Commento musicale Josquin Desprez, Praeter rerum seriem
La ricordavo sulla copertina di un catalogo - e dio
sa quanto l’ho cercato – ma forse era un sogno quel libro, come le donne del
pittore.
“Mamma, mi sono innamorato”.
“Ancora?”.
“Sì, ma questa volta è una signora?”.
“Una signora?”.
E indico il dipinto: “Questa. Ti piace? Ha i
capelli biondi come te”.
“Certo che mi piace. Mi piace tanto. Ma cosa
diranno le tue fidanzatine dell’asilo?”.
Questo sì che sarà un problema - e non solo all’asilo.
È l’estate del 1970 e ci ritroviamo ospiti della
zia di mia madre, Linetta, dove l’anno prima avevamo assistito al lancio
dell’Apollo 11 - ero certo di aver visto la luce del razzo alla finestra - e al successivo allunaggio nel Mare della Tranquillità (nome stupendo, sospirato).
La prozia aveva evitato il destino di contadina e
insegnato alla mamma, di nascosto, a disegnare a carboncino. Dovrebbe
scendere a lavorare nella piccola impresa di calzature del marito, al piano
terra della loro palazzina, e invece si ferma, mi dà un bacio: “Ma quante ne
pensi! A d’è bella ‘sa Maddalena, eh? Ma è ‘na santa: non la poi sposa’.” - e
ride - “Però de Crivelli ha stroato un quadro pure ecco a Capudarca, jò la
chiesa: chi sa se se pò jillu a vede’?”.
Era vero che c’era un Crivelli a Capodarco,
frazione di Fermo, ma era del fratello di Carlo, Vittore, e - forse perché non
c’erano sante (o non potevo sposarle) - dal vivo e nel vivo non lo vidi mai.
Ma, come diceva mia madre (che non vedeva l’ora di
andarsene al Nord), che c’erano venuti a fare quei due nelle Marche? Da Venezia
poi!
Scappavano o quasi, un po’ come noi, come avrebbe fatto in seguito il Lotto. Le Marche fra XV e XVI secolo erano un
territorio tutt’altro che marginale e, in fatto di traslochi, l’esempio l’avevano
già dato gli angeli con la Santa Casa di Loreto e il relativo miracolo
economico generato dal crescendo dei pellegrinaggi.
E poi anche nella Serenissima non c’era posto per
tutti, specie per i più inquieti. Infatti Carlo Crivelli, 517 anni prima, aveva
rapito per amore Tarsia, moglie di un marinaio che era chissà dove, con cui
aveva poi avuto per mesi una relazione appassionata, consensuale e con la donna
riconosciuta parte attiva, alla faccia della Scolastica, dagli advocatores che poi li avrebbero condannati
a sei mesi di detenzione. Un’inezia rispetto, per esempio, alla Bologna
universitaria, dove gli adulteri venivano condannati a morte, o alla colta
Ferrara, che condannava al rogo le donne adulterine. A questo proposito leggete
l’ottimo articolo di Liliana Leopardi .
Scandalo, ipocrisie e timore di vendetta da parte
di marito tradito e famiglia: Carlo, scampato anche alla pestilenza in carcere,
abbandona per sempre Venezia e raggiunge Zara seguito dal fratello Vittore,
probabilmente per evitare rappresaglie trasversali.
Di tutto questo periodo, dell’artista, resta poco
di cui siamo certi. Nel contesto di un’inquietudine decisamente più grande che
investiva anche la città in cui i due pittori si erano rifugiati, con la grande
avanzata dell’impero ottomano che pochi anni prima aveva conquistato
Costantinopoli.
Mentre di dubbi si accumulano l’unica sicurezza è che Carlo è il primo ad avventurarsi nelle Marche, perché nel 1468 era già nella mia terra. Forse perché temeva altri guai e vendette della Dalmazia veneta? Chi può dirlo? Fatto sta che in quell’anno firma il Polittico di Massa Fermana, quel minuscolo paese dall’ingresso gigantesco - la Porta Sant’Antonio - così strana e bella.
Cosa ribolliva in
quell’uomo che trapassava nell’artista? Lo splendore tardogotico della pala
principale in simbiosi con le forme già così umane, umanistiche dei quadri
della predella. Nel Cristo nell’orto del Getsemani, in quello che risorge c’è
l’eco del Mantegna (Crivelli era stato a Padova)? Nella flagellazione il
pavimento piastrellato richiama quello di Piero della Francesca a Urbino? Domande
sorte in seguito, io all’epoca ero tutto preso dalla Madonna mamma che pareva
tanto stanca, dal quartetto dei suoi amici santi ora tutto lusso ora trasandati
e stracci. Compagnia strana per Gesù bambino, che sembrava distratto con la
voglia - se lo capivo! - solo di giocare a palla.
Avrei scoperto decisamente più tardi che aveva dipinto
un Polittico a Porto San Giorgio nel
1470, dove esattamente 500 anni dopo sarebbe nato mio fratello Luissandro, biondo come il bambinello della Madonna Cook che sta alla National Gallery di Washington. Perché
nell’Ottocento avevano demolito la vecchia parrocchiale in cui stava l’opera
che, smembrata, avrebbe diviso il suo splendore fra Inghilterra, Polonia e
Stati Uniti.
E proprio il fratello di Carlo, ormai trasferitosi
ad Ascoli Piceno, approda nelle Marche qualche anno dopo, intorno al 1476.
Vittore occupa lo spazio lasciato libero nel Fermano dipingendo anche un
polittico a Sant’Elpidio a Mare (che sul mare non ci sta affatto), il vecchio
comune nobile alle spalle di quello giovane e proletario, Porto Sant’Elpidio,
in cui eravamo finiti ad abitare.
Vittore circondava più da vicino il nostro paese
con la sua pacata bellezza, quasi figlia di campi, colline e mattoni in tutte
le loro sfumature di giallo.
Carlo invece sembrava abbracciarmi a superiore distanza, con quella ricerca del sublime che sconfinava nei cieli. Camerino, Matelica, Fabriano, Pergola e Ascoli. Soprattutto Ascoli, con quell’Annunciazione dove l’angelo ha fretta di condividere qualcosa di bello mentre tutti guardano di qua e di là e parlottano.
Solo la Madonna e il pavone al piano superiore se
ne stanno quieti, con quella luce che scende dall’alto e dovrebbe portare pace
anche se il cielo sembra l’Adriatico in tempesta.
Poi si vorrebbe tornare a essere quei piccoli
angeli che sostengono le braccia del Cristo nella Pietà di Montefiore dell’Aso, perché c’è quella cosa che allora non
capivo. Gli esseri umani e quello che fanno non dura per sempre.
Si muore ad Ascoli Piceno come a Fermo. A volte mi
chiedo ancora come sia possibile. Zia Linetta,
anche tu sei morta, a Capodarco, e non ricordo quando.
La nostra Maria Maddalena sale l’ultimo gradino
sollevando il mantello in punta di dita. L’ampolla degli unguenti, che forse
potrebbero guarire, non si aprirà. Lo sguardo resta impenetrabile anche quando
la ritrovo ad Amsterdam nel 1987. Certe verità, forse, erano accessibili al
bambino che non ero e non posso essere più.
Ora diciamo che resta l’arte, in fondo il miglior sostituto
dell’amore.
E resta un libro, che non trovo più.
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