MACCHINE DA CUCIRE due punti SCRIVERE
La Collezione Gessi
Vedo sempre davanti a me tipi curiosi e originali.
Sono sempre stato affascinato dalla varietà delle individualità umane...
E' questa diversità che mi interessa.
ISAAC B. SINGER (PREMIO NOBEL 1978)
Quell'enorme contenitore di plastica verde scuro io lo ricordo da sempre, grande quanto due scatole di pandoro cucite una all'altra.
Se ne stava lì, dietro il tendone del ripostiglio, dove a Natale si montava il presepe, potevi sedertici sopra e restare comodamente nascosto fin quando la nonna o la mamma non lo avrebbero sollevato per trasportarlo solennemente in cucina come l'arca della santa alleanza. Gli stessi gesti e movimenti che in seguito avrei avuto l'incarico di fare io, il figlio, il nipote maggiore: il gran sacerdote dello strappo e della toppa che alza quella specie di paracarro sul tavolo, solleva altre quattro chiusure, il coperchio...
Ecco, ora la macchina da cucire celeste e acciaio sembra un ponte su un fiume di stoffa: un rocchetto di filo l'ha appena attraversato.
La pedaliera a prima vista pare un corpo estraneo, ma non è così, anzi, ricorda una flebo che dà energia dal basso verso l'alto, vicino alla sedia, nel letto del fiume.
Una musica che è sempre un crescendo, poi d'improvviso, umilmente, si blocca. Quante volte sei stato trafitto? Non riesci a tenere il conto. Ma neanche San Sebastiano è stato infilzato da tante frecce! Mi tornano in mente tutti i punti di sutura di Vito Antuofermo, pugile, quando riuscì a pareggiare il mondiale con Marvin Hagler.
Immaginarsi l'indice che finisce lì sotto, l'ago che non si ferma come per una vaccinazione. Per questo io lo avvicino e lo batto se immobile con un ditale che sembra d'oro ma non lo è. Perché è normale, è una magia quotidiana la macchina da cucire, il punto qui ha una dimensione precisa, come il piano, che è un tavolo, l'energia che passa per il filo della corrente, la spina e la presa - e anche lì non devi mettere il dito.
E' dura da sfasciare la "Weiber", ha superato indenne la seconda guerra mondiale, non è la radio né tantomeno l'orologio, ti devi fidare della mamma, delle istruzioni. Così l'abito e la vita sociale li conquisterai in un minore lasso di tempo (anche se Penelope ha i minuti contati, i Proci suoneranno al citofono).
Ancora oggi quando vado a trovare mia madre, sono io che porto in tavola questa specie di reliquiario. Si tratta di un culto domestico i cui santi hanno nome e cognome: Bartolomeo Thimonnier (quando si dice il cognome), Gualtiero Hunt, Elia Howe, Isacco Singer (che nomi! che nomi!).
Dalla lettera di Bartolomeo Thimonnier al giornale di Villefranche, 1845: "Al di sopra della questione industriale vi è una questione sociale che deve essere risolta prima che possa essere permesso a un qualunque inventore di carpire il misero guadagno delle operaie... Invece di prescrivere le innovazioni destinate ad accrescere il benessere di tutti, invochiamo a gran voce la riforma nell'educazione della donna!".
Purtroppo non sarebbero mancati - e non mancano - le martiri ( e i martiri) anche alla macchina da cucire, ma Thimonnier faceva spola tra ottimismo della ragione e cuore del problema: quindici ore di lavoro al giorno per una miseria e magari anche una morte non lenta, come per la ragazza che aveva cucito a mano giorni e notti di fila per una festa imperdibile a Buckingham Palace o giù di lì.
"Cucire, cucire, cucire,
Da un'ora grigia all'altra;
Cucire, cucire, cucire,
Come il prigioniero lavora
Per scontare i suoi delitti!"
cantava il poeta inglese Thomas Hood -e dopo 150 anni è ancora purtoppo in hit parade da troppe parti -
"O uomini, che avete sorelle amate,
O uomini, che avete madri e mogli,
Non è più una tela che vestite
Portando una camicia, ma un brandello
Di vita di creature umane!".
E perdipiù se inventavi una macchina, toglievi anche lavoro, anche quello. E allora anche l'inventore e/o l'imprenditore rischiava il lastrico, vedi Hunt, vedi Howe, o ci finiva davvero sulla strada, come Thimonnier, a far danzare le marionette per raccattare qualcosa (e i passanti con le bocche cucite).
Finché un altro artista, un altro tecnico (perché in greco arte si dice così "téchne"), mezzo tedesco mezzo americano, via di casa a 12 anni perché si chiamava Isacco, tornitore, attore, cantante, il cui cognome iniziava per "S" come Shakespeare, a. d. 1850, non inventò una macchina, forse la macchina da cucire per eccellenza, che ancora scolpisce le sue lettere come un pentagramma su quanto ci portiamo adosso. Isacco Singer, non a caso oltre che ingegno fertile amante di donne - se fai questo mestiere come fai a non amarle? - più volte marito e padre, come i patriarchi, di 24 figli, ognuno col suo bel ricamo.
E forse quei bambini giocavano, come ancora io ho fatto in tempo, con i rocchetti. Potevi trasformarli in carro, carretto, carrarmato - paracarri, torri, microfoni. Cantarci, volendo - magari con l'accompagnamento degli strumenti musicali che più di 100 anni fa assemblava la "Pfaff", il valzer "belle époque" dello Zigo-Zago:
"Vieni in barchetta,mia bella, a vogar,
Canteremo lieti sopra il lago
La canzone antica dello Zigo-Zago.
Tu m'hai rotto l'ago,m'hai ferito il cuore,
Mi farai morir!".
Ma il mio "Zigo-Zago" era già quello di Daniela Goggi.
Il racconto iniziato da Antonio Gessi è una bella fiaba dai piedi ben piantati per terra, che parla di donne e di uomini -perché in fabbrica, alla "Martegani" di Tradate, c'erano anche loro, soprattutto loro, e lui fra questi - di uomini e donne di manica larga che hanno vestito, vestono i nostri anima&corpo di un piacere concreto.
Così ora anche l'occhio è più libero di spaziare, per esempio, dai famosi aghi di Aquisgrana, disposti come su tavolo da gioco, fino alla corte di Carlo Magno, patrono d'Europa.
E fantasia e stupore viaggiano comodi in un catalogo della "Bassano Grassi" del 1915 dove non c'è guerra ma italiani, tedeschi e americani che fanno a gara nel forgiare in acciaio piccoli gioielli democratici, riprodotti in disegni bianco&nero tanto precisi nella geometria quanto nel dar vita a metamorfosi liquide.
Navette "Titania", "Hansa", "Rhenania", vibranti, reciproche, con incavo o senza, che si trasformano in girini, torpedini e capodogli. Viti e molle, ognuna con la sua tensione, pronte a mutarsi in meduse, in piante subacquee. A pagina 52 un anello a denti con un piccolo ingranaggio dentato al centro sembra proprio una cellula.
Poi tutto torna alla "piastra fondamentale" rettangolare, al "braccio nudo" della macchina, al "mobile contienitutto" dov'è Alma, consorte di Mahler, a guidare finalmente l'orchestra.
Un valzer per ago e filo conduttore. Nel comune sogno di una seconda pelle.
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