La bellissima intervista su Repubblica a Kareem Abdul-Jabbar, mito dello sport ma soprattutto persona di
grande umanità da sempre impegnata nel sociale, ci offre una lucida analisi
politica ricca di speranza e ne abbiamo bisogno ("Difficile dire, ma io ho speranza. Siamo presi fra Storia e Speranza."). Non solo quando commenta con
esemplare equilibrio, contenendo un giustissimo sdegno, l’assassinio di George
Floyd, ma anche quando individua quello che è ormai un problema cruciale per
ogni soluzione democratica: il sistema elettorale americano. "Bisogna
cambiare il collegio elettorale che è un anacronismo. La maggior parte degli
americani vivono in città e il nostro corpo legislativo non lo riflette.
Riuscire ad avere i risultati elettorali che riflettono quello che la gente in
America veramente vuole è una cosa che va fatta. E' un sistema che va
cambiato". Il problema dei “borghi putridi” (collegi rurali favoriti
rispetto a quelli cittadini) che distorse la rappresentanza parlamentare in
Inghilterra fino alla riforma del 1832 (e a quella del 1872) si ripropone oggi
negli USA. Nelle presidenziali americane il contrasto fra voti complessivi e
grandi elettori, escludendo l’episodio dell’elezione di Harrison nel 1888, non
si era fatto sentire fino alla contestata vittoria di Bush junior nel 2000 (Al
Gore sconfitto nonostante 500.000 voti più dell’avversario). Con l’ultima
tornata elettorale il distacco è diventato di quasi 3.000.000 di elettori: è pericoloso
- e ridicolo - che si continuino ad eleggere presidenti non espressione dalla
maggioranza complessiva degli elettori o quanto meno con collegi meno
sperequati. Specie se, come Trump, non si fa nulla per ricucire questo strappo,
anzi.
All’opposto di tale profondità la
solita solfa ormai superficiale di James Ellroy col suo lucroso pessimismo di
comodo e il suo conservatorismo esibizionista e retrivo, utile a fargli vendere
qualche copia in più oltre al pubblico affezionatissimo di radical chic
masochisti. Stare dalla parte della polizia non significa essere complici di
chi abusa e infanga una divisa per commettere crimini senza pagarne le
conseguenze. Certo, non siamo al delirio ripugnante dell’ex nunzio Viganò (una volta tanto
do ragione a Lavater), ma, d’altro canto, per gente frustrata come questo genere di scrittori, che
vuole vedere criminali dappertutto, i delinquenti senza speranza sono merce
preziosa. Dopo il Covid e con quello che succede negli USA, in Brasile o a Hong
Kong, solo per fare qualche esempio, spero che almeno ci si cominci a stancare
di tutto questo packaging distopico.
P.S. Per quanto riguarda statue
abbattute o imbrattate (tutte comunque di scarso valore artistico), mi
pronuncio a favore solo nei casi più eclatanti: il mercante di schiavi Edward Colston, il genocida Leopoldo II e
anche il razzista Jefferson Davis.
Con l’avvertenza di non inquinare
i fiumi o lasciarle in giro come spazzatura, ma semplicemente chiuderle e
custodirle in un museo. Con altre opportune avvertenze.
Nessun commento:
Posta un commento