Dal Motore Immobile alle
auto che passano, perché tutto passa, anche in Via Veratti, Varese. Restano gli
affreschi del refettorio dell’ex convento di Sant’Antonino, dove le monache
masticavano Aristotele ribollito da San Tommaso distratte dalla sensualità
delle Sibille affrescate in medaglioni dal Magatti rifiniti nelle false architetture
del Baroffio. Ci avevano provato a ricondurle sulla retta via della Tomistica
piena di polvere e profeti barbogi, ma poi si erano persi in quei volti
femminili pieni di grazia - tutta
terrena – e, a loro modo, profetici.
Entriamo da quello che un tempo era il fondale, attori sulla scena di un
teatro di fantasmi discreti. Il nostro ingresso - la porta non è neanche piccola e stretta - si
apre nel muro dell’ex convento di Sant’Antonino e in quello dell'affresco
attribuito a Donato Mazzolino. Lo splendore dell’opera fa da contrasto con l’oscurità
delle notizie sull’autore.
Tra Annunciazione e Strumenti della Passione lascio il segnale rosso
degli estintori.
L’Annunciazione è un film.
Esterno. Flashback. Davide, il re,
l’antenato suona l’arpa. Commento musicale Sinfonia dal Saul di Händel.
Esterno. Flashforward. Esposizione angelica degli Strumenti
della Passione.
I dadi (uno col numero Uno ma tre come in tre Persone), la cui somma è
dieci come le dita delle due mani crocifisse - e la divina Tetraktys dei
Pitagorici - come mura in piccolo.
La lancia in parallelo con il fusto del giglio. Il putto in lacrime, ma
in piedi, diventa l’arcangelo Gabriele che visita Maria. L’altro che piange
seduto rimanda alla postura della Vergine.
Quel muro al centro con i mattoni perfettamente squadrati che sanno di
Città Celeste. La nostra civiltà è un sogno ad angolo retto (con diritto alla distrazione).
Gabriele: un piede fuori e uno dentro. Annunciazione.
Interno. La bellezza di Maria, destra sul cuore
e sinistra accanto al breviario e al campanello che annuncia il Rosario.
I grani del rosario e il pane fresco o stantio delle monache. Mangiare
l’immagine con tutte le sfumature dell’oro per la colomba dello Spirito Santo. Commento
musicale O salutaris hostia di
Giovanni Battista Martini.
Pane stantio. Profeti. Abdia: il testo più breve dell’Antico Testamento,
ma duro e pesante come “roccia di Israele”, come un monolite. Tavola della
Legge che graverà su Edom e Varese anche se cercherà scampo sulle alture del
Campo dei Fiori o nelle Grotte di Valganna.
Meno stantio Abacuc, sempre vecchio bacucco ma da colori e sfumature più
dolci. Come il brandello di testo: “Tu sei uscito per salvare il tuo popolo,
per salvare il tuo consacrato”.
Isaia conserva ancora qualche freschezza: “Un figlio ci è stato dato” e
prenderà vita da quel magma di colori caldi.
Impromptus: il profeta Daniele con le due dita della sinistra che
sembrano chele e quel volto androgino che pare allusione al passaggio dalla
rigidità virile del Libro alla grazia pagana della scrittura delle Sibille,
come il Virgilio della IV Ecloga e del "pius
Aeneas".
E’ ora di spalancare le finestre. Aria dal Magnificat di Vivaldi. Et exultavit.
Maria visita Elisabetta e io resto prigioniero di geometrie e meccanismi
di apertura e chiusura delle imposte.
Lattanzio e Agostino avevano liberato le profezie delle Sibille prima
del rogo dei loro libri e quelle consunte e rattrappite profetesse avevano
preso nuova vita tanto da essere annoverate “nel numero dei cittadini della città di Dio” (Agostino, La
città di Dio XVIII, 23.2). Un modello tanto caro a Umanesimo e Rinascimento
per la tentata osmosi fra reminiscenza pagana ed eredità cristiana che aveva
avuto il suo culmine con Michelangelo negli affreschi della Sistina.
Ecco allora la Sibilla Eritrea che respira a pieni polmoni nel suo
décolleté alla moda. La pagina che sfoglia sottile non ha più nulla della dura pietra
di Abdia.
La Sibilla di Cuma reca una citazione tronca della IV Ecloga virgiliana,
ma il senso è chiaro e la giovane profetessa lo indica in modo cristallino,
come quella goccia sulla fronte trasformata in perla.
La Sibilla Persica, degna della Trilogia Persiana di un Goldoni, bella e
conturbante con le sue tre perle in una persona. Orecchino, spalla, seno e
sguardo perso verso l’alto.
Poi è la Sibilla Libica, a mio modo di vedere, che mostra il suo oracolo
come compito ben scritto in un collegio gesuita. Ma quello sguardo…
Quegli occhi guardano oltre. Oltre il pasto frugale delle suore, oltre
il lusso apparente e la falsa prospettiva marmorea che in realtà non poteva
costringere la grazia prorompente delle donne in quei medaglioni.
Oltre la nostra visita in ritardo di secoli. Ma ora ci siamo.
Quegli occhi, come tutta quest’arte - così imprevista nello scorrere implacabile del tempo, delle auto in Via Veratti,
a Varese - guardano al futuro di una nuova città - terrena – che sappia
finalmente cogliere il senso profondo - e civile - di tutta questa bellezza.
Testo e foto di Luca Traini
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