martedì 1 marzo 2022

IL PESO DELLA CULTURA

Il libro prima di stampa e tascabili 

Forse proprio nell’epoca degli iPhone possiamo riscoprire la cura degli strumenti della nostra comunicazione, perché sappiamo quanto sono ingombranti, fragili e costosi. Fino al secolo scorso le nostre parole al telefono non pesavano nulla e il carico delle pagine stampate, tranne eccezioni, risentiva poco della legge sulla caduta dei gravi. Merito della tecnologia, che da Gutenberg in poi ha reso la quantità delle nostre conoscenze una qualità sempre più leggera da comunicare. Ma prima i manoscritti avevano sempre richiesto braccia forti per essere tramandati.

I libri belli e rettangolari come li conosciamo - e ne ho sviscerato a fondo il senso per la Biennale di Venezia nel mio testo La nostra civiltà è un sogno ad angolo retto - sono un’eredità tardoantica sviluppata con successo dalla diffusione dei testi cristiani. Prima c’era il volumen, lunghi fogli di papiri arrotolati, dalla lettura più difficile, racchiusi in confezioni che ricordano faretre per frecce. Già in questa forma, tuttavia, il libro si presentava come arma, sia offensiva quale dardo che difensiva in quanto scudo, perché nella storia i database delle civiltà sono stati questo. La nostra missione oggi è quella di rendere questo patrimonio non più strumento bellico, ma di condivisione e comprensione in segno e grafia della parola “pace”.

Tornando alle impronte lasciate più a fondo nella terra in ragione del loro peso, legge di gravitazione universale newtoniana o possibili gravitoni quantistici, è un dato di fatto che avere la disponibilità di scritture - specie nel medioevo - significava sacrificare greggi per avere pergamene e caricarsi una bella quantità di chili al fine di leggere la Scrittura per eccellenza - la Bibbia – o approfondirne il rapporto del Pastore con la società per mezzo di mattoni stile La città di Dio di Agostino, che non riesco a non leggere all’insegna dell’“odi et amo”.

Scrivere, sfogliare o copiare un libro era infatti come costruire o visitare una nuova città ideale, con le sue vie parallele – sviluppo degli originari solchi scavati dagli aratri, “negro semen seminaba”: ricordate l’Indovinello veronese studiato a scuola? - da seguire fino in fondo o da incrociare per fornire una correzione, una segnalazione, un commento. E sempre ad alta voce - immaginate il mormorio in crescendo delle biblioteche antiche o, nel secolo scorso, i miei nonni che dovevano comprendere allo stesso modo una pagina perché avevano fatto solo qualche anno di elementari - perché in ogni caso si trattava di una cerimonia cruciale per arricchire la memoria (giustificazione trovata dopo una lunga condanna dei testi scritti da parte della sapienza tradizionale, vedi il caso di Socrate o l’imbarazzo anche di un sublime scrittore come Platone.

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La lettura mentale è una conquista recente fatta di precisi e chiari segni di interpunzione (specie per quanto riguarda la poesia), partorita dal silenzio monastico e cresciuta a colpi di nuove vulgate e nerbate da un’ordinata burocrazia del pensiero, parallela a quella sviluppata in politica con la formazione dagli stati moderni.

Libri che bisognava conquistare attraversando reti stradali sconnesse e piene di pericoli, al cui confronto la nostra Rete virtuale è uno scherzo.

Piuma d’oca, stilo, biro, linotype, stampa digitale: sembra la realizzazione dei sogni metafisici degli antichi. Invece a loro erano destinati mole e frantoi di quelle pagine così pesanti per rarefare ogni riflessione. Fogli preziosi da utilizzare con parsimonia abbreviando le parole come nei nostri vecchi sms, pergamene dove grattare via contenuti considerati vecchi per trascriverne dei nuovi, come nei famigerati palinsesti, quelli per cui hanno perso la vista studiosi come il mio caro Studemund (le commedie di Plauto celate dalle tragedie del Libro dei Re.

Per i dettagli sulle moli pergamenacee delle opere cito quanto riportato da uno dei miei, leggeri, testi preferiti, La formazione dell’Europa cristiana di Peter Brown: “Per avere tutte le opere di Gregorio Magno bisognava produrre, con paziente copiatura, qualcosa come 2100 fogli di pergamena, del peso di 50 chili (la standard edition moderna ne pesa solo 3!). Per realizzare una Bibbia di un certo pregio si richiedevano le pelli di oltre 500 pecore”.

Dagli eserciti fuoriusciti dai monasteri (80 monaci più l’abate Ceolfrith per portare da Wearmouth a Roma la più perfetta copia della Vulgata di san Gerolamo, i 35 chili del Codex Amiatinus) , nuovi padroni della parola, alle schiere di filologi che da Petrarca in poi devono combattere con i topi una nuova Batracomiomachia per salvare i manoscritti ed emendarne la mole di errori di trascrizione. Specie per i testi laici antichi, Storia naturale di Plinio in primis, database fondamentale fino a buona parte dell’Umanesimo. Poi sarebbero state le controversie sui testi sacri a fare la differenza, perché dai fogli che sono come foglie non si può non passare alle radici, specie se sono piantate in contesti politici ben precisi. Pesare le parole non è solo un modo di dire.


Infatti, anche prima di questi nuovi innesti, non si tratta solo di valutare il carico quantitativo: dobbiamo prendere in considerazione anche il peso qualitativo. Il libro manoscritto mantiene un aspetto, diciamo così, magico finché la stampa non si diffonde a livello di massa. Se un profeta come Ezechiele si divorava un intero rotolo scritto per volontà divina e lo trovava  dolce come il miele, nell’alto medioevo, parola di un innamorato della parola scritta come Beda il Venerabile, venivano ancora triturate a scopo medico pagine della Sacra Scrittura provenienti dall’Irlanda, patria di un rivoluzionato studio dell’eredità cristiana: "Come ho visto io stesso, poiché certuni erano stati morsi dai serpenti, furono raschiati alcuni fogli di codici provenienti dall'Irlanda e questa raschiatura, messa nell'acqua e data da bere, subito portò via tutta la violenza del veleno e il gonfiore del corpo." (Storia ecclesiastica degli Angli I,1). E infatti Colombano, l’esponente più illustre di questo rinnovato fervore, lo scoviamo nelle pagine del suo biografo, Giona di Bobbio, mentre nei suoi vagabondaggi nel continente europeo vaga armato dei suoi enormi libri che riempiono di stupore le folle. Sembra di vedere la scena di uno dei film che più ho amato, Aguirre furore di Dio, quando i conquistadores, per quanto persi nei labirinti fluviali dell’Amazzonia, restano fanaticamente certi che il Libro della Scrittura parli di per sé (ma non per i poveri indios, a cui quella cosa dalla forma innaturale non dice niente).

C’è da chiedersi ancora oggi cosa teniamo in mano quando sfogliamo pagine di carta inchiostrata. Dobbiamo essere consapevoli che, anche se devoti al culto della pagine stampate (come il sottoscritto, per quanto di mestiere si dedichi al virtuale), quanto maneggiamo, anche se digitale, ha un carico di complessità tutt’altro che esente da errori e orrori, che vanno sempre rilevati, specie per le nuove generazioni. Perché la leggerezza è sempre una conquista gravosa. È un nostro dovere avere fiducia nel progresso al fine di raggiungere questo traguardo.

Luca Traini

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