Di passaggio a Roma, tutto preso dai miei pensieri,
un amico mi scrolla indicando due persone: “Guarda, quello è Chet Baker!”.
A quell’apparizione, sapendo sì e no chi fosse, replico
giusto “Ah!”, per fargli un piacere.
1987. Vent’anni, ventuno: il jazz lo mastico poco.
Non sapevo che Miles Davis - lui conoscevo, amavo la musica dell’amico di mio fratello Jimi Hendrix - lui agli esordi era stato sconfitto da quell’uomo sgangherato
che pareva vecchissimo.
Anni dopo scopro la storia del concorso della
rivista Down Beat, di quest’altro
ventenne bello come il sole che aveva suonato la tromba di Louis Armstrong - un
altro che mi piaceva fin da bambino - meglio inoltre di Clifford Brown e Dizzy
Gillespie. Ma era il ‘54, roba in bianco e nero, e anche lui, a trent’anni di
distanza, sembrava tutto colori sbiaditi, come un vecchio film delle tv private.
E poi aveva lavorato a lungo in Italia e l’amava, cosa che all’epoca non
deponeva molto a suo favore:
“Ma che ci viene a fare qui se ha la fortuna di
essere americano? Ha suonato con Franco Cerri? Cerri chi? Ah, quello della
pubblicità del Dixan? Con Papetti? Quello delle donne nude in copertina? Cos’è?
Bukowski versione musica?”.
Domande sciocche nello stile di quegli anni, anche
perché i suoi dischi costavano troppo, come i locali dove suonava. Jazz non
elettrico, roba da vecchi - ma Bukowski, lui sì che sarebbe invecchiato davvero,
fino agli anni ’90, quando tutto sarebbe andato bene, Kurt Gobain a parte,
tutto revival.
Devo aspettare trentesimo/trentatreesimo anno -
tutti traguardi considerati siderali, difficili quando diventi artista sul
serio a venti - e una specie di nuovo millennio che porterà un sacco di grane
per iniziare a comprendere genio e sofferenza di quella specie di angelo,
sempre intento a strapparsi le ali. Collegare quella presenza così fuggevole in
vita a quanto resta vicino e lontano in cd, filmati alla televisione e poi su
YouTube. Sempre in ritardo, ma predisponendo per cuore e orecchie qualcosa di
simile alla sua dentiera dopo che gli avevano spaccato i detti - roba di
eroina, quelle siringhe innestate anche nei giardini della mia scuola media:
“Non toccate, non giocate sull’erba: solo nel campo di pallavolo”. “Ma è di
cemento”.
My Funny Valentine, non potremo neppure imboscarci tranquilli
ai Giardini Comunali, al liceo.
Eppure, lo senti, resta qualcosa di blu come diceva
Rino Gaetano, il suo Almost blue come
un giorno che potrebbe essere sereno dopo una lunga notte, qualcosa che avrebbe
potuto disintossicarlo da droga, alcool e paure prima di incontrare quelli che
se la cavano anche con la proiezione d’ombra del sole. Il canto - e forse la
voce stessa - che sembra usare il corpo come uno strumento e probabilmente è
l’opposto (vallo a dire alla testa) - aveva già modulato Born to be blue.
Let's Get Lost, perdiamoci, Over The Rainbow, l’arcobaleno è un gelato: se gli artisti
restano bambini - cosa vera fino a un certo punto - Baby Breeze anche in Autumun
Leaves. E io ho sfiorato solo il tuo inverno.
Quel tuo
primo cd che compro a tale distanza, No
Problem (1980) - titolo da sogno - quante volte accompagna e solleva la
luce strana di certi primi pomeriggi, quelli sempre meno tollerabili più
passano gli anni. E mi ripeto “No problem” guardando quel tuo ciuffo
improponibile. Soffio di vento, soffio di vita in un interno, quando la memoria
entra come una brezza da uno spiraglio lasciato aperto e non ti fa male. Poi
chiedi cosa significa Sultry Eye,
l’afa negli occhi, e neppure qui c’è confusione. Il significato è “occhi
sensuali”: fascino, persistenza dell’amore. Finché c’è quello anche l’arte.
Ci sarebbe
il resto del disco, gli altri che seguono, date di esecuzione che si accavallano
e cerco di sistemare in qualche modo. E l’angelo fra le note che ritrovo ogni
volta se vedo uno dei film che amo di più: I
soliti ignoti.
Tu precedi
nel volo finale Monicelli di 22 anni. Finestra spalancata del reparto di
urologia a Roma o di un semplice hotel ad Amsterdam, il risultato è sempre lo
stesso.
Quello che resta continua a lanciarsi nel vuoto e risalire in volo, come le rondini.
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