Agrippa d’Aubigné, Brantôme, Isaac Casaubon, Enrico IV, Jean de Sponde
Frammenti di dialogo
Nella Francia di re Enrico di Borbone, a cavallo
fra ‘500 e ‘600, antichi amori letterari sopravvissuti agli orrori delle guerre
di religione. È dai tempi dell’università che nei miei recital di poesia dedico
sempre uno spazio a qualche verso del Poema
tragico di d’Aubigné in contrappunto a un sonetto di de Sponde. Omaggio
alla loro incendiaria, melancolica diversità come alla comune ispirazione
sublime.
Negli anni si sono aggiunti lo studio del Polibio di Casaubon e la piacevole
lettura delle Dame galanti del Brantôme.
Passione unita a desiderio di rievocare il contesto di politica e storia, per
offrire al presente qualche spunto di riflessione contro certi integralismi che
tardano a morire, mi hanno spinto a recuperare questi frammenti scritti qualche
anno fa. Segnati nel manoscritto come Teatri
di guerra 5B, seguono l’episodio dedicato a Poliziano e Botticelli.
AUBIGNÉ E BRANTÔME L’arme contro gli amori
Antoine Caron, Il massacro ordinato dai triumviri (1566)
Commento musicale Claude Le Jeune, La guerre (i primi due versi fino a “la garde de mon cœur”)
Aubigné
“Le finzioni dei Greci, i ruscelli d’argento
dove si abbeveravano i loro vani poeti,
qui non scorrono più; ma le onde così chiare,
che ebbero contrari gli zaffiri e le perle,
sono rosse dei nostri morti: l’onda leggera,
il mormorio lieve contro carcasse si rompe”.
Brantôme
Versi che incidono più di una frusta… Ah, non
poteva che finire così il nostro umanesimo insegnato a nerbate. Anche Petrarca
e Laura in questo bagno di sangue. Come l’Ariosto. L’arme che fanno a pezzi
tutti i nostri amori - parlo anche dei miei, che scrivo in prosa. Ma quella prosa
di guerra… quella ha fatto a pezzi anche il nostro Ronsard, annegato in un solo
colore.
Aubigné
Cantare l’amore prima di diventare macellai esperti. Ronsard, le sue primavere, tutti quei fiori che abbiamo calpestato... Signore di Brantôme, il mio Dio ama l’estate più arida che brucia ogni illusione, ogni petalo. Io da tempo sentivo sarebbe sceso l’inverno, questo gelo ogni volta più precoce. La primavera degli usignoli l’abbiamo fatta tacere con le frecce di Cupido e i moschetti della fanteria. È questo il prezzo da pagare per togliere di mezzo il canto delle Sirene. La pace che da sconfitto ho firmato con Dio - e lui solo - prevede meno piaceri, ma - questo conta - meno dolori.
Brantôme
Si possono comprendere diverse cose del vostro
Calvino, ma questo mondo cupo, cinereo... no, non fa per me. Io non rinuncio alla
gioia terrena di tutte le guerre che ho perso: Italia, Scozia, Marocco, Azzorre.
La radura in cui sono caduto da cavallo
- sciancato e grazie al mio Dio non sulla via di Damasco - resta bella anche quando
gli usignoli che scampano ai vostri tritacarne cantano, per chi li sa ascoltare.
E io attendo sempre la dolce stagione, anche rinchiuso a vita nel mio castello.
Aubigné
“La
consuetudine rende dolce la prigionia,
e troviamo breve la strada verso la libertà:
la morte amara soffocherà ogni amarezza”.
Brantôme
La morte l’ho vista anch’io negli occhi, ma non è
mai stata bella come le dame che ho conosciuto. Cerco di scrivere di
condottieri, ma continuo a preferire loro, le splendide amazzoni dell’amore che
hanno reso i vostri eserciti grandi schiere di cornuti. Viva gli elmi gloriosi
quando non riescono più a stare in testa ai vostri generali! L’eroismo, quello
vero, sono le schermaglie amorose vinte da queste donne prigioniere delle
nostre stupide convenzioni. La libertà di cui parlate non è quella che io
contemplo, ma la loro, conquistata a un prezzo più caro del vostro, del nostro.
Gli allori su quelle teste adorabili, così sia, valgono più di tutte le vostre
carneficine.
Aubigné
Scandaloso, incorreggibile e neppure poeta. E il
poeta ha fatto un grande errore a venire qui. Ma Dio riconoscerà i suoi. E
anche me, che ai fiori delle vostre madonne ho scelto la spada. Ricordate Matteo:
“Non sono venuto a porta la pace, ma la spada”. Nel mio calamo c’è lei.
Brantôme
C’è inchiostro. Lo stesso con cui avete scritto
tutti gli amori che ripudiate, signore d’Aubigné, così sensibile al fascino
femminile e ai figli di Eva che avete sparso qua e là.
Aubigné
“Dove un tempo brillavano
i fuochi dei profeti più antichi, là
io tendo come posso la corda dei miei occhi,
mi butto nel mattino; con le gambe bagnate
disperdo la rugiada ai miei fianchi, non lascio
ai miei successori altra traccia se non
i rametti spezzati degli inutili fiori,
fiori caduti appena li sfiora un sole vero,
o che Dio brucerà col vento del suo fiato”. (Esce)
Brantôme
Vero sole, vero Dio, vera poesia... Più verità nella primavera, che ancora una volta farà crescere i fiori più belli sui vostri cadaveri. Fiori che avranno un volto di donna.
CASAUBON, ENRICO
IV Due poteri della parola
Enrico IV (Restituendo il libro a Casaubon)
Avete fatto un ottimo lavoro con la vostra edizione
di Polibio. Me l’avete dedicata e io non posso che esserne felice: quale
esempio migliore di questo storico greco che comprende, che asseconda l’ascesa
di Roma? Però… però qui dobbiamo comprenderci anche noi. Come se fossimo a
Roma. La Roma dei papi. Ma come? Polibio segue senza remore la nascita di un
impero e voi... voi non assecondate il nostro esempio nel ricostruire il regno di
Francia? Perché non vi siete ancora convertito al cattolicesimo? Sapete quanto
tempo mi costa difendere il vostro posto di bibliotecario reale?
Casaubon
Maestà, il mio lavoro cerca nel passato una base
inestirpabile al presente. Non c’è pagina di libro, per antico che sia, che io non
cerchi di comprendere e tradurre come traccia da seguire nel nostro regno.
Ma questa dedizione, questa consacrazione del fango di noi poveri uomini non può essere solo di superficie. Se deve
lasciare un’impronta capace di affondare nella nostra terra impregnata da
troppo sangue, dovrà essere frutto della forza di un albero lasciato libero di
mettere le proprie radici. Questa fatica di occhi che cercano di leggere anche
nella notte più alta - le candele non devono spegnersi - dev’essere garantita da
quell’Editto che porta la vostra firma e il nome della città di Nantes.
“Nantes”, “quelli che nuotano” in latino, fra mille traversie, per garantire libertà di coscienza in tutto il nostro amato Paese.
Enrico IV
Tutta qui la vostra filologia? Avrei fatto un
pessimo affare? No, io non ci credo che siate così ingenuo. Vostro suocero, il
grande Henri Estienne, con la sua unione delle Muse con Marte avrebbe risposto
meglio. Però avete visto che fine ha fatto: morto pazzo e pieno di debiti. Sarà utile per i futuri
commentatori di Platone - un filosofo che in fatto di politica vera non ne ha
azzeccata una – ma ora? Ora, caro il mio filologo, fatemi il piacere di fare
bene il vostro dovere: pesatele una per una queste parole. La Grecia di Omero non era quella di Polibio. La Francia di Charenton - dove so che andate a pregare il
Dio di Calvino grazie al nostro stipendio – non è la Francia di Parigi, dove il
vostro culto è vietato. La coscienza non è una cosa astratta quando si traduce
in lavoro. In questa cattolicissima Parigi voi potete consultare libri che a
Ginevra possono solo sognare. Santo cielo, ma pensate che io non sia al
corrente dei vostri dubbi? Rischiate di fare un’offesa alla mia e alla vostra
intelligenza se non riconoscete che nuotate veramente male e restate a metà del
guado. Fanatici di qua, fanatici di là. Ugonotti, cattolici, tutti col dente
avvelenato per inutili massacri durati trent’anni. Noi, il vostro
“cristianissimo re di Francia e Navarra”, non possiamo permetterci ancora per
molto mezze misure come il re d’Inghilterra. La religione di Stato era una per
i romani e tale dovrà essere anche per noi. Per voi. (Esce di scena)
Casaubon (Apre il libro e legge un passaggio della Prefazione al suo "Polibio")
“In ogni impresa si incontrano infiniti pericoli, a
cui non riesce a sottrarsi chi appartiene alla categoria di
quelli che i greci definiscono “privi di nozioni”: a chi non ha esperienza
infatti nulla soccorre. Da qui viene quell’espressione estranea alla prudenza,
sempre riprovevole e spesso dannosa: “Non l’avrei mai pensato”.
Una voce fuoriscena
Hanno pugnalato il re alle costole: è morto!
Un'altra
L’assassino era cattolico: l’hanno squartato!
L'ultima
Giustizia! Brandelli di giustizia che parlano ad
altri! I pezzi di Francia in mano agli Ugonotti sono avvisati!
Casaubon (Chiude il libro restando a occhi chiusi. Un profondo respiro e li riapre)
Ora pensa a questo: Polibio aveva Roma. E tu? Ginevra? Londra? La risposta è Londra, fuggire a Londra. E lì che fine faranno i miei classici? Servirà a qualcosa aver ramazzato i resti greci dei Banchetti dei sofisti, Ateneo, messo ordine a tutte le infamie latine della Storia augusta? Re Giacomo adesso ha la sua bella e nuova Bibbia tradotta. Mi pagherà bene, anche perché Dio sa quanti consigli ho dato in segreto alle sue commissioni di studiosi! Ma in latino. Avrò il tempo di controllare cosa ne hanno fatto nel loro inglese? Lingue morte contro una viva che dovrò imparare. Altra lingua, altri cadaveri che hanno fatto da concime. Patria e religione ancora una volta sinonimi. Il rischio di fare la stessa fine del mio precursore, il signor de Sponde. Chieditelo: quando si è convertito al cattolicesimo sono servite a qualcosa le sue traduzioni, quelle nel nostro latino di Omero, Aristotele, Esiodo? Giusto la concessione di un rantolo di vita e la morte nel proprio letto. Raccattare a fatica qualche ultima idea per cercare difendere la sua, la nostra ultima scelta. Questa conta per il nostro unico Dio. Per i contabili di qualsiasi corte. Partita doppia.
Neppure due anni per lui, neanche quattro per me.
FLASHBACK De Sponde: il Quadro della Scrittura
Voce di de Sponde (Buio)
“Eppure morir si deve, e la vita orgogliosa
che disfida la morte, sentirà i suoi furori,
i Soli seccheranno questi fiori d’un giorno
e scoppiar farà il tempo questa bolla di vento.
Quella fiaccola bella con l’arder suo fumoso
Sul verde della cera spegnerà la sua fiamma,
l’olio di questo Quadro sbiadirà i suoi colori
e in schiuma sulla riva s’infrangeran quell’onde”.
Commento musicale (mentre lentamente si fa luce) Paschal de L'Estocart, L'eau va viste en s'escoulant
De Sponde
Sono morto di pleurite. Non avevo da riscaldarmi. Non volevo bruciare i miei
libri.
Silenzio del re prima. Silenzio del re dopo.
Dare alle fiamme almeno l’ultima fatica, il mio Esiodo, il suo lavoro più triste, quelle Opere e i giorni… E ogni giorno ha… E gli ultimi... Non me la sono sentita. Basilea, Ginevra, Parigi, Bordeaux… tutte ora per me come il suo squallido borgo: “Ascra: gelo d’inverno, afa d’estate,/ mai piacevole, mai”. Eppure come sembrava oro nel nostro Umanesimo strappare all’oblio tutte quelle pagine rosicchiate dai topi, ristamparle! Innestare nuove radici in quelle antiche - latine, greche - negli abissi della Scrittura... Ma tu sei l’aratro. Tu il seme che deve morire. Fra le righe, in quei solchi, ferite più profonde ogni giorno - la carta dei nostri libri è fatta di stracci! - un peccato incomprensibile.
In ritardo, colpevole, incompreso anche in ragione di questo il filologo, quando fece suo il credo cattolico e ormai era autunno - il re l’aveva scelto in piena estate. Messa a Parigi per questo. Capro espiatorio per l’altro. Rifletti ancora una volta sulle tue opere, sul tempo consacrato al prima dei tuoi giorni. E l’ora? Il dopo? Non eri un ragazzino. Andavi per i quaranta. E non ti è stato permesso di raggiungerli. Chiedilo all’uomo, che aveva moglie e figli. Era lui, era lui che doveva ricordare quel salmo che ripeteva fin da bambino: “Per quanto si paghi il riscatto di una vita, non potrà mai bastare”. L’uomo era il bambino che l’aveva sepolto fra tutte quelle carte, tutte quelle pratiche correnti quando… proprio quando non se ne rendeva conto faceva sfoggio dei titoli concessi da quel re, quello che ora tace: Maestro delle Richieste, Luogotenente Generale del Siniscalco di La Rochelle…
La morte chiude ogni pratica. Dio valuterà ogni singolo documento, ogni riga, ogni solco. Io intanto riposo accanto ai morti che ho amato: greci, latini. Per i francesi, come per me, resto in attesa del giudizio del Signore: non avrà lavoro facile. Aspetto il signor Marcel Arland e i suoi tormenti, il nostro alleato scozzese Alan Martin Boase: saranno loro a riscoprire almeno la mia poesia dopo tre secoli, dopo tanto odio consacrato al mio oblio da cattolici e protestanti.
Volevo parlare dell’Uomo e ho
scritto di me. Ritratto senza ritratto. Le incisioni che troverai saranno
quelle di Henri, mio fratello minore, ritratto vescovo e vecchio. Lui ha
scelto. Io ho compreso.
(Mentre scendono le tenebre risuona l’inizio del “Si ambulem” della Missa pro defunctis di Eustache du Caurroy, presto interrotto dal buio. Profondo silenzio.)
Voce di de Sponde
“I lampi vidi chiari passar davanti agli occhi
e similmente il tuono rimbombare nei Cieli,
in cui da qualche parte scoppierà un temporale.
La neve vidi fondere, seccare i suoi torrenti,
quei leoni ruggenti senza rabbia li vidi,
o uomo, vivi, vivi, eppur morir si deve”.
Traduzioni Poema tragico: Basilio Luoni (BUR Rizzoli, 1979), Polibio: Guerrino F. Brussich (Sellerio, 1991), Meditazioni sui salmi e poesie: Mario Richter (San Paolo, 1998).
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