Viva la complessità! Basta essere
chiari. Vivere in profondità con passione e studio passato e presente in vista
del futuro senza mai dare nulla per scontato e condividerlo con chiunque abbia interesse
a partecipare al patrimonio di bellezza in cui siamo immersi, che è per tutti.
Evitare la banalità non è così
difficile: importa cercare la comprensione di quanto non sembra attuale e
invece lo è. Il filo conduttore è la speranza, andare oltre gli orrori del
passato perché il futuro sia una memoria serena e partecipe: tempo di ricordare
e vivere il meglio di quello che siamo.
I tempi remano contro? Ragione in
più per continuare. Offrire orizzonti più ampi può sempre servire per
evidenziare e andare oltre piccoli spazi e paesaggi di comodo. Essere Homo
Sapiens - ma sarebbe più giusto dire Donna Sapiens, data la nostra Eva Africana
(Rita Levi Montalcini docet) - è una responsabilità che ci riguarda da decine
di migliaia di anni, perché abbiamo avuto in dono dalla natura un peculiare
tipo di autocoscienza.
Consapevoli di essere signori di
niente, possiamo diventare persone capaci di dare nuova vita a quanto sembra in
apparenza virtuale e in realtà scolpito sulla roccia, cercando di levigare
l’ennesimo specchio a cui dare luce.
Ancora una volta: arte, prosa,
poesia, teatro, storia, filosofia, musica, sport, fotografia e nuove arti.
Ripropongo i dialoghi che avevo scritto per la mostra REFLEXions dans les chambres d'André Villers, curata da Debora Ferrari e dal sottoscritto ad Aosta nel 2008 e dedicata al nostro caro amico André, fotografo personale di Picasso e di altri grandi artisti del Novecento, scomparso nel 2016 e di cui ricorrono i 95 anni dalla nascita.
Poiché avevamo dato priorità alla parte antologica, il testo non era stato inserito nella pubblicazione del nostro Album Vilers ou l'imaginaire portatif. Scritto a mano, letto durante la presentazione del catalogo al Salone del Libro di Torino dello stesso anno, si era perso nella massa cartacea del grande lavoro di preparazione.
GIORNO DI FESTA
Picasso
Oggi è un giorno di festa. Ogni opera d’arte è un giorno di festa, per i vivi, per i morti. Ci permettiamo il lusso di scordare che tutti i colori sbiadiscono.
Prévert
Come il tabacco che diventa cenere. Un’altra sigaretta, la scintilla di un nuovo amore e il fumo che non si vede nel bianco del cielo di una fotografia. Bianco e nero come i sogni più belli: non è vero, André?
Boulez
Rispondo in foto a nome del fotografo, permettendomi di scordare anche gli strumenti. Convertendo in musica la vostra conversazione nel mio “Dialogo dell’ombra doppia”, per clarinetto.
Le Corbusier
Considerando la lentezza della velocità del suono rispetto a quella della luce forse avremo tempo di progettare una nuova città ancora più umana. Se resta solo sulla carta, Picasso la abiterà con i suoi schizzi. Ogni nuvola, un verso di Prévert.
REFLEXions
Cocteau
Si discute di città e poi si finisce a parlare del proprio studio o di un qualsiasi luogo dove esporre, esporre noi, quei caleidoscopi che siamo e cerchiamo di fissare in un’immagine che però contempli tutti i suoi cambiamenti. Ecco che allora, Pablo, io vorrei una città che sia tutte le città a seconda dei punti di vista. Da sud è Parigi, da nord è Roma e così via. Ma resta la Città, una, una città mutante.
Picasso
Io, Jean, mi accontenterei anche solo di una città in mutande. Mutande semplici e bianche come quelle che porto io e non mi vergogno di mostrare, come i bambini. Quando tornerò finalmente a disegnare come un bambino… E poi lo sai bene anche tu che in questo momento ci sentiamo come loro, dentro un’opera d’arte. Sempre felici come bambini nella quadratura del cerchio dal nostro Villers.
Simone De Beauvoir
La felicità è un figlio desiderato e non imposto. È una città dove anche le donne costruiscono con gioia, mattone dopo mattone come nella “Città delle donne” di Chistine de Pizan. Per questo il vostro vicino di casa Fernand Léger dovrà dipingerle fianco a fianco dei suoi muratori. Nella mia riproduzione in foto di André, nei miei occhi leggi anche i mei libri: resteranno progetto definito e concreto di architrave dell’essere umana e donna.
Xenakis
Saffo o Anattoria per te, Simone, le donne di una Grecia libera che mi costarono letteralmente un occhio della testa. La mia musica per la metà del volto che ho perso per la Resistenza, ricostruito ad arte e fatto proprio dalla foto di André. Il fotografo ha conosciuto il sanatorio, sa bene quanto sia luminosa anche la parte lasciata in ombra. Più di qualsiasi arma che pretenda di deformarci, infinitamente più bella la realtà, l’immagine di lei, la melodia, il ritmo che siamo coscienti di amare.
TEMPI DI DANZA
César
André ci ricorda che siamo presenze che affiorano, per dire qualcosa di più oltre il moto ondoso che finirà per sommergerci. Lo sfasciacarrozze ha già composto per chi vorrà diventare direttore d’orchestra e io, che emergo grazie a uno spruzzo di acido rivelatore, ho compresso macchine, automobili come noi, perché forse anche noi siamo un assemblaggio degno di memoria.
Picasso
Ho danzato fra un’opera e l’altra anche quando crepavo di fame. Periodo rosa, periodo blu, ma ogni volta c’era quella specie di pausa musicale che è la vita. Una canottiera, un paio di calzoncini e poi l’esposizione in mostra, alla luce dove le opere parlano ormai sazie come l’autore. Quando diventi storia dell’arte e sei vivo, vuol dire che hai mangiato.
Clouzot
Una danza di 24 passi al secondo per vincere il Premio Speciale della Giuria a Cannes. Dovrà esserci una capra, che tu dipingerai e io riprenderò a colori da questa notte che sembra gravare sul set. Luce artificiale, montaggio, postproduzione. Come la vita, la vita di un genio o due quando l’attimo della creazione non ci fa più soffrire. La capra sembrerà sul punto di belare dal dipinto nel film, come il nostro dialogo muto in apparenza nella foto, in attesa del sonoro al cinema.
Ionesco
E io non smetto di saziarmi della danza dei “capelli d’angelo” che André ha rielaborato vis-à-vis in camera oscura. Tutto sembra così chiaro e invece tutto è assurdo. Assurdamente bello vivere, mangiare ed essere riprodotti su ogni foglio di carta.
La conquista del quotidiano, la più difficile per un artista. Dipingere una casa. La casa. Ma le sue linee devono compensare quelle di un cardiogramma. Tetto, pareti, finestre, contenere tutte le vertigini di quegli impulsi e non darlo troppo a vedere, sennò i vicini, il prossimo, si spaventa. Il fuoco, uscendo dal camino in forma di fumo, continuerà il suo dialogo col cielo. E sulla terra, qui, a Mougins, sarà come condividere sigarette con amici. Parlando del più e del meno che fa battere i nostri cuori.
Hans Hartung
La conquista dell’arte ogni giorno, Pablo. Specie se una patria te la marchia come “degenerata” e devi combatterla in una guerra vera, in una legione straniera, perdendo l’uso delle gambe. La meravigliosa ciclicità del vivere, allora, è questo rullo che stendo su ogni tela per incidere i miei graffi. André lo sa che io cerco di strappare in questo modo al tempo della storia i suoi perché. Non spreca inutili parole, richiede azioni precise la nostra vita, la nostra arte.
Michel Butor
Anch’io che prendo forma nella foto e scrivo non perderò tempo. Metro dei versi: 0,75 litri. La misura concordata con André per il progetto Bouteilles de Survies. Bottiglie di sopravvivenza, perché non si vive di solo pane ma anche di quelle acque intellettuali care agli antichi filosofi, meglio se vino. Bere poesia: la cerimonia giusta oggi per consacrare pensieri, parole, opere a un tempo diverso da quelle due lancette in competizione.
FORME NECESSARIE DEL SOGNO
Picasso
Evocatemi pure la metamorfosi, il sogno, il gioco e vi ringrazierò. Ma fate bene attenzione anche mentre facciamo un autoscatto io e il giovane André. Sognatori, la vostra carezza impalpabile per me è come trovarmi concretamente in Africa: comprendere la vita di ogni maschera e poi tornare in Francia a combattere ogni colonialismo, convinto dall’eredità più onesta del mio continente. Esperti dell’incubo che può diventare sogno, utopia, lotta per una realtà migliore, è dai tempi del cubismo che rimetto in discussione le vecchie prospettive. Da Guernica alla Colomba della pace, da un esilio di cui non vedrò la fine, io ricerco da sempre un punto di vista più alto certo della bellezza del mondo.
Max Ernst
Le mie mani quando accarezzano hanno unghie così lunghe che possono graffiare. Sogni o incubi, lasciano sempre un segno. Sta a noi, Pablo, a tutte le tecniche da inventare, cercare la strada per ricomporre grafie che altrimenti restano dentro come ferite aperte. Se il viaggio andrà a buon fine, la Loira disvelerà ancora una volta un bellissimo corpo di donna. Parola del mio sorriso e di questi capelli bianchi fotografati liberi e scarruffati al vento.
Hans Arp
Io accarezzo sempre le mie opere, perché hanno le forme tonde e sinuose della vita. Le scolpisco, le accarezzo e le lascio subito andare, perché la vita è inafferrabile. Ogni giorno cerco di rinnovare la mitosi di queste cellule e lascio prendere loro la forma dei miti ancestrali che sono dentro di me. Devi sentirle come ho scritto in poesia: “Lamentarsi, cantare, gemere, sospirare”. La cura che riservo a queste esistenze che vanno oltre la mia è la risposta alle forme imposte dagli orrori della storia. Il caso mi ha dato questa necessità.
Joan Mirò
“Noi ci salviamo in giochi più profondi”, Pablo: l’ha scritto Arp. E ci sono anche donne che hanno 100 teste - Max ne ha fatto un romanzo-collage. Facciamo 1+1 e prima della somma inventiamo una nuova matematica. Usciamo dalla nube degli atomi come nella mia foto in bianco e nero. I colori poi daranno un’altra presenza. Quella dei bambini che fanno un mosaico di tutti i sassi colorati di Pollicino e poi lo disfano subito per dar vita a un altro. Tu resti in Francia e io torno dove la Spagna è meno Spagna nel ’40, a costruire labirinti dove giocare con biglie sempre di nuovi colori. Mi servono 35 anni per vincere la dittatura di Franco. Poi vince anche l’arte.
TRATTI, RESPIRI E ALITI DI VENTO
Picasso
C’è un ultimo ritratto che ho lasciato alla tela un anno prima della morte. Dopo tante opere dedicate all’amore ho visto in faccia proprio lei. E forse non era qualcosa di diverso. Ogni passione ha la sua sindone. Ogni tratto dipinto, per quanto fluido, conosce il gelo quando è compiuto. È una questione di passaggio di stati. Chi vedrà il quadro, se lo ama, riattiverà la chimica dell’arte.
Fellini
André mi ha fotografato per strada, per La strada. E in ogni tratto di strada, quando sono in crisi, trovo te, Pablo, come compagno di viaggio. Eppure ci siamo visti una sola volta a Cannes, forse era il ’61. In sogni a occhi aperti non so quante altre, perché cerco di riprendere ogni scena muovendo i macchinari come un pittore cubista. Ti dedico la mostra contemporanea di artisti antichi nel mio Satyricon. Lascio agli spettatori tutte le illusioni della realtà, dello schermo. Noto che muori ma io tornerò a trovarti, in un’altra Prova d’orchestra. E questa volta non dovremo abbattere muri.
Léo Ferré
Parli del futuro in una foto, Fellini, ma io di muri ne avevo già abbattuti tanti prima che tu cominciassi a fare film. Perché le note possono abbattere ogni muro. E se ci riescono diventano canzoni. D’amore e di anarchia: quelle pareti devi averle già infrante dentro di te. Poi torna il tempo, che gioca a farci costruire, costruire anche inutili difese contro di lui. Respira, Leo, respira quest’aria di Toscana. André ha trattenuto il respiro per fare questa foto. Respira anche per lui. È come una pausa in un’altra canzone. La stessa di quando altri canteranno le tue.
Alexander Calder
Tu non sai quanto ho dovuto respirare, Leo, quando giocavo a football o a lacrosse. Amici che avete nel cuore l’Europa, ricordate uno sportivo americano che finì a Parigi per fare giocattoli e si ritrovò a doversi inventare un circo in miniatura per tirare avanti da una costa dell’Atlantico e l’altra. Arte portatile, come il mio amico Duchamp. Questione di correnti, oceaniche. Sennò perché fare il fuochista in una nave che aveva il mio stesso nome? Al largo del Guatemala ho visto nello stesso tempo il sole sorgere e la luna tramontare. E chi siamo allora per diventare artisti? Plasmiamo, attenti al ritmo, al respiro: se una cosa cade, l’altra sale. Quindi continuiamo a costruire. Statue ben piantate per terra e poi altre che si alzano in volo, mobili come rami leggeri e foglie al primo colore. Sto parlando di questo mentre mi fotografa André. E il respiro non muore se un’immagine è la sua. Tu sai che basterà un soffio o un alito di vento a far danzare ancora una volta la vita che hai scolpito.
"Luca Traini ha creato una combinazione davvero curiosa e molto suggestiva: ha messo insieme il teatro e la pittura.
Ha dato la parola ai ritratti di gente sepolta da secoli e li ha fatti dialogare con i pittori che li hanno dipinti
o con altri personaggi dei quadri usando uno stile lirico e rarefatto, delicatissimo"
Dacia Maraini, Amata scrittura, Rizzoli, Milano, 2000
Prima di lavorare come curatore d’arte ho scritto diversi drammi su artisti a me cari. Quello che propongo è stato composto nel dicembre 1989, accompagnato dalla furia degli elementi di Rebel temprata dalle armonie di Rameau, recitato a teatro l’anno successivo e trasposto in mediometraggio nel ‘96. Nel 1997, ospite del programma RAI Io scrivo, tu scrivi presentato da Dacia Maraini, ho letto parti dell’opera alternandole alla messa in onda di spezzoni del video.
La stessa Maraini ha riassunto il suo giudizio nel capitolo che mi ha dedicato in Amata scrittura, (Rizzoli, 2000): “Luca Traini ha creato una combinazione davvero curiosa e molto suggestiva: ha messo insieme il teatro e la pittura. Ha dato la parola ai ritratti di gente sepolta da secoli e li ha fatti dialogare con i pittori che li hanno dipinti o con altri personaggi dei quadri usando uno stile lirico e rarefatto, delicatissimo”.
La particolare originalità del testo consiste nel fatto che l’azione drammatica vede il protagonista dialogare post mortem direttamente con i suoi quadri (a teatro mi rivolgevo alla proiezione delle opere per intero e in dettaglio con lo voci fuoriscena dei personaggi dipinti).
Il senso della rappresentazione consiste nel richiamare l’irrevocabile, tragico distacco fra la vita dell’artista e quella delle sue opere: la prima destinata alla morte, la seconda all’immortalità congelata delle persone in carne e ossa che hanno fatto da modello.
Contesto, il raffinato labirinto di maschere in cui la Francia della Régence (1715-1723) cercò nella prospettiva di Watteau (1684-1721) un’eternità tutta umana, cosciente della propria fragilità, di quel gioco di contraddizioni tanto lontano dalla precedente “gloire” del Re Sole quanto dalle future certezze dei Lumi, ma così attuale.
Il dialogo sospeso fra un pittore scomparso e le sue tele consegnate alla vita degli altri, alla Storia, è figlio dello spirito di quei tempi, ma anche di una condizione esistenziale più ampia: il rapporto fra essere umano e cose che dice sue e altri poi chiamano “arte”.
Domande senza risposte. Realtà sognanti.
Ognuno dei 16 Quadri di cui si compone l’opera viene alla luce con l’inizio di un brano musicale dell’epoca.
A nome mio e di questo gelido volto di pietra su cui poso la mano
A nome di questi occhi certo non miei ma vostri
A nome di questa lunga parrucca bionda
Voi che tanto avete amato la maschera
A nome di questi bottoni che voi
E voi soltanto
Avete impedito di pagare quale obolo a Caronte
A nome di questa tenebra che la vostra mano ha reso così dolce
A nome mio e di questa luce non più mia né vostra
Addio
Vostro Antoine Pater
Che vi destò un certo interesse a trent’anni
E di cinque vi precede nella tomba
Silenzio.
“Antoine Pater” svanisce.
Quadro 1/15
Luce. Sulla destra della scena Watteau, pallido e sudato. Veste una camicia slacciata che pende da un paio di calzoni a mezza gamba. Accanto a lui una sedia nera - o di paglia - sulla quale di tanto in tanto si riposerà.
Watteau
Io sono Jean Antoine Watteau
Morto di tubercolosi il 18 luglio 1721
Battezzato il 10 ottobre 1684
Anche se non ricordo con esattezza
Il giorno in cui sono nato
Uno degli artisti più amati del mio tempo
Ma
Con estrema fatica
E dolore
Faccio ritorno alla vita
Appare "Gilles".
Gilles
Come sei triste Gilles
Gli ultimi giorni a Parigi
Prima di fuggire
Li abbiamo passati insieme
In un buio scantinato
L’uomo a cavallo dell’asino
Niente paura creatore
Facciamo noi la guardia al suo Gilles
Watteau
Gilles mi sei venuto alla luce
Che quasi ero cieco
L’uomo vestito di rosso
Strana bestia l’asino
Occhi nobili di pietà
Intelligenti
La donna
Povera piccola bestia
Non scalciarmi
Non scalciarmi
Watteau
Guarda l’uomo col cappello a cresta che ho dipinto dietro di te