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mercoledì 11 gennaio 2023

NON SOLO ALESSANDRO: FRANCESCA MANZONI, POETESSA Nel 280° dalla scomparsa

Commento musicale Maria Teresa Agnesi, Non piangete, amati rai 

Visto che tutti parleranno di Alessandro Manzoni per il 150° dalla morte io ricorderò invece la sua antenata Francesca, vissuta quasi un secolo prima e a lui congiunta, più che nel segno della biologia (lo scrittore è quasi certamente figlio della relazione fra Giulia Beccaria e Giovanni Verri), nel comune amore per la poesia. Perché Francesca, alias Fenicia per gli Arcadi, fu una protagonista della vita culturale milanese - ed europea, in quanto strettamente legata alla corte degli Asburgo - anche se purtroppo per breve tempo. Morì di parto nel 1743 a soli 33 anni, la canonica età di Gesù. E infatti l’intensa ispirazione cristiana dei suoi versi è proprio il segno distintivo che la accomuna al suo discendente. Un sentimento profondo poco di moda tanto agli albori dell’Illuminismo che durante il vuoto conformismo religioso della Restaurazione. Li unisce inoltre la professione di fede nella scrittura per drammi, il teatro in versi.

Tuttavia, se Adelchi o Il conte di Carmagnola li trovate in qualsiasi libreria, per avere subito a disposizione il capolavoro di Francesca, L’Ester, dovete rivolgervi a Google Books e sfogliare virtualmente l’edizione originale del 1733 (avendo fede 290 anni dopo nella rivelazione di una nuova edizione a stampa).


Artemisia Gentileschi, Ester e Assuero (1628-35)

Dramma tratto naturalmente dal Libro di Ester presente nella Bibbia, testo dalla genesi quanto mai complessa, presentato dalla scrittrice in un’introduzione dottissima (trenta fitte pagine), dove fa sue le interpretazioni del testo biblico greco dei Settanta e dello storico Giuseppe Flavio, che ambientano la vicenda alla corte del re dei re persiano Artaserse I Longimano.

C’è da sottolineare che la Manzoni, quasi da femminista ante litteram, ha quasi sempre posto al centro della sua drammaturgia donne come protagoniste. Ne fanno fede altri titoli che aspettano una riedizione contemporanea come La Debbora, La madre de Macabei, L’Abigaile. Tutte eroine bibliche, tutte scritture anche in forma di libretto per oratori o azioni sacre messe in musica da compositori in voga come Francesco Bartolomeo Conti o Luca Antonio Predieri. Stella polare di riferimento e colta mecenate l’imperatrice Elisabetta Cristina, consorte di Carlo VI.


J. G. Auerbach, Ritratto dell'imperatrice Maria Cristina (1730 ca.)

Di questa donna eccezionale, coronata di aura aristocratica, venni a conoscenza per caso, per lavoro, in tutt’altro contesto. Nel biennio 1987-88, ventenne ben lontano dall’essere laureato, ero stato chiamato a insegnare italiano alle Serali - le mitiche, preziose 150 Ore dedicate a encomiabili studenti adulti che di giorno lavoravano e riuscivano pure a trovare la forza di studiare - nelle Scuole Medie di Arcisate dedicate a un famoso artista, arcisatese, del Settecento: Benigno Bossi.


Più noto come il re degli stuccatori del Secolo dei Lumi, come scoprii nella biblioteca dell’università, era stato anche pittore e incisore. Ebbene dobbiamo proprio a questo artista, agli inizi della sua carriera, l’unico ritratto rimasto della poetessa: volto deciso, che ha chiaro quello che sa e vuole, ma fatica a emergere dal buio.


E pochissime notizie allora, poco tempo per me fra studio e lavoro. Il cognome da sposata dopo una parentesi in monastero, Giusti, da Luigi Giusti, letterato e librettista di quell’opera singolare che è il Motezuma (Montezuma) di Vivaldi: all’epoca un raro matrimonio d’amore (alla morte di lei, addoloratissimo, il vedovo si fece sacerdote). Il ruolo del padre, il giurista Cesare Alfonso, che, come il concittadino Pietro Agnesi con le figlie Maria Gaetana e Maria Teresa, aveva tenuto, controcorrente, all’educazione di Francesca tanto che la ragazza padroneggiava con totale sicurezza latino, greco, francese, spagnolo oltre a geometria e, chiaramente, diritto. Il fatto che lei, oltre a rime petrarchesche e in milanese, avesse tradotto i Tristia di Ovidio, sembrava un presagio…

Ma ne parlai alle mie splendide signore alunne della sezione distaccata di Cuasso al Monte, quando m’invitavano a prendere un tè prima dell’inizio delle lezioni del turno delle 17.30? Temo di no, ma sarebbe stato bello, anche perché i drammi di Francesca, al contrario di quelli di Alessandro, erano a lieto fine, come un diploma di terza media delle 150 Ore: il ragionevole ottimismo del nostro secondo dopoguerra, in fondo, era strettamente imparentato a quello dell’Età dei Lumi.


L'Ester di Francesca e la morte di Ermengarda nell'Adelchi di Alessandro a confronto

Dal 1733 al 1822, da L’Ester all’Adelchi: certi passaggi, specie nei cori, sembrano avere proprio lo stesso afflato. Quanto differisce è la speranza a chiare lettere nei versi della prima rispetto al pessimismo dei drammi romantici del secondo (che dovevano di prammatica celare fra righe e tenebre la loro brama di luce). Entrambi si mettono in gioco fra endecasillabi e settenari, ma è nel coro delle Donzelle ebree al seguito di Ester alla fine del secondo atto che sento degli echi vibrare in positivo attraverso un secolo, fino alla morte di Ermengarda (“Sparsa le trecce morbide”) o al confuso popolo italico che dovrebbe destarsi “dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti”: “Talor mentre si teme/ Che più non sia riparo/ Alle ruine, e ai danni/ Sorge la viva speme,/ Quasi un bel raggio chiaro/ Fra l’ombre; e i tristi affanni/ Fuga; indi scioglie i vanni/ A mille alti pensieri,/ E bei desiri ardenti/ Ch’eran sopiti, e spenti,/ Qual zefiro, dai fieri/ Geli oppressi, ravviva/ I fiori in prato, o ‘n riva”.


Nella metrica dell’antenata trova sempre spazio armonico quella Provvidenza protagonista della prosa dello scrittore de I promessi sposi, così ben descritta da Ester nella quinta scena dell’ultimo atto: “Non dorme providenza, ma ogni cosa/ Osserva, e in suo saver si riconsiglia:/Solleva chi è depresso, ed i superbi/ Di confusion ricuopre; ond’io ristretta/ Entro me stessa, a lei tutta in governo/ Mi pongo, e l’alto suo Giudizio adoro”. Sembra di sentire parlare Lucia Mondella prima di passare da regina a operaia (e di questo ringrazio il mio caro Alessandro).

Al di là questi riverberi c’è da sottolineare come anche la Manzoni dia rilievo a personaggi femminili legati a corrispettivi maschili negativi, sottolineando una superiore forza di spirito. È il caso della moglie di Aman (il persecutore degli Ebrei impiccato alla stessa forca da lui fatta costruire) che, dopo aver visto sterminare tutti e dieci i figli, di fronte al terrore della morte del marito grida “Dirassi almeno ch’io morii da forte” e si suicida pugnalandosi al petto.

“E l’alma disdegnosa si fuggì”. Un verso per lei, due rimembranze per la fine dei poemi di Virgilio e Ariosto. E tre Accademie che la videro prima attrice: la colonia milanese dell’Arcadia, quella dei Filodossi  e infine l’Accademia dei Trasformati, da cui avrebbe preso vita il primo Illuminismo milanese. Ironia della sorte, quest’ultima rifondata da Giuseppe Maria Imbonati, il padre di Carlo, compagno di Giulia Beccaria e soggetto del primo importante componimento poetico di Alessandro Manzoni. Dramma della storia, dramma ancora una volta tutto al femminile (per la vita sempre a rischio di tragedia delle donne dell’epoca): Francesca non poté assistere all’inaugurazione del 6 luglio 1743 perché era morta il 28 giugno, dieci giorni di calvario dopo il parto della figlia Angiola.


Ci piace ricordarla felice ancora al lavoro - magari impegnata nella stesura di quella storia delle donne erudite che il tempo e l’epoca le impedirono di completare - quando suscitò la meraviglia anche di un viaggiatore avvezzo a tutto come Charles de Brosses, a Milano nel 1739: “La Biblioteca Ambrosiana è così celebre in Europa... È aperta tutti i giorni, sera e mattina e l’ho sempre trovata, a differenza delle nostre, piena di gente intenta allo studio; ma trovai strano di vedere una donna lavorare in mezzo a un mucchio di libri latini: è la signora Manzoni, che ha il titolo di poetessa dell’imperatrice”.

Noi oggi non lo troviamo strano affatto, ma è merito di tante lotte che non devono mai cessare.

È merito anche di Francesca Manzoni. Che deve essere ricordata insieme ad Alessandro.

Luca Traini

Per un quadro della Milano dell'epoca vedi anche

Montesquieu a Milano: pagine e musica


mercoledì 4 maggio 2022

FORME DEL TEMPO AUTENTICO

 TEMPO AUTENTICO (STILL LIFE RELOADED 2020-21)

Fabrizio Jelmini photographer

Banca Generali Private Como, Via Lungo Lario Trento 9

Inaugurazione Sabato 7 maggio Ore 11

Info, stampa e prenotazioni: culturalbrokers@gmail.com; tel. Banca 031 3254611

Dal 7 maggio al 30 giugno, in orario di apertura della filiale, a cura di Debora Ferrari e Luca Traini, dopo essere stata presentata a Legnano, arriva a Como la mostra di Fabrizio Jelmini nella sede di Banca Generali Private con una trentina di fotografie, stampate in grande formato.

L'esposizione è accompagnata da un originale catalogo ed. TraRari TIPI in limited edition con fotografie scelte dell’autore, sempre a cura di Debora Ferrari e Luca Traini - editori.

“Lo Still Life di Jelmini ci porta dentro il concetto di esistenza non solo in quello di tempo e vanitas. Ogni scatto della sua fotografia con oggetti inanimati o piante e fiori è un palcoscenico in cui gli attori si mettono oltre il sipario per portarci un profondo significato. Quello che opera con composizione, inquadratura, scatto e preparazione della fotografia su supporti speciali è un’alchimia di colori e volumi, come in un dipinto ma con la luce e gli sfondi, e i soggetti racchiusi nel suo teatro ci narrano di vita e di morte, racchiuse entrambe nella memoria, come in un duplice asse cartesiano. Anche qui conduce un reportage: dalla vita delle cose alla permanenza nell’arte” (Debora Ferrari).



“Non posso che ringraziare Banca Generali Private - 
dice Guido Stancanelli, District Manager - che ci asseconda e sostiene nella realizzazione di questi eventi, come nel caso della mostra delle opere di Fabrizio Jelmini, uno dei fotografi più prestigiosi a livello nazionale. I suoi scatti di grande fascino e purezza di stile sono un esempio di come anche oggi, soprattutto ai nostri giorni, si possa fare arte all’insegna della più schietta originalità attingendo a una grande, ricca tradizione di linguaggi estetici capaci ogni volta di rinnovarsi. Le forme del Tempo Autentico di queste fotografie ci lanciano un messaggio di occhi attenti e cuore pulsante, che è preziosa testimonianza di cura e passione per vedere e cercare di comprendere con uno sguardo di sostanziosa premura le realtà in cui siamo immersi senza dare nulla per scontato”.


Viaggio intorno alla camera ottica

"La traccia del grande viaggiatore – e Fabrizio Jelmini lo è stato in foto e video per anni e grandi spedizioni – resta anche nell’evidenza di quanto rivelato fra quattro mura o in un giardino. Rigore e passione non si misurano in chilometri ma in viaggi-luce. Fotografie di continenti strappati alla deriva i suoi still life, dove il magma di fondo si compone e trasfigura in colori o bianco e nero dai contorni così precisi che non possono che alludere altrove: la fuga da ogni cornice. La visione di una foto nasce a camera chiusa. Apri gli occhi e la mappa dei soggetti inquadrati è una  cartina tornasole che non fa distinzioni fra quanto altri definiscono come cose e fiori, ma unisce in simbiosi quelle cronologie distanti in una sola, quella dell’obiettivo. La geografia dello sguardo prevede fiori fissati come meridiani con relative proiezioni che tendono al cielo fissandolo alle proprie radici. È una quotidianità che sottintende l’eterno, una pulizia formale che non teme le rughe del tempo. E i fiori di Fabrizio - teatro di anatomia e petali, sospesi - amano piegarsi e rivolgersi alle cose: è un dialogo che ricerca sostegno alla vita, allo stesso modo di noi umani verso quanto dovrebbe essere solo oggetto e invece è anche altro. È arte, è sentire con chiarezza la complessa differenza dei tempi fra diverse forme di esistenza, diversi tempi di esposizione" (Luca Traini).


Fabrizio Jelmini, @Emanuela Balbini, 2020

Fabrizio Jelmini è fotografo tra i più apprezzati e richiesti, capace di dosare la sensibilità del suo scatto nei multiformi campi d’indagine di quest’arte unendo in simbiosi rigore, passione e originalità e spaziando, in più di quarant’anni di esperienza, dal reportage giornalistico e documentaristico alla moda, dallo still life alla psicologia del ritratto. Nato ad Arconate nel 1961, ma sempre in viaggio fra i diversi continenti (ha visitato più di cento Paesi), è giornalista pubblicista e professionista della fotografia dal 1980. Numerose le collaborazioni, in primo luogo con prestigiose testate nazionali (Corriere della sera, Il Giorno, Repubblica, I viaggi di Repubblica, D-La Repubblica delle Donne) e riviste quali Ulisse 2000, Riders, About BMW, Cafe Racer, Vie e trasporti, Flotte & finanzaIntensa anche l’attività con importanti emittenti televisive (Rai 1, Rai 3, Canale 5, Rete 4, LA7, Arte, solo per citare le principali), curando reportage di particolare interesse, come a Mostar durante la guerra nell’ex Jugoslavia o in Iraq con uno speciale sull’uso bellico dell’uranio impoverito,  lavorando in qualità di operatore per il programma Overland e dirigendo numerosi documentari sportivi, aziendali e di carattere sociale. La passione per l’archeologia l’ha portato inoltre a seguire, in veste di fotografo e operatore, le spedizioni in Nordafrica dei noti antropologi Alfredo e Angelo Castiglioni, realizzando in Sudan dei film/documentario tra i quali Iveco Faraonic Track, selezionato alla XV Rassegna internazionale del cinema archeologicoHa all’attivo tredici libri pubblicati, fra cui I presidianti: storia della rivolta popolare alla Cava Sant'Antonio (1991-1993), Sete d’Etiopia (2004), Nuotare nei cieli. Volare nei Mari (2012) e Metro Lilla (2015). Dal 2010 è docente di format, tecniche audiovisive e fotografia presso l'Accademia di Belle Arti ACME di Milano. Ha prodotto diverse mostre fotografiche: da I presidianti (1993) a La via dei faraoni neri (2003, esposta allo stand ufficiale Nikon durante il Photoshow del 2004), da I nuovi Milanesi (2013) a Ora d'aria (realizzata nel 2015 presso il carcere di Bollate e presentata al festival di filosofia Filosofarti) alla partecipazione a Matera 2019 col toccante reportage Favela (ambientato a Salvador de Bahia, nel Nordest del Brasile) nell’ambito della collettiva Fotografia e coscienza dell’uomoNella mostra Tempo autentico (Still life Reloaded 2020-21), a cura di Debora Ferrari e Luca Traini, nella sede di Banca Generali Private a Como (dal 7 maggio al 30 giugno) sono presenti anche le opere della recentissima esposizione nella sede di Banca Generali Private a Legnano. L’artista è presente sui vari social, in particolare su Instagram dove presenta una nutrita galleria di tematiche: @fabriziojelminiphotography.