PROSPETTIVE DEMOCRATICHE DELL'IMMAGINE
Il
nostro modo di concepire le mostre è cambiato continuamente da quando è nato il
museo moderno con la Rivoluzione Francese. È da allora che il popolo sovrano ha
conseguito il diritto di godersi l’arte con la “quieta grandezza” e il punto di
vista di un re e non di sfuggita, curvo a spazzare il pavimento. Una fruizione
democratica sempre più dinamica che è stata il punto di partenza per tutta una
serie di ampliamenti di prospettiva. La scolarizzazione di massa prima e poi la
definizione come disciplina della storia dell’arte con il suo inserimento nei
piani di studio. Quindi tutte le progressive connessioni dell’arte tradizionale
con i nuovi media produttori di nuova arte - la fotografia, i libri con
foto, il cinema, la televisione, gli
universi in espansione dallo schermo di un computer o di uno smartphone – con
le reciproche interazioni e ispirazioni che hanno portato a rivoluzionare in
senso dinamico la pura dimensione contemplativa (che comunque “pura” non è mai
stata).
Insomma
si è entrati nei musei sempre più preparati e pieni di sempre nuove aspettative
dettate da un immaginario anch’esso in continuo mutamento. Se vedere un quadro
dopo aver conosciuto solo il teatro è diverso dal prenderlo in considerazione
dopo essere stati al cinema, lo è tanto più oggi quando si sceglie dove
viaggiare in Rete, si è interagito nei social o si è stati protagonisti di un
videogioco. Lo spettatore è diventato sempre più protagonista, o meglio,
co-protagonista di ciò che vede (così come sono diventate protagoniste le
strutture dei nostri musei, esse stesse opere d’arte contemporanea) e le
gallerie virtuali, il cui sviluppo è stato solo accelerato dalla pandemia, sono
quindi il medium principale - nuovo contenitore e nuovo soggetto estetico – per
soddisfare, in first-person perspective, questa nuova Sindrome di
Stendhal informatica. Che deve in ogni caso essere anche informata e resa consapevole
delle visioni precedenti.
[…]
Continua in https://www.virtualvernissage.com/luca-traini-fin-dallantichita-la-storia-dellarte-e-piena-di-gallerie-virtuali/
PRIVACY, SOLITUDINE E RIPRODUZIONE NELL'ARTE
E se democrazia vuol dire diritto di rappresentanza universale, significa anche diritto di rappresentazione, rispecchiamento e autorappresentazione per tutti. Il desiderio famelico di produzione di immagini di sé che caratterizza la nostra epoca è quindi una vera e propria riappropriazione di un diritto naturale e culturale, la reazione a una privazione antica di millenni (o a una riproduzione indesiderata e di parte: pensiamo solo all’immagine del contadino visto dal nobile, bestiale o arcadica).
Senza dimenticare il mito ancestrale di Pigmalione. Le vorremmo vive queste immagini, sempre più efficaci a livello di feedback. Le desideriamo il più verosimili possibile, quasi a farle uscire dallo schermo che ci separa o entrarci per vivere una vita parallela più bella (finché durerà questa divisione fra reale e virtuale, che, ad esempio, non sembra sussistere a livello subatomico).
Per chi, come me, è cresciuto nutrendosi di rappresentazioni a base di tecnologie avanzate (la televisione o anche il semplice libro illustrato, sempre più ricco di foto a colori) il discorso sull’originale non è stato più essenziale. A questo proposito rimando al mio lavoro Crossmedialità antica: Lisippo dove ho esemplificato come libri, video e siti per una o più immagini d’arte (per quella greca quasi sempre copie) suppliscano in modo preciso, adeguato e appassionato all’originale (quando c’è, appunto).
Poi uno va a Delfi, resta incantato di fronte all’Auriga e naturalmente fa penitenza. E’ bene tuttavia scrollarsi al più presto la cenere dal capo e riflettere sulla meravigliosa solitudine delle opere d’arte nei nostri musei. Sia ben chiaro: è un ecosistema estetico che mi piace e considero importante conquista della critica e della curatela contemporanea. Ad ogni opera il suo respiro come il giusto spazio vitale per ogni cittadino di una comunità democratica: la migliore soluzione possibile, progetto e sfida valida anche per il futuro. Purché si tenga ben presente che l’originale in origine ben di rado godeva di questa privacy, essendo quasi sempre compattato con altre opere o strettamente vincolato in architetture all’insegna di un implacabile horror vacui. Quando guardo le gallerie settecentesche del mio amato Pannini la mia personale Sindrome di Stendhal dura quanto il piacere di una bella camicia stretta che finisce per soffocarti, specchio magnificente, magniloquente, ma di una società chiusa: aria! E poi c’è il freddo che uno può ben immaginare dentro quegli spazi enormi d’inverno. Controcanto: oggi anche questo formidabile album di figurine di capolavori è a disposizione di tutti. Basta andare sulla pagina delle Immagini di Google. Non dobbiamo indossare una parrucca incipriata per goderci al caldo una muraglia continua di rappresentazioni di ciò che amiamo, più lunga di qualsiasi incipit di Guerre Stellari, su computer, iPad, iPhone. Neppure è necessario cliccare una pagina, un sito: la meraviglia, specie per i suoi esperti, vale anche solo una schermata, la discesa con un dito o un semplice tasto verso gli inferi, come gli eroi del mito, fino alla scritta See All. E oltre.
UNA NUOVA FILOSOFIA
AUMENTATA
54.Biennale di Venezia
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