lunedì 4 luglio 2022

TEATRI DI GUERRA Chruščëv e il Concerto per pianoforte n.2 di Šostakovič

Non è stato facile rimettere insieme i pezzi dedicati all’anno 1957 in Unione Sovietica. Filo conduttore: il Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 composto dal mio amato Dmitrij proprio quell’anno. Soprattutto il secondo movimento, l’Andante, che ogni volta mi commuove, simbolo di quegli anni passati alla storia come Disgelo, dopo la spessa coltre di ghiaccio degli orrori staliniani. L’Andante si trova al centro di due Allegri. Allegri ma fino a un certo punto e quindi giusto commento musicale per entusiasmi e chiaroscuri dell’epoca kruscioviana. Per questo motivo sono tre anche le scene del mio frammento da Teatri di guerra.

Nella prima troviamo un quadro dell’epoca nel dialogo tra Chruščëv e l’ex ministro del commercio Anastas Mikojan. La seconda vede invece protagonista Šostakovič (“Mitja”) nell’atto di presentare il suo concerto a due fedeli amici e grandi interpreti musicali: Mstislav Rostropovič (“Slava”) e la moglie Galina Višnevskaja. Nella terza due grandi scrittori testimoni degli orrori del gulag a confronto, Varlam Šalamov e Aleksandr Solženicyn, mentre scorrono le immagini della degradazione dell’ex ministro degli esteri staliniano Molotov ad ambasciatore in Mongolia.


1 Allegro

Ufficio di Chruščëv al Cremlino.

Chruščëv

Chiudi quella porta, Anastas.

Mikojan

Io chiudo, Nikita Sergeevič, ma non si può chiudere sempre.

Chruščëv

Vuoi che non lo sappia? In Polonia ci siamo riusciti. In Ungheria, no.

Mikojan

I carri armati non fanno solchi per il grano.

Chruščëv

Con i carri armati abbiamo vinto i nazisti, con l’esercito abbiamo sconfitto gli stalinisti solo qualche mese fa. Ora possiamo pensare anche al grano. Faremo mangiare meglio tutti, anche gli ungheresi: più pane e poi anche più gulasch.

Mikojan

Mandiamo anche loro in Kazakistan, a coltivare le “terre vergini”?

Chruščëv

Scherza, scherza, intanto con le “terre vergini” abbiamo avuto il miglior raccolto di sempre. Ne avrai di roba da mettere in pentola, tu che ami fare il cuoco! Scriverai un altro libro di cucina e, a pancia piena e piedi caldi, penseremo anche a una data per quando realizzare il comunismo. Comincia a ragionare su una nuova qualità del tuo “champagne sovietico”.

Mikojan

Mi sembri Stalin quando diceva che pensavo più ai gelati che al comunismo. Intanto nel ’38 io cominciavo a produrre gelati in massa per i cittadini mentre lui li faceva congelare in Siberia. Compagno segretario, tu sai bene che non mi metto fra gli innocenti, ma se vogliamo davvero rifarci una verginità dobbiamo cambiare metodi.

Chruščëv

Non ripetermi quello che so già. Pancia piena e piedi caldi ce li avevamo solo noi quando cenavamo a quelle ore assurde di notte da lui, senza sapere se il giorno dopo li avremmo avuti congelati: un colpo alla nuca o in treno merci verso i ghiacci. Non siamo rimasti come stoccafissi in un vagone o alla Kolyma: abbiamo quindi il dovere di andare oltre. Ma, come dicono i preti, anche i nostri, la mano sinistra non deve sapere quello che fa la destra. La destra è ancora costretta a fare cose che non ci piacciono. Loro, tu lo sai, non sono pochi. Le teste le abbiamo tolte di mezzo, ma i piccoli minotauri sono ancora diffusi in tutto il corpo dell’Unione. E io non voglio più usare con questa gente i vecchi metodi. Ci vuole tempo per cambiare la testa a queste mandrie.

Mikojan

Continuiamo a dirci cose che sappiamo. Siamo d’accordo a non far tornare l’inverno in questo disgelo. Però alla prossima occasione dobbiamo convincere il partito a buttare fuori Stalin dal mausoleo di Lenin, che poi un mausoleo non l’avrebbe mai voluto. Tutto questo freddo di morte non vale un buon gelato. Per questo ti ripeto ancora una volta che dobbiamo continuare a scongelare questa guerra fredda anche con gli Stati Uniti. Non sono dei santi neanche loro, ma abbiamo molto da guadagnare e, perché no, da imparare dalla loro economia. Io li conosco da vent’anni e certi aspetti di quell’essere competitivi dobbiamo farli nostri.

Chruščëv

Voi armeni avete la fissa del commercio. Tuo fratello Artem non so da dove ha tirato fuori il genio di progettare i nostri Mig. Lui sì che vola alto! E lo sanno anche gli Stati Uniti che per imporre i loro commerci occorre una signora aviazione. Ti dirò di più: noi supereremo in altezza le loro macchine perché lo Sputnik è già pronto. Lo lanceremo in autunno. I tuoi amici americani resteranno a bocca aperta guardando il cielo. Gli cascheranno di mano i sacchetti della spesa.

Mikojan

Ne sono orgoglioso anch’io, compagno. Ma dobbiamo continuare a tenere i piedi ben in terra senza colpi di testa. Non dimenticarti che lo Sputnik finirà in orbita grazie a Korolëv, che ha perso i denti alla Kolyma nel ’38, quando noi iniziavamo a produrre gelati e lui finiva nelle miniere d’oro del gulag. Il gelato se lo può succhiare anche chi non ha denti, ma se proprio dobbiamo continuare a pianificare tutto, pianifichiamo almeno più dentisti per i nostri ingegneri aerospaziali.

Chruščëv

Ti piace proprio fare battute, ma se oggi possiamo scherzare è perché abbiamo lavorato sul serio, anche a costo di essere spietati. Non è passata un’era geologica, solo quattro anni da quando eravamo costretti a fare i buffoni alla sua tavola. E c’era gente, saranno stati intellettuali, che mi diceva che era Platone, il filosofo greco non il direttore della Piccola Enciclopedia Sovietica, a consigliare ai politici di lavorare di notte. Sinceramente non ti so dire se questi qui sono ancora vivi o condannati alla notte eterna. Io so che ora devo pensare a quando si fa giorno. Te lo ricorderai l’incrociatore Aurora. Fare le cose alla luce del giorno: questo sarebbe un vero compito da rivoluzionari.

Mikojan

Sarebbe.

Chruščëv

Sarebbe il caso di riaprire quella porta.

 

2 Andante

Studio di Šostakovič. Il compositore accenna al piano l’inizio del Movimento. Segue una breve pausa di silenzio.

Šostakovič

Ho scritto per mio figlio un secondo concerto per pianoforte. Non avrà l’entusiasmo del primo, non può. I sogni hanno attraversato un incubo durato vent’anni. Ora abbiamo finalmente tempo per le sfumature. Quanto durerà? Finché dura cerchiamo di ritrovare noi stessi. La sentite questa carezza della nebbia che si alza? Devo essere pronto per quando tornerà la luce. Lo devo a mio figlio.

Rostropovič

Io la sento sì, Mitja, questa nebbia che ha iniziato ad alzarsi. Ma, te lo devo dire, potrebbe restare lì e ristagnare a mezza altezza. Un’incompiuta difficile da suonare. È la rivoluzione che è rimasta a metà o il suo fallimento? Tu hai vent’anni più di me, hai conosciuto l’entusiasmo sincero dei primi tempi, Lenin vivo, Lenin morto da poco. Io ho conosciuto solo Stalin e questi suoi accoliti che oggi lo rinnegano. Sento puzza di aria fritta. Maestro, chi ha fatto conoscere il tuo genio non era anche il maresciallo Tuchačevskij? L’hanno fucilato l’anno prima che nascesse tuo figlio e, quando è nato, quel terribile 1938, tu come tanti eri valigia pronta accanto al letto, col terrore che la polizia segreta ti prelevasse nel cuore della notte.

Šostakovič

Slava, io quel mostro di Stalin l’ho già evocato nella mia musica. Chi aveva orecchie per intendere… Ma ora che il peggio è passato, almeno per noi, ho cercato di alludere a quanto poteva essere e non è stato nel secondo movimento di questo concerto. Malinconia, melancolia, chiamala come ti pare. Noi musicisti in fondo siamo fortunati. La musica prima delle parole. Meglio senza parole. Neanche quel troglodita di Ždanov è riuscito a fami fuori nel ’48. Le note si alzano subito in volo, non fai in tempo ad ammanettarle come un libro, un quadro, una scultura. Dire fra le righe, costretti fra le righe - di un pentagramma, del filo spinato di un gulag – ridare fiato, una qualche armonia a tutte quelle righe. Fare delle note gemme che dovranno sbocciare, prima o poi dovranno sbocciare in fiori, anche dal filo spinato. Il mio dovere era e deve essere questo.

Višnevskaja

Mitja, non te le prendere, noi non mettiamo in discussione la tua sincera adesione al nuovo corso, l’affetto che nutri per la figura di Lenin. Anzi, a questo proposito, devi sapere che si vocifera di un prossimo intervento del comitato centrale contro gli “eccessi”, gli “errori” - vai a capire che parola troveranno questa volta - del partito nel valutare come “antipopolari” compositori come te, Khačaturjan, Prokof'ev…

Rostropovič

Prokof'ev… Sergej… Ma chi gliel’aveva fatto fare a tornare qui da Parigi? Mitja, tu sai cosa non è quella Sinfonia Concertante che mi ha dedicato. Tornare qui per morire giusto un’ora prima di Stalin. E solo ora questi qui… Riabilitare i morti con le loro scartoffie: questo sanno fare.

Šostakovič

Slava, tu l’anno scorso hai potuto esibirti a New York e sei primo violoncello nell'Orchestra di Stato. Tu non hai rischiato come me negli anni feroci quindi, per favore, risparmiami le tue prediche. Io questo secondo movimento lo dedico anche alla memoria di Sergej.

Višnevskaja

Slava, ha ragione, devi calmarti: non è il caso e non è il posto. Mitja, tu però devi comprendere che noi avremo anche il privilegio di andare all’estero, ma cominciamo a fare confronti. E qui non conta se abbiamo la bomba atomica o se spediremo nello spazio un pezzo di metallo prima degli americani. Noi cominciamo ad avere seri dubbi che questo sistema possa rinnovarsi davvero.

Šostakovič

Galina Pavlovna, io avrò anche un problema coi sogni - e parlo di sogni a occhi aperti, bene aperti – ma non posso privare mio figlio del diritto di sognare. Stalin era, per dirla con Marx, un despota asiatico? Sono d’accordo. Chruščëv è rozzo? Ma è un figlio del popolo. E io per chi faccio musica? Per un gruppetto di specialisti ultraraffinati? Il sistema tonale non sarà tipico del canto popolare russo, ma io compongo per il popolo sovietico e il mio criterio di giudizio è che la musica oggi deve essere piena di senso, artisticamente valida e, soprattutto, comprensibile. Io non ho nulla contro i popoli dei paesi capitalisti, ma non voglio cambiare lo stalinismo col capitalismo. Con le mie sinfonie ho combattuto i nazisti e non mi tirerò certo da parte anche quando il partito farà un passo avanti e due indietro.

Rostropovič

Mitja, lo sai che hanno detto di te che sei come Skrjabin: non puoi essere seguito, ma solo imitato. Tu sai chi è il nipote di Skrjabin.

Višnevskaja

Slava!

Šostakovič

Lascia stare, Galina. Slava, lo so bene: è Molotov. E non è più ministro degli esteri, ma un semplice ambasciatore in Mongolia. La musica è cambiata, ma quella dei Mongoli è la stessa della nostra Repubblica Autonoma di Tuva.

 

3 Allegro

I testimoni del gulag, Varlam Šalamov e Aleksandr Solženicyn, discutono mentre sul fondo scorrono le immagini di Molotov che presenzia con gli altri ambasciatori a una parata con manifestazione sportiva in Mongolia.

Solženicyn

Hai sentito, Varlaam? Hanno spedito Molotov in Mongolia.

Šalamov

Sì, ce lo hanno mandato in agosto mica in pieno inverno come noi alla Kolyma.

Solženicyn

Sua moglie Polina ne sa qualcosa: nel gulag ci finì a dicembre. Cos’era? Il ’48. Lei non era più ministra della pesca, lui era ancora ministro degli esteri.

Šalamov

Nel ’48 il gulag era già un’altra cosa. Dovevi finirci dieci anni prima, da civile come me e non da militare come ti è capitato nel ’45. Marchiato come “trockista” non c’era solo il terrore delle guardie, del lavoro in miniera, c’erano i diavoli del satana coi baffi, i delinquenti comuni, i “socialmente vicini”, il punto più basso dell’inferno.

Solženicyn

Li avrà provati anche la moglie del nostro presidente Kalinin? Ekaterina nei nostri lager ci finì nel ’39.

Šalamov

E in Siberia c’era già finita con lo zar, per seguire il marito in esilio.

Solženicyn

E la seconda volta invece il marito è rimasto a fare il presidente del presidium del soviet supremo. L’hanno fatta uscire giusto per vederlo crepare e poi via: un altro esilio interno.

Šalamov

La moglie di Molotov era ebrea, quella di Kalinin lettone. Sarà un caso? Dietro il catafalco internazionalista il georgiano ripescava il vecchio nazionalismo russo. E anche tu, Aleksandr. La bandiera diventa rosso sangue, torna a nutrire il rapace a due teste degli zar e tu che fai? Sostituisci i nuovi artigli con quelli vecchi? Io sono stanco di tutti questi poteri che pretendono di volare alto a colpi di unghiate nella carne viva.

Solženicyn

Guarda, Varlam, guarda Molotov mentre sfilano i comunisti mongoli. Portano ancora il ritratto di Stalin, forse per questo finge di essere felice. Secondo me era più contento quando si faceva fotografare con Hitler, ricordi? No che non lo ricordi, tu nel ’39 i cinegiornali non li vedevi: eri negli abissi delle miniere del gulag. E adesso fa’ attenzione ai lottatori della Mongolia: chi vince imita il volo dell’aquila. A quanto pare anche lì il partito ci tiene alle aquile.

Fine della proiezione.

Šalamov

Aleksandr, per i Mongoli l’aquila non è segno di prevaricazione. Scriveremo tutti e due degli orrori che abbiamo vissuto e a cui siamo - per fortuna o, come avrebbe detto mio padre che era un prete, grazie a dio - sopravvissuti. Tu, col tuo rancore di soldato disarmato, e io, da civile, da “fesso” come dicevano i “socialmente vicini”. Preferisco restare un “fesso” e immaginare, se ne avrò ancora la forza, un futuro di “fessi” felici.

Luca Traini




domenica 3 luglio 2022

GUERRE IN VERSI, PACE IN PROSA

 Agrippa d’Aubigné, Brantôme, Isaac Casaubon, Enrico IV, Jean de Sponde

Frammenti di dialogo

Nella Francia di re Enrico di Borbone, a cavallo fra ‘500 e ‘600, antichi amori letterari sopravvissuti agli orrori delle guerre di religione. È dai tempi dell’università che nei miei recital di poesia dedico sempre uno spazio a qualche verso del Poema tragico di d’Aubigné in contrappunto a un sonetto di de Sponde. Omaggio alla loro incendiaria, melancolica diversità come alla comune ispirazione sublime.

Negli anni si sono aggiunti lo studio del Polibio di Casaubon e la piacevole lettura delle Dame galanti del Brantôme. Passione unita a desiderio di rievocare il contesto di politica e storia, per offrire al presente qualche spunto di riflessione contro certi integralismi che tardano a morire, mi hanno spinto a recuperare questi frammenti scritti qualche anno fa. Segnati nel manoscritto come Teatri di guerra 5B, seguono l’episodio dedicato a Poliziano e Botticelli.



AUBIGNÉ E BRANTÔME L’arme contro gli amori

 

Antoine Caron, Il massacro ordinato dai triumviri (1566)

Commento musicale Claude Le Jeune, La guerre (i primi due versi fino a “la garde de mon cœur”)

Aubigné

“Le finzioni dei Greci, i ruscelli d’argento

dove si abbeveravano i loro vani poeti,

qui non scorrono più; ma le onde così chiare,

che ebbero contrari gli zaffiri e le perle,

sono rosse dei nostri morti: l’onda leggera,

il mormorio lieve contro carcasse si rompe”.

Brantôme

Versi che incidono più di una frusta… Ah, non poteva che finire così il nostro umanesimo insegnato a nerbate. Anche Petrarca e Laura in questo bagno di sangue. Come l’Ariosto. L’arme che fanno a pezzi tutti i nostri amori - parlo anche dei miei, che scrivo in prosa. Ma quella prosa di guerra… quella ha fatto a pezzi anche il nostro Ronsard, annegato in un solo colore.

Aubigné

Cantare l’amore prima di diventare macellai esperti. Ronsard, le sue primavere, tutti quei fiori che abbiamo calpestato... Signore di Brantôme, il mio Dio ama l’estate più arida che brucia ogni illusione, ogni petalo. Io da tempo sentivo sarebbe sceso l’inverno, questo gelo ogni volta più precoce. La primavera degli usignoli l’abbiamo fatta tacere con le frecce di Cupido e i moschetti della fanteria. È questo il prezzo da pagare per togliere di mezzo il canto delle Sirene. La pace che da sconfitto ho firmato con Dio - e lui solo - prevede meno piaceri, ma - questo conta - meno dolori.

Brantôme

Si possono comprendere diverse cose del vostro Calvino, ma questo mondo cupo, cinereo... no, non fa per me. Io non rinuncio alla gioia terrena di tutte le guerre che ho perso: Italia, Scozia, Marocco, Azzorre. La  radura in cui sono caduto da cavallo - sciancato e grazie al mio Dio non sulla via di Damasco - resta bella anche quando gli usignoli che scampano ai vostri tritacarne cantano, per chi li sa ascoltare. E io attendo sempre la dolce stagione, anche rinchiuso a vita nel mio castello.

Aubigné

 “La consuetudine rende dolce la prigionia,

e troviamo breve la strada verso la libertà:

la morte amara soffocherà ogni amarezza”.

Brantôme

La morte l’ho vista anch’io negli occhi, ma non è mai stata bella come le dame che ho conosciuto. Cerco di scrivere di condottieri, ma continuo a preferire loro, le splendide amazzoni dell’amore che hanno reso i vostri eserciti grandi schiere di cornuti. Viva gli elmi gloriosi quando non riescono più a stare in testa ai vostri generali! L’eroismo, quello vero, sono le schermaglie amorose vinte da queste donne prigioniere delle nostre stupide convenzioni. La libertà di cui parlate non è quella che io contemplo, ma la loro, conquistata a un prezzo più caro del vostro, del nostro. Gli allori su quelle teste adorabili, così sia, valgono più di tutte le vostre carneficine.

Aubigné

Scandaloso, incorreggibile e neppure poeta. E il poeta ha fatto un grande errore a venire qui. Ma Dio riconoscerà i suoi. E anche me, che ai fiori delle vostre madonne ho scelto la spada. Ricordate Matteo: “Non sono venuto a porta la pace, ma la spada”. Nel mio calamo c’è lei.

Brantôme

C’è inchiostro. Lo stesso con cui avete scritto tutti gli amori che ripudiate, signore d’Aubigné, così sensibile al fascino femminile e ai figli di Eva che avete sparso qua e là.

Aubigné

“Dove un tempo brillavano

i fuochi dei profeti più antichi, là

io tendo come posso la corda dei miei occhi,

mi butto nel mattino; con le gambe bagnate

disperdo la rugiada ai miei fianchi, non lascio

ai miei successori altra traccia se non

i rametti spezzati degli inutili fiori,

fiori caduti appena li sfiora un sole vero,

o che Dio brucerà col vento del suo fiato”. (Esce)

Brantôme

Vero sole, vero Dio, vera poesia... Più verità nella primavera, che ancora una volta farà crescere i fiori più belli sui vostri cadaveri. Fiori che avranno un volto di donna.

 

CASAUBON, ENRICO IV Due poteri della parola

Pierre Pénicaud, Gli acrobati (1550 c.a)

Commento musicale Pierre Guédron, Je suis bon garçon (la parte cantata fino a "personne qui me salua")

Enrico IV (Restituendo il libro a Casaubon)

Avete fatto un ottimo lavoro con la vostra edizione di Polibio. Me l’avete dedicata e io non posso che esserne felice: quale esempio migliore di questo storico greco che comprende, che asseconda l’ascesa di Roma? Però… però qui dobbiamo comprenderci anche noi. Come se fossimo a Roma. La Roma dei papi. Ma come? Polibio segue senza remore la nascita di un impero e voi... voi non assecondate il nostro esempio nel ricostruire il regno di Francia? Perché non vi siete ancora convertito al cattolicesimo? Sapete quanto tempo mi costa difendere il vostro posto di bibliotecario reale?

Casaubon

Maestà, il mio lavoro cerca nel passato una base inestirpabile al presente. Non c’è pagina di libro, per antico che sia, che io non cerchi di comprendere e tradurre come traccia da seguire nel nostro regno. Ma questa dedizione, questa consacrazione del fango di noi poveri uomini  non può essere solo di superficie. Se deve lasciare un’impronta capace di affondare nella nostra terra impregnata da troppo sangue, dovrà essere frutto della forza di un albero lasciato libero di mettere le proprie radici. Questa fatica di occhi che cercano di leggere anche nella notte più alta - le candele non devono spegnersi - dev’essere garantita da quell’Editto che porta la vostra firma e il nome della città di Nantes. “Nantes”, “quelli che nuotano” in latino, fra mille traversie, per garantire libertà di coscienza in tutto il nostro amato Paese.

Enrico IV

Tutta qui la vostra filologia? Avrei fatto un pessimo affare? No, io non ci credo che siate così ingenuo. Vostro suocero, il grande Henri Estienne, con la sua unione delle Muse con Marte avrebbe risposto meglio. Però avete visto che fine ha fatto: morto pazzo  e pieno di debiti. Sarà utile per i futuri commentatori di Platone - un filosofo che in fatto di politica vera non ne ha azzeccata una – ma ora? Ora, caro il mio filologo, fatemi il piacere di fare bene il vostro dovere: pesatele una per una queste parole. La Grecia di Omero non era quella di Polibio. La Francia di Charenton - dove so che andate a pregare il Dio di Calvino grazie al nostro stipendio – non è la Francia di Parigi, dove il vostro culto è vietato. La coscienza non è una cosa astratta quando si traduce in lavoro. In questa cattolicissima Parigi voi potete consultare libri che a Ginevra possono solo sognare. Santo cielo, ma pensate che io non sia al corrente dei vostri dubbi? Rischiate di fare un’offesa alla mia e alla vostra intelligenza se non riconoscete che nuotate veramente male e restate a metà del guado. Fanatici di qua, fanatici di là. Ugonotti, cattolici, tutti col dente avvelenato per inutili massacri durati trent’anni. Noi, il vostro “cristianissimo re di Francia e Navarra”, non possiamo permetterci ancora per molto mezze misure come il re d’Inghilterra. La religione di Stato era una per i romani e tale dovrà essere anche per noi. Per voi. (Esce di scena)

Casaubon (Apre il libro e legge un passaggio della Prefazione al suo "Polibio")

“In ogni impresa si incontrano infiniti pericoli, a cui non riesce a sottrarsi chi appartiene alla categoria di quelli che i greci definiscono “privi di nozioni”: a chi non ha esperienza infatti nulla soccorre. Da qui viene quell’espressione estranea alla prudenza, sempre riprovevole e spesso dannosa: “Non l’avrei mai pensato”.

Una voce fuoriscena

Hanno pugnalato il re alle costole: è morto!

Un'altra

L’assassino era cattolico: l’hanno squartato!

L'ultima

Giustizia! Brandelli di giustizia che parlano ad altri! I pezzi di Francia in mano agli Ugonotti sono avvisati!

Casaubon (Chiude il libro restando a occhi chiusi. Un profondo respiro e li riapre)

Ora pensa a questo: Polibio aveva Roma. E tu? Ginevra? Londra? La risposta è Londra, fuggire a Londra. E lì che fine faranno i miei classici? Servirà a qualcosa aver ramazzato i resti greci dei Banchetti dei sofisti, Ateneo, messo ordine a tutte le infamie latine della Storia augusta? Re Giacomo adesso ha la sua bella e nuova Bibbia tradotta. Mi pagherà bene, anche perché Dio sa quanti consigli ho dato in segreto alle sue commissioni di studiosi! Ma in latino. Avrò il tempo di controllare cosa ne hanno fatto nel loro inglese? Lingue morte contro una viva che dovrò imparare. Altra lingua, altri cadaveri che hanno fatto da concime. Patria e religione ancora una volta sinonimi. Il rischio di fare la stessa fine del mio precursore, il signor de Sponde. Chieditelo: quando si è convertito al cattolicesimo sono servite a qualcosa le sue traduzioni, quelle nel nostro latino di Omero, Aristotele, Esiodo? Giusto la concessione di un rantolo di vita e la morte nel proprio letto. Raccattare a fatica qualche ultima idea per cercare difendere la sua, la nostra ultima scelta. Questa conta per il nostro unico Dio. Per i contabili di qualsiasi corte. Partita doppia.

Neppure due anni per lui, neanche quattro per me.

 

FLASHBACK De Sponde: il Quadro della Scrittura

Hendrick ter Brugghen, Crocifissione con Vergine e San Giovanni (1624-25)

Voce di de Sponde (Buio)

“Eppure morir si deve, e la vita orgogliosa

che disfida la morte, sentirà i suoi furori,

i Soli seccheranno questi fiori d’un giorno

e scoppiar farà il tempo questa bolla di vento.

Quella fiaccola bella con l’arder suo fumoso

Sul verde della cera spegnerà la sua fiamma,

l’olio di questo Quadro sbiadirà i suoi colori

e in schiuma sulla riva s’infrangeran quell’onde”.


Commento musicale (mentre lentamente si fa luce) Paschal de L'Estocart, L'eau va viste en s'escoulant


De Sponde

Sono morto di pleurite. Non avevo da riscaldarmi. Non volevo bruciare i miei libri.

Silenzio del re prima. Silenzio del re dopo.

Dare alle fiamme almeno l’ultima fatica, il mio Esiodo, il suo lavoro più triste, quelle Opere e i giorni… E ogni giorno ha… E gli ultimi... Non me la sono sentita. Basilea, Ginevra, Parigi, Bordeaux… tutte ora per me come il suo squallido borgo: “Ascra: gelo d’inverno, afa d’estate,/ mai piacevole, mai”. Eppure come sembrava oro nel nostro Umanesimo strappare all’oblio tutte quelle pagine rosicchiate dai topi, ristamparle! Innestare nuove radici in quelle antiche - latine, greche - negli abissi della Scrittura... Ma tu sei l’aratro. Tu il seme che deve morire. Fra le righe, in quei solchi, ferite più profonde ogni giorno - la carta dei nostri libri è fatta di stracci! -  un peccato incomprensibile.

In ritardo, colpevole, incompreso anche in ragione di questo il filologo, quando fece suo il credo cattolico e ormai era autunno - il re l’aveva scelto in piena estate. Messa a Parigi per questo. Capro espiatorio per l’altro. Rifletti ancora una volta sulle tue opere, sul tempo consacrato al prima dei tuoi giorni. E l’ora? Il dopo? Non eri un ragazzino. Andavi per i quaranta. E non ti è stato permesso di raggiungerli. Chiedilo all’uomo,  che aveva moglie e figli. Era lui, era lui che doveva ricordare quel salmo che ripeteva fin da bambino: “Per quanto si paghi il riscatto di una vita, non potrà mai bastare”. L’uomo era il bambino che l’aveva sepolto fra tutte quelle carte, tutte quelle pratiche correnti quando… proprio quando non se ne rendeva conto faceva sfoggio dei titoli concessi da quel re, quello che ora tace:  Maestro delle Richieste, Luogotenente Generale del Siniscalco di La Rochelle…

La morte chiude ogni pratica. Dio valuterà ogni singolo documento, ogni riga, ogni solco. Io intanto riposo accanto ai morti che ho amato: greci, latini. Per i francesi, come per me, resto in attesa del giudizio del Signore: non avrà lavoro facile. Aspetto il signor Marcel Arland e i suoi tormenti, il nostro alleato scozzese Alan Martin Boase: saranno loro a riscoprire almeno la mia poesia dopo tre secoli, dopo tanto odio consacrato al mio oblio da cattolici e protestanti.

Volevo parlare dell’Uomo e ho scritto di me. Ritratto senza ritratto. Le incisioni che troverai saranno quelle di Henri, mio fratello minore, ritratto vescovo e vecchio. Lui ha scelto. Io ho compreso.

Compreso che siamo acqua che scorre.

(Mentre scendono le tenebre risuona l’inizio del “Si ambulem” della Missa pro defunctis di Eustache du Caurroy, presto interrotto dal buio. Profondo silenzio.)

Voce di de Sponde

“I lampi vidi chiari passar davanti agli occhi

e similmente il tuono rimbombare nei Cieli,

in cui da qualche parte scoppierà un temporale.

La neve vidi fondere, seccare i suoi torrenti,

quei leoni ruggenti senza rabbia li vidi,

o uomo, vivi, vivi, eppur morir si deve”.

Luca Traini


Traduzioni Poema tragico: Basilio Luoni (BUR Rizzoli, 1979), Polibio: Guerrino F. Brussich (Sellerio, 1991), Meditazioni sui salmi e poesie: Mario Richter (San Paolo, 1998).



sabato 2 luglio 2022

LA “GLORIOSA RESTAURAZIONE” DEL TEATRO INGLESE

 Aphra Behn, George Etherege e il Conte di Rochester: sipario aperto, sipario chiuso


Restaurazione “gloriosa” giusto in quanto Carlo II, appena salito al trono (1660), concesse almeno il ritorno sulla scena delle opere teatrali, dopo la parentesi di potere puritana di Oliver Cromwell. Il successo arrise alla commedia di costume, dove il bel mondo dell’epoca (aristocratici e arricchiti) amò riprodursi anche sul palcoscenico seguendo la moda francese: teatri al chiuso, scenografie sullo sfondo e sipari. Opere raffinate e sboccate, tanto lontane dal mondo di Shakespeare che da quello  vittoriano, i più noti. Una società di passaggio - fra gli orrori della guerra civile e la successiva “Gloriosa rivoluzione” - che vide protagonisti notevoli uomini di spirito e libertini come George Etherege e  John Wilmot, conte di Rochester, ma anche donne forti, coraggiose e geniali come Aphra Behn (di cui ho già scritto nel mio blog). Questa affascinante apertura senza troppi veli sulla società durò mezzo secolo, prima che agli aristocratici venisse proibito di essere artisti e le donne fossero strappate alle trame letterarie per tornare al cucito.

Il testo ritrovato si colloca nel mio Teatri di guerra dopo l’episodio francese e prima di quello dedicato a Metastasio.

Buio. Commento musicale: Henry Purcell, “Why should men quarrel” (da “The Indian Queen”).

George Etherege e  John Wilmot, conte di Rochester, sulla scena con due candele mentre l’immagine dello “Spirito ardente” di Inigo Jones si intravede come scenografia sullo sfondo. Aphra Behn in piedi e in prima fila nella penombra.

Rochester

I Puritani hanno ucciso Shakespeare e noi accendiamo ceri sul palcoscenico per commedie alla moda francese. Anche se grazie a sua maestà Carlo II rinasce il teatro, mi chiedo se stiamo sbagliando cimitero.

Etherege

Con tutti questi cimiteri fra guerra civile, peste e incendio di Londra è facile sbagliare. Dimentichiamo perché siamo troppo stanchi per ricordare. Chiediamoci allora cosa possa rendere almeno piacevole questo oblio? È un’altra domanda, ma  questa volta la risposta è semplice. È la moda. Non c’è nulla che possa uccidere in silenzio e con fare incantevole il passato come una moda. La più recente calpesta senza farci caso il cadavere della precedente e noi ci sentiamo più vivi quanto più possiamo indossare i panni di questa morbida assassina. Volevate vestirvi come ieri? Ma è oggi che facciamo parlare di noi con un altro abito. E domani? Domani la morale sarà questa.

Aphra

(Rivolta ai tecnici) Il sipario! Il sipario sullo Spirito ardente! Facciamo vedere che oggi anche noi usiamo questa novità del sipario, proviamo a nascondere gli orrori “morali” degli uomini. La parola ai commedianti!

Rochester

Morale è stato decapitare un re in abito scuro da puritano. Morale strappare alla tomba e squartare il cadavere di chi l’aveva decapitato, ma indossando parrucche incipriate a dovere. Morte di Carlo I, Cromwell post mortem: il peggio del teatro dei bei tempi andati. E il teschio del nostro Lord Protettore fa ancora bella mostra in cima a una picca davanti all'abbazia di Westminster. Efficace installazione per chi va a messa, si vede che il nostro re ama l’arte. Ma una regina vergine come Astrea e un re scozzese in estasi che traduce la Bibbia… Quella sarebbe ancora una signora trama! Peccato sia già storia.

Aphra

La prima scenografia, quella per L’imperatrice del Marocco con le nostre navi! Sì, è vero, si è accontentato di scriverla Settle, ma Rochester, da navigatore esperto, ne ha curato il prologo.

Etherege

Il presente è invece una regina portoghese cattolica sposa di un re dalla maschera anglicana e dal cuore libertino come noi. I nemici - quelli che avete combattuto da eroe prima degli allori da poeta e puttaniere - sono i vecchi amici protestanti olandesi, come olandese è il pittore della regina e delle amanti del re. Anche questa è una trama che non scherza per una commedia. La commedia della storia, voglio dire.

Aphra

Avanti con l’altra scenografia, quella italiana! La battaglia di Bergen, nella Norvegia dei vichinghi, dove si è fatto onore il nostro Rochester prima di fare versi.

Rochester

Esperta in tragedie. Come noi d’altronde. Le tragicommedie lasciamole al nostro vate nazionale, il signor Dryden. È nato puritano, è diventato anglicano  e credo - come ci tengo a sottolinearlo questo “credo”! - svelerà di essere cattolico solo quando lo riterrà opportuno, come si dice del fratello del re. D’altronde i suoi “distici eroici” sono un ottimo contenitore, li avete usati anche voi. Pensate dunque quanto la forma sia la realtà più importante anche per questo vecchio parruccone. Tragedie ben scritte che non sanno di niente, tuttavia confezionate come il miglior abito di Parigi. Se penso ai nostri antenati, così rustici, ma tutti lì, a godersi vere, grandi tragedie dopo averne evitato, beati loro, una ancora più reale: l’Invincibile Armata spagnola, sconfitta dal vento. Bruciare una strega, decapitare un conte come me o accalcarsi intorno a una specie di teatro anatomico dal palcoscenico senza uno straccio di scenografia e con vecchi laidi puttanieri a far le parti femminili… Desdemone da cento chili che neppure due boia sarebbero riusciti a strozzare! Forse c’è da chiederci se siamo sfortunati.

Aphra

Immagini esotiche, immagini esotiche! Il re che riceve in regalo un ananas!

Etherege

Ma no! Otello, il moro… I mori, i turchi, oggi sono i nostri  migliori alleati: ve lo dice uno che ha lavorato sei anni in ambasciata a Costantinopoli. Peccato solo per le loro donne serrate in casa, peggio della clausura in cui è cresciuta la nostra regina. Ma oggi e sempre oggi, grazie al nostro dio e al re per sua grazia, recitano in scena finalmente donne in carne e ossa, come l’amante del re e la vostra.

Rochester

Ma non siete voi il mio amante? Ofelia? Cordelia? Recitate o scrivete? Io mi limiterei a fare il poeta e i versi, come sapete, li sceglie la mia adorabile bertuccia di Gibilterra. Ma vivo come a teatro. Per questo ho anche un’amante che recita, come me. Ah, la mia Elizabeth Barry! Mi ha dato una figlia e ho voluto che si chiamasse come la madre. Un giorno potrei confonderle.

Etherege

Quella giusta vi risponderà come la nostra Nell Gwyn quando la scambiarono per la De Kérouaille, l’amante cattolica del re: “Fermatevi: sono la puttana protestante!”. (Ridono)

Aphra

Mettete le tre donne che dialogano al Drury Lane. Bene così: fermi!

(Rivolta a Etherege e Rochester) E smettetela anche voi o piazzo una vecchia architettura di Inigo Jones, così vi mette in riga! Uomini vitruviani che giocano con un cerchio perfetto come bambini… Ah! Ridete, ridete. Nell Gwyn è una grande attrice, però, gira e rigira, anche voi volete solo vedere la puttana che recita.

Rochester

Forse, mia cara signora, perché siamo puttane anche noi. Stipendiate dalla maestà del regno per sedurre il mondo impugnando la spada o un mucchio di scartoffie.

Etherege

Signora, è così: il potere è la puttana più grande. Piace a tutti: agli anglicani come ai puritani, ai cattolici come ai musulmani.

Aphra

Io non parlo di una grande cortigiana. Io voglio parlare di donne. (Ai tecnici) Mettete quel vecchio schifo di incisione con le streghe impiccate!

(Rivolta a Etherege e Rochester) Sapete bene che non piacciono solo ai puritani. Fissate lo sguardo a destra, al cacciatore di fattucchiere che riceve come Giuda il suo compenso. Quattro povere criste in meno. E oggi alle vecchie tragedie tagliano l’epilogo per mettere un lieto fine posticcio… Ma purtroppo, signori, non ci sarà happy end per voi: sifilide al poeta, esilio a chi ha scritto commedie. (Buio in scena: Etherege e Rochester svaniscono). Commedie alla moda, preziosi tappeti istoriati a coprire le ceneri di anni terribili. (Cala il sipario. Resta illuminata solo lei). Applausi! (Rivolta a un pubblico assente) Applausi da questo ristretto entourage di aristocratici e arricchiti! I nostri teatri al chiuso non contemplano più le folle. Teneri carnefici, io passerò i miei ultimi giorni a scrivere un romanzo su uno schiavo africano ribelle nelle vostre colonie e voi… voi mi seppellirete dentro Westminster. Se non è una commedia anche questa. (Buio)

Luca Traini

venerdì 1 luglio 2022

NUOVE TERRE

 Percorsi virtuali nella concretezza della ceramica

Neoludica è felice di aver lavorato e contribuito alla realizzazione dell’esperienza virtuale immersiva NUOVE TERRE, elaborata da API Srl  per il Museo Internazionale del Design Ceramico (MIDeC) col bando della Fondazione Cariplo e il patrocinio del Comune di Laveno-Mombello e dell’Assessorato alla Cultura Istruzione Turismo e Commercio.

Debora Ferrari, già direttrice di museo e curatrice d’arte esperta anche nel settore della ceramica (non a caso il titolo “NUOVE TERRE” è una sua idea), e il sottoscritto, in qualità di storico (https://lucatraini.blogspot.com/2021/09/il-potere-della-ceramica-larte-non-e.html), hanno curato i contenuti e supervisionato la scelta delle opere, veri e propri capolavori - e non solo del genere - distribuite nelle varie stanze (anche nell’ultima, quella segreta, da ammirare solo se si sono visitate tutte le altre).

La realizzazione della parte grafica è stata invece frutto dell’attività di Biancamaria Mori (direzione artistica) e Carlo Gioventù (scansioni e fotogrammetria) insieme al team di giovani sviluppatori di API Srl (che ha lavorato sull'aspetto grafico, sull'User Experience e sviluppato l'esperienza in toto), con la supervisione del managing director Massimo Spica. Si sono creati i mezzi oltre che l'estetica. E la novità, condivisa da tutti, è stata quella di non riprodurre gli ambienti del museo come si è soliti fare, ma di rivisitarli dando libero spazio alla fantasia e all’emozione rielaborandone le forme in una dimensione onirica.

Immersi in quest’atmosfera è possibile ammirare perfette ricostruzioni in virtuale di alcune delle opere più significative di quest’arte così da poterne godere tutti i dettagli: dal vaso ad anfora liberty di Spertini al piatto futurista di Portaluppi, dal classismo monumentale dell’Orfeo di Biancini alla formidabile essenzialità del  Ramo di Andlovitz, al mitico Portaombrelli C. 33 di Antonia Campi (solo per fare qualche esempio).

Un percorso costellato da piastrelle color Blu Laveno col logo del museo, macchine fotografiche e televisori vintage che, una volta puntati, svelano informazioni storiche, foto d’epoca e video che vedono protagonisti lavoratori, designer e progetti.

Un grande lavoro in sintonia con l’eccezionale capacità di innovazione espressa per un secolo e mezzo (1856-2003) dalla famosa Società Ceramica Italiana di Laveno, di cui il MIDeC ha fatto tesoro conservando una nutrita serie di pezzi della produzione di eccellenza. Infatti proprio l’industria lavenese, insieme e a gara con la Richard-Ginori, aveva fatto sì che questa  “arte minore” diventasse vera e propria Arte in sintonia con i grandi movimenti artistici del XIX e del XX secolo. Un’arte di massa, disponibile per tutti, che ha trasformato gli oggetti del nostro vivere quotidiano in opere di grande bellezza. Ecco perché questa particolare sensibilità estetica oggi viene tradotta anche nelle nuove arti digitali. Per favorire una visione aggiornata e affascinante di una grande tradizione in una dimensione interattiva capace di coinvolgere anche un pubblico di non specialisti. Per rivolgersi in particolare a giovani e giovanissimi, che nel linguaggio digitale trovano una delle forme di espressione e comunicazione preferite. Con la funzione interattiva e immersiva si possono accogliere nel museo anche persone impossibilitate a recarvisi o stimolare un pubblico lontano a scoprire Laveno-Mombello.

Il tour virtuale è fruibile dal sito del MIDeC.

Luca Traini

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