Il successo del pelagianesimo nelle parole di un console
Sì,
è vero: abbiamo ospitato anche Pelagio e ne siamo fieri. Era nostro
amico. Era la nostra guida spirituale. La chiesa avrebbe condannato le
sue teorie ben dopo il mio consolato. E non è che poi fra gli ortodossi
regnasse sempre questa grande armonia. Per quanto santi si era sempre
fragili esseri umani e Gerolamo e Ambrogio, solo per farti un esempio,
non avevano una grande opinione uno dell’altro.
Umani, fragili,
ma capaci di riscattare i nostri lati deboli non solo grazie al dono
della fede, ma anche per mezzo della nostra forza di volontà, della
ragione: pregare e soprattutto operare in vista del bene.
Così diceva Pelagio. Per questo ci piaceva. Perché ci ricordava i nostri antichi filosofi.
Liberi dal peccato originario di Adamo. Liberi di scegliere. Di scegliere anche il male. E perciò divinamente responsabili.
Tu dirai che è davvero strano sentire tutto questo elogio della
libertà dalle mie labbra. Ma, a parte il fatto che qui si parla di una
libertà interiore, c’era tutta una tradizione di romana libertas che era
propria del ceto senatorio. Il privilegio di essere liberi. Privilegio
di pochi e per pochi. Cosa molto diversa dalle vostre teorie.
Insomma, ci
sarebbe piaciuto anche liberarci dal peccato da soli, da senatori, ma
ormai, con tutti questi imperatori divini o semidivinizzati, anche
questa parvenza elitaria di libertà era destinata a scomparire.
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