martedì 26 aprile 2022

FILOSOFIA IN GUERRA Colpa e necessità

Anno 243, Plotino vuole raggiungere la Persia e l’India come più di cinque secoli prima lo scettico Pirrone al seguito di Alessandro Magno: anche lui oltre i confini della geografia e dei sensi per fare proprio quel distacco dalle cose materiali che l’antico filosofo diceva di aver appreso da Magi e Gimnosofisti. Superare la sua atarassia, la sospensione di ogni giudizio, per giudicare negativamente anche quest’ultima forma di apparenza e discernere nella zona d’ombra più profonda di ogni azione, di ogni pensiero, quella luce abissale, incorporea che dà unità al tutto e continua a sfuggire come la cavalleria persiana quando finge di ritirarsi. Perché questo era il primo nemico da vincere quando, ormai quarantenne, dopo dieci anni di studio alla scuola del neoplatonico Ammonio Sacca ad Alessandria, il filosofo si unisce all’enorme polverone dell’esercito guidato dal giovane imperatore Gordiano III e dal suocero Timesiteo, prefetto del pretorio. Non c’è da immaginarlo mercenario come il giovane Cartesio nelle truppe del duca Massimiliano di Baviera, la sua era una famiglia benestante di Licopoli (l’odierna Asyut), ma come un aggregato alla torma di funzionari che seguiva la corte. La parentesi bellica porterà entrambi i filosofi a due diverse illuminazioni. Tornando al III secolo sappiamo che è passato alla storia soprattutto per l’anarchia militare, eppure una spedizione così ben organizzata non si vedeva da tempo.  Il re persiano Shapur, che aveva invaso la Siria, viene ricacciato in Mesopotamia e inseguito in profondità. Poi qualcosa va storto. I brandelli di cronaca rimasti sono difficili da ricucire, specie se la fonte principale è l’inaffidabile Historia Augusta. Timesiteo pare muoia di dissenteria. Poi è la volta di Gordiano, che finisce assassinato. Da chi? Da soldati sempre più avvezzi a uccidere per qualche motivo sovrani o aspiranti tali? Da Filippo, che gli succede al trono, firma una pace frettolosa e di lì a qualche anno festeggia, lui originario dell’Arabia Petrea, il millennio di Roma? In questa cupa assenza di ogni chiarezza Plotino è intanto fuggito a Roma, via Antiochia. La prima di una serie di fughe quasi trentennali da qualsiasi realtà storica che esplicherà nella scuola a cui darà vita nella capitale di un impero sempre più in preda a convulsi cambiamenti. Se il mondo materiale sembra crollare, allora è da rifiutare. L’itinerario della salvezza, individuale, porta al di là di ogni geografia terrena - anche se solcata da strade romane - verso la ricomposizione astratta in un’unità originaria superiore a qualsiasi ragione, che si emana come luce fino alle tenebre, comunque presenti. Come dare ragione di questa oscurità, da cui comunque si dovrebbe tendere alla luce con la ragione? Mistero filosofico. Ragione storica: la resa delle élite classiche, per quanto complessa e geniale (pensiamo solo al successo nei secoli del neoplatonismo), di fronte a una concreta comprensione delle metamorfosi sociali interne allo stato e delle politiche dei diversi popoli confinanti. La restaurazione del potere imperiale, sia in forma pagana con Diocleziano che in quella cristiana da Costantino in poi, consapevole o meno, farà tesoro di questo metodo speculativo, trasformando definitivamente in potere autocratico l’autorità imperiale: il sovrano come entità metafisica.

Nel mio testo, inserito in Teatri di guerra come 2 B e ambientato nell’anno 269, a contestare il pessimismo terreno di un Plotino ormai vecchio e malato nell’ultimo esilio in una zona remota della Campania, con la sola compagnia del discepolo Eustochio, è uno Straniero, sullo stile dello Straniero nel Sofista di Platone: un vecchio soldato che, nell’intrico irrisolto fra necessità e colpa che caratterizza il rapporto tra il mondo e l’Uno, sottolineerà la necessità di una concreta espiazione tutta umana nell’agire storico.

FILOSOFIA IN GUERRA Colpa e necessità

Luce.

Eustochio

Maestro, c’è un uomo che vuole abbracciarvi.

Plotino

Davvero? Ma non vuole farlo più nessuno, con queste mani così ulcerate…

Straniero

Abbracciami, maestro.  Cosa vuoi che sia un po’ di sangue per un vecchio soldato?

Plotino

Sei molto caro. Un soldato? Io di soldati ne ho conosciuti, ma era tanto tempo fa.

Straniero

Un quarto di secolo. E io ero di guardia quando un filosofo venne a chiedere di seguire l’esercito per conoscere i saggi della Persia e dell’India. “Fallo passare!” gridò il centurione “È un ordine dell’imperatore e di suo suocero!”.

Plotino

Uomini colti, come me. Eppure la nostra ragione ancora non aveva la meglio sul mito di Alessandro Magno.

Straniero

I miti sono i più duri a morire. Però all’epoca eri ottimista anche per le cose terrene. E infatti alla vittoria ci siamo andati vicini. Non fosse stato per la dissenteria che ha ucciso Timesiteo, per il gusto di ammazzare così, un imperatore dopo l’altro… A proposito di dissenteria, so che anche tu hai problemi all’intestino.

Plotino

L’intestino è come un generale destinato a ripulire l’impero del corpo. Se guarda verso l’alto, libera anche il pensiero verso un re immateriale che soltanto lui è creatore. Ma, se guarda verso il basso e resta intriso di materia…

Straniero

Diventa un generale ribelle. Ne abbiamo visti tanti farsi imperatori senza pensarci troppo. E io da loro bravo intestino ho fatto carriera: prima stomaco, poi dentatura, canini. Ho ucciso in modo razionale, come prescritto: colpire di taglio al ventre. Anime romane, materia barbara, così. Sono stato complice anche di tutti gli orrori concessi a chi vince. Chi li permette considera razionali anche questi. Tu diresti da un punto di vista unitario. Loro, per salvaguardare l’unità dell’impero.

Plotino

“Come sulle scene del teatro, così dobbiamo contemplare anche nella vita le stragi, le morti, la conquista e il saccheggio delle città come fossero tutti cambiamenti di scena e di costume, lamenti e gemiti teatrali.” (1).

Straniero

Tu sei fuggito da questo teatro. E il tuo deus ex machina lascia che la macchina stritoli quelli che tu chiami fantasmi. Fuga dopo fuga sei riuscito a farli svanire perché hai potuto insegnare in pace nella città di Roma. È stato grazie a visceri fedeli come me allo spurgo della cosa pubblica se nessun barbaro l’ha ancora sventrata. Poi anche il mio intestino si è ribellato.

Eustochio

Perché attacchi così il maestro? In questi anni di terribile anarchia le sue parole sono state per noi un raro barlume fra le tenebre. Lui voleva fondare in pace una città retta dagli insegnamenti di Platone e l’imperatore Gallieno era quasi sul punto di concederla se certi suoi cattivi consiglieri…

Straniero

Ragazzo, di cosa stai parlando? Di una cittadina di 5040 eletti? Guarda che le Leggi di Platone le ho lette anch’io quando ho smesso di uccidere. E sono tutt’altro che pacifiche.

Plotino

Non prendertela con lui. Ti ringrazio, Eustochio, sei rimasto come un figlio ad accompagnare le mie parole al possesso del definitivo silenzio. E ringrazio anche te – devo chiamarti soldato? filosofo? -per la pace sporca di sangue che mi ha permesso di insegnare nel fulcro dell’impero, prima di chiudermi in questo angolo sperduto della Campania. Perché il mio è stato sempre un esilio e se sono fuggito è stato solo per cercare di tornare. Se conosci il mio pensiero allora devi comprendere che questa corsa apparente - sembra una colpa, lo so, e anche di questo vi è traccia - in realtà è la somma di tante immagini immobili di un’unica realtà dominata dalla necessità. Dobbiamo tornare per capire di non essere mai partiti.

Straniero

Plotino di Licopoli, tu in verità non sei mai partito dalla famiglia benestante in cui sei nato. Io che a stento ho conosciuto i miei genitori - forse era barbara mia madre - sono corso da una parte all’altra dell’impero cercando di preservarne l’unità. Come fosse da sempre e per sempre, quando anche Roma era nata da genitori oscuri. E anche questa unità, come il tuo Uno, ha una terribile necessità del buio, per chiudere nel non essere i suoi pezzi fatti a pezzi. Il grido di quei corpi, la puzza dei loro cadaveri tu proprio non li vuoi sentire: guardi e annusi distrattamente solo fin dove emana il profumo delle rose dei poeti di corte. La traccia di quelle spine è in ogni cicatrice del mio corpo. Per questo il mio intestino si è ribellato, è riuscito infine a fissare la mente senza paura. Ora, insieme, ragionano in modo diverso. E riconoscono le colpe della loro tragedia senza maschera. Per questo sono più solo di te, perché queste colpe non le vuole riconoscere nessuno - parlo di quelli che avrebbero il potere di farlo. Potrei farlo anch’io? Il fatto che mi ponga questa domanda è già un limite - chissà, forse un giorno un nuovo Spartaco non finirà crocifisso - ma continuare a farsi domande è giusto. Dialogare come Socrate, come a teatro. E io oggi sono solo un cattivo attore tragico che viene a rendere omaggio a un grande capocomico.

Eustochio

Come ti permetti - tu macellaio, cane randagio, tu mezzo barbaro che sogni la vittoria futura di uno schiavo - come ti permetti di dare del buffone a un grande uomo libero e di pace?

Straniero

Una libertà e una pace per pochi.

Plotino

Eustochio, non prendertela. Quest’uomo in fondo ha ragione. La nostra salvezza è per pochi, da conquistare da soli: fuga di uno solo verso il Solo per eccellenza, l’Uno, quando e solo Lui vorrà strapparci da questi fuochi fatui, che non sono la Luce vera. E noi, che abbiamo questo privilegio, chi siamo noi per dire di no a questa Luce? Sarà lei a risolvere quel mistero abissale che unisce la necessità alla colpa. E se colpa deve essere, possano espiarla queste mani ulcerate, questo intestino ribelle, i dolori al petto che non mi danno tregua e si propagano dalla bocca alle braccia. Anche noi siamo schiavi, schiavi di questo corpo.

Straniero

I veri schiavi sono altra cosa. Il tuo grande teatro filosofico è la bella copia di un vecchio mondo in rovina. Ai nuovi padroni che si faranno dei anche prima di morire o fingeranno di essere servi, servi di una divinità implacabile come la tua, le tue soluzioni saranno particolarmente gradite. In un modo o nell’altro i tuoi discorsi avranno successo nei più altri scranni del potere. Li riplasmeranno col crisma della necessità per rimettere insieme i pezzi del loro mosaico. Chiameranno ordine, chiameranno arte ogni colpo che servirà a renderli più piccoli.

Plotino

“Il giorno, restando unico e identico, è contemporaneamente in molti luoghi, senza essere separato da sé” (2).

Eustachio

Così scrive Platone nel suo Parmenide, la nostra guida.

Straniero

Così fa dire a Socrate. E il suo Parmenide risponde: “Come se, dopo aver avvolto molti uomini con un velo, dicessi che questo, uno e nella sua interezza, si trova sopra molti” (3).

Plotino

Quel giorno…

Eustachio

Quel velo… Comprendi, straniero?

Straniero

Lo straniero ha strappato quel velo. E ha visto solo esseri umani.

Buio.

Luca Traini


Note

(1) Plotino, Enneadi, III 2, 15,Trad. Claudio Marcellino, Rusconi 1997

(2) Platone, Parmenide, 131 b, 3-5, Trad. Franco Ferrari, Rizzoli, 2004

(3) Platone, Parmenide, 131 b, 7-9, Trad. Franco Ferrari, Rizzoli, 2004