona a quella interagita con strumenti tecnologici.
Le Nuove Tecnologie, da oltre 20 anni insegnate nelle Accademie e nelle Università, stanno mutando il modo di produrre e fruire l’arte.
Avere tutta l’arte nel contemporaneo significa collegare la storia dell’arte e dei beni culturali alle nuove pratiche artistiche, che cambiano le estetiche contemporanee e modificano anche la divulgazione delle arti, dal cinema al videogame, dalle visite ai musei all’interazione del pubblico in remoto. Siamo fruitori di un’arte diversa che dobbiamo ancora imparare a riconoscere.

Da mesi API Srl, una realtà milanese, stava lavorando a un progetto in questo senso, coi team di sviluppo che si occupano anche di IT per fiere e musei, con Neoludica Game Art Gallery che coniuga arti tradizionali e contemporanee con quelle degli artisti digitalisti del XXI secolo. Proprio in questi ultimi due mesi API è pronta con l’offerta che mette al servizio degli operatori di beni culturali, ma non solo. Dopo un sondaggio anonimo condotto col pubblico e delle call dirette con sondaggi privati con direttori museali e responsabili di Fondazioni, API Srl ha potuto affinare le proposte per affiancare il lavoro tanto appassionato di chi si trova a gestire le arti con adeguate soluzioni tecnologiche.
API Srl ha realizzato, col contributo degli esperti di beni culturali al suo interno,
un sondaggio anonimo col pubblico italiano a cui hanno risposto da tutta Italia
e il risultato è ben illustrato da questa infografica che disegna il profilo
del nuovo consumatore di beni culturali, diverso da come era prima del lockdown
e molto propenso a continuare nella fruizione delle arti anche in remoto.
Queste soluzioni sono dentro la crescita di un’azienda nata nel 1985 e diretta da Massimo Spica che oggi, oltre ai vari servizi per industria e settore pubblico, punta su nuove possibilità.
API Srl offre soprattutto in questa fase realtà aumentata, realtà virtuale e gamification. Le tecnologie però sono un mezzo per raggiungere degli obiettivi. “Abbiamo pensato al mondo degli eventi - dice il direttore generale - come mostre, fiere, convegni, sfilate di moda… che da febbraio sono fermi e dove attraverso l’uso di tecnologie come Blockchain, Realtà Virtuale permettiamo agli organizzatori di svolgerle seguendo le indicazioni di distanziamento sociale, creando coinvolgimento ed emozione oltre che il contatto umano seppur a distanza. Un ulteriore sforzo interno riguarda i musei, l’arte e la cultura in generale dove applichiamo le stesse tecnologie per creare percorsi veri e propri di coinvolgimento e immersività nel realismo delle opere con ricadute anche sull’indotto che normalmente accompagna una visita fisica al luogo (api-arvr.com/cultura). A questo si aggiunge la collaborazione con Neoludica che si occupa da 12 anni di arti digitali ma con una preparazione professionale di lettere e arti classiche tale da offrire una consulenza a 360° a Musei, Fondazioni, Gallerie, Archivi, ecc. La nostra carta vincente è un team interdisciplinare, per cui non si hanno solo servizi tecnici ma un tuttotondo di saperi umanistici e scientifici che fanno la differenza”.
Attingere alle esperienze di professionisti di vari settori, soprattutto quello della cultura e delle arti, è quello che contraddistingue API nel panorama delle aziende che offrono servizi di digitalizzazione al mondo dei beni culturali. Un mix di scienza e bellezza. Queste tecnologie sono nuovissime per il mercato industriale e API si sta reinventando un’ennesima volta con esse. “Pensiamo che il futuro sia adesso - conclude Spica - per questo ci appassiona metterci alla prova al servizio degli altri, per creare insieme nuovi disegni di futuro, un design thinking condiviso che è anche alla base del nostro processo di formulazione servizi”.
I servizi di API Srl per il mondo delle arti, delle fiere, dello showbiz
App Augmented Reality, app VR, cataloghi in 3D, musei virtuali interattivi e spazi virtuali per mostrare opere a magazzino che così possono essere studiate, gamification per processi di engagement, fiere e spettacoli virtuali, piattaforma per e-learning-webinar-workshop-corsi, eventi online.
API Mostre con E.V.A. (Exhibit Virtual Art)
Luca Traini
WATERFALL OF TIME YOSHIN OGATA SCULPTURES
Una nuova mostra a cura di Debora Ferrari e Luca Traini, un nuovo catalogo TraRari TIPI, col mecenatismo di Banca Generali Private e in collaborazione coi Musei Civici di Varese, patrocinio Comune di Varese
INAUGURAZIONE domenica 11 luglio ore 11.30, con la presenza dell’artista,uno dei grandi della scultura in campo internazionale
SALA VERATTI, VARESE, DALL’11.7 ALL’1.8.2021, dal giovedì alla domenica ore 15-18.30 Ingresso libero

Foto di D. Barraco
Yoshin Ogata nasce a Miyakonojo in Giappone nel 1948. Espone le sue prime sculture nel 1969 a Tokyo e nel 1970 si trasferisce a Londra. Quindi viaggia in Europa, poi negli Stati Uniti e in Messico, dove svolge le sue ricerche nei musei locali. Vive tra Wakayama e il Golfo dei Poeti a La Spezia ed è uno dei più rinomati scultori giapponesi. Numerosissime le sue mostre e le opere pubbliche in tutto il mondo.
Le sue sculture sono da sempre caratterizzate dall’elaborazione dell’elemento ambientale, sia nel segno che nella materia, pietra, legno, metallo, spesso sul tema dell’acqua, della goccia come impronta e soggetto.
In Sala Veratti, da luglio ad agosto, con il sostegno di Banca Generali Private insieme a la collaborazione di Liguria Vintage Design e LarioIn, sono esposte sculture, fotografie dei monumenti realizzati nel mondo e bozzetti. Catalogo Trarari TIPI in mostra. Sarà presente lo scultore Yoshin Ogata per incontrare il pubblico nella sede espositiva.
“Banca Generali è orgogliosa di sostenere la mostra di Yoshin Ogata, un artista completo, dall’animo internazionale e con una visione aperta sul mondo. La personale ospitata dal Comune di Varese è un’iniziativa importante di cui, mai come in questo momento, sentivamo il bisogno. Abbiamo patito tutti la mancanza dell’arte e della cultura vissuta dal vivo. Finalmente siamo tornati” dicono Daniela Parravano della filiale varesina BGP e Guido Stancanelli district manager di Banca Generali e presidente di LarioIn, associazione culturale che da più di un decennio opera sul territorio.
“Può stupire che uno scultore decida di incentrare il proprio lavoro nel marmo, nei graniti e travertini, nel bronzo, su ciò che per antonomasia una forma non ha se non quella di ciò che la racchiude: l’acqua -scrive Debora Ferrari. Eppure Yoshin Ogata, dalla seconda metà del secolo trascorso a oggi, dedica la sua attenzione non al suo incessante scorrere eracliteo, ma all’attimo dinamico che ce la racconta. E’ un divenire diverso quello che cogliamo nell’istantanea scolpita nei sedimenti minerali della terra, un fermo-immagine solido, compiuto, universale: la trasmutazione che avviene nella materia grazie al pensiero del suo autore”. E prosegue Luca Traini “Nel segno della pietra, che unisce simbolicamente cielo e terra (e rispettive acque). Dai vulcani del Sol Levante alle Alpi Apuane, a quei marmi di Carrara in cui ha saputo fondere il lavoro della nostra tradizione con la concezione vitalistica della natura della cosmologia nipponica, dove non esiste una netta demarcazione fra oggetti e creature viventi”.
L’esposizione in Sala Veratti ospita una ventina di sculture tra il 1970 e i nostri giorni, pannelli fotografici con le opere monumentali dello scultore nipponico, informazioni sull’artista e un percorso guidato di visita insieme all’antropologo Armando Montoya, con la direzione artistica e organizzativa di Musea TraRari TIPI, la piccola casa editrice varesina che ha curato e pubblicato anche il catalogo per questo evento internazionale.
L'ospitalità dello scultore è stata curata da Capolago Hotel, che ha anche allestito un'area dedicata nella reception.
Info: culturalbrokers@gmail.com
Fb: Trararitipi_eventi e libri intorno all’arte
Twitter @trararitipi
www.yoshinogata.com
Vedi anche
lucatraini.blogspot.com/2021/07/waterfall-of-time-yoshin-ogata.html
NICOLA PERUCCA, Città librerie e altre storie
Una nuova mostra a cura di Debora Ferrari, un nuovo catalogo TraRari TIPI
Atelier Capricorno, Cocquio Trevisago (VA), fino al 25 luglio, nell’ambito dell’evento ComicSponde
Teamwork con l’autore Domenica 25/7 ore 16

“In Città Librerie e altre storie Nicola Perucca, esprimendo anche il suo amore letterario, ci prende per mano nella sua tecnica fluida e ci trasforma nel pubblico di lettori-pellegrini-viandanti, i libri diventano architetture su cui poggiare i piedi e rampe di lancio verso infiniti sogni, ma densi di materia e di possibilità non solo creative ma tangibili. Il Cosmo dipinto è multidimensionale e percepiamo la differenza dei protagonisti umani o di carta nella loro singolarità, in un dinamismo quasi futurista del XXI secolo, ancorato alla presenza più che all’assenza evocata comunque, dove astrazione e figurazione si scambiano le parti in un gioco di vuoti e pieni, di profondità e rilievo, com’è nella vita.
‘Se il tempo deve finire, lo si può descrivere, istante per istante - pensa Palomar - e ogni istante, a descriverlo, si dilata tanto che non se ne vede più la fine. Forse è quello il suo segreto: soddisfatto d’essere, riduce il fare al minimo? Non possiamo conoscere nulla d’esterno a noi scavalcando noi stessi’.
Questo e altri misteri ci vengono offerti da Nicola Perucca”.
Debora Ferrari (tratto dal catalogo edito da TraRari TIPI)
Introduzione/Emersione
“Borges nella valigia di Cesare Cosmico, il connesso viaggiatore nell’atto di estrarre un volume dalla Biblioteca, oceanica, del Mare. L’altra Biblioteca, quella di Babele, espressa o sottintesa, affiora da acquarelli, si spande per inchiostri, si dispone in acrilici per distendersi su carte indiane o cartone telato. Architetture di libri perché il libro è architettura e pietra angolare della nostra civiltà (un grande sogno ad angolo retto).
Città Librerie dove perdersi e ritrovarsi perché metropoli unica dove misura, cifra è smarrimento e stupore, preludio alla costruzione del nostro cosmo interiore, prologo alla visione, alla realizzazione di nuovi mondi più umani, superiori al 5% di noi stessi delegato al quotidiano.
Apparire piccoli e fantasmi nell’atto di contemplare, magari persi in un vortice, che sale, è una salutare presa di coscienza. Diventiamo voce del verbo “essere” nella Città Libreria delle Luci come in quella di Levante - Nicola vive e lavora a La Spezia - nel Cuore di ogni sua Biblioteca (le stele nere e blu come lo spazio profondo), custodi del suo Nucleo sempre luminoso”.
Luca Traini
IL DIRITTO E IL ROVESCIO DELL'ARTE
Come una premessa
Esce il volume di Tiziana Zanetti, studiosa di Diritto dell’Arte e di Beni Culturali con
collaborazioni editoriali prestigiose alle spalle. Un libro dove le questioni giuridiche
sono rese chiare e piacevoli da un tono narrativo puntuale, scientifico e sagace.
Una nuova
pubblicazione TraRari TIPI (la casa editrice fondata da Debora Ferrari e dal
sottoscritto), Collana Lucernaria, 124 pagine, carta Fedrigoni, brossura, 2020, €
18,00. Sui maggiori store online e nelle librerie che sostengono l’editoria
locale e artistica.
L’arte
è molto più di quel che vediamo. Oltre al
soggetto, alla tecnica, alla composizione, al colore… c’è un’altra dimensione,
a volte registrata sul retro dell’opera (più facile immaginare la questione per
un dipinto) che testimonia la sua vita, la sua provenienza ovvero le vicende
che, suo malgrado, ha vissuto. Ma il titolo vuol riferirsi anche al diritto
dell’arte e del patrimonio culturale, “materia” che viene raccontata attraverso
la vita quotidiana, nella sua normalità e nei suoi momenti eccezionali, e al rovescio,
il diritto penale, chiamato ad intervenire in caso di furto, ricettazione,
contraffazione, esportazione illecita, danneggiamento.
La
forma del nostro Paese è il risultato “stratigrafico” dei suoi beni di
interesse culturale, dei suoi paesaggi, dei loro significati e valori, degli
uomini che li hanno compresi, rinnovati (o umiliati) nel tempo, ma anche delle “regole”
che si sono dati per difenderli: una tradizione che, nell’attraversamento
dei secoli e dei luoghi, parla di bellezza, civiltà, responsabilità (ma anche
di sgomento e impotenza di fronte alla barbarie). Una memoria viva che ha
plasmato il carattere degli italiani, e prima ancora il loro sguardo, che a
volte sembra essersi abituato a tanta ricchezza da darla per scontata.
Conoscere le regole della tutela e della
valorizzazione del patrimonio culturale può servire a ridestare l’attenzione, a
non abbassare mai la guardia. La loro finalità più alta è quella di difendere,
vivificare e restituire agli individui un bene che è fonte, tra l’altro, di una
joie de vivre intensa e benefica che diventa, per il viaggiatore
forestiero attento e curioso che attraversi il nostro Paese, uno dei più cari e
introvabili souvenir d’Italie.
Si
prova a disegnare una cornice, in forma di dialogo interdisciplinare (in uno
spazio privilegiato intitolato “Specialmente”) e di esperienza del tutto
personale, nella quale collocare alcune questioni, sempre attuali perché senza
risposte ultime e definitive, che sfidano il nostro sguardo e dalle quali dipende
il nostro modo di vedere, di percepire e di rapportarci con gli altri e con le
“cose” che ci circondano.
Si arriva a stabilire che non solo l’arte è molto
più di quel che vediamo ma quel che vediamo, tanto più in un Paese come l’Italia,
dipende da quel che siamo o scegliamo di essere ogni giorno, come singoli e
come comunità. In questa scelta rientrano anche la volontà e l’impegno nel
voler conoscere non solo il diritto ma anche il rovescio (ed evidentemente non
ci si riferisce solo a quello dell’arte).
Il libro appena uscito avrebbe dovuto essere presentato in un
museo civico con un evento di musica e parole, purtroppo rinviato a causa delle restrizioni per l’emergenza sanitaria. Verrà
organizzato a breve un incontro online con l’autrice e la casa editrice per
poter tener vivo il rapporto col lettore che TraRari TIPI ha sempre
coltivato con presentazioni, mostre, concerti e simposi artistici.
Sarà comunicata la data sulla pagina
Facebook www.facebook.com/groups/trararitipi/
Tiziana
Zanetti, studiosa del diritto dell’arte e dei beni culturali, vive sul Lago
di Gavirate. Ricercatrice dell’Istituto di Antropologia per la Cultura della
Famiglia e della Persona di Milano; Responsabile scientifico di progetti di
studio e documentazione relativi ai beni culturali (immateriali specialmente);
si occupa di educazione e formazione in materia di tutela (penale) del
patrimonio storico-artistico. Ha scritto per Gazzetta Ambiente, Il
Giornale dell’Arte, Hestetika.
Curatrice e co-autrice dei volumi, editi da San Paolo, Arte e legalità. Per
un’educazione civica al patrimonio culturale, 2018; Il Bello e il
Giusto. Sulla tutela del patrimonio culturale e la sua fragilità, 2019 e L’Arte
e il Mistero. Sui beni culturali di interesse religioso 2020, scritti con
magistrati, avvocati e antropologi.
Per contatti, immagini e libro da recensire per la stampa:
culturalbrokers@gmail.com
UN POMERIGGIO NELL’ARTE
Presentazione del libro al Museo Bodini di Gemonio (VA) 30 Maggio 2021
In compagnia dei capolavori di Floriano Bodini, uno dei nostri grandi scultori del ‘900, nel museo che ha voluto nella sua Gemonio (VA). In armonia con la forza, la tensione spirituale e la dimensione epica delle sue opere quanto sottolinea con lucida passione l’autrice in un testo di particolare importanza per la salvaguardia del nostro patrimonio culturale: “L’arte è molto più di quel che vediamo ma quel che vediamo, tanto più in un Paese come l’Italia, dipende da quel che siamo o scegliamo di essere ogni giorno, come singoli e come comunità”.
In contemporanea la mostra di Mino Ceretti, (inaugurata il 9 maggio e visitabile fino al 13 giugno) un altro dei protagonisti del Realismo Esistenziale, renderà ancora più pregnante il discorso su vecchi e nuovi linguaggi con cui comprendere – e quindi tutelare – l’opera d’arte. Argomento che vedrà anche i preziosi contributi del giurista e docente universitario Leonardo Salvemini e del giudice penale Annalisa Palomba.
Con le ambientazioni sonore della fisarmonica di Saro Calandi, musicista di caratura internazionale, e del didjeridoo di Stefano Ravotti, polistrumentista e musicoterapeuta, perché l’arte è tradizione e ancestrale che guarda sempre al futuro.
Domenica 30 maggio al Museo tra arte, musica e libri.
L’arte dipende da quel che siamo o che scegliamo di essere ogni giorno
IL
DIRITTO E IL ROVESCIO DELL’ARTE
Fondazione Sangregorio 18.9.2021 ore 17
Un nuovo incontro dedicato all’Arte alla FondazioneGiancarlo Sangregorio di Sesto Calende. Sabato 18 settembre il
pubblico potrà dialogare con una studiosa varesina molto particolare, l’autrice
del libro Tiziana Zanetti, gli editori Debora Ferrari e Luca
Traini e la prof.ssa Stefania Barile del Centro Internazionale
Insubrico Carlo Cattaneo e Giulio Preti
(con cui sia la scrittrice che gli editori hanno collaborato in diversi
progetti sulla cultura della legalità e sul civic engagement).
Oltre alla Fondazione dedicata al grande scultore, organizzatrice insieme a Musea TraRari TIPI,
l’evento gode del patrocinio dell’INDAC (Istituto Nazionale per il Diritto dell’Arte e dei Beni Culturali), che ha fra i suoi scopi
principali la tutela e la valorizzazione del nostro prezioso e delicato
patrimonio culturale. Un patrocinio importante, perfettamente coerente con la
prospettiva culturale e giuridica del volume e delle riflessioni che verranno
proposte durante l’incontro.
La riflessione sul patrimonio culturale deve
necessariamente tener conto anche della dimensione internazionale e di quei
traguardi fondamentali per il benessere previsti in “Agenda 2030”, come
si legge nella Premessa del volume, col contributo prezioso ed
autorevole di Leonardo Salvemini, giurista ambientale, avvocato e
docente universitario.
Il diritto e il rovescio dell'arte. Come
una premessa
di Tiziana Zanetti, studiosa di Diritto dell’Arte e del Patrimonio
culturale con collaborazioni editoriali prestigiose alle spalle. Un libro nel
quale le questioni giuridiche sono rese chiare e piacevoli da un tono narrativo
puntuale, scientifico e sagace.
Il libro sarà
disponibile alla presentazione anche per il firmacopie dell’autrice.
GUTTUSO RITROVATO
L'ostrica di Verga, l'uomo attaccato allo scoglio della miseria e degli affetti,
soffre come e quanto l'uomo in fuga, l'uomo in rivolta di Guttuso.
Il sistema della sofferenza, il sistema della passione
Leonardo Sciascia
GUTTUSO RITROVATO
Inaugurazione e svelamento dell’opera Venerdì 29 Novembre alle ore 17.30,
Banca Generali Private, Varese
Particolare dell'opera
Dipingo per me, prima di tutto, ma con la precisa coscienza che io sono come gli altri, sono anch’io uno del pubblico.
Quindi, esplorare il mio petto, come diceva Leopardi, significa esplorare il petto di tanti altri, della gente, dell’umanità.
Renato Guttuso
Proseguendo l’operazione iniziata in estate con la mostra Come la luce, dove i curatori hanno riportato alla luce opere importanti da collezioni private, verrà presentato alla cittadinanza un capolavoro di Renato Guttuso custodito in collezione privata da lungo tempo: Naufragio (1950).
L'opera in ceramica di grandi dimensioni, di particolare originalità e pregnante forza evocativa, resterà in visione fino al 19 gennaio, mentre prosegue anche la grande mostra Guttuso a Varese nei Musei Civici di Villa Mirabello.
L’ esposizione in Banca Generali Private (Piazzetta San Lorenzo, accanto alla Basilica di San Vittore, in pieno centro storico), in collaborazione col Comune di Varese, è accompagnata da una plaquette con interventi dei curatori, di Serena Contini, curatrice della mostra a Villa Mirabello, e di Guido Stancanelli, District Manager, e Daniela Parravano di Banca Generali Private Varese.
La nuova plaquette TraRari TIPI
Siamo felici di sostenere e ospitare presso la nostra sede una presentazione così eccezionalmente unica. Siamo convinti che il nostro sostegno ai risparmiatori del territorio debba andare oltre la tradizionale sfera degli investimenti e per questo motivo vogliamo coinvolgere i nostri clienti e tutti gli appassionati di beni culturali in percorsi originali e fuori dagli schemi tradizionali di fruizione dell’arte dichiara Guido Stancanelli, District Manager di Banca Generali Private a Varese, Como e Legnano.
Questo aspetto dei patrimoni privati di beni artistici è molto importante -aggiunge Daniela Parravano di Banca Generali Private di Varese- perché nel diritto dell’arte anche una proprietà privata contiene un senso civico pubblico e parlando di investimenti, l’arte e la cultura sono sempre importanti per la crescita di una società.
L’opera, inserita già nel catalogo generale di Crispolti vol. 4,
sarà svelata al pubblico solo in occasione del vernissage del 29 novembre.
Per Guttuso Varese, durante più di un trentennio, fu luogo di affetti e di incontri. Qui coltivò rapporti amicali e professionali con uomini di cultura che nella città prealpina vivevano o trascorrevano, come lui, periodi di villeggiatura. Serena Contini
È sempre interessante ricostruire i percorsi di un’opera d’arte, soprattutto quando da una vita pubblica passa a vita privata e viceversa, perché nel suo iter ripercorriamo i gusti e i tratti del collezionismo e del mercato dell’arte, tanto quanto l’importanza culturale del significato nella società di ieri e di oggi. Debora Ferrari
Una costante dell’arte di Renato Guttuso dalla prima giovinezza agli ultimi anni è la partecipazione ai diversi aspetti della sofferenza umana e alle forme di rivolta e di solidarietà che ne conseguono. Nel contesto di una natura, continuamente indagata ed evocata in profondo, che non è mai indifferente, anzi, in profonda simbiosi col sentire dell’artista. Luca Traini
COME LA LUCE _ DAI MACCHIAIOLI ALLO SPAZIALISMO
Una nuova mostra curata da Debora Ferrari e Luca Traini, un nuovo libro TraRari TIPI

COME LA LUCE
Dai Macchiaioli allo Spazialismo_collezionando a Varese
Castello di Masnago, Via Cola di Rienzo, Varese
Banca Generali Private, Piazzetta San Lorenzo, Varese

Una mostra e un libro nascono dalla catalogazione di due anni con collezioni private varesine da parte dei curatori. Le opere coprono un periodo tra XIX e XX secolo e tra queste il trait d’union è l’evoluzione della materia ‘luce’ nelle opere pittoriche e il gusto borghese per la piccola scultura a cavallo fra Otto e Novecento, senza dimenticare eleganti suppellettili quotidiane come servizi di porcellana e vasi a firma di noti artisti e designer di un secolo fa. Ciò che il pubblico può raccogliere è uno spaccato di senso privato del possedere la bellezza. Ma il pregio di questa operazione resa pubblica, grazie all’appassionata condiscendenza dei proprietari delle opere, è il poter riconsegnare alla storia dell’arte opere occultate ai più per oltre cinquant’anni perché parti della vita di casa dei collezionisti, pezzi pregevoli e unici, pezzi rari e opere attribuite da riconfermare, tutte facenti parte del processo del collezionare che oggi assume regole e leggi nuove nel diritto dell’arte e nel senso civico di appartenenza alla nostra società contemporanea.

Ne escono scoperte e riscoperte, riflessioni nuove innestate sulle antiche dove si era fermato il tempo, possibilità per addetti ai lavori e non di accedere a un patrimonio personale, qui condiviso grazie anche all’amministrazione del Comune di Varese e alla sinergia di enti e partner, Banca Generali Private in primis che da sempre ha tra le sue mission quella della valorizzazione del patrimonio artistico e culturale.
Fattori, Lega, De Nittis, Boldini, Zandomeneghi, Albertini, Tommasi, Miti Zanetti, Maggi, Pellini, Sironi, Funi, Lilloni, Spilimbergo, Ligabue, Casarotti, Pellini, De Chirico, Crippa, Melotti, Fontana, sono alcuni dei nomi importanti presenti, che si completano con la presenza e le opere di tre artisti contemporanei quali Samuele Arcangoli, Vittorio D’Ambros, Stella Ranza, e di due fotografi d’arte come Roberto Molinari e Raffaella Grandi.
La mostra è corredata dal catalogo edito da TraRari TIPI con interessanti testi e contributi di Debora Ferrari, Luca Traini, Stefania Barile, Tiziana Zanetti.
Banca Generali si presenta nella sua nuova ‘casa’ varesina nel capoluogo e per due mesi, il periodo della mostra al Castello di Masnago, ospita per chi vorrà visitarla, non solo i clienti, quadri, sculture e fotografie legate alla mostra, come una vetrina nel cuore della città per invitare a passare al Castello.
Durante la conferenza stampa nella sede, il 13 luglio alle 11.30, alla presenza del District Manager di Banca Generali Private Guido Stancanelli, del Direttore dei Musei Civici Daniele Cassinelli e del Sindaco Davide Galimberti, i curatori e gli artisti spiegheranno la mostra e gli eventi che animeranno le sale del Castello fino a settembre.
Tra i partner di progetto anche Atelier Pellini di Milano e Casa Fontana a Comabbio che aprirà su prenotazione al pubblico appositamente per il progetto il 7 settembre, data di ricorrenza della morte di Fontana avvenuta nel 1968.
La mostra è organizzata da E-Ludo Lab con Musea Trarari TIPI e ha il patrocinio del Comune di Varese e dei Musei Civici Varesini.
Tra i partner che collaborano al progetto segnaliamo anche:
SIFFRA Farmaceutici, JOY CYCLINSIDE, FLAI GRAPHIC DESIGN, LOGANDSHIP Varese.
Foto (tranne quelle nel manifesto, il catalogo e il disegno di Fontana) di Guido Paolo Rubino.
APPUNTI DI VIAGGIO
FINISSAGE Conferenza Collezionismo, mecenatismo e diritto dell'arte
“Collezionare arte è un’operazione complessa e affascinante sotto il profilo culturale, intellettuale, sociale e non meno giuridico: il bene in questione non è un bene qualunque pertanto le regole che lo disciplinano sono peculiari e specifiche in un delicato equilibrio tra pubblico e privato”.
Così scrive Tiziana Zanetti, esperta in diritto del patrimonio culturale, che sarà relatrice con i curatori Debora Ferrari e Luca Traini, la critica d’arte Stefania Barile e Stefano Vittorini, che cura le eredità culturali dello scrittore Elio Vittorini e degli scultori Eros ed Eugenio Pellini, in particolare l’atelier in Milano di questi ultimi, che data più di un secolo.
A Varese, Castello di Masnago, domenica 8 settembre ore 15.
In foto: immagini della mostra (al centro l’inaugurazione col sindaco Galimberti), tre quadri esposti (Monte Rosa di Maggi, Cleopatra di Funi, Cavallo orientale di De Chirico), tre libri curati dai relatori (Arte e legalità, San Paolo Edizioni, da Tiziana Zanetti; Come la luce, TraRari TIPI, da Debora Ferrari e Luca Traini; Mutazioni:da De Chirico a De Maria, Mazzotta, da Debora Ferrari e Stefania Barile).
APERTURA STRAORDINARIA DELLA CASA DI LUCIO FONTANA A COMABBIO
SABATO 7 SETTEMBRE
Rimasta intatta come 50 anni fa, come se l’artista fosse appena uscito e stesse per rientrare dopo un hashtagviaggio nello spazio.
Un hashtagevento straordinario quello di hashtagsabato 7 hashtagsettembre: la Casa-Atelier di Lucio Fontana di hashtagComabbio (hashtagVA) viene aperta dai nipoti per permettere al pubblico della hashtagmostra COME LA LUCE di visitare in modo privato una dimora mantenuta con il rispetto e il carattere di chi l’aveva voluta così, Lucio con la moglie Teresita. Durante la visita che sarà possibile a poche persone per volta -una decina (alle 16 e alle 17)- Luca Traini farà dei momenti di hashtagreading letterario e poetico con testi di e su Fontana; Debora Ferrari, coi nipoti Matteo e Marta Vailati, guiderà i racconti dentro le stanze finemente arredate da mobili di hashtagdesign e da armadi e dispense disegnate e fatte realizzare dallo stesso Fontana. Lucio Fontana e lo hashtagSpazialismo hanno generato movimenti e correnti che dopo la sua morte hanno continuato la riflessione su hashtagspazio-tempo-hashtag - hashtagmateria per alcuni decenni con grandi nomi.
Per prenotarsi scrivere a culturalbrokers@gmail.com

I Contemporanei: le tavole di Samuele Arcangioli, gli acciai ossidati di Vittorio D’Ambros,
le ceramiche di Stella Ranza nel Segno di Lucio Fontana
Se Fontana non fece in tempo ad assistere al primo allunaggio, Samuele Arcangioli, Vittorio D’Ambros e Stella Ranza (il cui nonno, Riccardo Crippa, industriale fondatore di Caffè Hag e pittore, fu proprio il mecenate del rinnovamento estetico di Lucio) hanno vissuto l’epoca delle stazioni spaziali e vivono il trionfo dell’immaterialità nell’era di internet – nel caso di Arcangioli, poi, si dedicano anche alla nuova arte ispirata ai videogame, la Game Art di Neoludica – e in questo nuovo contesto hanno affrontato con grande originalità, ognuno col proprio bagaglio di strumenti e forme, l’esperienza imprescindibile del fondatore dello Spazialismo. La radiazione di fondo di un grande artista non è gelida, mantiene costante il suo calore dando il giusto grado di cottura alle ceramiche di Stella, l’opportuna misura del fuoco per le saldature dei metalli di Vittorio, il tepore per le radici e l’incandescenza per le tavole di Samuele.

Commento musicale: Germaine Tailleferre, Concertino per arpa e orchestra
Come per hashtagVenezia, il filo conduttore è liquido e gioca col cielo – la pioggia nel passaggio cinematografico dallo studio per Place des Pyramides alla Donna con ombrello di Giuseppe De Nittis – e col rigoglio floreale della statua immersa nel hashtaggiardino di Versailles e le acque della Senna solcate dai canottieri dei hashtagpaesaggi di Giovanni Boldini, futuro astro della Belle hashtagÉpoque.
“Une œuvre d'art est un coin de la création vu à travers un tempérament”(Émile Zola).
Nuovo abito morale, nuova moda dai colori sobri (soprattutto maschile) e un persistente baricentro per i protagonisti dell’arte della prima Età Contemporanea, Parigi, fino alla seconda guerra mondiale.
E la Ville Lumière resta un obiettivo privilegiato per gli artisti di uno Stato Italiano sentito allo stesso tempo troppo giovane ma anche troppo gravato da una grande - e pesante - eredità del passato.

Venezia: Interni, Riflessi, Notturni
La visita di Zandomeneghi apre al passaggio dallo stato solido a quello liquido della Laguna di Guglielmo Ciardi: presenze umane emergono dalla simbiosi di hashtagacqua e hashtagcielo. In cerca di un approdo: l’ombra o il sole in un angolo del Mercato di Rubens Santoro. Per tornare al grande connubio Notturno degli elementi – la hashtagluce ha un’origine oscura – nella tela di Miti Zanetti.
Una hashtagVenezia che rinasce, riaffiora lentamente insieme al giovane Stato italiano, dopo l’eroico sussulto risorgimentale, e, a cavallo fra ‘800 e ‘900, torna protagonista nel campo dell’arte. Grazie alla hashtagBiennale, nata da una delibera comunale del 1893 fortemente voluta dal sindaco progressista e hashtagpoeta Riccardo Selvatico:
“E mi sul molo pensieroso intanto
che vado tormentandome a dar viva
tuta la hashtagpoesia
de quel’incanto”.
I Macchiaioli e il ritorno alla natura
Commento musicale: Alfredo Catalani, Contemplazione
Vedere con occhi nuovi la luce qui e ora, mentre dà vita alle forme come simbiosi di macchie di colore e chiaroscuri, è una ricerca del vero e quindi una riflessione sulla hashtagstoria. Sui nuovi protagonisti,borghesi e proletari (in particolare contadini) fermati nell’attimo del loro rapporto con l’oggettiva presenza nella hashtagnatura. Lavoro, riflessione e contemplazione come espressione dell’intensità delle relazioni umane al loro interno e nella loro interiorità così come – e questo è il retaggio romantico – della loro assenza nell’evocazione dei fenomeni naturali.
La Carovana di Telemaco Signorini è un inno alla forza del hashtaglavoro come la grazia delle Contadine di Angiolo Tommasi. Il Paesaggio autunnale dello stesso Signorini trapassa nell’estate dei Pini all’Ardenza di Ludovico Tommasi e dalle ombre degli stessi prende forma La donna che legge di Silvestro Lega. Riflessione assorta, allusiva, presente e allo stesso tempo assente come il Paesaggio fluviale e la Marina di Fattori.
NEL SEGNO DI LUCIO FONTANA
Disegni e ceramiche tra Varese, Albissola e Comabbio
con i disegni di Lucio Fontana dalla Collezione Crippa
Samuele Arcangioli Vittorio D’Ambros Stella Ranza Angelo Zilio
Fotografie di Roberto Molinari
A cura di Debora Ferrari, Luca Traini, Paola Grappiolo,
Apertura straordinaria Casa Fontana 22 luglio dalle 17 alle 19.30,
visita e reading previa prenotazione a culturalbrokers@gmail.com
http://viaggionelsegnodifontana.blogspot.it/2016/07/22-luglio-2016-apre-per-un-giorno-la.html
"Questo segno prende vita attraverso la luce e la carta, la macchina analogica fotografica con la pellicola del secolo scorso e la foto digitale di oggi, nelle testimonianze artistiche dei fotografi Gian Barbieri e Roberto Molinari, quest’ultimo pervaso dalla sua ispirazione e dal modo di insegnarci a vedere il mondo con tanta delicatezza da rendere icona anche il taglierino, i colori, i punteruoli, le ciabatte, la vestaglia, il giubbotto, il cappello di Fontana, oggi, in casa sua a Comabbio, come se il grande genio fosse di là, nell’altra stanza, proprio dove stava seduto quando lo fotografava l’amico Gian nel 1966-68."

Un evento straordinario quello di venerdì 22 luglio: la Casa-Atelier di Lucio Fontana di Comabbio viene aperta dai nipoti Esposto-Vailati per permettere al pubblico del progetto Nel segno di Fontana di visitare in modo privato una dimora mantenuta con il rispetto e il carattere di chi l’aveva voluta così, Lucio con la moglie Teresita.
Durante la visita che sarà possibile a poche persone per volta –una decina- gli artisti Samuele Arcangioli, vittorio D’Ambros, Stella Ranza, Angelo Zilio staranno in giardino a disegnare e dialogare col pubblico, Luca Traini farà dei momenti di reading letterario e poetico con testi di Fontana e poesie di Crippa, Debora Ferrari insieme ai nipoti Anna, Matteo e Marta Vailati, guiderà i racconti dentro le stanze finemente arredate da mobili di design e da armadi e dispense disegnate e fatte realizzare dallo stesso Fontana.
L’arte di Lucio Fontana, così come quella di altri grandi esposti in mostra comeFausto Melotti, Renato Birolli, Ernesto N. Rogers, non sarebbe potuta essere come la conosciamo senza la figura di amici-mecenati come sono stati Riccardo Crippa a Varese e Tullio d’Albisola ad Albissola Marina.
"Prima di partire per lo spazio
Prima di partire per la luna
Come artista
Come uomo
Fontana venne nella nostra provincia
Elaborando carte percorsi mappe dell’anima
Nella casa di un amico: Riccardo Crippa.
Per arrivare da Comabbio a Varese devi attraversare i paesaggi dipinti da Crippa, è il contesto del suo salotto – leggi “simposio”, leggi “anima” – dove ti ritroverai nei disegni di Fontana, insieme a Birolli, Melotti, Rogers. Lo spaziotempo è quello che precede i Concetti Spaziali, la sua luce un calore domestico in felice contrasto con le superfici lunari."
Alla Sala Lucio Fontana è presente la parte espositiva con la figura del mecenate, pittore anche lui, Riccardo Crippa (di cui in mostra è presente un ritratto di Achille Funi), che intorno a sé aveva amici destinati a diventare importanti nel corso del secolo e che lui sosteneva in amicizia ed economicamente. Crippa è stato un grande industriale, fondatore col socio Berger di Caffè Hag, e per l’industria sacrificò molta sua ispirazione artistica, testimoniata per altro dalla ricca produzione di oli e disegni, esposti in parte a Comabbio.

I curatori Debora Ferrari e Luca Traini, hanno curato un libro-catalogo edito da TraRari TIPI che offre spunti inediti sulla lettura dell’arte di Fontana, partendo proprio dall’intimità del segno, dal senso del suo esserci oggi, dall’importanza delle relazioni umane un secolo fa e adesso, all’inizio di questo terzo millennio. Questo era il sogno dello Spazialismo, perché “l'arte è eterna, non può essere immortale. Morrà come materia (…) ma il gesto è eterno” [dal Primo manifesto dello Spazialismo, 1947].
Il progetto è patrocinato dai Comuni di Albissola Marina e Comabbio, dalla Regione Liguria, dalla Provincia di Savona, da TuoMuseo; è inserito nel Festival della Maiolica di Albisola Marina.
Comabbio, Sala Fontana: 26.6 >31.7.2016 Opere di Crippa, disegni di Fontana, Birolli, Rogers, sculture di Melotti, fotografie di Molinari.
Albissola, MuDA e Bludiprussia 2.7 >7.8.2016 Disegni di Fontana, fotografie di Molinari e Barbieri; Bludiprussia: disegni di Fontana e opere e ceramiche degli artisti varesini, foto di Molinari.
FONTANA, MELOTTI, LEONCILLO
Fra Terra E Cielo
L’indagine e la ricerca contengono la dinamica di uno spirito e una materia in perenne dialettica fra il concreto e l’incorporeo. Addirittura nei Tagli di Fontana, nei Concetti leggeri di Melotti, nei Supplizi di Leoncillo, concreto e corporeo giungono a urtarsi – proprio come nei riti – e ciò che è concreto perde il suo significato di realtà così come ciò che è incorporeo si manifesta con prepotenza risultando più reale di qualsiasi cosa che possiamo sperimentare coi sensi.
La ceramica, il ferro, il grès, i disegni.
L’uovo, la scala, la colonna.
Elementi naturali e forme. Forme, non segni, quindi presenze che si significano da sé.
L’uovo, microcosmo simbolico in quasi tutte le culture, principio vitale, il germe di tutta la creazione, la materia organica nel suo stato inerte, contenitore dei quattro elementi… ed anche l’uovo alchemico da cui nascono il fiore bianco (l’argento) e il fiore azzurro (il fiore dei saggi). Elemento che richiama la natura, che è Natura.
La scala, il perpetuo movimento ascendente dell’uomo e discendente della divinità, l’accesso alla realtà, all’Assoluto, al Trascendente, andando dall’irreale al reale, dall’oscurità alla luce, dalla morte all’immortalità, il raggiungimento di un nuovo livello ontologico.
Ma anche la scala cromatica, la scala musicale, la forma di ciò che è ritmo, fantasia, volo, spirito.
La colonna, l’asse del mondo, l’asse verticale che allo stesso tempo separa e unisce il Cielo e la Terra, l’Albero della Vita; due colonne – una nera e una bianca – o una colonna divisa in due rappresenta ogni bipolarità, gli dèi androgini e i diòscuri, il Cancello del Cielo.
Richiamo alla classicità, alla religiosità, allo spazio grave e solenne di un mito.
Ecco dunque questi motivi formali essere al centro, nel cuore, della scultura e dell’opera di Fontana, Melotti, Leoncillo, elementi costituiti da una continua tensione umana, a metà fra corporeità assoluta e diafano apparire dell’essere, fra una condizione terrena ed una celeste.
Il pretesto, l’inizio della novità, contenuti negli elementi riscoperti dai tre artisti – l’uovo, la scala, la colonna – ci parlano dei concetti di Spazio, di Vuoto, di Misura. Si presentano con all’interno lo scontro dialettico fra noto-ignoto, fra luce-ombra, fra spazio conosciuto-infinito insondabile.
Questo è il centro del lavoro di questi tre grandi maestri: l’indagine interminabile di nuove realtà, nuove forme, nuove materie e il rapporto con l’infinito.
La ricerca esistenziale di un ‘perché’ dell’arte e di un ‘come’ il più vero possibile.
REFLEXions - ANDRE VILLERS
Album Villers ou l'imaginaire portatif
ANDRÉ VILLERS, FOTOGRAFO PERSONALE DI PICASSO Un maestro, un amico
In autunno saranno 90 anni dalla nascita, ma voglio
ricordarlo in una bellissima giornata di sole, come quando l’ho conosciuto (nel 2007), la
stessa luce calda e conviviale delle sue fotografie anche se prediligeva il
bianco e nero, colore dei sogni. Dieci dall’ultima mostra che io e Debora
Ferrari abbiamo curato a Venezia con l’aiuto di Andrea Ferrari e Simona Zazzi.
Prima c’erano state le esposizioni del 2008: Brenta, Varese e soprattutto
Aosta, quelle cascate di veli trasparenti all’ Hotel des Etats nella splendida piazza Chanoux, dove i suoi scatti cristallini offrivano l’impareggiabile
estetica della quotidianità della grande arte del XX secolo. Picasso su tutti,
ma anche Prevert, Cocteau, Cesar, Butor, Simone de Beauvoir, Ionesco, Le Corbusier
(qualche nome, ma anch'io e Debora abbiamo avuto l'onore): amici ritratti dalla sua Reflex –REFLEXions
avevamo chiamato la mostra – non semplici oggetti di una fotografia. E quella
foto di Guttuso a Varese che stampò apposta per noi a Mougins e non l’aveva
fatto 40 anni prima per un litigio fra il pittore siciliano e Cesare Peverelli,
che gli era più caro. E il nostro catalogo TraRari TIPI, Album Villers, che resta ancora il più
completo, perché presenta tutto un filone di ricerca della sua arte
indipendente dalle foto più famose. Lui, scomparso quattro anni fa, che fu
l’unico cui Picasso permise di condividere la ricerca dell’immagine in
quell’ennesimo capolavoro che sono i Diurnes:
“Âme
Sylvestre
Et suave”
“Anima
Silvestre
E soave”.
(Michel Butor)
Quell’uomo l’ho visto volare. Poetica del genio
“La stanzatelier è una matassa di
storie che gode e subisce un horror vacui dubuffettiano capace di offrire a
ogni sguardo un nuovo bandolo, un nuovo punto di vista. Dove Villers crea
dentro la capanna dentro il giardino di ulivi e animali dentro la collina di
Mougins dentro le Alpi Marittime dentro una Costa Azzurra sotto un cielo
infuocato, i punti cardinali sono minimo 6. Puoi trovare Occidente e Oriente
oppure provare a perdere l’orientamento in una vertigine continua di forme e
colori. Si apre la porta: entra lui, il maestro, volando, lasciato alle spalle
il bastone/vincastro di Mosè. Dentro la stanza raduna le immagini prima che sia
sera, liberandole una a una sotto il tetto dei pensieri, nella tasca infinita
del suo immaginario portatile. […] Potrebbe ancora oggi essere un soggetto
perfetto per un quadro di Chagall. Si sposta tra le foto e i cumuli di
collages, tra personaggi ritagliati e oggetti sparsi, nella stanza dove tutto
ciò che è appeso poggia sull’orizzonte e a terra nascono oasi di immagini, si sposta
senza toccare il pavimento – gli anni del sanatorio non avranno nemesi –
appoggiandosi all’arte, in ogni punto, come su un ponte tibetano personale. Tra
la stanza della capanna in giardino e la camera oscura sta da decenni il suo ‘genius
loci’”.
“A.”
Arrivo a Mougins con la “Pesca di notte ad Antibes” di Picasso negli occhi e un “Amore lontano” cantato da Jaufre Rudel. Un calore tutto umano, animale (cioè dotato di anima, quella vera) attende un trovatore cubista a casa di André Villers. La capra di Picasso diventano capre vere, verissimo il golden retriever Phébus che mi accoglie con ogni genere di feste.
Gli occhi di Matthieu, musicista, figlio, dove la malinconia del flauto di Poulenc si sposa a quella sorridente di Mike Hailwood.
Gli occhi di Chantal, moglie e madre anche di pietre dipinte, sottilmente venate.
Gli occhi di André Villers, marito, padre e, sotto molti punti di vista, figlio ai nostri occhi di Pablo, Picasso, e di tutta una schiera di artisti che fanno ancora la gioia dei nostri occhi.
Occhi allevati, allenati dalle mura di un sanatorio dove André restò giovane recluso per i biblici 7 anni. Tu le ritrovi sui muri bianchi esterni/interni della sua casa, ne devi fissare le increspature, le fessure, le rughe come strade che ti guidano alla radice, alle fondamenta delle cose.
Rughe, fessure, linee su carta bianca, siano ombre di steli, ritagli di un découpage o le rughe del volto di un ritratto di Cocteau (“Tant de douceur/ dans notre moelle,/ c’est un masseur/ graissé d’étoiles”, “Tanta dolcezza/ nel nostro midollo/ è un massaggiatore/ unto di stelle”), di Ponge (“La surface du pain est merveilleuse d’abord/ à cause de cette impression quasi panoramique/ qu’elle donne: comme si l’on avait à sa disposition sous la main les Alpes,/ le Taurus ou la Cordillère des Andes”, “La superficie del pane è meravigliosa in primo luogo/ per questa impressione panoramica/ che dà: come se si avesse a disposizione sottomano le Alpi,/ il Tauro o la Cordigliera delle Ande”), di Prévert (“Et quand tous deux nous gravissions/ de l’escalier de la maison/ tous les degrés/ sur les murs avec ton gravoir/ tu gravais ma gravelure”, “E quando tutti e due salivamo/ della scala di casa/ tutti i gradini/ sui muri con la tua gradina/ incidevi i miei sottintesi”).
Quando più superfici vogliono dire profondità.
Quando la luce di una foto è accesa dall’amicizia, dalla familiarità.
Questo il segno distintivo e il senso delle foto di Villers: quando lui ti dice che fotografa col ventre un soggetto che finalmente guarda se stesso e trova il senso dell’esserci e restare qui fra noi mai a metà strada fra la macchina che riprende e quello che non c’è più.
L’uomo è qui, nella foto, come la bottiglia che porta il messaggio di una foglia, di una piuma, la carta bagnata che si piega e dà vita alle sue ombre.
La tela dove Hartung si piega nello sforzo di passare un rullo.
Gli spaghetti che ondeggiano sul cantatore calvo Ionesco.
La saliva di Villers che dovrà restare anche nel negativo di un “pliage d’ombres”.
La garza stesa sulle parole che, in altre luci, in altre foto di André finiranno per comporre il volto dell’autore di tanti altri versi scritti sulle sue foto, il volto che si sfrangia di Butor: “Ame/ sylvestre/ et suave”, “Anima/ silvestre/ e soave”.
La scrittura anche sul volto di Chantal che emerge dal nero che è un colore (Maeght dixit) – e il ritratto di Aragon:
que lui dirons-nous quand nous la verrons
Compte les fleurs ma chère
compte les fleurs du mur »
che le diremo quando la vedremo
"A."
J’arrive à Mougins avec la “Pêche nocturne à Antibes »de Picasso dans les yeux et « un amour lointain » chanté par Jaufre Rudel dans mes oreilles.
Une chaleur toute humaine, animale –c’est-à-dire possédant une âme, une chaleur vraie- c’est ce qui attend un trouveur cubiste chez André Villers. La chèvre de Picasso se transforme en de vraies chèvres. Plus que vrai le golden retriver Phébus qui m’accueille en frétillant de joie.
Et puis il y a les yeux de Matthieu, le fils, un musicien où la mélancolie de la flûte de Poulenc se marie à celle souriante de Mike Hailwood.
Et les yeux de Chantal, femme et mère, mère aussi de pierres peintes, légèrement veinées.
Les yeux d’André Villers, mari, père et, de plusieurs points de vue, fils, à nos yeux de Pablo Picasso et de toute une lignée d’artistes qui font le joie de nos yeux.
Des yeux élevés, entraînés par les murs du sanatorium où André demeura jeune reclus pendant la période biblique de sept ans. Tu les retrouve sur les murs blancs intérieurs/extérieurs de sa maison. Tu dois en fixer les fronces, les fissures, les rides telles des routes qui te conduisent aux racines, aux fondements des choses.
Des rides, des fissures, des lignes sur papier blanc, que ce soit des ombres de tiges, des coupures d’un découpage ou des rides du visage du portrait de Cocteau (« Tant de douceur/ dans notre moelle,/ c’est un masseur/ graissé d’étoiles »), di Ponge (« La surface du pain est merveilleuse d’abord/ à cause de cette impression quasi panoramique/ qu’elle donne : comme si l’on avait à sa disposition sous la main les Alpes,/ le Taurus ou la Cordillère des Andes »), et de Prévert (« Et quand tous deux nous gravissions/ de l’escalier de la maison/tous les degrés/ sur les murs avec ton gravoir / tu gravais ma gravelure »).
Lorsque plusieurs surfaces signifient profondeur.
Lorsque la lumière d’une photo est allumée par de l’amitié, la familiarité.
C’est cela la marque distinctive et le sens des photos de Villers: quand il te dit qu’il photographie avec le ventre un sujet qui finalement se regarde lui-même et il trouve le sens d’être ici parmi nous et jamais à mi-chemin entre la caméra qui reprend et ce qui n’est plus.
L’homme est ici, dans la photo, comme une bouteille qui porte le message d’une feuille, d’une plume, le papier mouillé qui en se pliant donne vie à ses ombres.
La toile où Hartung se plie dans l’effort de passer un rouleau.
Les spaghetti ondoyants sur le chanteur chauve Ionesco.
La salive de Villers qui devra rester même dans le négatif d’un «pliage d’ombre».
La gaze étendue sur les mots qui, dans d’autres lumières, dans d’autres photos d’André finiront par composer le visage de l’auteur de tant d’autres vers écrits sur les photos. Le visage qui s’effrange de Butor (" Âme / sylvestre/ et suave ").
L’écriture aussi sur le visage de Chantal qui surgit du noir qui est une couleur (Maeght dixit)- et le portrait d’Aragon.
que lui dirons nous quand nous la verrons
Compte les fleurs ma chère
Compte les fleurs du mur».
Portraits. La perspective du ventre
[...] Un des secrets de l’art de Villers vient
du fait que ses travaux ne sont pas isolés, même quand les sujets sont uniques.
Cela vient du fait que l’amitié et la rencontre ont toujours été à la
base de son activité et parce que de toute ses photos transparaît une humanité
sincère.
Personnage aussi important que Picasso
pour son histoire, Jacques Prévert devient aussitôt un ami précieux de Villers,
comme il a été pour d’autres artistes et photographes.
Tous autour de Jacques comme tous autour
de Pablo. Selon Villers, il était la source où tout le monde allait puiser – en
particulier Cocteau et Prévert- parce qu’il avait toujours des phrases et des
définitions dont il faisait cadeau, des trouvailles nouvelles et imprévisibles.
Jours de visite, de travaux, de rencontres,
de bavardages, films, cigarettes, amours, vernissages et fêtes populaires,
matchs de foot et réceptions chez les collectionneurs. Tout cela se passe à
partir de 1953 autour de Picasso et pas seulement. Le livre Diurnes fait en 1962 avec les photos de Villers, les découpages
de Picasso et les textes de Prévert témoigne de ce profond lien qui a traversé
le temps.
Rien n’aurait été possible sans la
Rolleiflex de Villers. La caméra à l’origine de tout.
Ainsi naissent les portraits, nets,
intenses, forts. On les croiraient de l’époque de la Renaissance à cause du
plan avancé du sujet qui joue avec les autres composantes de l’arrière-plan
comme un méplat de Donatello, comme dans un portrait du Pollaiolo, comme dans
une vision quadraturista de Mantegna.
La non
solitude et la «perspective du ventre», voici deux secrets de la
photographie de Villers. [...]
Luca Traini legge REFLEXions al Salone del Libro di Torino (2008)
LA GRANDE FOTOGRAFIA DI ROBERTO MOLINARI IN MOSTRA
OBIETTIVO SOGGETTIVO
Nuovi orari in Agosto: da Giovedì a Sabato Ore 15-18
Finissage Domenica 12 Agosto Ore 15 con Lettura Poetica di Luca Traini
La raffinata visione di Roberto, discreto e silenzioso interprete della realtà, di cui ha sempre evitato di registrare passivamente il mero riflesso.
Inizio dell'esposizione e china su pietra di Roberto Molinari
Una mostra, un libro, una serie di conferenze, vogliono svelare al grande pubblico l'attività trentennale di un fotografo d'arte: Roberto Molinari (Gemonio, VA, 1946-2017), che nella sua carriera ha seguito numerosi artisti nazionali e internazionali, nei propri atelier, alle mostre, in cantieri di lavoro sulle Alpi Apuane o nelle storiche fonderie lombarde. La fotografia come documento collettivo.
Chi visita la mostra può ripercorrere più di trent’anni di arte varesina e non solo attraverso le figure dei protagonisti.
Roberto Molinari (c), Paolo Borghi e Samuele Arcangioli
La sua fotografia possiamo ribattezzarla ‘photosophia’ perché la sua attenzione era all’anima e al senso delle cose, in relazione una con l’altra. Non si limitava a riprendere le opere d’arte destinate a essere scontornate su un catalogo, le faceva vibrare dello spazio circostante, della luce interiore, del significato per un preciso momento storico o un moto sentimentale.
Roberto Molinari (c), Lo studio di Eugenio ed Eros Pellini
La sua è stata una fotografia essenziale, piena di verve, a volte drammatica, a volte gioiosa, sempre rispettosa di ciò che andava a immortalare per sempre, in connessione col senso della vita.
Roberto Molinari (c), Stella Ranza e Angelo Zilio
La sua ispirazione ci ha insegnato a vedere il mondo con la sua delicatezza poetica tanto da rendere icona ogni cosa che fotografava, come il grande lavoro per Lucio Fontana nella casa di Comabbio(2016) dove ha documentato, insieme ai nipoti del grande artista, in modo essenziale e poetico i suoi strumenti, come taglierino e colori, e i suoi indumenti di lavoro nell’ambiente di design domestico.
Roberto Molinari (c), Hsiao Chin
Mostra di ritratti e fotografie in studio e in pubblico con più di 30 artisti internazionali nell’arco di 30 anni di fotografia, bianco e nero, colore, cibachrome, foto digitale, video.
Roberto Molinari (c), Kengiro Azuma e Niccolò Mandelli Contegni
Opere fotografiche rielaborate a colori e collage da Roberto Molinari. Creazione del sito internet dell'Archivio Fotografico Molinari. Obiettivo Soggettivo sarà anche un libro in limited edition di TraRari TIPI edizioni.
Roberto Molinari (c), Luca Lischetti e Nes Lerpa
Un grande fotografo, anche quando ci lascia, non chiude mai gli occhi perché resteremo sempre in quello che ha aperto per restituirci il mondo.
Roberto Molinari ci ha donato il terzo occhio a passo di danza, in pose da acrobata: improvvisamente era lì, poi sembrava scomparire – e ti era sempre accanto. Era quanto doveva ancora essere detto, la misura sottile della visione, lo sguardo.
Roberto Molinari (c), Albino Reggiori
Senso del progetto
“La visione è l’arte di vedere cose invisibili” e in questo modo Roberto Molinari ha dato al mondo dell’arte e agli artisti la sua personale poetica di ripresa attraverso la fotografia.
Roberto Molinari (c), Il poeta Silvio Raffo
Attivo da oltre trent’anni in territorio varesino e nazionale, Molinari era passato dalla passione per il disegno a china e matita, che coltivava con grande raffinatezza, a metà anni Ottanta, all’amore per la fotografia d’arte e di reportage poetico, lui stesso stampatore dei suoi indimenticabili bianchi e neri.
Roberto Molinari (c), Vincenzo Morlotti e Giorgio Robustelli
Veniva chiamato dagli artisti per la sua capacità poetica di documentare il lavoro dell’arte e il suo esito pubblico rispettando la personalità dell’autore, accentuandola naturalmente.
Roberto Molinari (c), Giorgio Vicentini
Elenco artisti (sintetico)
Abate, Ambrosini, Arcangioli, Azuma, Baj, Bodini, Borghi, Botero, Buda, Caminati, Casiraghy, Chisari, Cipolla, Costantini, D’Ambros, Dangelo, D’Oora, Fabbri, Al Fadhil Ferrario, Fontana, Gandini, Isella, Leoncillo, Lerpa, Lindner, Lischetti, Maineri, Mandelli, Marrocco, Milani, Monti, Morlotti, Pedretti, Pellini, Penna, Piccaia, Pizzolante, Quattrini, Raffo, Ranza, Ravedone, Reggiori, Robustelli, Robusti, Rossello, Salino, Savinio, Sangregorio, Scarabelli, Hsiao Chin, Sovana, Tavernari, Tapia Radic, Traini, Veronesi, Vicentini, Zilio.
Roberto Molinari (c), Anny Ferrario e Pina Traini
Tutti gli artisti diventano ‘opere’ esposte con fotografie stampate da Roberto Molinari e donate agli stessi e altre recuperate nel suo archivio.
Roberto Molinari (c), Floriano Bodini con la figlia Sara e Giancarlo Sangregorio
Dal 15 settembre al 6 ottobre la mostra sarà anche al Museo Civico Floriano Bodini di Gemonio con in più una sezione dedicata alle ambientazioni, dagli studi alle mostre ai luoghi di lavoro degli artisti.
Roberto Molinari (c), Sergio Tapia Radic
Al Museo Bodini si terranno anche incontri prestigiosi come quello con Alinari di Firenze sulla fotografia.
LA PHOTOSOPHIA DI ROBERTO MOLINARI
Ci ha lasciato domenica 23 aprile il poeta-fotografo di Gemonio
Un grande fotografo, anche quando ci lascia, non chiude mai gli occhi perché resteremo sempre in quello che ha aperto per restituirci il mondo.
Roberto Molinari era è l’arte che fotografava: quella forza misteriosa dietro un’apparenza così fragile.
Ci sarà pure un motivo se parliamo di anima. Quella messa a fuoco, quel gioco di luce impalpabile.
Qui e sopra due foto di Roberto Molinari dello studio di Lucio Fontana a Comabbio (VA) tratte dal catalogo
Roberto ci ha donato il terzo occhio a passo di danza, in pose da acrobata: improvvisamente era lì, poi sembrava scomparire – e ti era sempre accanto. Era quanto doveva ancora essere detto, la misura sottile della visione, lo sguardo.
da sinistra, Vittorio D'Ambros, Angelo Zilio, Stella Ranza, Debora Ferrari, Samuele Arcangioli, Luca Traini.
Non può essere assente. Restiamo nel suo riquadro in attesa che dica “Va bene”. E riabbracciarlo mentre sorride, anche nel bianco e nero dei sogni.
ROBERTO MOLINARI E LA SUA PHOTOSOPHIA
Roberto Molinari, Sergio Tapia Radic
“La visione è l’arte di vedere cose invisibili” e in questo modo Roberto Molinari ha dato al mondo dell’arte e agli artisti la sua personale poetica di ripresa attraverso la fotografia. Attivo da oltre trent’anni in territorio varesino e nazionale, Molinari era passato dalla passione per il disegno a china e matita, che coltivava con grande raffinatezza, a metà anni Ottanta, all’amore per la fotografia d’arte e di reportage poetico, lui stesso stampatore dei suoi indimenticabili bianchi e neri.
Roberto Molinari, Albino Reggiori
Con chi firma questo articolo ha scattato migliaia di fotografie in studi, atelier, mostre d’arte, vernissage, conferenze stampa, pubblicate anche per La Prealpina e Lombardia Oggi tra il 1990 e il 2000, ma soprattutto veniva chiamato dagli artisti per la sua capacità poetica di documentare il lavoro dell’arte e il suo esito pubblico rispettando la personalità dell’autore, accentuandola naturalmente. Con leggerezza, pudore, semplicità e sincerità, si muoveva intorno ai soggetti quasi impercettibilmente, come uno spirito che coglie l’apparire segreto del mondo. La sua fotografia possiamo ribattezzarla ‘photosophia’ perché la sua attenzione era all’anima e al senso delle cose, in relazione una con l’altra. Non si limitava a riprendere le opere d’arte destinate a essere scontornate su un catalogo, le faceva vibrare dello spazio circostante, della luce interiore, del significato per un preciso momento storico o un moto sentimentale. La sua è stata una fotografia essenziale, piena di verve, a volte drammatica, a volte gioiosa, sempre rispettosa di ciò che andava a immortalare per sempre, in connessione col senso della vita. La sua ispirazione ci ha insegnato a vedere il mondo con la sua delicatezza poetica tanto da rendere icona ogni cosa che fotografava, come lo scorso anno il grande lavoro per Lucio Fontana nella casa di Comabbio dove ha documentato, insieme ai nipoti del grande artista, in modo essenziale e poetico i suoi strumenti, come taglierino e colori, e i suoi indumenti di lavoro nell’ambiente di design domestico.
Roberto Molinari, Nes Lerpa
La macchina fotografica, l’obiettivo, erano il prolungamento della sua visione cerebrale ed emozionale, tanto quanto era noto per le sue contorsioni nello scatto per carpire le visioni dai punti di vista più segreti. Proprio due mesi fa con noi curatori aveva appena concordato col Direttore dei Musei Civici di Varese la sua mostra personale per i trent’anni di attività fotografica, destinata agli inizi del prossimo anno in Sala Veratti e dal titolo “Obiettivo Soggettivo, i volti nell’arte di Roberto Molinari da Azuma a Scheiwiller”, un repertorio di stampe da lui realizzate negli anni Ottanta e Novanta e una serie di altre fotografie fino alle più recenti, capaci di donarci l’intimità degli artisti e delle loro opere in un centinaio di scatti scelti. Nomi internazionali come Azuma, Abate, Botero, Dangelo, Fabbri, Scheiwiller, Shiao, Veronesi, Sangregorio, Baj, Borghi, Bodini, Lerpa, Ukrufi, per citarne alcuni, accanto ai non meno noti e ben conosciuti a Varese quali D’Oora, Ferrario, Robusti e Robustelli, Reggiori, Vicentini, Lischetti, Arcangioli, Ranza, Zilio, D’Ambros, Morlotti, Traini, Costantini, Monti, Lindner, Ambrosini, Chisari, Quattrini, Scarabelli, Tapia Radic e la lista prosegue. Ha pubblicato le sue fotografie in numerosi cataloghi di artisti, riviste, quotidiani, mai per vanto personale, sempre per servizio agli altri, generosamente. Questo lavoro sulla sua opera proseguirà per avere corpo nella mostra in preparazione e col suo archivio.
Roberto Molinari, Anny Ferrario
Una malattia fulminante gli ha interrotto ogni prospettiva, a settant’anni da pochi mesi compiuti, lasciando noi, parenti, amici e artisti, sconvolti dalla velocità dell’accaduto. Stavamo lavorando a un progetto di mostra che avrebbe unito le opere di Eugenio Pellini a quelle di Vittorio Tavernari.
ARTE E TECNOLOGIA
[...]
Prima col treno e poi con l’automobile velocità mai sperimentate
iniziano a sfaldare la compattezza delle forme anche alla luce del giorno:
vista da un mezzo di locomozione in corsa la terra diventa
sempre più fluida e i colori definiti si trasformano in scie.
[...]
E se il fotografo Nadar, alzandosi in volo col pallone aerostatico per
inquadrare la città dall’alto, aveva concretizzato il sogno di Parmenide, con l’aeroplano
e l’elicottero la rappresentazione in volo diventata dinamica, parallelo
celeste del cinema.
[...]
L’universo , visto da telescopi sempre più grandi e potenti, amplia
la nostra galassia e quindi scardina la sua unicità. Il pianeta degli scienziati e degli artisti si
trova nella nuova e contraddittoria posizione di soggetto di questa visione continuamente
aggiornata del cosmo e allo stesso tempo di oggetto trascurabile
sempre più alla periferia di quanto osservato.
[...]
La grande rivoluzione della chimica permette la nascita di
due nuove arti: la fotografia e, soprattutto, con l’ invenzione della
celluloide, la prima arte capace di riprodurre immagini in movimento ,il
cinema.
[...]
Le nuove arti permettono la progressiva democratizzazione di massa
dell’eredità culturale.
ATELIER PELLINI: DA PIÚ DI UN SECOLO NEL CUORE DI MILANO
Eugenio Pellini, nato a Marchirolo il 17 novembre
1864 e trasferitosi a Milano nel 1878. Tante le sue opere consacrate nelle
mostre, in gallerie e nelle case private, ma il bisogno più grande in questo
momento è quello di comprendere l’importanza necessaria del suo spazio e
atelier nella Milano di oggi, nella via di ieri, Siracusa, dove aprì da giovane
il suo studio per fare carriera, lo stesso vissuto poi dal figlio Eros, anch’egli scultore. Un luogo dove un
artista ha fatto nascere la propria arte, l’atelier di Milano, con una storia
ultracentenaria, è un luogo da proteggere e amare; la protezione la danno gli
eredi e l’amore il pubblico nel riconoscerlo. É quindi direttamente dal suo
luogo d’elezione che provengono i pezzi esposti e pubblicati: sculture,
taccuini, progetti di monumenti funebri per Varese e per Milano.
E proprio a Eugenio Pellini, presente nella nostra
mostra con diverse opere(in primis il Minatore), dobbiamo uno dei primi ritratti
italiani di Carlo Marx. Un busto ancora presente nel suo studio milanese - accanto
alle vie dedicate al suo Risorgimento,
Curtatone, e al suo sindaco, il socialista Caldara - dove le scalpellature
danno vita a tutta una serie di scintille di luce che fanno vibrare la forza michelangiolesca
del marmo.
LA REALTA' VIRTUALE DI PIERO DI COSIMO
Le nuove tecnologie forniscono a livello di massa gli strumenti per contesti emozionali che una volta erano privilegio di pochi artisti. La totale immersività della realtà virtuale, quegli “oculi”, che sembrano rendere ciechi agli occhi degli estranei, in un’ottica storica sembrano riflettere l’autosindrome di Stendhal di certi pittori. Il mio amato Piero di Cosimo ne è un ottimo esempio, con la sua casa, il suo studio dove stava sempre rintanato, come l’enorme casco virtuale di un mondo incantato: “essendo ito col cervello ad un’altra sua fantasia”, “tanto amico de la solitudine” (tra virgolette il biografo, il Vasari). Ecco, un incanto da cui non si vuole uscire se non per le strette necessità di sopravvivenza di un corpo diventato avatar di una Matrix in simbiosi col Mito, la Fabula che insegna e non permette una vita normale all’affabulatore. Le sensazioni non devono essere per forza piacevoli (basta vedere la sua ossessione per il mito di Prometeo). Il piacere del gioco implica anche il dolore della perdita, del rischio di annichilazione del giocatore quando perde l’approdo a un nuovo livello. Apri Piero di Cosimo in un motore di ricerca, Immagini, mettiti gli occhiali del Sant’Antonio della “Visitazione”, calza gli stivali alati di Mercurio e diventa Perseo che vola incurvando montagne celesti, sprofonda nei gorghi del mostro, riaffiora dagli spruzzi delle sue narici e libera Andromeda. Nel quadro magico c’è anche una colonna sonora fatta di musicisti esotici e strumenti impossibili. C’è casa sua sulla collina selvaggia di sinistra, non in città, non a Firenze, con la natura che va per i fatti suoi per espresso desiderio dell’artista - “lasciava crescere le viti et andare i tralci per terra, et i fichi non si potavono mai, né gli altri alberi, anzi si contentava veder salvatico ogni cosa” – perché l’ordine è astratto, è arte, è sogno, è gioco: il gioco degli dei evocato, imitato, travisato, concretizzato – olio, pigmenti o Photoshop – dal giocatore.
TOMMASO DA MODENA: MEDIOEVO IN REALTÀ AUMENTATA

E la
rivoluzione del realismo di Giotto strizzò l’occhio alle nuove tecnologie. Dei quaranta
superbi ritratti di famosi domenicani affrescati da Tommaso nel Convento di San
Nicolò a Treviso (1352) è chiaro che ne balzano agli occhi soprattutto due. Il
cardinale Nicolas Caignet di Fréauville con la lente e il suo collega Hughes di
Saint-Cher con gli occhiali: prima assoluta nel mondo dell’arte. Non che mi siano
particolarmente simpatici - preferisco Alberto Magno che ti squadra e sembra
dire: “Solo l’esperimento dà certezza” – conoscendoli so che mi avrebbero spedito
dritto al carcere a vita o sul rogo. Ma l’artista: che fine psicologia, che
nuovi stupendi strumenti! Una rivoluzione in mano a due che immaginavano di
incarnare la più pura tradizione. Che invece è sempre - e per fortuna – impura
e soggetta alle nuove riflessioni imposte proprio dai nuovi mezzi della
tecnologia. Parlando di lenti e occhiali quasi certamente qualcosa di simile
era già stato escogitato in età antica, dalle pratiche degli astronomi assiri
agli studi di ottica dei grandi scienziati ellenistici a quella specie di lente
che usava Nerone, miope non solo in politica. Ma è il tanto bistrattato
Medioevo a realizzarli in silenzio, senza inventori, devotamente (e grazie agli
studi del francescano Ruggero Bacone, con cui inquadro i tre domenicani). Occhiali
antenati della nostra realtà virtuale e aumentata, ne accennavo già nelle Connessioni Remote della prima mostra di Neoludica ad Aosta nel 2009.
Grazie
a loro riusciamo a vedere e a venire in possesso di informazioni non più
disponibili sia nel campo dei media (all’epoca il libro) che in quello della
vita (la realtà rivisitata con occhi nuovi). Prima c’era la memoria esercitata
da un feroce insegnamento di nozioni da tenere a mente o il semplice aiuto di
un’altra persona che leggeva ad alta voce o indicava quanto non più visibile (e
c’è da dire che l’invisibile allora era di moda). Lenti e occhiali aiutarono
una nuova dimensione di visione individuale del mondo e una lettura sempre meno
ad alta voce e più mentale (come la nostra: difficile immaginare oggi il vocio
delle biblioteche dell’epoca o, peggio, di quelle antiche piene di retori). Aprirono
la strada verso nuovi mondi prima impensabili: il macrocosmo (col telescopio) e
il microcosmo (col successivo microscopio). Due realtà sempre esistite, ma penetrate
in quella ritenuta quotidiana e rese visibili, accessibili, studiabili solo con
questi strumenti. E la “realtà”, termine in continua - e parziale –
definizione, non fu più la stessa. In tempi più recenti l’ottica applicata
all’arte avrebbe portato alla camera oscura (gioia di schiere di pittori dal
Barocco alla Rivoluzione Francese), alla fotografia e alle cineprese: dal gioco
delle ombre a quello dell’immagine riprodotta senza pennello o scalpello, alla
riproduzione del movimento (ultimo scandalo: prima della democrazia dominava
l’immobilità del signore, a muoversi era il servo). Fino alle nuove realtà
tecnologiche che immergono la vista in nuovi panorami e intelligenze. Perché
“intelligenza” deriva da “intus legere”, leggere dentro le cose, andare oltre
l’apparenza. Perché le apparenze, come le realtà, sono tentativi di sintesi di
differenze.
Luca Traini
ARCHITETTURA E LETTERATURA Palladio e Trissino
Se nel 2010 il congresso degli Stati Uniti ha
riconosciuto Palladio “padre dell’architettura americana” il
merito è anche di un poeta dai versi meravigliosamente
noiosi: Gian Giorgio Trissino da Vicenza .Non parlo tanto del
poema L'Italia liberata da' Gotthi, commovente mattone, ma di
quelle Rime dove, da formidabile erudito, propose triti amori in
una rivoluzionaria scrittura che aggiungeva lettere greche
all’alfabeto italiano. Un tentativo di riforma in epoca di Riforme
brandito, da bravo cavaliere di stirpe nobile, contro la codificazione
della lingua letteraria proposta dal Bembo, pur “ʃapεndo, che la maggior
parte de gli hωmini inεxpεrti fuggono la innovatione”.
E infatti l’assalto
fallì. Restano una prosa efficace, aver riscoperto, tradotto e fatto stampare il De Vulgari
Eloquentia di Dante e aver educato ai classici un
“giovane favoloso”, Andrea di Pietro, guidandolo fra le antichità di Roma e
ribattezzandolo Palladio.
E’ lui a fargli conoscere Vitruvio, prototipo
dell’architetto colto (“litteras architectum scire oportet”) che diventerà
modello per I Quattro Libri di Architettura,pubblicati
a Venezia nel 1570: “Mi proposi per maestro e guida Vitruvio ”(cioè,Trissino).
Tramandando e tradendo fedelmente nella pratica tutti
e due. Così l’erudizione diventò Arte.
CASTELSEPRIO-SIRIA: SANTA MARIA FORIS PORTAS
Ogni
volta che torno in pellegrinaggio laico a questo capolavoro assoluto,
evanescente la memoria va alle ultime pagine della Storia dei Longobardi del
mio caro Paolo Diacono, quelle dedicate all’intensa attività di costruttore di
chiese e monasteri del re Liutprando (prima metà VIII sec.).
Nell’arte
i Longobardi amavano scegliere a seconda dei casi (politici) simbolismo o
realismo. Specie per quest’ultimo, manodopera orientale. E come mi sono chiesto
perché sono finito in questi boschi dalle bionde colline delle Marche, così
forse anche l’artista siriaco, che immagino fuggito (povera, grande Siria anche
allora) dalle lotte iconoclaste dell’impero bizantino. Per affrescare in quello
che oggi è silenzio, ma allora vivace cittadina, questo mirabile esodo dall’arte
antica (ora Patrimonio dell’UNESCO). Da un Vangelo apocrifo poi, come quello di
Giacomo! Lo stesso illustrato con immagini affini in un dittico eburneo di
qualche anno prima, sempre di provenienza siriana.
L’uomo,
l’artista, lo straniero – l’artista è sempre straniero – è trasumanato in
quella sublime dolcezza dove è la terra a ispirare il cielo. In quella
intensità di gesti, di sguardi che non aveva bisogno di parole.
CHIESA DI SANT'ANTONIO DI VARESE Falò e luce interiore
A
mio agio nella folla che assiste al falò o fra i pochi assorti in chiesa. Come
nello scorrere impetuoso del tempo al ritmo del fuoco: dal presente al Rococò
al Barocco, dalla città-giardino di oggi al deserto infuocato degli eremiti
egizi (Varese e i suoi santi africani: dall’Egitto di Antonio al Marocco di
Vittore, cui è dedicata la basilica).
Un
luogo per il culto degli eremiti nella più antica piazza del mercato della città.
Il culto economico degli anacoreti per l’autarchia. Pambo, discepolo proprio di
Antonio: "Nel deserto non mi ricordo di aver mangiato 'un pezzo di pane dato in dono' (Paolo, Lettera II ai Tessalonicesi) fuori dell'opera delle mie mani" (Palladio, La storia lausiaca). Un monito
a non esagerare con lo spirito, quello affaristico.
Contrasto
su contrasto riprendo il falò in uno specchio ed entro nella chiesa da una
delle due porte trompe-l’oeil per assistere alle vite parallele dei putti
settecenteschi con le statue già vecchie d’un secolo. Quando sono stanchi di svolazzare
felici o di giocare con tiare e paramenti li vedi che cercano di incrociare lo
sguardo con le sculture di terracotta. Invano. È il caso di quell’angioletto
ormai fantasma con un distratto Ilarione di Gaza.
Poi
c’è quel Paolo di Tebe, michelangiolesco (ma opera dello sconosciuto Francesco
Selva), di così sofferta, orgogliosa solitudine…
Non
resta allora che perdersi nelle architetture visionarie del Baroffio e nelle
creature in volo che le abitano, dipinte dal Ronchelli.
In excelsis. Insieme agli ultimi biglietti dei desideri che i vigili del fuoco affidano alle lingue di un altro incendio.
MUSEO BAROFFIO, SACRO MONTE, VARESE: ASCESI ESTETICA
Stendhal: “L'aspetto del villaggio stretto intorno al
santuario del Sacro Monte di Varese è straordinario… Visione magnifica! Al
tramonto del sole si vedevano sette laghi”.
Bisogna
riporre le ali quando si entra nel museo dopo essere stati rapiti sulla
balconata. Ma è per poco. Altri voli ci aspettano all’interno.
In
primis, una Madonna con Bambino di Domenico e Lanfranco da Ligurno (1196 ca.), che
sembra pronta al decollo per raggiungere il disco d’oro dei Voyager.
Inserita
fra il volo tutto terrestre - e geopolitico - a cavallo di un toro di Europa (figlia
di re libanese), opera dell’ambiente di Donato Creti (il primo grande pittore
di osservazioni astronomiche), e il San Gerolamo (con la Vulgata, manuale
principe del decollo spirituale e temporale della chiesa cattolica), dipinto
nel 1745 da Francesco Cappella (cognomen omen).
La
base prevede al centro il Compianto sul Cristo morto (e pronto al ritorno in
cielo) di un seguace del Van der Weyden, incastonato fra un taglio di capelli per
le feste del Maestro della Tela Jeans (settecentesca ma simile a quella dei
miei calzoni durante la visita) e le metamorfosi alchemiche dell’Allegoria di
Aria e Fuoco in ambito Jan Bruegel Il Giovane (XVII sec.).
Questo
il breve Introitus di un cosmonauta dell’arte prima di altre meraviglie che dal
passato approdano a una sala numinosa di arte sacra del XX secolo.
Buon viaggio!
SALA VERATTI: UN'ARTE PIENA DI GRAZIA
Dal Motore Immobile alle auto che passano, perché tutto passa, anche in Via Veratti, Varese. Restano gli affreschi del refettorio dell’ex convento di Sant’Antonino, dove le monache masticavano Aristotele ribollito da San Tommaso distratte dalla sensualità delle Sibille affrescate in medaglioni dalMagatti rifiniti nelle false architetture del Baroffio. Ci avevano provato a ricondurle sulla retta via della Tomistica piena di polvere e profeti barbogi, ma poi si erano persi in quei volti femminili pieni di grazia - tutta terrena – e, a loro modo, profetici.
Entriamo da quello che un tempo era il fondale, attori sulla scena di un teatro di fantasmi discreti. Il nostro ingresso - la porta non è neanche piccola e stretta - si apre nel muro dell’ex convento di Sant’Antonino e in quello dell'affresco attribuito a Donato Mazzolino. Lo splendore dell’opera fa da contrasto con l’oscurità delle notizie sull’autore.
Tra Annunciazione e Strumenti della Passione lascio il segnale rosso degli estintori.
L’Annunciazione è un film.
Esterno. Flashforward. Esposizione angelica degli Strumenti della Passione.
I dadi (uno col numero Uno ma tre come in tre Persone), la cui somma è dieci come le dita delle due mani crocifisse - e la divina Tetraktys dei Pitagorici - come mura in piccolo.
La lancia in parallelo con il fusto del giglio. Il putto in lacrime, ma in piedi, diventa l’arcangelo Gabriele che visita Maria. L’altro che piange seduto rimanda alla postura della Vergine.
Gabriele: un piede fuori e uno dentro. Annunciazione.
Interno. La bellezza di Maria, destra sul cuore
e sinistra accanto al breviario e al campanello che annuncia il Rosario.
I grani del rosario e il pane fresco o stantio delle monache. Mangiare l’immagine con tutte le sfumature dell’oro per la colomba dello Spirito Santo. Commento musicale O salutaris hostia di Giovanni Battista Martini.
Pane stantio. Profeti. Abdia: il testo più breve dell’Antico Testamento, ma duro e pesante come “roccia di Israele”, come un monolite. Tavola della Legge che graverà su Edom e Varese anche se cercherà scampo sulle alture del Campo dei Fiori o nelle Grotte di Valganna.
Meno stantio Abacuc, sempre vecchio bacucco ma da colori e sfumature più dolci. Come il brandello di testo: “Tu sei uscito per salvare il tuo popolo, per salvare il tuo consacrato”.
Isaia conserva ancora qualche freschezza: “Un figlio ci è stato dato” e prenderà vita da quel magma di colori caldi.
Impromptus: il profeta Daniele con le due dita della sinistra che sembrano chele e quel volto androgino che pare allusione al passaggio dalla rigidità virile del Libro alla grazia pagana della scrittura delle Sibille, come il Virgilio della IV Ecloga e del "pius Aeneas".
E’ ora di spalancare le finestre. Aria dal Magnificat di Vivaldi. Et exultavit.
Maria visita Elisabetta e io resto prigioniero di geometrie e meccanismi di apertura e chiusura delle imposte.
Lattanzio e Agostino avevano liberato le profezie delle Sibille prima del rogo dei loro libri e quelle consunte e rattrappite profetesse avevano preso nuova vita tanto da essere annoverate “nel numero dei cittadini della città di Dio” (Agostino, La città di Dio XVIII, 23.2). Un modello tanto caro a Umanesimo e Rinascimento per la tentata osmosi fra reminiscenza pagana ed eredità cristiana che aveva avuto il suo culmine con Michelangelo negli affreschi della Sistina.
Ecco allora la Sibilla Eritrea che respira a pieni polmoni nel suo décolleté alla moda. La pagina che sfoglia sottile non ha più nulla della dura pietra di Abdia.
La Sibilla di Cuma reca una citazione tronca della IV Ecloga virgiliana, ma il senso è chiaro e la giovane profetessa lo indica in modo cristallino, come quella goccia sulla fronte trasformata in perla.
La Sibilla Persica, degna della Trilogia Persiana di un Goldoni, bella e conturbante con le sue tre perle in una persona. Orecchino, spalla, seno e sguardo perso verso l’alto.
Poi è la Sibilla Libica, a mio modo di vedere, che mostra il suo oracolo come compito ben scritto in un collegio gesuita. Ma quello sguardo…
Quegli occhi guardano oltre. Oltre il pasto frugale delle suore, oltre il lusso apparente e la falsa prospettiva marmorea che in realtà non poteva costringere la grazia prorompente delle donne in quei medaglioni.
Quegli occhi, come tutta quest’arte - così imprevista nello scorrere implacabile del tempo, delle auto in Via Veratti, a Varese - guardano al futuro di una nuova città - terrena – che sappia finalmente cogliere il senso profondo - e civile - di tutta questa bellezza.
EUGENIO PELLINI, "DUE TELAMONI" (Varese, 1905)
I due Telamoni del Pellini stanno a guardia di un numero 17 da più di un secolo, giganti in una piccola città, testimoni di un mito in grado di sorreggere balconi come architravi di un tempio. Dio e lo spirito dei tempi erano già scesi in forma di vapore nella prima stazione ferroviaria di Varese e come ipostasi di luce per ombre immobili nelle prime lampadine.
Passa il tempo, passano oltre gli studenti che arrivano in treno, indifferenti come gli altri passanti perché alle due statue manca un tempio. C’è San Vittore, c’è il Sacro Monte, ci sono le stazioni della Nord e dello Stato, c’è accanto l’enorme facciata di un cinema storico per la città, il Politeama, chiuso. Ma la gente non ha pietà per chi resta fuori, sotto i cornicioni, i ponti, i balconi, anche se sono statue, soprattutto se sono statue e non rondini o statue non antiche, ma dell’epoca del piccolo re dal lungo nome: Vittorio-Emanuele-III.
Non sei antica, non sei cristiana e allora i gas di scarico t’inquinano senza senso di colpa. Diventano e restano nere, tornano a riflettere l’essenza umana della pietra: essere sempre prigioni e allo stesso tempo angeli. Ci stanno pensando. E non scenderanno.
Eugenio Pellini, Due Telamoni per il balcone di Casa Bianchi (1905), Varese, Via Morosini 17
DE CHIRICO, "I BAGNI MISTERIOSI"
(Triennale di Milano, 1973)
Devo chiedere al cigno se è stato Apollo a far scaturire quell’acqua con un graffito. Dinamica e immota, i bordi taglienti come una ferita interiore nel vero composto di ossigeno e idrogeno, che riflette.
Quale Apollo? Quale Ermes? Quali bagnanti? Il gioco è sospeso.
Il pesce è un arbitro muto. Osserva quel tanto che basta gli dei o gli uomini sorgere da onde di pietra, immemori che ogni altare sorge da un sostegno liquido.
Nota come la scala, come i piccoli pilastri poggino saldi sul fondo di una piccola piscina. Tu, se sali, hai la possibilità concreta di passare oltre il fantasma di una porta.
BERGAMO: LA MUSA INNAMORATA DI PALAZZO RONCALLI
I resti degli affreschi di Piazza Mascheroni come frammenti lirici.
L’epica dell’uomo con lo scettro è solo un ricordo triste.
Vive di musica discreta il flautista che ama nascondersi, quanto resta di un grande concerto è un soffio evanescente ma tenace.
Sembra ancora ispirare chi spalanca le imposte perché possano baciarsi gli amanti.
ALI E RADICI NELL'ARTE
La Chiesa di Pecetto e i bronzi di Tavernari a Macugnaga (2017)
Dalla chiesa di Pecetto alle nubi che si aprono
come sipario sulla montagna, planando nel cuore della Madonna dei Ghiacciai
come nel fulcro assorto di Macugnaga, la luce illumina come pura neve l’ala
dell’angelo sulla terra madre.
Le radici e la pietra di ritorno dal Lago delle
Fate. Quell'isola di luce sui ghiacciai del Rosa.
Il tiglio antico attende il suo millennio, il
ritorno di gregge e pastore plasmati nel bronzo da Tavernari. Il bronzo che
eredita la struttura del legno nella piazza di Macugnaga, il gioco di incastri
che vuole durare nel tempo.
Tavernari, scultore di corpi che si dilatano in
cieli, dove sembra accennare evanescenti graffiti ancestrali.
La montagna è come un monumento a una presenza
amica.
E una pausa di silenzio severo, appena velato di
nostalgia, accompagna il definitivo ritorno all'ovile.
IL PAESE DELLE PIETRE SOGNANTI