giovedì 19 novembre 2020

DONNE OLTRE OGNI MURO: KAROLA BLOCH, SALLY MORGAN, OLIVE SCHREINER


#IoRestoaCasa ma sono felice che non vi siano rimaste queste tre meravigliose donne che hanno saputo unire così bene e con grande coraggio pensiero e azione nella scrittura. Ogni parola con cui circoscrivono, abbracciano la loro vita unendola a quella degli altri testimonia grande dignità, un sentire profondo in grado come pochi di unire in simbiosi la propria avventura umana con la Storia.
Karola è più conosciuta come la moglie del filosofo Ernst Bloch, a cui devo molto, ma, oltre a essere più simpatica, è stata un architetto ben capace di vivere di vita propria. La sua ironia, il suo sorriso è una luce in grado di descrivere con chiarezza le tragedie del Novecento cercando ogni volta di superarle (l’antisemitismo russo e polacco, il nazismo, il maccartismo, lo stalinismo): è lei il vero Principio Speranza, di cui ha scritto il marito.
Il brano in cui racconta un’esperienza lavorativa in un cantiere americano è il perfetto esempio in piccolo del suo modo sereno e consapevole di affrontare ogni avversità: “Nell’estate del 1939 in genere la sera disegnavo qualche particolare, leggevo o scrivevo una lettera, e la mattina presto ero già in cantiere; per arrivarvi dovevo attraversare un vasto spiazzo erboso che brulicava di serpenti: la maggior parte erano i cosiddetti milksnakes, innocui, ma per maggiore sicurezza portavo sempre i calzettoni e un paio di scarpe robuste e avevo sempre con me una lametta da barba per poter incidere e succhiare la ferita se fossi stata morsicata”.
Il capolavoro di Olive, Storia di una fattoria africana è del 1883 ma poteva essere scritto un secolo dopo tanto è stato il coraggio di questa femminista antirazzista sudafricana, sempre sostenuta da un marito fuori dal comune, Samuel Cronwright. Si scorda troppo facilmente quanto sia stata forte questa lotta per buona parte dell’Ottocento prima delle censure galanti della Belle Époque e della cortina di piombo di due Guerre Mondiali nella prima metà del Novecento. E' lei ad aprire la strada alla grande letteratura sudafricana e a fondamentali scrittrici del calibro di Doris Lessing e Nadine Gordimer: “Poteva anche darsi che quel mondo non fosse altro che un miraggio malefico, ingannevole; nondimeno era un mondo bellissimo e sedere lì al sole ad ammirarlo era la cosa migliore da fare. Valeva la pena essere stato bambino, e aver tanto pianto e pregato, per poter starsene ora seduto. Si fregò le mani come se le stesse lavando alla luce del sole. Ci sarebbe stato sempre qualcosa per cui valeva la pena vivere finché ci fossero stati pomeriggi brillanti come quello”.
Sally infine descrive in un crescendo particolarmente coinvolgente quanto sia traumatico, ancora e solo dopo gli anni della Contestazione, scoprire di avere origini aborigene. Un gioco di parole che costa ancora caro, dato l’impegno profuso dai colonizzatori per eliminare le tracce della cultura dei primi abitanti dell’Australia. E il libro viene pubblicato nel 1987 non un secolo prima: “Quando Nan (la nonna) era più giovane gli aborigeni erano considerati subnormali e incapaci di venire educati allo stesso modo dei bianchi. Sai, l’industria degli ovini è stata edificata sul lavoro degli schiavi. Gli aborigeni furono costretti a lavorare e,  se non lo facevano, i proprietari della stazione chiamavano la polizia. Ho sempre pensato che l’Australia fosse diversa dall’America, Mamma, ma anche qui abbiamo avuto la schiavitù. Forse la gente non veniva venduta sui ceppi come i Negri d’America, ma allo stesso modo avevano un padrone”.
E’ questo secolo che passa dalla fattoria africana a quella australiana che unisce queste tre donne nella lotta contro i lati oscuri della nostra civiltà. Una lotta che vale sempre la pena di continuare nel segno di una grande lezione di forza, eleganza e fiducia nel futuro che soprattutto le donne sanno donare.

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