mercoledì 24 luglio 2013

ARCADIA IN FIAMME

DUE MORTI PER UN CONCETTO

Una diversa lettura  dell’Eutìfrone di Platone



L’Eutìfrone mi ha sempre colpito per la brutalità della causa scatenante il dialogo: due orrendi omicidi in quella che doveva essere “la campagna di una volta” (chiamala “durezza” se vuoi, ma non basta). Due di quelle morti violente perpetrate fra le quattro mura di casa, al chiuso, morti che puzzano il doppio. Un bracciante ubriaco fradicio che ammazza uno schiavo e poi viene buttato dal padrone in un pozzo e dimenticato lì.
Ecco, l’aereo discorso sulla “santità” parte da questa vicenda terra terra, da un vecchiaccio dispotico che lascia crepare non tanto un assassino, ma un pezzente maldestro che gli ha rotto un oggetto di proprietà, una cosa parlante. E il figlio, l’Eutìfrone che dà nome al dialogo, ha il coraggio di denunciarlo: cosa inaudita anche nella democratica Atene - e poi non ha mica ucciso un consanguineo!


Immagine correlata

E' anche il parere di Socrate e da subito si vede quanto parteggi per il padre padrone, uno di quei vecchi terribili poi tanto cari al terribile vecchio Platone delle LeggiQuando nell'incalzare del dialogo citerà, censurandoli, i comportamenti di Zeus e Crono verso i rispettivi padri, è chiaro che alluderà al comportamento di Eutìfrone.
Certo, quest'ultimo, un indovino pare neanche particolarmente apprezzato, di certo non un mago della dialettica, nell'ambito del dialogo non fa un gran figura, mostrando una discreta ottusità nel mettere in discussione le sue, poche, granitiche certezze. Non dobbiamo però dimenticare che questo è il punto di vista, diciamo l'opinione, del Platone che si cela nella statuetta di Sileno del suo Socrate, del filosofo impegnato a fondo in un grande progetto di rifondazione aristocratica che non ha certo tempo da perdere in cause che riguardano braccianti o schiavi.


File:NAMA Satyres & silènes.jpg

Tuttavia, agli occhi di un moderno ben contento di essere tale, la tentata denuncia del povero indovino nei confronti del padre violento - possiamo immaginare come sarà andata a finire - è un gesto di grande umanità, che merita di essere ricordato. 


Quindi un figlio contro il padre e due omicidi. Ma la cupa premessa non finisce qui. I due s'incontrano all'ingresso del tribunale dell'arconte re (e la presenza dietro le quinte di questa arcaica figura non è certo un caso). Uno sta per entrare, l'altro è appena uscito: dialogo immediato, senza intermediari o reminiscenze, magia drammatica di Platone. Socrate è in punto di fare il suo ingresso per respingere l'accusa di Meleto (non a caso fisiognomicamente brutto dentro e fuori, come Tersite) e sappiamo la fine che farà. Senza contare che Atene, il grande corpo della polis, è appena uscita da una guerra civile e da una catastrofe  militare che ha visto la rivolta di buona parte degli ex-sudditi del suo impero.


File:1784 Bocage Map of the City of Athens in Ancient Greece - Geographicus - AthensPlan2-white-1793.jpg

In  questa situazione di crisi profonda a cui la restaurazione democratica di Trasibulo sta cercando di rimediare in qualche modo (ne mimneskein “non ricordare”, la parola d’ordine tutt'altro che platonica riportata dal filospartano Senofonte nelle sue Elleniche), ecco la scandalosa novità di un uomo che vuole accusare il padre per l’omicidio di un non-consanguineo (e forse solo una profonda crisi di “valori” poteva spingere a ciò un devoto all’antica come Eutìfrone) e addirittura un dialogo su ciò che è “santo” -ma, soprattutto, su ciò che non lo è (il dialogo molto “intelligente” – e astuto, specie nei confronti dei posteri – di un disperato, letteralmente e letterariamente, perché è pur sempre il Socrate di Platone).


File:Sacrifice south frieze Parthenon BM.jpg

Alla fine del testo non si approderà a nulla, se non a smontare le premesse teoriche di Eutìfrone (ma speriamo non lo abbia distolto dal suo fine). Una buona, anzi, ottima scusa per far capire che in fondo il “santo”, cioè il “giusto” della cui “giustizia” la “santità” è parte, è lui, Socrate: una specie di difesa prima dell’Apologia.
L’esegeta, l'esperto di leggi, che tanto diceva di aver cercato il vecchio omicida per un parere (mentre il suo lavorante agonizzava nel pozzo), l’ha trovato il figlio. E’ Socrate, il figlio dello scultore, il pronipote di Dedalo inventore di automi, ispiratore alla lunga dei cittadini della Repubblica che forse è in cielo, Socrate che volò alto, come l’accusato del modo proverbiale “Accusi forse uno che vola?” (Eutìfrone 4a), come il sofista mascherato delle Nuvole di Aristofane. Ovvero, “Accusi me” sembra dire Socrate, perché se il mantis parla come un folle, allora è come Meleto e questa città (la parte democratica), che lo condannerà, condannerà il maestro di Platone, il padre spirituale che il discepolo penserà, anzi, meglio, crederà di non tradire mai.


La città malata di stasis come i vecchi di Eutìfrone, incapace di stabilire un criterio di giustizia il più possibile non contraddittorio (e quindi privo di contraddittorio, non solo in tribunale), quella condannerà Socrate, come un figlio ingrato. Come Eutìfrone.

venerdì 5 luglio 2013

L'OCCHIO E' LO SCHERMO DELL'ANIMA

Pierre-Louis Pierson, La Contessa di Castiglione, 1863

THE EYE IN GAMELAND: MIRRORS OF CULTURE

Metamorphosis is one of the substantial elements of Neoludica. It is the picture of a great reality – not just a strictly artistic one – in a tumultuous state of post-production. Since we are optimists, and therefore not afraid of the usual catastrophes, our metamorphosis rather than a Kafkian one is Ovidian (“In nova fert animus mutates dicere formas / Corpora,” “Of bodies changed to various forms, I sing,” Ovid, Metamorphoses, I,1) or maybe inspired to Max Ernst’s magnificent hybrids. The expressive tools of the past, the media through which we have tried to comprehend within and beyond ourselves (once established our identity and individuality) have long exceeded their original function to become something else. It is now time to digitalize historical analogies, the transitions between a historical or artistic forms, to finally accomplish the aesthetic revolution operated by the Virtual. The Virtual concretely becomes NEO-LUDIC, as in a coherent field of new forms of expression, wittingly including all those who are identified as their predecessors.


All the resources of Crossmedia are used to evoke here and now, in a new and original way, the "remote connections" interweaving the threads of history on different levels of that game of mirrors and screens between technology and the arts which concerns form, and more specifically the very profound forms of communication we have every reason – not the sleep but the dream of reason – to call Art.
The points we must clarify to give an exhaustive view of the polymorphic paths leading to this new digital humanism are basically three:
1. The individual inquiry symbolically represented by the EYE
2. The mirrored relationship involving the other, which takes place through a filtering SCREEN
3. The immersion in and surfacing of society, requiring a perspective on the CITY.

Clementina Hawarden (1822-1865), Mirror

The Eye is the Screen of the Soul

In the first case, the basic reference cannot be but to Aristotle, who, besides being the father – or grandfather – of the term “virtual” (which by the way is “dynamis” – “power” – in Greek), picked out what is to this day the privileged organ of Western knowledge, the same that has produced all the hardware and software we use: “For not only with a view to action, but even when we are not going to do anything, we prefer seeing (one might say) to everything else”. Then, the image we could start with is that of the structure connecting the brain with the eye, as it was drawn, in the wake of Aristotelian studies, during the Middle Ages, both in Western and Islamic cultures. So the eyes and the brain are connected, according to Leonardo. Having said that, either we follow up Da Vinci’s manuscript with young Parmigianino’s self-portrait (in which the artist almost seems to be hiding a mouse in his hand), or we lead up to it with Van Eyck’s mirror from the Arnolfini Portrait (in that light room the painter almost certainly portrayed himself among the crowd of the attendants).


File:The Arnolfini Portrait, détail (2).jpg
Jan van Eyck, Ritratto dei coniugi Arnolfini, 1434

Next, Ledoux’s engraving with his visionary theatrical eye: a symbol of the great utopian project inscribed by the Age of Enlightenment in its scientific view of reality. And Pierson’s portrait of the Countess of Castiglione, where the freshly invented art of photography emphasizes its focus in a century when another woman, Ada Lovelace, daughter of poet George Byron, invented the ancestor of modern software (not coincidentally, our 2009 exhibition The Art of Games in Aosta was dedicated to her). And again, film, with the “Kulesov effect,” showing how the attentively-scrutinizing eye is also the deceitful creator of a world of its own which impalpably but relentlessly penetrates our image of reality (an image that is by no means simple or “natural”: this is the statement we want to make, with all due respect to variety and complexity). Dulcis in fundo, the eyes of a computer or a human being in front of that screen which, as we are about to see in a specific chapter, we have been willing to get through for thousands of years. All this, perhaps, in a venue such as the altar designed by Bramante in the church of Santa Maria presso San Satiro in Milan, where the power of perspective vision was for the first time used for a functional, very human illusion: creating architectural and spiritual depth in a space of 97 centimeters.
He did not give up: neither will we.
Claude-Nicolas Ledoux, Théâtre de Besançon, disegno, fine XVIII sec.

La metamorfosi è una delle cifre sostanziali di NEOLUDICA, cioè la fotografia di una grande realtà – non solo artistica in senso stretto – in tumultuosa postproduzione. E poiché siamo ottimisti e non abbiamo paura delle solite apocalissi, la metamorfosi in questione, più che kafkiana, è ovidiana (“In nova fert animus mutatas dicere formas/ Corpora”, “La mente mi sprona a cantare forme/ Mutate in corpi nuovi”, Ovidio, Metamorfosi, I,1) o figlia degli splendidi ibridi di Max Ernst.
Gli strumenti espressivi del passato, i media con cui si è cercato di comprendere dentro e fuori di noi (una volta stabilite identità e individualità) hanno già da un pezzo superato la funzione per cui erano stati inventati per essere altro. E’ quindi giunto il tempo di ritrarre in digitale le analogie storiche, i trapassi da una forma storica e artistica ad un’altra per approdare infine alla rivoluzione estetica del virtuale che si fa concretamente Neoludica Game Art Gallery, ovvero, orizzonte unitario di nuove forme espressive che racchiudono in se coscientemente tutti quelli che vengono individuati come loro precursori.
Tutte le risorse della crossmedialità sono chiamate a evocare hic et nunc in modo nuovo e originale  le "connessioni remote" che legano le trame della storia ai diversi livelli di quel  gioco di specchi e di schermi fra tecnologia e arte che ha come posta in palio la forma, le forme più profonde di comunicazione che possiamo ben definire a ragione – il sogno e non il sonno della ragione – Arte.
I punti in questione da elaborare per evocare e rendere evidenti i percorsi polimorfici di approdo di questo nuovo umanesimo digitale sono essenzialmente tre:
-     1. La dimensione di indagine individuale rappresentata simbolicamente dall’OCCHIO
-     2. Il rapporto speculare che implica l’altro e avviene sempre tramite uno SCHERMO che filtra
-     3. L’immersione ed emersione nella società e quindi il punto di vista sulla CITTA'.

File:Volta della stanza della segnatura 06 primo motore.jpg
Raffaello, Motore Immobile, 1511

L'occhio è lo schermo dell'anima

Nel primo caso il riferimento di base è naturalmente Aristotele, che, oltre a essere il padre – o il nonno - del termine “virtuale” (che comunque in greco è “dunamis”, cioè, “potenza”), nella sua “Metafisica” individua quello che è ancora oggi l’organo privilegiato del sapere occidentale, lo stesso che ha prodotto gli hardware e i software che conosciamo: “Preferiamo la vista a tutto, si può dire, non solo ai fini dell’azione, ma anche quando non dobbiamo fare nulla”. Per questo l’immagine da cui si potrebbe partire è proprio quella della struttura del cervello collegata all’occhio, così come viene disegnata, sulla scia degli studi aristotelici, nel medioevo in occidente o nel mondo arabo. Quindi occhi e cervello collegati secondo Leonardo.


File:Parmigianino Selfportrait.jpg
Parmigianino, Autoritratto allo specchio, 1524

Poi, o si fa seguire il manoscritto davinciano dall’autoritratto a tutto tondo del Parmigianino giovane (che sembra quasi nascondere un mouse nella mano) o lo si fa precedere dallo specchio di Van Eyck presente nel ritratto dei coniugi Arnolfini (dentro quella camera chiara quasi certamente il pittore ha ritratto se stesso nella folla dei partecipanti alle nozze). A seguire, l’incisione di Ledoux col suo visionario occhio teatrale: simbolo del grande disegno utopico iscritto nella visione scientifica della realtà dell’illuminismo. E il ritratto di Pierson della contessa di Castiglione, dove anche la nascente fotografia valorizza il suo punto focale nel secolo in cui un’altra donna, Ada Lovelace, figlia del poeta George Byron, inventa l’antenato del software moderno (non a caso proprio a lei era stata dedicata la nostra mostra The art of games di Aosta nel 2009).


File:Ada Lovelace Chalon portrait.jpg
Alfred Edward Chalon, Ada Lovelace, 1840

Quindi il cinema con l’”effetto Kulesov”, che ha mostrato come l’occhio attento indagatore sia anche ingannatore e creatore di un mondo tutto suo che, impalpabile, pervade con forza l’immagine che ci facciamo della realtà (un’immagine tutt’altro che semplice o “naturale”: questo è il messaggio che vogliamo lanciare nel nome del rispetto della varietà e della complessità). Dulcis in fundo  gli occhi del computer o di un essere umano di fronte a quello schermo che, come vedremo nel capitolo a questo dedicato, da migliaia di anni vogliamo superare. Il tutto magari nella cornice dell’altare edificato da Bramante nella chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano, dove la potenza della visione prospettica fu per la prima volta messa a servizio di una utile, umana illusione: creare una profondità spaziale e spirituale avendo a disposizione 97 centimetri.
Non si scoraggiò lui, non lo faremo neanche noi.


File:To Edgar Poe (The Eye, Like a Strange Balloon, Mounts toward Infinity) (A Edgar Poe (L'oeil, comme un ballon bizarre se dirige vers l'infini)) LACMA AC1997.14.1.1.jpg
Odilon Redon, À Edgar Poe, 1882

mercoledì 19 giugno 2013

LA NOSTRA CIVILTA' E' UN SOGNO AD ANGOLO RETTO


Civilization is a dream at right angle

We start from the earliest evidence of abstract thought and conception of geometrical shapes by Sapiens Sapiens individuals: the lozenges carved on red ochre (which is also the first cosmetic, and the Sapiens is sapiens twice because he is “homo cosmeticus”) found in caves in Blombos, South Africa, and dating from 70-75,000 years ago. Without these abstract shapes we would not have all our everyday’s square-angled structures (doors, windows, pictures, screens, etc.).


File:Mudbricks in Palestine 2011.jpg

Similarly, without the agricultural revolution of 10,000 years ago, and the birth of cities stemmed from the invention of bricks (or of squared stones), we would not have the culture of pictures. Moving from such an early start, we get to frescoes of Pompei, and specifically to a frescoed picture portraying Terentius Neo and his wife as they hold two important tools from the crucial technological revolution that was the invention of writing: a papyrus and a wax tablet (which in Plato’s Theaetetus is compared to our memory), the mother of the blackboard, grandmother of the scratch pad (great-grandmother of the iPad) and, even more importantly, forerunner of the codex (i.e. the modern, rectangular book).


File:Pompeii-couple.jpg

And the modern book will have as its main supporters nobody else than the Christians (for that reason mocked by the rich, snobbish Pagans who only used the “volumen”). The Bible, the book par excellence in the Middle Ages, was popularized through images (“Biblia pauperum”) in large cathedrals, where the speculative thought of theologians also found its way in enormous stained glasses like those in Chartres, nothing short of a screen populated by the figurations of Divinity (even though we do not agree with Bernard of Chartres’ statement that we are “dwarves standing on the shoulders of giants”: we were, are and will always be nothing but men).


File:KellsFol124rTuncCrucixerant.jpg

We are definitely soaked with these squared structures, from which it is hard to escape. If we must try, without necessarily take off to hypothetical celestial spheres, then we should do it in an ironic, neo-ludic fashion, like in a painting by 19th century Spanish artist Pere Borell: a kid who cheats every kind of frame. However, in the 20th century, the screen obtained its secular massified consecration with cinematography and television, and playing with globalization is well worth a mass: a new Flemish mass that borrows materials from rock songs and, in the arts, finds its expression and “aura” in Nam June Paik’s Videoflag.


File:Electronic Superhighway by Nam June Paik.jpg
Photo: Libjbr

And again, now that year 2000 is ancient history, isn’t there an aura, as well, around the Magnavox/Odyssey Pong console, or maybe the Arcades, entirely immersed into a cloud made of smoke, not from incense, but from the nostalgic player’s cigarettes?


File:Cristales cueva de Naica.JPG

The question is still open, and the push to go beyond and maybe shatter all screens is very much alive: from the squared shapes inspired by crystals – Cueva de los Cristales // Cueva de las Manos – and the quartz crystals of tectonic plates to the touch-screen to be pointed at with Michelangelesque fingers, the road is all downhill.


Our civilization is a dream at right angle with the right to distraction






Lo Schermo colpisce ancora

Partiamo dalla prima testimonianza di pensiero astratto e di realizzazione di forme geometriche da parte dell’homo sapiens sapiens: le losanghe su ocra rossa (tra l’altro primo cosmetico e il sapiens è due volte sapiens anche perché compiutamente “homo cosmeticus”) delle grotte di Blombos, in Sudafrica, datate 70-75000 anni fa.


File:Blombos Cave engrave ochre 1.jpg

Senza queste forme astratte non avremmo tutta le nostre realtà domestiche ad angolo retto (porte, finestre, quadri, schermi, etc.). Come, senza la rivoluzione agricola, 10000 anni fa, e la nascita delle città grazie all’invenzione del mattone (o della pietra squadrata), non avremmo avuto la cultura del quadro.


File:Maler der Grabkammer des Rechmirê 002.jpg

Inquadrando così il nostro percorso giungiamo agli affreschi delle domus di Pompei e a un quadro affrescato che ritrae Terentius Neo e consorte che reggono in mano due importanti strumenti figli di quella fondamentale rivoluzione tecnologica che è stata la scrittura: un papiro e una tavola cerata (e Platone nel “Teeteto” paragona a questa la nostra memoria), madre della lavagna, nonna del block notes (bi-trisavola dell’iPad) e soprattutto antesignana del “codex”, (cioè del libro rettangolare moderno).


File:Pompei - House of Julia Felix - MAN.jpg

E il libro moderno col suo comodo formato avrà per principali diffusori proprio i cristiani (in questo sbeffeggiati dai ricchi snob pagani cultori del “volumen” di papiro). La Bibbia, poi, Libro per eccellenza del medioevo, sarà diffusa per immagini (“Biblia pauperum”) nelle grandi cattedrali dove saranno figlie del pensiero speculativo dei teologi anche le grandi vetrate, come quelle di Chartres,  vero e proprio schermo dove passare in rassegna le figure del divino (anche se dissentiamo da Bernardo di Chartres con la sua storia che saremmo nani sulle spalle dei giganti: siamo stati, siamo e saremo sempre uomini e basta).



Siamo profondamente impregnati di tutte queste realtà squadrate da cui è difficile sfuggire. Se proprio vogliamo tentare, senza dover per forza decollare  alla volta di presunte sfere celesti perfette, allora tanto vale farlo, con ironia oggi potremmo dire neoludica, come ha dipinto nell’800 il pittore spagnolo Pere Borell: un fanciullino che si fa beffe di ogni cornice. Ma lo schermo ha raggiunto nel XX secolo la sua consacrazione laica di massa con il cinema e la televisione e giocare con la globalizzazione val bene una messa: una  nuova messa fiamminga che pesca dalle canzoni rock e in, in aura artistica, si configura in  Videoflag di Nam Jun Paik.  E poi, ora che il 2000 è ben superato, mancano forse di aura anche la mitica console Magnavox/Odyssey di Pong  o le Arcade immerse nella nuvola non d’incenso ma di sigarette dei giocatori d’antan?


Delete©, Extreme Pong (Nothing vs Perfection), 2012


Il discorso è aperto e la volontà di andare oltre e - perché no? - infrangere ogni schermo divisore è ancora viva (dai cristalli ispiratori di forme squadrate - Cueva de los Cristales // Cueva de las Manos - e dai quarzi propulsori della tettonica a placche al touchscreen da puntare con dita michelangiolesche la strada è tutta in discesa).

La nostra civiltà è un sogno ad angolo retto con diritto alla distrazione


Una nuova filosofiaBiennale di Venezia 2011

Luca Traini


Per approfondire vedi
Risultati immagini per odilon redon occhio cubo

mercoledì 12 giugno 2013

LE CORBUSIER, "CAPPELLA DI NOTRE-DAME-DU-HAUT", RONCHAMP Resurrezione e ferite



Noi costruiamo per sbattere la testa
Non facciamo che aprire squarci
Da queste ferite il mondo non è più lo stesso

File:Michelangelo, pietà rondanini, 1552-1564, 08.JPG
Foto di Sailko

Kyrie
Pietà
Rondanini
Corrosa dalle radiazioni
Il terzo braccio di Cristo, quello strappato
Torre di Notre-Dame-Du-Haut
“Sentinella, a che punto è la notte?”
“Sentinella, a che punto è la notte?”
“E’ venuto il mattino ed è notte”

File:William Blake, Visionary Head of Voltaire c 1820.jpg

Il volto di Notre-Dame-Du-Haut:
Ritratto di Voltaire colpito da radiazioni
Il tetto:
Il tricorno di Voltaire
Il naso di calcestruzzo, deformato, confitto nel cranio, che affonda nella terra
Le narici cubiste a pelo d’erba, devastate
L’arca di Noè
Che non riuscì a salpare da Nagasaki

File:Bijzonderheden over Japan - Aardbeving.jpg

Gloria
In excelsis
Alla parte più alta di cielo non raggiunta dal fungo
Amanita Muscaria
Amanita Muscaria
Frank Lloyd Wright,
Interno Uffici Johnson Wax a Racine: esile fungaia

File:INTERIOR, SOUTHEAST VIEW, FROM SECOND FLOOR BALCONY - Johnson Wax Corporation Building, 1525 Howe Street, Racine, Racine County, WI HABS WIS,51-RACI,5-22.tif

Hiroshima: fungo atomico
Notre-Dame-Du-Haut: ventre squarciato
Rembrandt, “Lezione di anatomia del dr. Joan Dayman”, in preda al panico

File:Rembrandt van Rijn 193.jpg

Estrazione del cervello dal cranio di Modulor
Pulizia della cassa toracica di Modulor: tenebrae

File:Detail Inschrift Le Corbusierhaus "die Wohnmaschine".jpg
Foto di AbseitsBerlin

Notre-Dame-Du-Haut: panche, altare, selva tagliente, singhiozzi di luce
Colpi di bisturi sul muro, nel muro, ovunque
Et lux fracta est
    E la luce fu frantumata. 


 

domenica 9 giugno 2013

ALESSANDRO MAGNO IN VALLE D’AOSTA

IL CASTELLO DI QUART

Alessandro Magno e l'Albero Secco, Affresco XIII sec., Castello di Quart (foto da lavoixduvaldaoste.it)

Come uscito da un quadro di Mantegna ma concretamente piantato a guardia dell'antica "Via delle Gallie", a quattro miglia romane da Aosta, il castello di Quart domina anche l'autostrada assorto nel suo trono di montagna. Fondato intorno al 1185 dai Signori di Quart (già Signori della Porta di Sant'Orso nel capoluogo), passato di mano più volte, vissuto fino alla metà del secolo scorso, ha più la storia e l'aspetto di un corpo vivo, ricco di tutte le sue età e stratificazioni, assopito come una specie di Endimione di pietra.


Il castello in una foto tratta da www.regione.vda.it

Ispirato dagli articoli apparsi sul Bollettino della Soprintendenza, in un giorno di apertura straordinaria dei lavori di restauro ho la fortuna ammirare dal vivo gli affreschi del donjon ( XIII-XIV sec.)...
Stanno emergendo dalla coltre di scialbo che li ha coperti per più di mezzo millennio a calibratissimi colpi di laser - ti sembrano quasi quei piccoli schiaffi che si danno ai dormiglioni - e quanto comincia a stamparsi nei nostri occhi è una specie di puzzle delle meraviglie dove si incrociano frammenti e destini di Alessandro Magno e Sansone, eredità grecoromana e giudaicocristiana rivestite cogli abiti dell'età di mezzo per Giacomo III di Quart.



Il condottiero macedone, di leggenda in leggenda ormai diventato anche modello di vita cavalleresco, è giunto ai confini del mondo, in un'India favolosa dove ci si nutre di opobalsamo e incenso. Sta ascoltando l'oracolo degli Alberi del Sole e della Luna, carichi di teste umane secondo la tradizione orientale dell' Albero Secco: "Alessandro, invincibile in guerra, tu potrai, come hai chiesto, essere il solo signore del mondo: ma non rientrerai più vivo in patria". Poi a riflettere non è più il re, ma l'uomo: "Sentendo queste parole io rimasi sbigottito, colpito nel profondo dell'anima: fui dispiaciuto d'aver portato con me tanti uomini fin laggiù, a quegli alberi sacri".
Si tratta di brani tratti dall'incantevole ma fittizia "Lettera di Alessandro ad Aristotele", testo di grande diffusione dalla tarda antichità fino a tutto il medioevo (fra i prediletti dalla scuola filosofica di Chartres). Il sovrano descrive al maestro lo stupore e il prezzo della sua gloria terrena: la morte ancora giovane (alla fatidica età di 33 anni). E' ora di tornare indietro. E' una lezione di umiltà.
Ecco allora spuntare sulla parete accanto i resti di una rappresentazione che non sembra avere nulla a che fare con il viaggio verso l'ignoto: quella, tutta quotidiana, del Calendario. Felice contrasto, raffigurazione di grande successo all'epoca, ma quale il legame?



Il nodo di Gordio può essere reciso se facciamo riferimento a un altro bestseller di quei tempi, il poema "Roman de Alexandre" di Alexandre de Paris (XII sec.), il padre del verso principe della letteratura francese: il dodecasillabo "alessandrino". Infatti alla strofa 95 troviamo descritto l'interno della fantastica tenda del Macedone: "I dodici mesi dell'anno vi sono tutti illustrati/ Così come ognuno mostra quel che sa fare/ ... E sopra tutto è dipinto l'anno nella sua maestà". Proprio come nel più antico dei due mosaici del coro della cattedrale di Aosta (seconda metà del XII sec.), in forma di signore elegante e multicolore che regge nella destra il sole e nella sinistra la luna contornato dai medaglioni dei mesi (senza contare che anche nel mosaico più recente, inizi XIII secolo, la raffigurazione di animali fantastici insieme al Tigri e all'Eufrate potrebbe essere anch'essa retaggio di quelle fantastiche avventure).


Il Mosaico dell'Anno nel coro della cattedrale di Aosta (da www.medioevo.org)

Tutto sembra proprio tornare. Come il ciclo invincibile del tempo, a cui anche i grandi devono sottostare. Ritorno all'ordine, ruota che gira implacabile, ma anche vita che torna a sbocciare ogni primavera, naturalmente simbolo di rinascita spirituale.
Ecco perché quindi anche Sansone, anch'esso già presente in Valle in un altro splendido mosaico del XII secolo, quello  della chiesa aostana di Sant'Orso (guarda caso), mentre spalanca le fauci al leone cerchiato dall'enigmatica scritta palindroma "Sator arepo tenet opera rotas". Ma cosa c'entra col resto questa lotta uomo/animale, quest'altra impresa del giudice veterotestamentario rivisto e affrescato per un nobile cattolico? C'entrano la nascita dell'eroe (per volontà divina da una madre sterile) e la fine apparente della povera fiera, che, al contrario del suo simile greco di Nemea, una volta morta, narra il testo biblico dalla sua carcassa prendesse vita uno sciame di api con tanto di miele. Quelle api, simbolo di castità e di vita che procede dalla morte fin dalle "Georgiche" di Virgilio e dai "Fasti" di Ovidio ("una sola anima uccisa ne generò mille"). Si tratta della famosa (e famigerata) "generazione spontanea", teorizzata proprio da Aristotele, contro cui la scienza moderna dovette combattere più di due secoli prima che gli esperimenti di Pasteur ne avessero la meglio. Ma restando negli orizzonti dell'arte medievale i conti - e soprattutto le simbologie - tornano (anche se dovesse comparire, come sembra, una Dalila che fa recidere le sette trecce all'eroe addormentato): la gloria dovrà tenere conto dell'umiltà per aspirare alla vera rigenerazione, quella spirituale.


Il Mosaico di Sansone cerchiato dalla scritta Sator Arepo Tenet Opera Rotas (foto di Laurom)

La mente spicca l’ultimo volo passando dalle Alpi al Caucaso, facendo riaffiorare alla memoria i versi che il poeta azero di lingua persiana Nezami (1141-1209) fa dire ad Alessandro morente: "Da questa terrena fortezza m'ha per sempre liberato il cielo,/ e possano tutti infine esserne come me liberati".

Siamo usciti. Lungo le mura cerco di scorgere a oriente la necropoli neolitica di Vollein, poi fisso il Monte Emilius che ci sovrasta a fronte e plano fino a comprendere il lato occidentale con le gigantesche Acciaierie Cogne.
Il nostro viaggio si conclude nel candore estremo di una cappella barocca fresca di restauro, ormai tutta oggetto da museo. Fuori, nel parco, tra un acero e un faggio centenari immagino i contadini che hanno abitato per l’ultima volta il castello, rivedo gli interruttori di ceramica nel primo corpo di fabbrica.
A loro sono dedicati i miei versi di congedo.



A tutti i contadini che hanno abitato castelli

Cos'è un castello quando ci vivi e il tuo presente non è fatto di memoria ma lavoro e la sera sei stanco e accendi la luce, non le torce dei servi ma l'interruttore dell'uomo libero, quella specie di uovo bianco di porcellana poi plastica per cui tanti hanno dato la vita?

E tu, piccolo uovo di Piero in un castello del Mantegna, illuminavi le mura ridipinte, gli infissi di porte e finestre nuovi a confronto di bifore trifore per gente in armatura.

Tu brandisci solo un forcone, della pietra non hai il male ma il sonno, spenta quella preziosa lampadina, non sogni il passato ma un futuro migliore.

Io passo oltre le prime mura e mi stanno sotto i piedi.
Per cunicoli ben restaurati sono nelle tue stanze, che si attraversa distratti dall'antico.
Anch'io vado a vedere il donjon perché c'è dipinto Alessandro Magno che parla con l'Albero del Sole.


P.S. La visione di questo vero e proprio wargame del medioevo, nel 2008, con la sua arte popolare continuamente arricchita di nuovi dettagli e reinterpretata da letture a diversi livelli, avrebbe ispirato anche il mio successivo approccio alla nuova estetica del videogame e quindi le mostre che avrebbero portato a The Art of Games_Nuove frontiere fra gioco e bellezza (Aosta, 2009) e NEOLUDICA alla Biennale di Venezia (2011): il futuro ha radici antiche.