venerdì 18 dicembre 2020
UNA PINACOTECA VIRTUALE A NAPOLI NEL III SECOLO Le "Immagini" di Filostrato Maggiore
martedì 15 dicembre 2020
MONTESQUIEU A MILANO Pagine e musica
Commento musicale J. F. Rebel, Les Caractères dela danse
Mi
hanno sempre interessato in modo particolare queste pagine del Viaggio in Italia. Anche perché lo
scrittore vi giunge con le lettere di presentazione del mio caro abate Conti,
di cui ho già illustrato in un post il poema “fantascientifico” Il globo di Venere, che immagina pianeta
abitato da automi (potrebbero essere loro a produrre la fosfina:-). Inoltre il
finale della sua tappa lombarda è quella meraviglia del Lago Maggiore dove, in
un’altra gita di piacere, quarantotto anni dopo, Alessandro Volta scoprirà la natura organica del metano.
È
dai tempi dell’università che immagino quell’autunno del 1728 in cui Montesquieu
visita una Milano di passaggio: non è più quella spagnola dei Promessi Sposi, non è ancora quella
teresiana, illuminista, de Il Caffè. Remoti
i ricordi delle conquiste di Luigi XII e
Francesco I, inimmaginabile la capitale del Regno d’Italia napoleonico del
secolo dopo. Sette pagine per ventitré giornate invece dell’unica per due
scarse dedicata alla città da Montaigne nel 1581 (ricca, popolosa, che somiglia
a Parigi ma non ha i palazzi di Roma: tutto qui), ma siamo lontani dalla
seconda patria di Stendhal.
Nobile
accolto da nobili (Borromeo e Trivulzio in primis), l’ospite illustre ha ormai dismesso
i panni esotici delle Lettere Persiane
e lo scrittore alla moda sarà consacrato filosofo con l’Esprit des Lois solo venti anni dopo. Insomma, un periodo sospeso
fra due epoche, come la Reggenza appena terminata in Francia. L’uomo, fresco membro
dell’Académie, ha da poco superata la mezza età dell’epoca (39 anni) e si
presenta a metà strada fra il ritratto ideale di Dassier e la caricatura di
Pier Leone Ghezzi, entrambi dello stesso anno del viaggio.
Deluso dal declino di Venezia,
attraversata quella strada che il suo conterraneo Philippe de Commynes aveva descritto quasi tre secoli prima come “la più bella del mondo”, raggiunge il capoluogo
lombardo dividendosi subito fra studio, amore e ragione (con supervisione
finale dell’ultima). Non c’è da stupirsi, dopotutto diventerà il teorico della
distinzione e separazione dei poteri (con sottintesa egemonia dei magistrati
razionali custodi delle leggi).
In primis è la visita alla Biblioteca
Ambrosiana, che entusiasmerà anche De Brosses dieci anni dopo: “È pubblica e vi
forniscono di carta, inchiostro e penne… Ed è tenuta benissimo. Si vede che ci
sono stati bravi bibliotecari”. Un posto serio e ben organizzato non un rifugio
modaiolo per quelli che “han sott gamba el Petrarca” (parola di Domenico
Balestrieri, poeta dialettale dell’epoca), dove già iniziava a brillare l’astro
- purtroppo di breve durata – di Francesca Manzoni, antenata di Alessandro ma
soprattutto raffinata traduttrice di Ovidio e autrice di tragedie-oratorio come
L’Ester (che le varrà il titolo di
“poetessa dell’imperatrice” nel 1733). “Perché”, come scrive il compianto
Giovanni Macchia nella prefazione, “a Milano brillavano in quel tempo, e in
misura maggiore che a Parigi, molte dame attratte, secondo la moda, dai piaceri
della scienza. Non si scorgevano donne tra i leggii della Biblioteca Reale di
Parigi”. Citando la Manzoni/Ester: “Cedon gli editti ove leggiadra donna/
Prieghi”. C’è poi un’affermazione dello studioso francese che, se da un lato è
acuta, dall’altro lascia perplessi: “La lingua italiana ha questo di abbastanza
singolare: che non c’è nemmeno un libro che si possa proporre come modello:
ognuno scrive a modo suo… Taluni propongono il Boccaccio; altri, Guicciardini”.
È vero che all’italiano mancava un modello principe come il Dictionnaire de
l'Académie française del 1694 (così
come mancava uno stato nazionale assolutista regolatore), ma questo riguardava
soprattutto la prosa. Montesquieu, figlio del classicismo stile Luigi XIV,
sottovalutava, dimenticava o semplicemente non accennava alla poesia e
all’ancora fin troppo vivo dogma petrarchesco.
Commento
musicale G. B. Sammartini, Concerto per flauto di Pan e organo
Nel frattempo
- ma questo si scopre dalle lettere – nel busto del presidente del parlamento
di Bordeaux s’insinua il fuoco della passione. Per la matura e coltissima
contessa Clelia del Grillo Borromeo: “È molto dotta: conosce oltre alla sua
lingua materna, il francese, l’inglese, il tedesco, il latino e perfino
l’arabo, le matematiche, la fisica, l’algebra. Ha fatto molti esperimenti di
fisica. Mi colmò di gentilezze di ogni genere: la femme la plus admirable de
l’univers”. E, soprattutto, per la bella e vivace principessa Archinto
Trivulzio, alla quale molto probabilmente invia quella lettera in italiano in
cui si descrive perfetto cicisbeo che deve “desiderar molto, sperar
poco, tacere sempre” – confidando in un inevitabile tradimento del marito che la
porti per vendetta fra le sue braccia – e alla cui partenza per la villeggiatura
in campagna cambia registro dando libera uscita a una disperazione degna di una
tragedia di Racine (dal Bajazet aggiungo io, i miei preferiti: "Soupirs d'autant plus doux qu'il les falloit celer,/ L'embarras irritant de ne s'oser parler", "I sospiri più dolci perché dissimulati,/ La snervante tensione, il non essersi parlati").
Teatro
delle passioni, teatro delle convenzioni, sincerità dietro le quinte o nello
spazio del suggeritore. Sincero l’interesse per l’eros, anche reazione al
bigottismo degli anni del tramonto del Re Sole. In un’epoca in cui estetica ed
erotismo (ma sarebbe il caso di aggiungere voyeurismo) andavano di pari passo
nella raccolte d’arte Montesquieu, a Firenze, era rimasto turbato dalla visione
della Venere Medicea e ipnotizzato da altre statue callipigie, lamentando di
fronte alla piccola scultura di un Sileno la fine del paganesimo. Un interesse
che talvolta sconfina nel morboso. Non è un caso che inquadri fra il grande
elogio dell’Ultima cena di Leonardo ("uno di più bei dipinti del mondo") e i paesaggi di Palazzo Trivulzio il bassorilievo decisamente esplicito che trova in casa del conte Archinto e che
ornava Porta Tosa: “È chiamata così perché durante un assedio, mentre i nemici
si preparavano a dare un assalto, una ragazza si mise tutta nuda sulle mura e
si rase la fica. Ciò attirò l’attenzione degli assedianti e diede il tempo di
fare una sortita per liberare la città”. La notizia è tratta dalla Patria
Historia di Bernardino Corio (ma oggi si danno altre spiegazioni).
Poi il presidente si ricompone e scrive con entusiasmo dell’Ospedale Maggiore, la Ca’ Granda, capolavoro del Filarete: “Un edificio bellissimo, con un cortile molto vasto, intorno al quale gira un porticato”. È quello che poi è diventato la mia mia università, la Statale, dove iniziai a interessarmi al libro di Montesquieu proprio studiando le righe che seguono per un esame di storia moderna dove si trattava anche dell’infanzia abbandonata: "Tutto fa capo al grande cortile, dove si ha cura dei malati e si accolgono i bambini abbandonati. Ce ne sono stati nell'ultimo anno 360... Chi ha reso incinta una ragazza la conduce di nascosto all'Ospedale e lì la fa partorire, in segreto”. Quanto spesso oggi luoghi così pieni di luce sono stati posti da incubo: è bene non dimenticarlo mai. Si tratta di dati terribili, che resteranno tali ancora a lungo - nell'ultimo decennio del XVIII secolo la media annuale salirà a 1464! - e mi hanno insegnato a non provare certe ingenue nostalgie per il tempo che fu. Per approfondire vi rimando all’ottimo studio di Flores Reggiani ed Elisa Parisi L'esposizione infantile a Milano fra Seicento e Settecento.
Commento musicale J. J. Quantz, Trio in Do Minore, Andante
È quindi la volta del politico ad analizzare sotto il lume (francese) della ragione storia, attualità ed economia del Milanese, rimproverando a spagnoli e austriaci di non trarre frutto adeguato dalle grandi risorse agricole del territorio: "Le terre sono abbastanza ben coltivate per un paese appartenuto alla Spagna... Ho sentito dire che Minorca, da quando appartiene agl'Inglesi, produce quattro volte più di prima". È il modello inglese che si fa strada insieme alla nascente Rivoluzione Industriale, leitmotiv di tutto l'Illuminismo. "Ho sentito dire che conta ancora 800.000 anime. La Lombardia è molto più popolosa del resto dell'Italia. I Tedeschi mandano in rovina questo paese: sono odiati più di quanto si possa dire; non fanno nessuna spesa, non portano proprio nulla, come invece fanno i Francesi, ma portano via, continuamente... C'è una bella differenza fra il commercio delle province in Francia e quello del Milanese; e quindi credo che il Milanese è più tassato... Il conte di Daun, governatore di Milano, buon uomo, che pensa solo ai fatti suoi, rinvia tutto al Senato... Le signore italiane non hanno mai voluto entrare al servizio dei governatori di Milano e i milanesi hanno fortemente disapprovato che due nobili della città abbiano accettato d'essere uomini di camera del governatore: è il primo che l'abbia avuta vinta su questo punto... La Lombardia è tutta quella pianura che si stende fra le Alpi e l'Appennino... la più deliziosa pianura del mondo". Poi, una volta giunto alle Isole Borromee, per bocca dell'abate-principe di Melfi, aggiunge: "Nello Stato di Milano non nasce nulla senza concime, ma i contadini hanno i mezzi e grandi capacità per procurarsene; mentre in Ungheria non c'è che da seminare il grano perché nasca. Ciò dipende dal fatto che l'Ungheria non è così ben coltivata e che le terre riposano di più. Le carni del Milanese sono più nutrienti di quelle della Germania e della Francia: e questo è da notare bene... Anche il pane è più nutriente".
C’è inoltre un commento tecnico militare sul Castello Sforzesco che lascia adito al sospetto di un consiglio per futuri conquistatori francesi (era ancora fresco il ricordo della resa delle truppe franco-spagnole, anche se con l’onore delle armi, nel 1707): "Sono stato a vedere il Castello. È troppo grande: occorrerebbe una guarnigione di 6.000 uomini, almeno, per difenderlo. Attualmente ce ne sono solo 5 o 600... Dicono che a causa degli orecchioni che ci sono, le gole dei bastioni non sono sufficientemente larghe, tra un fianco e l'altro, per poter entrare e uscire". L'immagine che ho inserito è il pacifico, solatio paesaggio del Bellotto (circa 1750). Per i diversi bagliori della conquista bisognerà attendere Napoleone.
Il finale è un degno happy end stile
melodramma dell’epoca con tanto di prospettive scenografiche del fondale che
mutano illustrando il panorama luminoso delle Isole Beate del Lago Maggiore: le
Isole Borromee. Ma prima di raggiungerle e conquistare una laica beatitudine
occorre naturalmente attraversare la tempesta, che lo blocca per un’intera
giornata a Sesto Calende il 17 ottobre. Anch’io ricordo una bellissima giornata
autunnale di pioggia e vento nella mia cara Sesto fine anni ‘80, armato di
walkman e Chaos degli Élémens di Jean-Féry Rebel. Ma qui ho scelto Campra per la
giornata di sole regale in cui il filosofo approda nelle sue Isole Fortunate:
“Sono un vero incanto... Terrazze poste le une sulle altre con i muri coperti di aranci, di limoni, di cedri. C'è n'è una estremamente curata; l'altra più rustica, e tutto corrisponde a questa rusticità... Non è possibile vedere qualcosa di più bello dell'isola che si chiama La Bella. C'è un edificio o corpo centrale capace di accogliere un principe.. Vi si accederà per un anticortile, che non è stato ancora fatto, e che sarà costruito sul lago... C'è una specie di grotta rustica con al centro l'Ercole Farnese" - oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli - "la quale determina un grande prato erboso... Si arriva nel giardino e c'è da notare che, siccome l'edifico non è a squadra col giardino, la doppia scalinata, o scalinata a corna, è più lunga da una parte che dall'altra, per nascondere questo difetto. Si entra quindi nel giardino e si sale poi, di terrazza in terrazza, fino a uno spiazzo dov'è un uomo che cavalca un liocorno, e dietro c'è un'altra bella porzione di giardino, con balaustre, da dove si vede il lago da ogni parte: un effetto stupendo... Il palazzo è pieno di eccellenti copie dei più bei quadri e anche di alcuni originali. Si lascia a malincuore questo sito incantevole”.
Il sipario
sul soggiorno milanese si era alzato sui lumi della scienza della contessa Borromeo
nella città reale e cala sulle scenografie, a metà fra Barocco e presagio delle
architetture illuministe di Ledoux, nel suo piccolo, magnificente, arcipelago
di utopie aristocratiche: percorso circolare, orbita intorno a un sole che da culmine
di gerarchie nobiliari diventerà luce per tutti gli esseri umani.
Dopo le gioie lacustri lo scrittore dovrà incontrare fiumi ancora in piena per raggiungere Torino. Attraverserà anche questi. L’ottimismo della ragione non temeva ostacoli.
sabato 12 dicembre 2020
PITTRICI NELL'IMPERO ROMANO Iaia di Cizico e le altre
venerdì 11 dicembre 2020
TEATRI DI GUERRA 7 Georg Büchner: teatro di scienza della rivoluzione
Io e
Georg siamo fratelli dal 1986, quando incontrai il suo Teatro dopo il dramma di
Hölderlin ricomposto da Peter Weiss. Ho sempre amato questa Germania che
sfugge ai soliti schemi, materia sempre viva che sente lo strazio e si ribella
contro la condanna a uno “spirito” che la vuole schiacciare, anche quando
riveste le forme impeccabili della filosofia di Hegel. Poi, vicina e inquieta,
dentro e altra, la Francia. I drammi dello scrittore e medico, “La morte di
Danton”, “Leonce e Lena”, “Woyzeck” sempre al mio fianco da quando lui, morto a
ventitré anni, era di due più grande di me.
[…]
BÜCHNER
Le
scoperte della scienza hanno questo che le rende simili all’arte:
l’inevitabilità. E lo scienziato, come l’artista, è sopraffatto da questa
rivelazione. La sensazione è quella di un pezzo di legno alla deriva che sulla
schiuma del mare in tempesta viene ritrascinato a terra. Tutto è solido sotto i
piedi, ma che fine ha fatto Ulisse? È tornato ad Itaca. Il Barbo europeo
invece, il pesce di cui ho studiato il sistema nervoso, lo studio che ha
permesso a un rivoluzionario in esilio di trovare una cattedra a Zurigo, è
capace, anzi, adora nuotare controcorrente, risale cascate, lambisce rocce taglienti
e rive accidentate. Teme solo il freddo glaciale, come un governo tedesco
assoluto restaurato o falsamente riformato. Si può morire a 23 anni quando si sta
ancora imparando da pesci e anfibi?
[…]
WILHELMINE JAEGLÉ
Il
mio Georg è morto di tifo. Eravamo fidanzati da cinque anni, ho fatto di tutto
per raggiungerlo. Dovevano trovarmi per forza una compagna di viaggio per
arrivare qui da Strasburgo, maledette convenienze! Dovevo trovare dei medici,
degli scienziati come lui che mi dicessero di no: “Si faccia coraggio, non la
riconoscerà”. “No, no, mi riconoscerà” è stata la mia risposta. Chiara e forte
come la sua parola. E infatti mi ha riconosciuto, ha sentito la mia vicinanza,
ho portato pace su di lui. È spirato dolcemente e gli ho chiuso gli occhi con
un bacio.
[…]
GRANDUCA D’ASSIA
Georg
Büchner… il figlio del medico? Il rivoluzionario che studiava i pesci? Ah, è
morto? E quanti anni aveva? Era giovane. Ventitré? Un pesce piccolo. È morto a
Zurigo? Bene, la Svizzera è quella piccola boccia dove possiamo lasciarli
nuotare. Basta che ci restino, anche quando finiscono per galleggiare. Da noi è
contro natura che i pesci che devono restare muti parlino: neanche la sua tomba
voglio qui. Ho già i possidenti che disturbano il pagamento regolare dei miei
debiti. Cos’è che aveva scritto con quel prete che abbiamo torturato? Ah, è
morto anche lui? Suicida. Due problemi in meno. Cosa avevano scarabocchiato in quel
fogliaccio, Il messaggero dell’Assia? “Pace alla capanne! Guerra ai palazzi!”, già.
Poveri illusi, i contadini ci hanno consegnato uno per uno questi quattro
studentelli rabbiosi, perché non sanno leggere. Perché hanno, e devono avere
altri problemi. Altro che studiare: devono pagare anche loro i miei debiti! Vogliono
la pace per le loro capanne: questo è il prezzo. E se il Congresso di Vienna
avesse fatto riposare in pace anche i miei debiti - non ci vuole il pensiero di
quel prussiano, Hegel voglio dire, ho fatto anch’io l’università - non sarebbe
una pace perfetta? È tutta una questione di soldi. Chi prima ci arriva… Come
dice il Vangelo? I talenti stanno sottoterra. E i poveri li avremo sempre con
noi. Quando si dice che trono e altare devono parlare la stessa lingua. Se lo
tengano i repubblicani svizzeri questo cadavere di ateo che parlava ai pesci. La
sua moltiplicazione di pani non è prevista qui.
[…]
CORO DEGLI EDITORI
Un
dramma non finito
Tutti
i fogli in disordine
Pessima
la grafia
Pessimo
anche l’inchiostro
E
poi il protagonista
Pezzente,
delinquente
Woyzeck…
Wozzeck… che nome
Roba
che non si vende
[…]
CORO DEI VINCITORI DEL PREMIO BUCHNER
Quel
Barbo sott’acqua, controcorrente
Nuota
finché la scrittura riaffiora
Un
secolo dopo, come il coltello
Di
Woyzeck, della vittima omicida
Del pesce
più piccolo, la sua donna,
Tutti
e due proprietà del Granduca.
Su,
pesci fuor d’acqua, bisturi e inchiostro:
Sarà sempre ora di incidere, scrivere!
da Teatri di guerra (Ideazione 1999, Frammenti scelti)
EPISODIO I Agatarco di
Samo ad Atene: questione di prospettive
https://lucatraini.blogspot.com/2019/12/teatri-di-guerra-1-agatarco-di-samo-ad.html
EPISODIO II Ambivio
Turpione: commedie?
https://lucatraini.blogspot.com/2020/02/teatri-di-guerra-2-ambivio-turpione.html
EPISODIO III Rosvita di
Gandersheim: avanguardia in clausura
https://lucatraini.blogspot.com/2020/04/teatri-di-guerra-3-rosvita-di.html
EPISODIO IV Albertino
Mussato e Dante Alighieri: teatro horror per virtù civiche
https://lucatraini.blogspot.com/2020/06/teatri-di-guerra-4-albertino-mussato-e.html
EPISODIO V Poliziano e
Botticelli: componimento di Orfeo, crepuscolo dell’Umanesimo (1494)
https://lucatraini.blogspot.com/2020/08/teatri-di-guerra-5-poliziano-e.html
EPISODIO VI Pietro
Metastasio: Arcadia al potere
https://lucatraini.blogspot.com/2020/10/teatri-di-guerra-6-pietro-metastasio.html
giovedì 10 dicembre 2020
QUANDO CLASSICISMO FA RIMA (E MALE) CON MASCHILISMO I casi Eton e Rocci
Come non bastasse quanto successo a Eton qualche settimana fa ci si è messa pure la pagina Facebook del dizionario Rocci. Brutte pagine che si pensava ormai archiviate come esempi di un passato da non ripetere mai più.
In Gran Bretagna, sembra pazzesco, ma le scuole miste sono ancora un’eccezione e solo nel 2017(!) Oxford ha ammesso più ragazze che ragazzi. L’elitarissimo collegio sfornapremier di Eton, modello di successo privilegiato come di nonnismo istituzionalizzato fino al 1980 (una brutta atmosfera che ho già descritto in Tucidide e Boris Johnson: il lato oscuro dei classici), è poi ancora sprangatissimo contro qualsiasi accesso femminile e si è distinto in negativo per una doppia levata di scudi. Il preside, coadiuvato da buona parte del partito conservatore, contro il ministro dell’istruzione Gavin Williamson – tory anche lui ma mosca bianca, forse perché viene da una famiglia di laburisti – per aver timidamente auspicato: “"Spero che in futuro apra le porte anche alle ragazze"… Gli studenti contro il preside per il licenziamento di un insegnante (diciamo così) di inglese - probabilmente la mummia scongelata di un inquisitore di epoca Stuart - che in una lezione ha sostenuto che le donne desiderano essere "schiacciate dalla potenza mascolina". Un insulto becero rivolto anche a chi fa storia seriamente e alla vera tradizione di studio scientifico della scuola storica inglese.
In primis lo squallore della freddura che segue la traduzione (parziale) del termine greco, degna di un goliardo di quart’ordine degli anni ’50, che sia opera di un semplice ignorante addetto alla comunicazione o di uno di quei docenti indecenti a cui “cade l’occhio”. E, soprattutto, la ripugnante crudeltà della stessa se si pensa agli orrori attuali dei tanti femminicidi e alla terribili condizioni di vita delle donne in tante parti del mondo. Se a questo aggiungo poi quella recentissima assoluzione per “delirio di gelosia”, mi verrebbe voglia di dire che oggi avremmo bisogno di magistrate “andronome che diano una regolata a certi maschi: altro che vecchi (o giovani invecchiati) bavosi controllori di una “morale femminile”!
Ma per fortuna non siamo più nell’era geologica del “dente per dente”, non viviamo più nelle epoche del privilegio legalizzato che sono giunte, in pratica, fino alla fine della seconda guerra mondiale se non alla metà degli anni ’70 (la riforma italiana del diritto della famiglia data, non a caso, 1975). La risposta a questi “laudatores temporis acti”, apparenti o meno (specie ai più perfidi, che fanno passare certi messaggi fra le righe), è sfrondare i loro miti e portare alla luce i loro loschi fini.
"Democrazia": da maschile a femminile
La Grecia antica (e ancor più Roma) non sono esenti da questo discorso, tanto più che la tecnica scientifica del loro studio si è venuta sviluppando soprattutto nella temperie nazionalistica imperversante da metà Ottocento a metà Novecento, spesso con coloriture, anzi, biancore assoluto di stampo xenofobo e razzista (il vecchio modello di Europa maestra del mondo come Atene dell’Ellade). E a livello più basso la dotta citazione greca o latina da sfoggiare come segno, in piccolo, del proprio innalzamento di status.
La Grecia antica (arcaica, classica o ellenistica che sia), presa nel suo insieme, non è certo un modello valido oggi. Neppure Atene con la sua “democrazia”, privilegio esclusivo di cittadini maschi figli di padri e nipoti di nonni materni in possesso di una cittadinanza quasi mai elargita a stranieri, anche se domiciliati nella polis da decenni (forse questo ci richiama qualcosa di attuale). Stranieri e schiavi, che rappresentavano la maggioranza degli abitanti. È chiaro, contro ogni evidenza storica, che tutti questi amanti della classicità ateniese si immaginano Pericle, Sofocle o Platone. Certo non schiavi, magari fuggiaschi marchiati a fuoco, nell’inferno delle miniere del Laurio o piagati e piegati in due come strumenti agricoli nelle campagne.
E parliamo del caso migliore. Solo per fare un esempio, a Sparta sarebbe stato molto peggio, anche facendo parte della classe dominante dei carnefici (a meno di non arrivare, privilegio di pochi, alla vecchiaia).
Per le donne il discorso si fa ancora più cupo. Nella democratica Atene quelle nate da cittadini sono confinate in casa, come abbiamo detto, tranne che per feste e funerali, sotto tutela di un maschio per tutta la vita e in pratica considerate semplici strumenti di riproduzione. Una gloria per loro? Parlarne il meno possibile. Parola di Pericle, che infatti come compagna si era preso una straniera come Aspasia, coltissima e con nessuna voglia di tacere in compagnia di politici e filosofi. Ma era un’eccezione, non solo in Atene. E se le prospettive di vita erano squallide per le cittadine delle polis greche, figuriamoci per le straniere comuni o le schiave. Facile immaginarsi Saffo, Corinna, Aspasia o qualche regina ellenistica, meno la massa delle donne prigioniere, sequestrate o comprate sottoposte a ogni genere di soprusi e brutalità fin dall’infanzia. Senza contare le bambine abbandonate nelle varie discariche - perché erano soprattutto femmine – rifiutate dai padri e preda dei vari lenoni e mercanti di schiavi sempre in agguato fuori dalle mura delle città. Le poche donne riuscite a salvarsi da queste sabbie mobili, in massima parte, hanno considerato questa conquista un privilegio senza mettere assolutamente in discussione patriarcato e maschiocrazia. Cosa che si è ripetuta nei secoli, specie negli ranghi più alti (ancora con la regina Vittoria ma anche con le regnanti della prima metà del ‘900). Questo modello è stato dissotterrato negli ultimi tempi in diversi partiti populisti di stampo conservatore, specie nell’Est Europa, con certe dirigenti in prima linea contro i diritti conquistati dalle donne e considerati fondamentali dall’UE in nome di una tradizione tutta maschilista e sciovinista.
mercoledì 9 dicembre 2020
UNA RAGIONE PER CREDERE, FAR CREDERE, DOVER CREDERE L'esempio negativo del "Fedro" di Platone
Commento musicale Luigi Nono, ...Sofferte Onde Serene..