Non è stato facile rimettere insieme i pezzi dedicati all’anno 1957 in Unione Sovietica. Filo conduttore: il Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 composto dal mio amato Dmitrij proprio quell’anno. Soprattutto il secondo movimento, l’Andante, che ogni volta mi commuove, simbolo di quegli anni passati alla storia come Disgelo, dopo la spessa coltre di ghiaccio degli orrori staliniani. L’Andante si trova al centro di due Allegri. Allegri ma fino a un certo punto e quindi giusto commento musicale per entusiasmi e chiaroscuri dell’epoca kruscioviana. Per questo motivo sono tre anche le scene del mio frammento da Teatri di guerra.
Nella prima troviamo un quadro dell’epoca nel dialogo tra Chruščëv e l’ex
ministro del commercio Anastas Mikojan. La seconda vede invece protagonista Šostakovič
(“Mitja”) nell’atto di presentare il suo concerto a due fedeli amici e grandi
interpreti musicali: Mstislav Rostropovič (“Slava”) e la moglie Galina
Višnevskaja. Nella terza due grandi scrittori testimoni degli orrori del gulag
a confronto, Varlam Šalamov e Aleksandr Solženicyn, mentre scorrono le immagini
della degradazione dell’ex ministro degli esteri staliniano Molotov ad
ambasciatore in Mongolia.
1 Allegro
Ufficio di Chruščëv al Cremlino.
Chruščëv
Chiudi quella porta, Anastas.
Mikojan
Io chiudo, Nikita Sergeevič, ma non si può chiudere sempre.
Chruščëv
Vuoi che non lo sappia? In Polonia ci siamo
riusciti. In Ungheria, no.
Mikojan
I carri armati non fanno solchi per il grano.
Chruščëv
Con i carri armati abbiamo vinto i nazisti, con
l’esercito abbiamo sconfitto gli stalinisti solo qualche mese fa. Ora possiamo
pensare anche al grano. Faremo mangiare meglio tutti, anche gli ungheresi: più
pane e poi anche più gulasch.
Mikojan
Mandiamo anche loro in Kazakistan, a coltivare le
“terre vergini”?
Chruščëv
Scherza, scherza, intanto con le “terre vergini”
abbiamo avuto il miglior raccolto di sempre. Ne avrai di roba da mettere in
pentola, tu che ami fare il cuoco! Scriverai un altro libro di cucina e, a
pancia piena e piedi caldi, penseremo anche a una data per quando realizzare il
comunismo. Comincia a ragionare su una nuova qualità del tuo “champagne
sovietico”.
Mikojan
Mi sembri Stalin quando diceva che pensavo più ai
gelati che al comunismo. Intanto nel ’38 io cominciavo a produrre gelati in
massa per i cittadini mentre lui li faceva congelare in Siberia. Compagno
segretario, tu sai bene che non mi metto fra gli innocenti, ma se vogliamo
davvero rifarci una verginità dobbiamo cambiare metodi.
Chruščëv
Non ripetermi quello che so già. Pancia piena e
piedi caldi ce li avevamo solo noi quando cenavamo a quelle ore assurde di
notte da lui, senza sapere se il giorno dopo li avremmo avuti congelati: un colpo
alla nuca o in treno merci verso i ghiacci. Non siamo rimasti come stoccafissi
in un vagone o alla Kolyma: abbiamo quindi il dovere di andare oltre. Ma, come
dicono i preti, anche i nostri, la mano sinistra non deve sapere quello che fa
la destra. La destra è ancora costretta a fare cose che non ci piacciono. Loro,
tu lo sai, non sono pochi. Le teste le abbiamo tolte di mezzo, ma i piccoli
minotauri sono ancora diffusi in tutto il corpo dell’Unione. E io non voglio
più usare con questa gente i vecchi metodi. Ci vuole tempo per cambiare la
testa a queste mandrie.
Mikojan
Continuiamo a dirci cose che sappiamo. Siamo
d’accordo a non far tornare l’inverno in questo disgelo. Però alla prossima
occasione dobbiamo convincere il partito a buttare fuori Stalin dal mausoleo di
Lenin, che poi un mausoleo non l’avrebbe mai voluto. Tutto questo freddo di
morte non vale un buon gelato. Per questo ti ripeto ancora una volta che
dobbiamo continuare a scongelare questa guerra fredda anche con gli Stati
Uniti. Non sono dei santi neanche loro, ma abbiamo molto da guadagnare e,
perché no, da imparare dalla loro economia. Io li conosco da vent’anni e certi
aspetti di quell’essere competitivi dobbiamo farli nostri.
Chruščëv
Voi armeni avete la fissa del commercio. Tuo
fratello Artem non so da dove ha tirato fuori il genio di progettare i nostri
Mig. Lui sì che vola alto! E lo sanno anche gli Stati Uniti che per imporre i
loro commerci occorre una signora aviazione. Ti dirò di più: noi supereremo in
altezza le loro macchine perché lo Sputnik è già pronto. Lo lanceremo in
autunno. I tuoi amici americani resteranno a bocca aperta guardando il cielo.
Gli cascheranno di mano i sacchetti della spesa.
Mikojan
Ne sono orgoglioso anch’io, compagno. Ma dobbiamo
continuare a tenere i piedi ben in terra senza colpi di testa. Non dimenticarti
che lo Sputnik finirà in orbita grazie a Korolëv, che ha perso i denti alla
Kolyma nel ’38, quando noi iniziavamo a produrre gelati e lui finiva nelle
miniere d’oro del gulag. Il gelato se lo può succhiare anche chi non ha denti,
ma se proprio dobbiamo continuare a pianificare tutto, pianifichiamo almeno più
dentisti per i nostri ingegneri aerospaziali.
Chruščëv
Ti piace proprio fare battute, ma se oggi possiamo
scherzare è perché abbiamo lavorato sul serio, anche a costo di essere
spietati. Non è passata un’era geologica, solo quattro anni da quando eravamo
costretti a fare i buffoni alla sua tavola. E c’era gente, saranno stati
intellettuali, che mi diceva che era Platone, il filosofo greco non il direttore
della Piccola Enciclopedia Sovietica, a consigliare ai politici di lavorare di
notte. Sinceramente non ti so dire se questi qui sono ancora vivi o condannati
alla notte eterna. Io so che ora devo pensare a quando si fa giorno. Te lo
ricorderai l’incrociatore Aurora. Fare le cose alla luce del giorno: questo
sarebbe un vero compito da rivoluzionari.
Mikojan
Sarebbe.
Chruščëv
Sarebbe il caso di riaprire quella porta.
2 Andante
Studio di Šostakovič.
Il compositore accenna al piano l’inizio del Movimento. Segue una breve pausa
di silenzio.
Šostakovič
Ho scritto per mio figlio un secondo concerto per
pianoforte. Non avrà l’entusiasmo del primo, non può. I sogni hanno
attraversato un incubo durato vent’anni. Ora abbiamo finalmente tempo per le
sfumature. Quanto durerà? Finché dura cerchiamo di ritrovare noi stessi. La sentite
questa carezza della nebbia che si alza? Devo essere pronto per quando tornerà
la luce. Lo devo a mio figlio.
Rostropovič
Io la sento sì, Mitja, questa nebbia che ha iniziato ad alzarsi. Ma, te lo devo dire, potrebbe restare lì e ristagnare a mezza altezza. Un’incompiuta difficile da suonare. È la rivoluzione che è rimasta a metà o il suo fallimento? Tu hai vent’anni più di me, hai conosciuto l’entusiasmo sincero dei primi tempi, Lenin vivo, Lenin morto da poco. Io ho conosciuto solo Stalin e questi suoi accoliti che oggi lo rinnegano. Sento puzza di aria fritta. Maestro, chi ha fatto conoscere il tuo genio non era anche il maresciallo Tuchačevskij? L’hanno fucilato l’anno prima che nascesse tuo figlio e, quando è nato, quel terribile 1938, tu come tanti eri valigia pronta accanto al letto, col terrore che la polizia segreta ti prelevasse nel cuore della notte.
Šostakovič
Slava, io quel mostro di Stalin l’ho già evocato
nella mia musica. Chi aveva orecchie per intendere… Ma ora che il peggio è
passato, almeno per noi, ho cercato di alludere a quanto poteva essere e non è
stato nel secondo movimento di questo concerto. Malinconia, melancolia,
chiamala come ti pare. Noi musicisti in fondo siamo fortunati. La musica prima
delle parole. Meglio senza parole. Neanche quel troglodita di Ždanov è riuscito
a fami fuori nel ’48. Le note si alzano subito in volo, non fai in tempo ad
ammanettarle come un libro, un quadro, una scultura. Dire fra le righe,
costretti fra le righe - di un pentagramma, del filo spinato di un gulag –
ridare fiato, una qualche armonia a tutte quelle righe. Fare delle note gemme
che dovranno sbocciare, prima o poi dovranno sbocciare in fiori, anche dal filo
spinato. Il mio dovere era e deve essere questo.
Višnevskaja
Mitja, non te le prendere, noi non mettiamo in
discussione la tua sincera adesione al nuovo corso, l’affetto che nutri per la
figura di Lenin. Anzi, a questo proposito, devi sapere che si vocifera di un
prossimo intervento del comitato centrale contro gli “eccessi”, gli “errori” -
vai a capire che parola troveranno questa volta - del partito nel valutare come
“antipopolari” compositori come te, Khačaturjan,
Prokof'ev…
Rostropovič
Prokof'ev… Sergej…
Ma chi gliel’aveva fatto fare a tornare qui da Parigi? Mitja, tu sai cosa non è
quella Sinfonia Concertante che mi ha dedicato. Tornare qui per morire giusto
un’ora prima di Stalin. E solo ora questi qui… Riabilitare i morti con le loro
scartoffie: questo sanno fare.
Šostakovič
Slava, tu l’anno scorso hai potuto esibirti a New
York e sei primo violoncello nell'Orchestra di Stato. Tu non hai rischiato come
me negli anni feroci quindi, per favore, risparmiami le tue prediche. Io questo
secondo movimento lo dedico anche alla memoria di Sergej.
Višnevskaja
Slava, ha ragione, devi calmarti: non è il caso e
non è il posto. Mitja, tu però devi comprendere che noi avremo anche il
privilegio di andare all’estero, ma cominciamo a fare confronti. E qui non
conta se abbiamo la bomba atomica o se spediremo nello spazio un pezzo di
metallo prima degli americani. Noi cominciamo ad avere seri dubbi che questo
sistema possa rinnovarsi davvero.
Šostakovič
Galina Pavlovna, io avrò anche un problema coi sogni
- e parlo di sogni a occhi aperti, bene aperti – ma non posso privare mio
figlio del diritto di sognare. Stalin era, per dirla con Marx, un despota
asiatico? Sono d’accordo. Chruščëv è rozzo? Ma è un figlio del popolo. E io per
chi faccio musica? Per un gruppetto di specialisti ultraraffinati? Il sistema
tonale non sarà tipico del canto popolare russo, ma io compongo per il popolo
sovietico e il mio criterio di giudizio è che la musica oggi deve essere piena
di senso, artisticamente valida e, soprattutto, comprensibile. Io non ho nulla
contro i popoli dei paesi capitalisti, ma non voglio cambiare lo stalinismo col
capitalismo. Con le mie sinfonie ho combattuto i nazisti e non mi tirerò certo
da parte anche quando il partito farà un passo avanti e due indietro.
Rostropovič
Mitja, lo sai che hanno detto di te che sei come Skrjabin:
non puoi essere seguito, ma solo imitato. Tu sai chi è il nipote di Skrjabin.
Višnevskaja
Slava!
Šostakovič
Lascia stare, Galina. Slava, lo so bene: è Molotov.
E non è più ministro degli esteri, ma un semplice ambasciatore in Mongolia. La
musica è cambiata, ma quella dei Mongoli è la stessa della nostra Repubblica
Autonoma di Tuva.
3 Allegro
I testimoni
del gulag, Varlam Šalamov e Aleksandr Solženicyn, discutono mentre sul fondo
scorrono le immagini di Molotov che presenzia con gli altri ambasciatori a una
parata con manifestazione sportiva in Mongolia.
Solženicyn
Hai sentito, Varlaam? Hanno spedito Molotov in
Mongolia.
Šalamov
Sì, ce lo hanno mandato in agosto mica in pieno
inverno come noi alla Kolyma.
Solženicyn
Sua moglie Polina ne sa qualcosa: nel gulag ci finì
a dicembre. Cos’era? Il ’48. Lei non era più ministra della pesca, lui era
ancora ministro degli esteri.
Šalamov
Nel ’48 il gulag era già un’altra cosa. Dovevi
finirci dieci anni prima, da civile come me e non da militare come ti è
capitato nel ’45. Marchiato come “trockista” non c’era solo il terrore delle
guardie, del lavoro in miniera, c’erano i diavoli del satana coi baffi, i
delinquenti comuni, i “socialmente vicini”, il punto più basso dell’inferno.
Solženicyn
Li avrà provati anche la moglie del nostro
presidente Kalinin? Ekaterina nei nostri lager ci finì nel ’39.
Šalamov
E in Siberia c’era già finita con lo zar, per
seguire il marito in esilio.
Solženicyn
E la seconda volta invece il marito è rimasto a
fare il presidente del presidium del soviet supremo. L’hanno fatta uscire
giusto per vederlo crepare e poi via: un altro esilio interno.
Šalamov
La moglie di Molotov era ebrea, quella di Kalinin
lettone. Sarà un caso? Dietro il catafalco internazionalista il georgiano
ripescava il vecchio nazionalismo russo. E anche tu, Aleksandr. La bandiera
diventa rosso sangue, torna a nutrire il rapace a due teste degli zar e tu che
fai? Sostituisci i nuovi artigli con quelli vecchi? Io sono stanco di tutti
questi poteri che pretendono di volare alto a colpi di unghiate nella carne
viva.
Solženicyn
Guarda, Varlam, guarda Molotov mentre sfilano i
comunisti mongoli. Portano ancora il ritratto di Stalin, forse per questo finge
di essere felice. Secondo me era più contento quando si faceva fotografare con
Hitler, ricordi? No che non lo ricordi, tu nel ’39 i cinegiornali non li
vedevi: eri negli abissi delle miniere del gulag. E adesso fa’ attenzione ai
lottatori della Mongolia: chi vince imita il volo dell’aquila. A quanto pare
anche lì il partito ci tiene alle aquile.
Fine della proiezione.
Šalamov
Aleksandr, per i Mongoli l’aquila non è segno di prevaricazione. Scriveremo tutti e due degli orrori che abbiamo vissuto e a cui siamo - per fortuna o, come avrebbe detto mio padre che era un prete, grazie a dio - sopravvissuti. Tu, col tuo rancore di soldato disarmato, e io, da civile, da “fesso” come dicevano i “socialmente vicini”. Preferisco restare un “fesso” e immaginare, se ne avrò ancora la forza, un futuro di “fessi” felici.
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