Ci ha lasciato domenica 23 il poeta-fotografo di Gemonio
Un grande fotografo, anche quando ci lascia, non chiude mai gli occhi perché resteremo sempre in quello che ha aperto per restituirci il mondo.
Qui e in alto Roberto Molinari in due ritratti di Debora Ferrari
Roberto Molinari era è l’arte che fotografava: quella
forza misteriosa dietro un’apparenza così fragile.
Qui e sopra due foto di Roberto Molinari dello studio di Lucio Fontana a Comabbio (VA) tratte dal catalogo
della mostra, curata da Debora Ferrari e Luca Traini, Viaggio nel segno di Fontana, TraRari Tipi, 2016
Roberto ci ha donato il terzo occhio a passo di danza, in
pose da acrobata: improvvisamente era lì, poi sembrava scomparire – e ti era
sempre accanto. Era quanto doveva ancora essere detto, la misura sottile della
visione, lo sguardo.
Gli artisti e i curatori della mostra Viaggio nel segno di Fontana in una foto di Roberto Molinari:
da sinistra, Vittorio D'Ambros, Angelo Zilio, Stella Ranza, Debora Ferrari, Samuele Arcangioli, Luca Traini.
Non può essere assente. Restiamo nel suo riquadro in
attesa che dica “Va bene”. E riabbracciarlo mentre sorride, anche nel bianco e
nero dei sogni.
ROBERTO MOLINARI E LA SUA PHOTOSOPHIA
Roberto Molinari, Sergio Tapia Radic
“La visione è l’arte di vedere cose invisibili” e in questo modo Roberto Molinari ha dato al mondo dell’arte e agli artisti la sua personale poetica di ripresa attraverso la fotografia. Attivo da oltre trent’anni in territorio varesino e nazionale, Molinari era passato dalla passione per il disegno a china e matita, che coltivava con grande raffinatezza, a metà anni Ottanta, all’amore per la fotografia d’arte e di reportage poetico, lui stesso stampatore dei suoi indimenticabili bianchi e neri.
Con chi firma questo articolo ha scattato migliaia di fotografie in studi, atelier, mostre d’arte, vernissage, conferenze stampa, pubblicate anche per La Prealpina e Lombardia Oggi tra il 1990 e il 2000, ma soprattutto veniva chiamato dagli artisti per la sua capacità poetica di documentare il lavoro dell’arte e il suo esito pubblico rispettando la personalità dell’autore, accentuandola naturalmente. Con leggerezza, pudore, semplicità e sincerità, si muoveva intorno ai soggetti quasi impercettibilmente, come uno spirito che coglie l’apparire segreto del mondo. La sua fotografia possiamo ribattezzarla ‘photosophia’ perché la sua attenzione era all’anima e al senso delle cose, in relazione una con l’altra. Non si limitava a riprendere le opere d’arte destinate a essere scontornate su un catalogo, le faceva vibrare dello spazio circostante, della luce interiore, del significato per un preciso momento storico o un moto sentimentale. La sua è stata una fotografia essenziale, piena di verve, a volte drammatica, a volte gioiosa, sempre rispettosa di ciò che andava a immortalare per sempre, in connessione col senso della vita. La sua ispirazione ci ha insegnato a vedere il mondo con la sua delicatezza poetica tanto da rendere icona ogni cosa che fotografava, come lo scorso anno il grande lavoro per Lucio Fontana nella casa di Comabbio dove ha documentato, insieme ai nipoti del grande artista, in modo essenziale e poetico i suoi strumenti, come taglierino e colori, e i suoi indumenti di lavoro nell’ambiente di design domestico.
Roberto Molinari, Albino Reggiori
La macchina fotografica, l’obiettivo, erano il prolungamento della sua visione cerebrale ed emozionale, tanto quanto era noto per le sue contorsioni nello scatto per carpire le visioni dai punti di vista più segreti. Proprio due mesi fa con noi curatori aveva appena concordato col Direttore dei Musei Civici di Varese la sua mostra personale per i trent’anni di attività fotografica, destinata agli inizi del prossimo anno in Sala Veratti e dal titolo “Obiettivo Soggettivo, i volti nell’arte di Roberto Molinari da Azuma a Scheiwiller”, un repertorio di stampe da lui realizzate negli anni Ottanta e Novanta e una serie di altre fotografie fino alle più recenti, capaci di donarci l’intimità degli artisti e delle loro opere in un centinaio di scatti scelti. Nomi internazionali come Azuma, Abate, Botero, Dangelo, Fabbri, Scheiwiller, Shiao, Veronesi, Sangregorio, Baj, Borghi, Bodini, Lerpa, Ukrufi, per citarne alcuni, accanto ai non meno noti e ben conosciuti a Varese quali D’Oora, Ferrario, Robusti e Robustelli, Reggiori, Vicentini, Lischetti, Arcangioli, Ranza, Zilio, D’Ambros, Morlotti, Traini, Costantini, Monti, Lindner, Ambrosini, Chisari, Quattrini, Scarabelli, Tapia Radic e la lista prosegue.
Roberto Molinari, Anny Ferrario
Ha pubblicato le sue fotografie in numerosi cataloghi di artisti, riviste, quotidiani, mai per vanto personale, sempre per servizio agli altri, generosamente. Questo lavoro sulla sua opera proseguirà per avere corpo nella mostra in preparazione e col suo archivio.
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