“Non amerai la foto del quadro
più del quadro originale.”.
“Non amerai il film più del
romanzo da cui è tratto.”.
“Non prenderai il videogioco per
arte perché ha dentro la parola ‘gioco’.”.
“Non ti farai troppi selfie
altrimenti finirai come Narciso.”.
C’è una bella parte di realtà in
tutto questo: bella, forse vera, ma parziale. E si potrebbe andare avanti fino
a scolpire un nuovo decalogo laico, ma pur sempre dogmatico. Elenco di
comprensibili passioni così come cardini dei sensi di colpa ancora vivi nei
confronti dei media sviluppati dalla Seconda Rivoluzione Industriale in poi. In
buona parte ossessioni romantiche o, peggio, tardormantiche tradotte in una
nuova specie di iconoclastia e di neoplatonismo di rientro di stampo tutto
occidentale.
James Williamson, The Big Swallow (1901)
E’ sotto gli occhi di tutti come
il modello di sviluppo economico dell’ultimo secolo e mezzo sia giunto alle
strette e minacci la stessa sopravvivenza della vita umana. Bisognerà porvi
rimedio al più presto - anche con non pochi passi indietro (se vogliamo dargli
un pizzico di epos, chiamiamoli ” ritirate strategiche”) – ma con lo sguardo
sempre rivolto avanti e l’ottimismo della fantasia e della ragione. E’ una cosa
che dico anche a me stesso, il pessimismo non serve a niente, se non a
salvaguardare posizioni di comodo (per chi le ha).
Torniamo tuttavia alle origini de
problema: il lasciare una traccia del proprio passaggio da parte dell’essere
umano. Una traccia cosciente, per quanto ne sappiamo, dall’Homo Sapiens
o, secondo recentissimi studi, dagli ultimi Neanderthal in poi. Nel nostro caso
parliamo della rappresentazione per immagini di sé e dell’ambiente vissuto, di
quella fame di immagini di cui non siamo sazi, mai.
Decorazioni rupestri nella grotta di Pasiega (Credit: P. Saura) in Le Scienze (febbraio 2018)
Il desiderio di rispecchiarsi per
affermare la nostra presenza agli altri così come a quanto ci pare in qualche
modo diverso da noi aumenta esponenzialmente grazie a strumenti sempre nuovi e
complessi dalla Rivoluzione Neolitica in poi, quando prende forma un profondo mutamento
sociale che spiega il successo di massa della fotografia in pellicola nella
seconda metà del Novecento e il trionfo
di quella digitale in questo inizio di secondo millennio. Parliamo
dell’affermarsi di rigide gerarchie socio-politiche letteralmente affette da
una bulimia da autorappresentazione che, salvo poche eccezioni, escludono da
questo privilegio chi non ne fa parte, cioè l’enorme maggioranza della
popolazione, relegandola al massimo a rappresentazione stereotipata ai margini.
Dalle tombe egizie agli specchi metallici di matrone e patroni romani, dalle
vetrate gotiche al Salone degli Specchi di Versailles il lusso di rispecchiarsi
de visu o in toto autocontrollando il proprio status sociale è appannaggio di élites
aristocratiche o comunque oligarchiche.
Privacy, solitudine e riproduzione nell'arte
Oggi possiamo entrare dalla porta
d’ingresso nelle regge più fastose, penetrare nelle stanze più segrete di
questo antico potere e non è un caso: è una dura, formidabile conquista delle
lotte per la democrazia degli ultimi due secoli. E se democrazia vuol dire
diritto di rappresentanza universale, significa anche diritto di
rappresentazione, rispecchiamento e autorappresentazione per tutti. Il
desiderio famelico di produzione di immagini di sé che caratterizza la nostra
epoca è quindi una vera e propria riappropriazione di un diritto naturale e
culturale, la reazione a una privazione antica di millenni (o a una
riproduzione indesiderata e di parte: pensiamo solo all’immagine del contadino
visto dal nobile, bestiale o arcadica).
Senza dimenticare il mito
ancestrale di Pigmalione. Le vorremmo vive queste immagini, sempre più efficaci
a livello di feedback. Le desideriamo il più verosimili possibile, quasi a
farle uscire dallo schermo che ci separa o entrarci per vivere una vita
parallela più bella (finché durerà questa divisione fra reale e virtuale, che,
ad esempio, non sembra sussistere a livello subatomico).
Per chi, come me, è cresciuto
nutrendosi di rappresentazioni a base di tecnologie avanzate (la televisione o
anche il semplice libro illustrato, sempre più ricco di foto a colori) il
discorso sull’originale non è stato più essenziale. A questo proposito rimando
al mio lavoro Crossmedialità antica: Lisippo dove ho esemplificato come
libri, video e siti per una o più immagini d’arte (per quella greca quasi
sempre copie) suppliscano in modo preciso, adeguato e appassionato
all’originale (quando c’è, appunto).
Poi uno va a Delfi, resta
incantato di fronte all’Auriga e naturalmente fa penitenza. E’ bene tuttavia
scrollarsi al più presto la cenere dal capo e riflettere sulla meravigliosa
solitudine delle opere d’arte nei nostri musei. Sia ben chiaro: è un ecosistema
estetico che mi piace e considero importante conquista della critica e della
curatela contemporanea. Ad ogni opera il suo respiro come il giusto spazio
vitale per ogni cittadino di una comunità democratica: la migliore soluzione
possibile, progetto e sfida valida anche per il futuro. Purché si tenga ben
presente che l’originale in origine ben di rado godeva di questa privacy,
essendo quasi sempre compattato con altre opere o strettamente vincolato in
architetture all’insegna di un implacabile horror vacui. Quando guardo le
gallerie settecentesche del mio amato Pannini la mia personale Sindrome di
Stendhal dura quanto il piacere di una bella camicia stretta che finisce per
soffocarti, specchio magnificente, magniloquente, ma di una società chiusa:
aria! E poi c’è il freddo che uno può ben immaginare dentro quegli spazi enormi
d’inverno.
Danzatrice dalla Villa Adriana di Tivoli, forse copia della Prassilla di Lisippo (foto di MM), in abbinamento con
Let's Play: Ancient Greek Punishment: attenzione alla hybris, specie se gioco in Flash 8-bit nato già vintage come ogni mito.
Controcanto: oggi anche questo
formidabile album di figurine di capolavori è a disposizione di tutti. Basta
andare sulla pagina delle Immagini di Google. Non dobbiamo indossare una
parrucca incipriata per goderci al caldo una muraglia continua di
rappresentazioni di ciò che amiamo, più lunga di qualsiasi incipit di Guerre
Stellari, su computer, iPad, iPhone. Neppure è necessario cliccare una pagina,
un sito: la meraviglia, specie per i suoi esperti, vale anche solo una
schermata, la discesa con un dito o un semplice tasto verso gli inferi, come
gli eroi del mito, fino alla scritta See All. E oltre.
Già, gli esperti, gli specialisti
dell’arte, un tempo quasi sempre asserviti – anche quando potevano firmare le
proprie opere – alla riproduzione per immagini di ordini sociali chiusi, le
gerarchie terrene e celesti di cui sopra. Postare immagini e selfie a livello
di massa sembra un’inconscia rivolta anche contro questo, il culto, di cui
anch’io sono devoto, della professionalità. Una rivolta comprensibile – perché
abbiamo e dobbiamo usare la vasta gamma di mezzi a disposizione per
comprenderla – ma che spesso non si rende conto di quanto sia teleguidata dagli
artefici mediocri della banalizzazione globale, l’alter ego mostruoso
dell’uguaglianza. Per un futuro compatibile con la bellezza del mondo occorre
limitare il raggio d’azione, che comunque agirà sempre, di questi servi di
lusso che bramano lo sgretolamento dell’originalità, invece così diffusa e
forte a livello qualitativo e quantitativo (parola di ex professore). Senza
originalità non c’è innovazione, non si rende presente, vivo e utile per il
futuro anche quanto sembra inattuale. Si tratta di un lavoro grande,
entusiasmante oggi valido più che mai.
Selfie nello specchio per la Gloria di Sant'Ignazio di Andrea Pozzo (foto di Luca Traini)
Selfie nello specchio per la Gloria di Sant'Ignazio di Andrea Pozzo (foto di Luca Traini)
Sulla base delle eredità
complesse e del presente articolato che abbiamo descritto noi specialisti privi
di paraocchi abbiamo il dovere di insegnare – nel senso letterale della parola
“indirizzare verso un segno”, pregnante come una vita vissuta davvero e fino in
fondo – l’uso cosciente delle nuove tecnologie connesso a un’analisi e a un
giudizio critico di quanto di meglio per noi, ora, cittadini del mondo, abbiamo
ricevuto dalla diversità ricca di studio e di passione del passato, prossimo o
remoto che sia. Non stiamo facendo salti nel vuoto, semplicemente perché il
vuoto non esiste. Contestualizzare e coimmaginare possono essere la sinergia di
nuovi selfie di un mondo migliore.