Poesia, politica e storia di un
contemporaneo di Dante che è un miracolo se si riesce a fare a scuola. Perché
fu geniale e non genio come l’Alighieri, scelse il latino e visse a Padova non
a Firenze. Ed ebbe successo, come capita più ai bravi che ai geni. Per il resto
ebbe a che fare anche lui con papi e imperatori nella vana speranza che Enrico
VII mettesse un freno al caos della geopolitica italiana. E’ quasi certo che
sia il padovano che il fiorentino fossero presenti a Milano il 6 gennaio 1311,
quando l’imperatore fu incoronato re d’Italia, ma continuarono a ignorarsi fino
alla morte. Due galli in un pollaio… E il pollaio in cui era stato allevato
Albertino era quello di Lovato Lovati, che aveva riscoperto il corpus delle
tragedie di Seneca, il lato oscuro del filosofo romano. Drammi truculenti che
avrebbero ispirato tanto il giovane Shakespeare quanto il nostro barocco Carlo
de’ Dottori, fino ad arrivare al cinema dei miei amati Romero e Carpenter. Ma
il primo in Europa fu Mussato, con la sua Ecerinis o Ezzelinide (1314),
tragedia civica in trimetri giambici contro la tirannide di Ezzelino da Romano,
morto più di cinquant’anni prima, e, soprattutto, della sua “reincarnazione”
contemporanea, Cangrande della Scala.
Attenzione! “Teatro” come lo intendeva
il medioevo: “Anticamente nel teatro, che era un’area semicircolare, c’era al
centro una casetta che si chiamava scena, nella quale vi era un pulpito, su cui
saliva il poeta, come un cantore, e recitava le sue opere come canzoni, fuori
vi erano mimi e giullari, che riproducevano con l’atteggiamento del corpo il
significato dei testi che il poeta veniva dicendo, adattandolo a ciascun
personaggio.” (Pietro Alighieri, Commento alla Divina Commedia).
Ora possiamo immaginare meglio il nostro
Albertino, incornato di edera e mirto dal vescovo e dal rettore dell’università
nel 1315 (con tanto di lettura natalizia della sua opera da ripetere ogni
anno), mentre declama il suo dramma a un pubblico di pre-umanisti con le mani
rivestite da guanti da capra perché tragedia deriva dal
greco tragos, capro, animale sacro a Dioniso e dato in
premio ai poeti tragici (la seconda accezione è quella conosciuta e scelta dal
Mussato).
Horror per virtù civiche con Ezzelino, nato
(come il fratello Alberico) dallo stupro della madre operato dal demonio in
persona e finale con strage della famiglia al completo – adulti colpevoli o
meno e giovanissimi innocenti (la scena atroce con questi ultimi ve la
risparmio) - condito da episodi di cannibalismo (vi risparmio anche questi):
Ezzelino
Parla, Madre, mi piace udire cose mirabili e atroci.
Adeleita
Quasi simile a un toro: dall’irsuta cervice sporgevano adunche corna, crini
d’ispide setole gli cingevano il volto e fetida putredine mista a sangue gli
colava da entrambe le orbite; dalle narici uscivano frequenti eruzioni di
fuoco, dalle ampie orecchie salivano faville su fino al viso e dalle labbra
sorgeva, ad ogni respiro, una vampa sottile; perenne fuoco gli lambiva la
barba. Saziate appieno le sue brame, l’adultero riempì il mio grembo di seme
letale.
[…]
Il troppo penetrante seme ricevuto mi si accese dentro agitando le viscere. Il
mio ventre avvertì il tuo terribile peso, Ezzelino, degna prole del tuo vero
padre!
Ezzelino
Dagli dei siamo nati. Non altrettanto grande stirpe vantavano un tempo Romolo e Remo, figli di Marte. Il nostro è ben più grande, è dio di un regno sconfinato, è re di vendette e sotto il suo impero espiano le loro colpe principi, re e condottieri. Saremo degni giudici del Foro paterno se con le nostre opere rivendicheremo in terra il regno del padre.
[…]
Coro
Morte è congiunta a tirannide e il continuo temere è peggio che morte.
[…]
Nunzio
In breve Ezzelino vien preso: vano fu
resistere. Uno gli sfonda il cranio mettendo a nudo il cervello (chi sia stato
si ignora). Lo portano via dal campo di battaglia, gli offrono cibo, ma lui
tutto rifiuta, persino le cure. Così muore, minaccioso in fronte, e subito
scende alle ombre tartaree del padre.
[…]
Gran numero di dardi trafisse Alberico
che stava ritto in piedi; un soldato gli immerse la spada nel fianco destro e
la spada rigida uscì dal fianco sinistro: da entrambe le ferite sgorgò copioso
sangue. Un altro, come un fulmine, gli calò un fendente fino alle spalle;
spaccato il cranio, la testa cadde a terra con un singulto e il tronco rimase a
lungo vacillante prima di crollare. Allora il volgo in massa ne dilaniò brano a
brano le membra, dandole poi in pasto ai cani affamati.
Sarà un caso che solo qualche anno dopo,
il 1318, un appassionato sostenitore dei Della Scala come Dante scriva in una
lettera proprio a Cangrande: “La commedia è un genere di narrazione poetica che
differisce da tutti gli altri. Differisce, infatti, dalla tragedia – genere da
lui utilizzato a piene mani, aggiungo io, nel suo Inferno -
per questo: che la tragedia all’inizio è ammirevole e quieta, alla fine, alla
sua conclusione fetida e orribile, e perciò è così chiamata dal tragus,
che è il capro, e dall’oda, quindi canto del capro, cioè fetido
alla maniera del capro, come appare evidente in Seneca, nelle sue tragedie”?
Non credo. E proprio quell’anno, sempre
il caso, Padova, tormentata dalle continue devastazioni del suo territorio da
parte di Cangrande, finiva per rimettere tutti i poteri nelle mani del nobile
Giacomo da Carrara, che tra i primi provvedimenti avrebbe spedito in esilio
l’ex diplomatico Albertino Mussato.
Eccoli quindi tutti e due esiliati, il
poeta (a Ravenna) e il drammaturgo (a Chioggia), a consumare gli ultimi anni
con le onde dell’Adriatico a ritmare un presente che non passa mai e un passato
che non ritornerà.
Frammenti da un mio dramma dove immagino un incontro fra i due quando
l’Alighieri è di ritorno dalla sua ultima missione a Venezia per conto di Guido
Novello da Polenta:
[…]
Albertino
E così il profeta del rinnovamento della
repubblica celeste è diventato il diplomatico terra terra dei signori.
Dante
Tu sei in esilio da poco e io da troppo. Più ci si avvicina al mare più il
pane sa di sale. E non c’è vascello che ci riporterà nella nostra terra.
Albertino
Io ho scritto due opere di storia sui nostri sacri romani imperatori. Lo so
che non torneranno più, per questo ho parlato di fatti concreti, non mi sono
rifugiato in paradiso o nei sofismi aristotelici della tua Monarchia.
Hai qualche altro sillogismo per farmi vedere in cielo due soli e a Roma un
papa prigioniero del re di Francia con due imperatori tedeschi che si scannano?
Dante
L’eternità non ha fretta. E il finale sarà comunque lieto. Per questo io ho
scelto la commedia e tu la tragedia. Io il volgare e tu il latino. Il mio
esilio è stato davvero un “ex solo”: abbandonare il suolo per salire in
cielo, che è la nostra vera patria. Addio!
Il poeta si allontana. Sembra accennare un raro sorriso.
Albertino
A Dio le nostre ali. Ma la storia non la scrive Icaro, ma Dedalo. Col
rimpianto di non aver provato l’incendio del sole.
[…]
da Teatri di guerra (Ideazione 1999, Frammenti scelti)
EPISODIO I Agatarco di
Samo ad Atene: questione di prospettive
https://lucatraini.blogspot.com/2019/12/teatri-di-guerra-1-agatarco-di-samo-ad.html
EPISODIO II Ambivio
Turpione: commedie?
https://lucatraini.blogspot.com/2020/02/teatri-di-guerra-2-ambivio-turpione.html
EPISODIO III Rosvita di
Gandersheim: avanguardia in clausura
https://lucatraini.blogspot.com/2020/04/teatri-di-guerra-3-rosvita-di.html
EPISODIO V Poliziano e Botticelli: componimento di Orfeo, crepuscolo dell’Umanesimo (1494)
https://lucatraini.blogspot.com/2020/08/teatri-di-guerra-5-poliziano-e.html
EPISODIO VI Pietro
Metastasio: Arcadia al potere
https://lucatraini.blogspot.com/2020/10/teatri-di-guerra-6-pietro-metastasio.html
EPISODIO VII Georg
Bücher: teatro di scienza della rivoluzione
https://lucatraini.blogspot.com/2020/12/teatri-di-guerra-7-georg-buchner-teatro.html
Nessun commento:
Posta un commento