domenica 14 giugno 2020

TEATRI DI GUERRA 4 Albertino Mussato e Dante Alighieri: teatro horror per virtù civiche

Poesia, politica e storia di un contemporaneo di Dante che è un miracolo se si riesce a fare a scuola. Perché fu geniale e non genio come l’Alighieri, scelse il latino e visse a Padova non a Firenze. Ed ebbe successo, come capita più ai bravi che ai geni. Per il resto ebbe a che fare anche lui con papi e imperatori nella vana speranza che Enrico VII mettesse un freno al caos della geopolitica italiana. E’ quasi certo che sia il padovano che il fiorentino fossero presenti a Milano il 6 gennaio 1311, quando l’imperatore fu incoronato re d’Italia, ma continuarono a ignorarsi fino alla morte. Due galli in un pollaio… E il pollaio in cui era stato allevato Albertino era quello di Lovato Lovati, che aveva riscoperto il corpus delle tragedie di Seneca, il lato oscuro del filosofo romano. Drammi truculenti che avrebbero ispirato tanto il giovane Shakespeare quanto il nostro barocco Carlo de’ Dottori, fino ad arrivare al cinema dei miei amati Romero e Carpenter. Ma il primo in Europa fu Mussato, con la sua Ecerinis o Ezzelinide (1314), tragedia civica in trimetri giambici contro la tirannide di Ezzelino da Romano, morto più di cinquant’anni prima, e, soprattutto, della sua “reincarnazione” contemporanea, Cangrande della Scala.

Attenzione! “Teatro” come lo intendeva il medioevo: “Anticamente nel teatro, che era un’area semicircolare, c’era al centro una casetta che si chiamava scena, nella quale vi era un pulpito, su cui saliva il poeta, come un cantore, e recitava le sue opere come canzoni, fuori vi erano mimi e giullari, che riproducevano con l’atteggiamento del corpo il significato dei testi che il poeta veniva dicendo, adattandolo a ciascun personaggio.” (Pietro Alighieri, Commento alla Divina Commedia).

Ora possiamo immaginare meglio il nostro Albertino, incornato di edera e mirto dal vescovo e dal rettore dell’università nel 1315 (con tanto di lettura natalizia della sua opera da ripetere ogni anno), mentre declama il suo dramma a un pubblico di pre-umanisti con le mani rivestite da guanti da capra perché tragedia deriva dal greco tragoscapro, animale sacro a Dioniso e dato in premio ai poeti tragici (la seconda accezione è quella conosciuta e scelta dal Mussato).

Horror per virtù civiche con Ezzelino, nato (come il fratello Alberico) dallo stupro della madre operato dal demonio in persona e finale con strage della famiglia al completo – adulti colpevoli o meno e giovanissimi innocenti (la scena atroce con questi ultimi ve la risparmio) - condito da episodi di cannibalismo (vi risparmio anche questi):

Ezzelino

Parla, Madre, mi piace udire cose mirabili e atroci.

Adeleita

Quasi simile a un toro: dall’irsuta cervice sporgevano adunche corna, crini d’ispide setole gli cingevano il volto e fetida putredine mista a sangue gli colava da entrambe le orbite; dalle narici uscivano frequenti eruzioni di fuoco, dalle ampie orecchie salivano faville su fino al viso e dalle labbra sorgeva, ad ogni respiro, una vampa sottile; perenne fuoco gli lambiva la barba. Saziate appieno le sue brame, l’adultero riempì il mio grembo di seme letale.
[…]
Il troppo penetrante seme ricevuto mi si accese dentro agitando le viscere. Il mio ventre avvertì il tuo terribile peso, Ezzelino, degna prole del tuo vero padre!

Ezzelino

Dagli dei siamo nati. Non altrettanto grande stirpe vantavano un tempo Romolo e Remo, figli di Marte. Il nostro è ben più grande, è dio di un regno sconfinato, è  re di vendette e sotto il suo impero  espiano le loro colpe principi, re e condottieri. Saremo degni giudici del Foro paterno se con le nostre opere rivendicheremo in terra il regno del padre.

[…]

Coro

Morte è congiunta a tirannide e il continuo temere è peggio che morte.

[…]

Nunzio

In breve Ezzelino vien preso: vano fu resistere. Uno gli sfonda il cranio mettendo a nudo il cervello (chi sia stato si ignora). Lo portano via dal campo di battaglia, gli offrono cibo, ma lui tutto rifiuta, persino le cure. Così muore, minaccioso in fronte, e subito scende alle ombre tartaree del padre.

[…]

Gran numero di dardi trafisse Alberico che stava ritto in piedi; un soldato gli immerse la spada nel fianco destro e la spada rigida uscì dal fianco sinistro: da entrambe le ferite sgorgò copioso sangue. Un altro, come un fulmine, gli calò un fendente fino alle spalle; spaccato il cranio, la testa cadde a terra con un singulto e il tronco rimase a lungo vacillante prima di crollare. Allora il volgo in massa ne dilaniò brano a brano le membra, dandole poi in pasto ai cani affamati.

 

Sarà un caso che solo qualche anno dopo, il 1318, un appassionato sostenitore dei Della Scala come Dante scriva in una lettera proprio a Cangrande: “La commedia è un genere di narrazione poetica che differisce da tutti gli altri. Differisce, infatti, dalla tragedia – genere da lui utilizzato a piene mani, aggiungo io, nel suo Inferno - per questo: che la tragedia all’inizio è ammirevole e quieta, alla fine, alla sua conclusione fetida e orribile, e perciò è così chiamata dal tragus, che è il capro, e dall’oda, quindi canto del capro, cioè fetido alla maniera del capro, come appare evidente in Seneca, nelle sue tragedie”?

Non credo. E proprio quell’anno, sempre il caso, Padova, tormentata dalle continue devastazioni del suo territorio da parte di Cangrande, finiva per rimettere tutti i poteri nelle mani del nobile Giacomo da Carrara, che tra i primi provvedimenti avrebbe spedito in esilio l’ex diplomatico Albertino Mussato.

Eccoli quindi tutti e due esiliati, il poeta (a Ravenna) e il drammaturgo (a Chioggia), a consumare gli ultimi anni con le onde dell’Adriatico a ritmare un presente che non passa mai e un passato che non ritornerà.

Frammenti da un mio dramma dove immagino un incontro fra i due quando l’Alighieri è di ritorno dalla sua ultima missione a Venezia per conto di Guido Novello da Polenta:

[…]

Albertino

E così il profeta del rinnovamento della repubblica celeste è diventato il diplomatico terra terra dei signori.

Dante

Tu sei in esilio da poco e io da troppo. Più ci si avvicina al mare più il pane sa di sale. E non c’è vascello che ci riporterà nella nostra terra.

Albertino

Io ho scritto due opere di storia sui nostri sacri romani imperatori. Lo so che non torneranno più, per questo ho parlato di fatti concreti, non mi sono rifugiato in paradiso o nei sofismi aristotelici della tua Monarchia. Hai qualche altro sillogismo per farmi vedere in cielo due soli e a Roma un papa prigioniero del re di Francia con due imperatori tedeschi che si scannano?

Dante

L’eternità non ha fretta. E il finale sarà comunque lieto. Per questo io ho scelto la commedia e tu la tragedia. Io il volgare e tu il latino. Il mio esilio è stato davvero un “ex solo”:  abbandonare il suolo per salire in cielo, che è la nostra vera patria. Addio!

Il poeta si allontana. Sembra accennare un raro sorriso.

Albertino

A Dio le nostre ali. Ma la storia non la scrive Icaro, ma Dedalo. Col rimpianto di non aver provato l’incendio del sole.

[…]

Luca Traini

da Teatri di guerra (Ideazione 1999, Frammenti scelti)

EPISODIO I Agatarco di Samo ad Atene: questione di prospettive

https://lucatraini.blogspot.com/2019/12/teatri-di-guerra-1-agatarco-di-samo-ad.html

EPISODIO II Ambivio Turpione: commedie?

https://lucatraini.blogspot.com/2020/02/teatri-di-guerra-2-ambivio-turpione.html

EPISODIO III Rosvita di Gandersheim: avanguardia in clausura

https://lucatraini.blogspot.com/2020/04/teatri-di-guerra-3-rosvita-di.html

EPISODIO V Poliziano e Botticelli: componimento di Orfeo, crepuscolo dell’Umanesimo (1494)

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EPISODIO VI Pietro Metastasio: Arcadia al potere

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EPISODIO VII Georg Bücher: teatro di scienza della rivoluzione

https://lucatraini.blogspot.com/2020/12/teatri-di-guerra-7-georg-buchner-teatro.html

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