venerdì 13 gennaio 2023

50 ANNI CON PICASSO

Commento musicale Eliane Radigue, L’Île Re-Sonante 

Altri miei testi recuperati in tempo per l’anniversario della morte di Picasso. Altri dialoghi fra lui e protagonisti dell’arte fotografati dal caro, compianto amico André Villers per la mostra REFLEXions dans les chambres d'André Villers, curata da Debora Ferrari e dal sottoscritto ad Aosta nel 2008. Letti durante la presentazione del nostro catalogo al Salone del Libro di Torino dello stesso anno.


ARTI QUOTIDIANE


Picasso

La conquista del quotidiano, la più difficile per un artista. Dipingere una casa. La casa. Ma le sue linee devono compensare quelle di un cardiogramma. Tetto, pareti, finestre, contenere tutte le vertigini di quegli impulsi e non darlo troppo a vedere, sennò i vicini, il prossimo, si spaventa. Il fuoco, uscendo dal camino in forma di fumo, continuerà il suo dialogo col cielo. E sulla terra, qui, a Mougins, sarà come condividere sigarette con amici. Parlando del più e del meno che fa battere i nostri cuori.

Hans Hartung

La conquista dell’arte ogni giorno, Pablo. Specie se una patria te la marchia come “degenerata” e devi combatterla in una guerra vera, in una legione straniera, perdendo l’uso delle gambe. La meravigliosa ciclicità del vivere, allora, è questo rullo che stendo su ogni tela per incidere i miei graffi. André lo sa che io cerco di strappare in questo modo al tempo della storia i suoi perché. Non spreca inutili parole, richiede azioni precise la nostra vita, la nostra arte.

Michel Butor

Anch’io che prendo forma nella foto e scrivo non perderò tempo. Metro dei versi: 0,75 litri. La misura concordata con André per il progetto Bouteilles de Survies. Bottiglie di sopravvivenza, perché non si vive di solo pane ma anche di quelle acque intellettuali care agli antichi filosofi, meglio se vino. Bere poesia: la cerimonia giusta oggi per consacrare pensieri, parole, opere a un tempo diverso da quelle due lancette in  competizione.

 

FORME NECESSARIE DEL SOGNO


Picasso

Evocatemi pure la metamorfosi, il sogno, il gioco e vi ringrazierò. Ma fate bene attenzione anche mentre facciamo un autoscatto io e il giovane André. Sognatori, la vostra carezza impalpabile per me è come trovarmi concretamente in Africa: comprendere la vita di ogni maschera e poi tornare in Francia a combattere ogni colonialismo, convinto dall’eredità più onesta del mio continente. Esperti dell’incubo che può diventare sogno, utopia, lotta per una realtà migliore, è dai tempi del cubismo che rimetto in discussione le vecchie prospettive. Da Guernica alla Colomba della pace, da un esilio di cui non vedrò la fine, io ricerco da sempre un punto di vista più alto certo della bellezza del mondo.

Max Ernst

Le mie mani quando accarezzano hanno unghie così lunghe che possono graffiare. Sogni o incubi, lasciano sempre un segno. Sta a noi, Pablo, a tutte le tecniche da inventare, cercare la strada per ricomporre grafie che altrimenti restano dentro come ferite aperte. Se il viaggio andrà a buon fine, la Loira disvelerà ancora una volta un bellissimo corpo di donna. Parola del mio sorriso e di questi capelli bianchi fotografati liberi e scarruffati al vento.

Hans Arp

Io accarezzo sempre le mie opere, perché hanno le forme tonde e sinuose della vita. Le scolpisco, le accarezzo e le lascio subito andare, perché la vita è inafferrabile. Ogni giorno cerco di rinnovare la mitosi di queste cellule e lascio prendere loro la forma dei miti ancestrali che sono dentro di me. Devi sentirle come ho scritto in poesia: “Lamentarsi, cantare, gemere, sospirare”. La cura che riservo a queste esistenze che vanno oltre la mia è la risposta alle forme imposte dagli orrori della storia. Il caso mi ha dato questa necessità.

Joan Mirò

“Noi ci salviamo in giochi più profondi”, Pablo: l’ha scritto Arp. E ci sono anche donne che hanno 100 teste -  Max ne ha fatto un romanzo-collage. Facciamo 1+1 e prima della somma inventiamo una nuova matematica. Usciamo dalla nube degli atomi come nella mia foto in bianco e nero. I colori poi daranno un’altra presenza. Quella dei bambini che fanno un mosaico di tutti i sassi colorati di Pollicino e poi lo disfano subito per dar vita a un altro. Tu resti in Francia e io torno dove la Spagna è meno Spagna nel ’40, a costruire labirinti dove giocare con biglie sempre di nuovi colori. Mi servono 35 anni per vincere la dittatura di Franco. Poi vince anche l’arte.


TRATTI, RESPIRI E ALITI DI VENTO


Picasso

C’è un ultimo ritratto che ho lasciato alla tela un anno prima della morte. Dopo tante opere dedicate all’amore ho visto in faccia proprio lei. E forse non era qualcosa di diverso. Ogni passione ha la sua sindone. Ogni tratto dipinto, per quanto fluido, conosce il gelo quando è compiuto. È una questione di passaggio di stati. Chi vedrà il quadro, se lo ama, riattiverà la chimica dell’arte.

Fellini

André mi ha fotografato per strada, per La strada. E in ogni tratto di strada, quando sono in crisi, trovo te, Pablo, come compagno di viaggio. Eppure ci siamo visti una sola volta a Cannes, forse era il ’61. In sogni a occhi aperti non so quante altre, perché cerco di riprendere ogni scena muovendo i macchinari come un pittore cubista. Ti dedico la mostra contemporanea di artisti antichi nel mio Satyricon. Lascio agli spettatori tutte le illusioni della realtà, dello schermo. Noto che muori ma io tornerò a trovarti, in un’altra Prova d’orchestra. E questa volta non dovremo abbattere muri.

Léo Ferré

Parli del futuro in una foto, Fellini, ma io di muri ne avevo già abbattuti tanti prima che tu cominciassi a fare film. Perché le note possono abbattere ogni muro. E se ci riescono diventano canzoni. D’amore e di anarchia: quelle pareti devi averle già infrante dentro di te. Poi torna il tempo, che gioca a farci costruire, costruire anche inutili difese contro di lui. Respira, Leo, respira quest’aria di Toscana. André ha trattenuto il respiro per fare questa foto. Respira anche per lui. È come una pausa in un’altra canzone. La stessa di quando altri canteranno le tue.

Alexander Calder

Tu non sai quanto ho dovuto respirare, Leo, quando giocavo a football o a lacrosse. Amici che avete nel cuore l’Europa, ricordate uno sportivo americano che finì a Parigi per fare giocattoli e si ritrovò a doversi inventare un circo in miniatura per tirare avanti da una costa dell’Atlantico e l’altra. Arte portatile, come il mio amico Duchamp. Questione di correnti, oceaniche. Sennò perché fare il fuochista in una nave che aveva il mio stesso nome? Al largo del Guatemala ho visto nello stesso tempo il sole sorgere e la luna tramontare. E chi siamo allora per diventare artisti? Plasmiamo, attenti al ritmo, al respiro: se una cosa cade, l’altra sale. Quindi continuiamo a costruire. Statue ben piantate per terra e poi altre che si alzano in volo, mobili come rami leggeri e foglie al primo colore. Sto parlando di questo mentre mi fotografa André. E il respiro non muore se un’immagine è la sua. Tu sai che basterà un soffio o un alito di vento a far danzare ancora una volta la vita che hai scolpito.

Luca Traini


ANDRÉ VILLERS: PICASSO E GLI ALTRI Dialoghi in bianco e nero

Prévert, Boulez, Le Corbusier, Cocteau, Simone De Beauvoir, Xenakis, César, Clouzot, Ionesco


ANDRÉ  VILLERS, IL FOTOGRAFO DI PICASSO

Debora Ferrari, Luca Traini, REFLEXions (Aosta, Brenta, Venezia 2008-2010)

mercoledì 11 gennaio 2023

NON SOLO ALESSANDRO: FRANCESCA MANZONI, POETESSA Nel 280° dalla scomparsa

Commento musicale Maria Teresa Agnesi, Non piangete, amati rai 

Visto che tutti parleranno di Alessandro Manzoni per il 150° dalla morte io ricorderò invece la sua antenata Francesca, vissuta quasi un secolo prima e a lui congiunta, più che nel segno della biologia (lo scrittore è quasi certamente figlio della relazione fra Giulia Beccaria e Giovanni Verri), nel comune amore per la poesia. Perché Francesca, alias Fenicia per gli Arcadi, fu una protagonista della vita culturale milanese - ed europea, in quanto strettamente legata alla corte degli Asburgo - anche se purtroppo per breve tempo. Morì di parto nel 1743 a soli 33 anni, la canonica età di Gesù. E infatti l’intensa ispirazione cristiana dei suoi versi è proprio il segno distintivo che la accomuna al suo discendente. Un sentimento profondo poco di moda tanto agli albori dell’Illuminismo che durante il vuoto conformismo religioso della Restaurazione. Li unisce inoltre la professione di fede nella scrittura per drammi, il teatro in versi.

Tuttavia, se Adelchi o Il conte di Carmagnola li trovate in qualsiasi libreria, per avere subito a disposizione il capolavoro di Francesca, L’Ester, dovete rivolgervi a Google Books e sfogliare virtualmente l’edizione originale del 1733 (avendo fede 290 anni dopo nella rivelazione di una nuova edizione a stampa).


Artemisia Gentileschi, Ester e Assuero (1628-35)

Dramma tratto naturalmente dal Libro di Ester presente nella Bibbia, testo dalla genesi quanto mai complessa, presentato dalla scrittrice in un’introduzione dottissima (trenta fitte pagine), dove fa sue le interpretazioni del testo biblico greco dei Settanta e dello storico Giuseppe Flavio, che ambientano la vicenda alla corte del re dei re persiano Artaserse I Longimano.

C’è da sottolineare che la Manzoni, quasi da femminista ante litteram, ha quasi sempre posto al centro della sua drammaturgia donne come protagoniste. Ne fanno fede altri titoli che aspettano una riedizione contemporanea come La Debbora, La madre de Macabei, L’Abigaile. Tutte eroine bibliche, tutte scritture anche in forma di libretto per oratori o azioni sacre messe in musica da compositori in voga come Francesco Bartolomeo Conti o Luca Antonio Predieri. Stella polare di riferimento e colta mecenate l’imperatrice Elisabetta Cristina, consorte di Carlo VI.


J. G. Auerbach, Ritratto dell'imperatrice Maria Cristina (1730 ca.)

Di questa donna eccezionale, coronata di aura aristocratica, venni a conoscenza per caso, per lavoro, in tutt’altro contesto. Nel biennio 1987-88, ventenne ben lontano dall’essere laureato, ero stato chiamato a insegnare italiano alle Serali - le mitiche, preziose 150 Ore dedicate a encomiabili studenti adulti che di giorno lavoravano e riuscivano pure a trovare la forza di studiare - nelle Scuole Medie di Arcisate dedicate a un famoso artista, arcisatese, del Settecento: Benigno Bossi.


Più noto come il re degli stuccatori del Secolo dei Lumi, come scoprii nella biblioteca dell’università, era stato anche pittore e incisore. Ebbene dobbiamo proprio a questo artista, agli inizi della sua carriera, l’unico ritratto rimasto della poetessa: volto deciso, che ha chiaro quello che sa e vuole, ma fatica a emergere dal buio.


E pochissime notizie allora, poco tempo per me fra studio e lavoro. Il cognome da sposata dopo una parentesi in monastero, Giusti, da Luigi Giusti, letterato e librettista di quell’opera singolare che è il Motezuma (Montezuma) di Vivaldi: all’epoca un raro matrimonio d’amore (alla morte di lei, addoloratissimo, il vedovo si fece sacerdote). Il ruolo del padre, il giurista Cesare Alfonso, che, come il concittadino Pietro Agnesi con le figlie Maria Gaetana e Maria Teresa, aveva tenuto, controcorrente, all’educazione di Francesca tanto che la ragazza padroneggiava con totale sicurezza latino, greco, francese, spagnolo oltre a geometria e, chiaramente, diritto. Il fatto che lei, oltre a rime petrarchesche e in milanese, avesse tradotto i Tristia di Ovidio, sembrava un presagio…

Ma ne parlai alle mie splendide signore alunne della sezione distaccata di Cuasso al Monte, quando m’invitavano a prendere un tè prima dell’inizio delle lezioni del turno delle 17.30? Temo di no, ma sarebbe stato bello, anche perché i drammi di Francesca, al contrario di quelli di Alessandro, erano a lieto fine, come un diploma di terza media delle 150 Ore: il ragionevole ottimismo del nostro secondo dopoguerra, in fondo, era strettamente imparentato a quello dell’Età dei Lumi.


L'Ester di Francesca e la morte di Ermengarda nell'Adelchi di Alessandro a confronto

Dal 1733 al 1822, da L’Ester all’Adelchi: certi passaggi, specie nei cori, sembrano avere proprio lo stesso afflato. Quanto differisce è la speranza a chiare lettere nei versi della prima rispetto al pessimismo dei drammi romantici del secondo (che dovevano di prammatica celare fra righe e tenebre la loro brama di luce). Entrambi si mettono in gioco fra endecasillabi e settenari, ma è nel coro delle Donzelle ebree al seguito di Ester alla fine del secondo atto che sento degli echi vibrare in positivo attraverso un secolo, fino alla morte di Ermengarda (“Sparsa le trecce morbide”) o al confuso popolo italico che dovrebbe destarsi “dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti”: “Talor mentre si teme/ Che più non sia riparo/ Alle ruine, e ai danni/ Sorge la viva speme,/ Quasi un bel raggio chiaro/ Fra l’ombre; e i tristi affanni/ Fuga; indi scioglie i vanni/ A mille alti pensieri,/ E bei desiri ardenti/ Ch’eran sopiti, e spenti,/ Qual zefiro, dai fieri/ Geli oppressi, ravviva/ I fiori in prato, o ‘n riva”.


Nella metrica dell’antenata trova sempre spazio armonico quella Provvidenza protagonista della prosa dello scrittore de I promessi sposi, così ben descritta da Ester nella quinta scena dell’ultimo atto: “Non dorme providenza, ma ogni cosa/ Osserva, e in suo saver si riconsiglia:/Solleva chi è depresso, ed i superbi/ Di confusion ricuopre; ond’io ristretta/ Entro me stessa, a lei tutta in governo/ Mi pongo, e l’alto suo Giudizio adoro”. Sembra di sentire parlare Lucia Mondella prima di passare da regina a operaia (e di questo ringrazio il mio caro Alessandro).

Al di là questi riverberi c’è da sottolineare come anche la Manzoni dia rilievo a personaggi femminili legati a corrispettivi maschili negativi, sottolineando una superiore forza di spirito. È il caso della moglie di Aman (il persecutore degli Ebrei impiccato alla stessa forca da lui fatta costruire) che, dopo aver visto sterminare tutti e dieci i figli, di fronte al terrore della morte del marito grida “Dirassi almeno ch’io morii da forte” e si suicida pugnalandosi al petto.

“E l’alma disdegnosa si fuggì”. Un verso per lei, due rimembranze per la fine dei poemi di Virgilio e Ariosto. E tre Accademie che la videro prima attrice: la colonia milanese dell’Arcadia, quella dei Filodossi  e infine l’Accademia dei Trasformati, da cui avrebbe preso vita il primo Illuminismo milanese. Ironia della sorte, quest’ultima rifondata da Giuseppe Maria Imbonati, il padre di Carlo, compagno di Giulia Beccaria e soggetto del primo importante componimento poetico di Alessandro Manzoni. Dramma della storia, dramma ancora una volta tutto al femminile (per la vita sempre a rischio di tragedia delle donne dell’epoca): Francesca non poté assistere all’inaugurazione del 6 luglio 1743 perché era morta il 28 giugno, dieci giorni di calvario dopo il parto della figlia Angiola.


Ci piace ricordarla felice ancora al lavoro - magari impegnata nella stesura di quella storia delle donne erudite che il tempo e l’epoca le impedirono di completare - quando suscitò la meraviglia anche di un viaggiatore avvezzo a tutto come Charles de Brosses, a Milano nel 1739: “La Biblioteca Ambrosiana è così celebre in Europa... È aperta tutti i giorni, sera e mattina e l’ho sempre trovata, a differenza delle nostre, piena di gente intenta allo studio; ma trovai strano di vedere una donna lavorare in mezzo a un mucchio di libri latini: è la signora Manzoni, che ha il titolo di poetessa dell’imperatrice”.

Noi oggi non lo troviamo strano affatto, ma è merito di tante lotte che non devono mai cessare.

È merito anche di Francesca Manzoni. Che deve essere ricordata insieme ad Alessandro.

Luca Traini

Per un quadro della Milano dell'epoca vedi anche

Montesquieu a Milano: pagine e musica


martedì 10 gennaio 2023

LA MUSICA DI RAMEAU Finesse de la géométrie de l'esprit

340 anni dalla nascita dell’uomo, 35 dal sorgere del mio amore per la sua musica immortale.Un amore nato nel reparto dischi della libreria dell’università. Les Indes galantes come preparazione alla lettura de L’architettura dell’Illuminismo di Kaufmann.

A seguire, Castor et Pollux, l’aria “Nature, amour,qui partagez mon coeur” per il trapasso delle forme. Completando la trasfigurazione grazie a un altro compositore a me caro, Rebel: dal “Chaos” dei suoi Élements la metamorfosi del reticolato da minuetto nella Casa per i guardiani del fiume di Ledoux - o l’irrigazione dello stesso in nuovi , precisi, canali danzanti secondo la geometria appassionata di ”Orfeo-Euclide” (puntuale definizione di Rameau offerta da Voltaire).

I progetti dei miei compagni visionari Boullée, Ledoux, Lequeu erano l’alter ego crepuscolare del luminoso pomeriggio di Rameau ,l’incendio della rivoluzione rispetto al fuoco del tè o del caffè degli illuministi.

Ho ritrovato un frammento stralciato dai miei Teatri di guerra, breve dialogo fra il compositore e Voltaire:

Rameau

Ditemi dove l’armonia dovrebbe divergere dalla natura umana e io straccerò ogni pentagramma.

Voltaire

Non occorrono “venti furiosi né tristi tempeste”. Non siete compositore? Anch’io cerco di esserlo. Per questo dobbiamo mantenere esatte quelle scienze, come fisica e geometria, per cui occhi, cervello  e mani provano e riprovano al compasso cercando di mettergli le ali.

Rameau

Si parla di note, ma noi cerchiamo di stringere fra queste cinque dita qualcosa d’ignoto che sembra sfuggire a righe e pause. C’è una chiave per comprendere tutte queste fughe? Io credo di sì. Me lo conferma il richiamo degli uccelli - loro sì che volano alto - l’accordatura del mio vecchio clavicembalo. E voi, mio caro Voltaire, sapete bene che “corda” significa “cuore”. Un cuore che pulsa secondo un crescendo preciso, nella fisica come in musica. E nell’amore.


Le sue Fêtes d'Hébé anche a commento del Quadro 7/15-L’imbarco per Citera-della mia opera teatrale su Watteau:

Watteau

Partiamo

Esitanti amor mio

Preghiamoci l’un l’altro

Su alzati

È tempo di partire


Fanciullo

(tirando per la gonna l’amata)

Svelta signorina

Che è tempo di morire


Amante

(che l’aiuta a rialzarsi)

Non è vero amor mio

Là ci ameremo per sempre


Fanciullo

Svelta signorina

Che dovete morire


Amante

Il vascello vi assicuro

È rivestito di un drappo rosso come l’amore


Coro dei Cupidi

Nudi e immortali

Vestiti a festa

Morti


Erma

Gelo


Watteau

Rose


Erma

Gelo


Watteau

Faretra e frecce


Erma

Gelo


Watteau e l’Amante

Destiamoci amor mio

Che è tempo di morire


Watteau 

Un sogno

È tutto un sogno


Battelliere

Agli amanti, con solennità.

Partite per amarvi e morire?


Coro degli Amanti


Coro dei Cupidi

Nudi e immortali

Vestiti a festa

Morti


“Finesse de la géométrie de l'esprit” è definizione mia, perché la precisa "géométrie des esprits" dell’autore del Traité de l'harmonie reduite à ses principes naturales è inscindibile dall’appassionato incisore di tutta una coralità di affetti che troviamo solo nei grandi.

Progressione esponenziale di Bellezza esemplare anche in epoca di geometrie post-euclidee.

Luca Traini

lunedì 9 gennaio 2023

IO E MONTEVERDI

380 anni dalla sua morte? 

Certi anniversari funerei sono sempre discutibili, specie se riguardano l’arte. Io so solo che il Magnificat di Claudio Monteverdi lo amo con tutte le mie forze da quando scese a consolare una precoce fine di saltatore in lungo e triplo nel 1980. Mia madre, prima, aveva sperato che diventassi un violinista, ma in quattro tristi anni di liceo musicale avevo imparato solo la paura della pece, quella da spalmare l’archetto. In atletica invece ero stato io, adolescente irrequieto e indisciplinato, a distruggere anche sogni miei, dell’allenatore  e quasi la gamba che ho a sinistra.

Tirato via il gesso, zoppicando fino all’edicola, comprai quel fascicolo con disco della collana I grandi musicisti, perché c’era il ritratto di un uomo dell’età che mi interessava, il Barocco. L’amore per la storia mi era rimasto, almeno quello, e di musica volevo ascoltare solo quello che non si sentiva a scuola.

Tu, divinità così umana dall’armonia tanto strana e dolce, che al Verdi nazionale facevi preludere Monte, tu sì che trasformavi il calvario dei punti di sutura del mio quadricipite in un pentagramma dalla melodia sublime. Una donna decideva con tale soavità di curare nel proprio grembo un Dio che si sarebbe fatto uomo e sarebbe stato crocifisso (e io all’epoca ero molto credente).

Dai piagnistei sulle proprie sventure, ora sì, riuscivo a scorgere tra le lacrime qualcosa di incredibilmente più bello, come una carezza della Madonna di Michelangelo al figlio morto.

Quando si dice che il caso desta l’amore. Poi vengono i fiori se scopri che il brano è tratto dai Vespri della Beata Vergine e il compositore è nato a Cremona, di cui conoscevi solo il torrone e quello scrittore incapace di ogni misura, il vescovo Liutprando. E io allora coltivo l’amore più dei fiori, perché riesco a fare mia di lì a qualche anno anche un’edizione de L’Orfeo che quasi ti tirano in faccia, sempre perché c’è Monte prima di Verdi (solo all’università ho imparato ad amare anche Giuseppe).

Cosa c’è di più gratificante, per uno che spera di non essere disperato, di un mito di Orfeo rivisto e corretto? Dalla Toccata - l’Ouverture - al lieto fine che ancora oggi canto insieme ad Apollo che scende dall’empireo: “Saliam cantand’al cielo”. Che meraviglioso tradimento rispetto alle Georgiche di Virgilio!

Ma che importa? La passione mi guida in una nuova specie di orfismo dagli occhi lucidi che va dal teatro della Fabula di Orfeo di Poliziano - evocato nei miei Teatri di guerra - al cinema di Cocteau, dove nel suo Orfeo attraverso anch’io lo specchio per ritrovarmi oltre l’oceano, in Brasile, con l’Orfeo negro di Marcel Camus.

Poliziano e Botticelli: componimento di Orfeo, crepuscolo dell'Umanesimo

Passando per l’Euridice di Jacopo Peri e Giulio Caccini, le origini del melodramma e il suo trionfo con la sintesi già nel titolo - Orfeo ed Euridice - di Gluck, altro autore a me molto caro e poco ricordato come si deve, di cui racconterò presto.

Negli occhi le continue metamorfosi del mito in forma di storia, ora danzante in piena luce (Botticelli) ora al crepuscolo (Tiziano). Preghiera immobile di Giulio Romano a Palazzo Te, prima del crollo insieme ai Giganti, o doppia, in due quadri di Rubens (nel secondo Euridice sgrana quegli occhi alla coppia infernale: lei sa). La solitudine del poeta sulla terra abitata nel quadro di Poussin e poi il trionfo in cielo col Tiepolo nell’atto e nel secolo che segue  (preludio all’ottimismo dei Lumi, a Gluck).

Fino a Orfeo e Euridice di Alberto Savinio, che giocano a posare finalmente felici (forse) agli Uffizi.

Commento musicale (sempre suo): Orfeo vedovo (1950). Vedovo ormai solo di Poesia (parola dell’autore).

Beato lui. Beato di più chi torna a scrivere sulle note del Magnificat di Monteverdi.

Luca Traini