Commento musicale H. I. F. Biber, Balletti lamentabili
Il mio Maestri del Colore di Magnasco lo ricordo da sempre copertina sgualcita, pagine usurate semistaccate, come sarebbe piaciuto a lui. La Madonna che scatena gli scheletri contro i ladri profanatori (“Attento a fa’ li peccati” commentava nonna): che bello partecipare scarabocchiando altre carcasse anche qui dopo quelle nel Trionfo della morte di Bruegel!
Magnasco però non era libero in salotto come il Bruegel di mia madre: stava in un cassone nella camera dei nonni. Contemplavo lì dentro i suoi frati bislunghi e attorcigliati in biblioteca o nel refettorio enorme e freddo. Meglio quando erano ammassati intorno al focolare, coi piedi quasi sulla brace: bello sfogliarlo a Natale.
Poi, crescendo, senza smettere di amarlo, sentii sempre meno quel fuoco. Leggendo La scienza nuova di Vico mi pareva di sentirvi risuonare i primi bubbolii duecento anni dopo il diluvio universale, quei lampi improvvisi e poi quel buio, senza cambio di scena con l’Illuminismo. La mia stessa musica era cambiata: l’Inverno di Vivaldi non più suonato da Accardo, ma quello più filologico e duro dell’Europa Galante di Fabio Biondi.
Così oggi, più che i convitati al Trattenimento in un giardino d’Albaro, guardo e mi perdo nel paesaggio oltre il muro.
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