sabato 28 dicembre 2019

Antonio Cereda,“STREET ART Segno dei tempi”: un nuovo libro di fotografia d’arte TraRari TIPI



A cura di Debora Ferrari e Luca Traini, con un’introduzione dell’antropologa Anna Canuto


STREET ART Segno dei tempi, il nostro, troppo a lungo così facile all’abbandono di quanto è stato vissuto, pieno di strutture e manufatti dimenticati, divenuti semplici cose buttate via, oggetti a cui questa nuova arte e l’arte di Antonio Cereda restituiscono dignità e vita, trasformandoli in soggetti di nuove sensibilità.
Questo libro racconta sogni e realtà per strade e immagini nuove soprattutto a Milano, ma con ramificazioni e anticipazioni che ci trasportano anche in Madagascar come a New York o Lisbona, perché si tratta di una dimensione estetica a livello planetario che ha origini e contaminazioni condivise e cifra propria la multiculturalità.
È un’arte, come ha scritto l’antropologa Anna Canuto, che “si è sviluppata al di fuori del museo” e la Milano degli ultimi anni ha saputo cogliere questo grande anelito di libertà di espressione valorizzandone le creazioni e riservando sempre più spazio alla street art.
I graffittari sono passati da Writers a Urban Artist e oggi sono accolti ovunque, come il varesino Andrea Ravo Mattoni al Louvre. Un’estetica orgogliosamente periferica, di avanguardia perché quasi sempre opera di artisti giovani in contrasto con i perenni classicismi dei centri. Un’arte sempre giovane capace di dare un senso positivo ai luoghi abbandonati trasformandoli in spazi liberati.
Elena Di Raddo, docente in Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano e Brescia, ha recentemente creato un evento in Università, introducendo
alla street art che nasce negli anni Settanta in America, a New York per la precisione, con uno specifico intento: esprimere il desiderio dei giovani.
Cereda testimonia questa continua attenzione alla vitalità prorompente e irrefrenabile del colore che tende a lasciare il segno dove altri hanno scelto o dovuto chiudere gli occhi.
Che dovranno riaprire.E continuare a meravigliarsi

Debora Ferrari, Luca Traini






IL COLORE COME LUNGHEZZA D’ONDA DELL’UMANITA’

Antonio Cereda è fotografo e uomo di grande eleganza che ama stare in disparte, per naturale umiltà e per il fatto che è spesso in giro per il mondo nei luoghi meno turistici. Restituiti con un’evidenza e una familiarità che sembra di essere proprio lì, accanto a lui, a dialogare col vicino di casa.
E’ un dono, un lavoro che data più di trent’anni e ha portato a quattro libri stupendi dove ogni fotografia è un incontro: SFULINGO l’ India dei colori (1988), Polepole dell’ Africa adagio,adagio (2003), Papua Nuova Guinea :le maschere danzanti (2007), Gujarat, frammenti (2018).
E’ ora anche un sito, ALCHIMIA – IMMAGINI DAL MONDO PER IL MONDO (l’artista ama le metamorfosi,con lo scatto sa evocare come pochi i paesaggi nei volti e nei corpi delle persone che li vivono così come la pelle di ogni paesaggio come fosse un corpo umano più grande).
Pronto al prossimo viaggio in Oriente con la moglie, l’antropologa Anna Canuto - “Sono un viandante e sempre m’aggiro pel mondo e vedo meraviglie” (l’amato Sohravardī) – l’autore è anche attento osservatore di avanguardie artistiche in Italia – la sua Milano in primis - e in Occidente.
Prezioso materiale anche quest’ultimo di prossima pubblicazione,a cura mia e di Debora Ferrari,per TraRari TIPI.

Debora Ferrari, Luca Traini

domenica 22 dicembre 2019

VILLON

Dal dramma al romanzo teatrale (1992-2010) Frammenti


L'incontro con Enguerrand Quarton: il quadro della situazione

Commento musicale Jacob SenlechesLa Harpe de melodie 


Il genio del pittore, di cui restano solo pochissime opere certe, vola talmente alto da perdere di vista la vita dell’uomo senza data di nascita o morte. Il successo dell’artista scomparve presto, come il poco tempo che gli fu concesso per produrre capolavori. E il volto dell’uomo forse è nascosto nella piccola folla al riparo del manto della Vergine della Misericordia.
Nel mio dramma immaginai un incontro, ad Avignone nel 1466, fra il poeta in esilio e l’artista prima che se ne perdessero le tracce: avevano condiviso il mecenatismo malinconico del re senzaregno, Renato d’Angiò.

VILLON
Perdonatemi, ci siamo già visti?

QUARTON
Vi perdono. Quando eravate ladro mi avete rubato qualcosa. E, quando poeta, restituito altro.

VILLON
Maestro, ho preso solo qualche spina del vostro Cristo morto senza saperlo, quando ero carcerato. E da poeta mai coronato, so bene anch’io cosa significa essere due in uno. Ma voi l’avete perfettamente rappresentato, quando avete fatto Dio a nostra somiglianza in due persone.

QUARTON
Teniamo ancora in equilibrio quella colomba fra le labbra: ogni parola è preziosa.

(Il banditore annuncia tempo di peste. Il pittore e il poeta svaniscono in silenzio).


Alla corte di Renato d'Angiò: pastorale senza lieto fine

Commento musicale Johannes SusayProphilias


Secondo alcune interpretazioni il poeta avrebbe cercato fortuna (senza trovarla) anche alla corte di Renato d'Angiò, forse ad Angers, nel castello dove il re senza regno era nato.
Quel mondo fatato ormai è solo un ricordo, mentre in carcere, a Meungattende di essere impiccato.

VILLON
E da re Renato, che re non è mai stato, ci sono mai stato? E quando è stato che abbiamo poetato e fatto versi come agnelli o vitelli sgozzati per farne pergamene?
Ricordo un castello fatato illuminato a giorno dagli incendi dei soldati.
Re di un regno che non c’era,
A furia di cercarlo hanno messo a ferro e fuoco tutta la scacchiera.


Il caso vuole che re Luigi XI passi per Meung e, in suo onore, qualche prigioniero, se non ha esagerato, venga graziato e liberato.
Un volta tanto la fortuna è dalla parte di Villon, che ringrazia a modo suo.

Questo è un vero re anche se pura prosa per quanto è brutto!
Col suo grande naso ha fiutato sottoterra e sentito il tartufo che marciva in galera: quanto è brutto, quanto è buono anche lui!
Lui mi salva e tu mi hai condannato, re e non re, poeta angelicato: che contraddizione fare versi!
Pastore di greggi armati che brucano fino all’ultima radice, amante di pastorelle smorfiose per cui preda e imbratta pergamene, avvinto da catene di cartone che dice d’oro, d’Amore: ma liberarsi da catene vere, arrugginite, tu non lo sai, no, tu non sai quant’è bello!


Meung: Prigioniero del Romanzo della Rosa, prigioniero delle sue spine

Commento musicale Jehan Vaillant, Par maintes foys



"Echo parlant quant  bruyt on maine
Dessus riviere ou sus estan,
Qui beaulté ot trop plus qu'humaine"

"Eco parlante quando vaga
Un frastuono su fiume o stagno,
Che bellezza ebbe più che umana"

Ironia della storia, Villon viene arrestato e incarcerato a Meung-sur-Loire, la città di Jean, il poeta della parte più cruda del "Roman de la Rose", traduttore della "Consolazione della filosofia" di Boezio e dell'"Arte della guerra" di Vegezio. 
Il prigioniero dialoga con la sua ombra nella quasi totale oscurità del carcere, in uno stato fra la veglia e il sonno.


JEAN DE MEUNG
Eccoti in catene proprio nella mia città
Dopo le rose eccoti le mie spine
Hai ucciso un prete?
Allora te lo sei cercato questo amore claustrale
Sei solo come un cane?
Ti do in pasto la mia traduzione della “Consolazione”

Abbaia Boezio
Forse chi ha fiuto capirà

VILLON
Nessuna consolazione
Solo spine
Prigioniero sottoterra
Come una cattiva coscienza
Come parole che devono restare strozzate in gola
Meglio se in riva alla Loira
Meglio sotto
Come i pesci

Lascio la voce al barcaiolo al mercante al pescatore
A quel fesso di amante che trasporta sulle acque la sua bella
Se solo riesce a spiccicare qualcosa

[…]

JEAN DE MEUNG
Per i carcerieri e gli amanti
Ho tradotto in francese anche l’Arte Militare di Vegezio

Dopo aver militarizzato l’amore
Ho tradotto in robuste catene francesi anche lui

VILLON
Uno che scrive d’amore traduce un testo di strategia militare
Siamo alle solite
Ma in galera mi sarebbe stato utile in entrambi i casi
Di giorno lo stratega
Per cercare una via di fuga
Di notte il teorico dell’amore
Perché in gattabuia ti resta solo quella
La teoria

Però in mezzo a tutto quell’orrore
Bisognava anche cercare di dormire.


Jean Fouquet e François Villon: il pittore e il poeta a corte, in sogno 

Commento musicale Gilles BinchoisAdieu, jusques je vous revoye

Villon

Jean, Jean Fouquet, tu che hai “fou” e sei “folle” a inizio cognome e ti acquieti nella seconda parte, tu hai illustrato in miniature d’incanto i tristi casi di uomini e donne del sommo Boccaccio, puoi allora capire quello che dice san Paolo ai Corinzi, e a noi tutti che danziamo prede della grande ragnatela dell’arte: “Quello che è folle per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti”.

Fouquet

Il poeta fa sua la follia dei santi o è l’uomo che cerca solo una scusa per i suoi crimini? Ti sei convertito sulla via di Damasco o in qualche trivio di Parigi? E qual è la prospettiva giusta che unisce queste due maschere? Io l’ho imparata in Italia, da Beato Angelico. Geometria. E matematica dell’anima. 1+1 deve risultare 1. Che singolarità sei tu, che dormi, sogni e mi compari di punto in bianco qui a corte, come un’epifania da un tendaggio spalancato, come amano farsi ritrarre i sovrani? Allora, monarca solo dei tuoi sogni, cosa vuoi che ti dipinga dei re: i crimini o la loro capacità di guarire le scrofole?

Coro dei cortigiani

Fate passare i malati di scrofole! Fate passare solo i malati che vuole il re!

Villon

Io vorrei un ritratto senza denti, dopo che me li hanno strappati uno a uno come alla tua santa Apollonia, mentre sorrido a bocca chiusa di fronte agli orrori della mia epoca, finalmente innocente. Perché io ho pagato le mie colpe invece loro - tu i nomi li sai perché li hai ritratti - nascondono dietro labbra serrate, impassibili, i denti cariati e sporchi con cui rimasticano le loro vittime.

Fouquet

François, sei proprio un illuso. Sei a corte e pensi di essere ancora nel tuo letto. Io sono il pittore del re, e se vuole dipingo anche la sua amante morta nei panni della Madonna. Diciamo che cerco di vedere il lato migliore in quest’epoca triste, perché abbiamo uno straccio di pace, come quello che uso per cancellare una sbavatura, pulire sommariamente le mani. Almeno la Guerra dei Cent’Anni è finita, questi despoti imparentati incestuosamente fra  loro non giocano più ai grandi massacri. Solo piccoli crimini, quelli abituali. Quelli per il mio straccio.

Villon

La pietra, quella fatale che il tuo santo Stefano regge in equilibrio perfetto sul libro sacro, gioiello dalle tante facce che risplendono taglienti, dimmi: Etienne Chevalier, tesoriere dei nostri re, ha trafugato anche quella dal tesoro dei nostri sovrani?

Coro dei cortigiani

Il pittore, il pittore di corte ora deve pensare solo alle miniature.

Fouquet

Li senti? Se non comprendi, che razza di poeta sei? Ti sembra che i cortigiani abbiano sempre voglia di recitare pregando se il sangue cola dalla testa di un santo e rischia di sporcargli l’abito della festa? Mica vestono tutti i giorni il rosso dei cherubini. Parla del passato piuttosto, meglio se remoto, stendi i tuoi colori per il presente e lascia il disegno d’insieme per il futuro, se capirà, se avrà tempo di capire.

Villon

“Fugit irreparabile tempus”: questo è Virgilio, me l’hanno insegnato a scuola. La scusa principe per cui è sempre emergenza, mai tempo di riflettere, solo di agire. E chi pensa non lo permette, quindi va eliminato. Ho cercato anch’io di seguire l’esempio, nel mio piccolo, uccidendo, rubando, e in grande non me l’hanno perdonato. Tranne quando stavo per essere impiccato e un figlio che aspettava solo crepasse il padre è diventato re e mi ha graziato. Quando si dice il culo, che mi ha salvato, non ha pesato sul corpo lasciato libero di ballare nel vuoto con una corda al collo. Di questo gioco fra legge fisica e morale ho scritto anche in una quartina.

Coro dei cortigiani

Luigi XI concede la grazia ai poeti, purché facciano perdere in silenzio le loro tracce lasciando spazio alla sua prosa.

Fouquet

Ascoltali bene ancora, poeta: giocano se stessi come pedine su una scacchiera, non sono stupidi. Devi contemplare l’essenza vegetativa di questa specie di esseri umani: non è il saggio splendore delle piante - queste s’innalzano verso il cielo - ma la bassa furbizia di chi cerca di affondare radici taglienti, come la mia pietra, nel timore quotidiano che l’avvento di qualcuno li possa sradicare o quanto meno, di norma, potare uno di quei loro rami troppo carichi di spine. Lo sanno, meglio, lo sentono come animali da caccia che siamo creature in esilio, su una tavola, su una tela, su una pagina bianca.

Villon

Io vorrei fuggire nelle Fiandre. Ma ci sono poeti? O è meglio di no? E i duchi di Borgogna? Dove mi conducono? L’Italia, l’Italia, dove forse sono già stato, a cercare un’altra prospettiva, se non come poeta almeno come semplice essere umano, uno che vuole solo vivere tra qualcosa di bello. E magari, confidando per l’ultima volta nella metrica dei tempi, tornare un giorno a Parigi, come te a corte, ma all’osteria “La mula”, finalmente sterile, a raccontare semplicemente cosa c’è fuori. Senza più scrivere, per carità, senza vergare pergamene di agnello sgozzato.

Coro dei cortigiani

Il nostro nemico è la Borgogna: accettiamo qualsiasi delinquente tra le nostre fila pur di farla a pezzi.

Fouquet

Uomo, poeta, artista, perenne ubriaco, cattivo soldato, svegliati, tanto a Parigi non tornerai. Di te, François - non parlo di Villon -  se ancora una volta non vorrai avere le mani sporche di sangue, dovrà perdersi ogni traccia. Le impronte del mio cammino io le tengo serrate come un gregge in uno stazzo, nel passato. Nelle Fiandre Van Eyck, Claus Sluter in Borgogna, Beato Angelico in Italia: tutte sezioni di un’unica prospettiva qui e ora, nei mei occhi. Ma il punto di fuga lo tengo ben stretto, in segreto.

Claus Sluter, Pozzo dei profeti, Certosa di Champmol, Digione, in https://lucatraini.blogspot.com/2018/01/non-solo-machiavelli-e-guicciardini-le.html

Villon

Parole sante, per chi non è mai finito in galera. Io dormo, ma il mio cuore veglia, e domani dovrò uscire dalle porte di Parigi bandito per dieci anni, come una bestia braccata. In exitu Israel de Aegypto cantavano gli antichi. E non c’è nuova polifonia che possa salvarmi.

Coro dei cortigiani

Silenzio! Silenzio! Il re vuole ascoltare in pace la Messa in qualsiasi modo del signor Johannes Ockeghem!

Villon

Un altro Giovanni, come te. E io in esilio nel deserto come il santo, come il popolo d’Israele.

Fouquet

Voce che griderai per l’ultima volta nel deserto affollato delle strade di Parigi, alla fine del sogno voglio rivelarti un’ultima cosa. Un progetto che mi è stato commissionato dal più ambizioso dei vassalli del re, Giacomo d’Armagnac: illustrare le Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio. Bella scommessa per me, singolare scelta la sua. Un messaggio segreto ai borgognoni, agli inglesi? Come Giuseppe tradì i suoi per diventare Flavio, forse lui tradirà il re? Ma che razza di diavolo si può celare nell’arte? Quanto splendore devo aggiungere per evitare l’ombra?

Coro dei cortigiani

Ricordate, sudditi, ricordate: Giobbe pazientò quant’era giusto accasciato nella sua montagnola di merda, ma il re, con la stessa grazia divina, preferirà sempre il trono più elegante. Confitemur: giorno verrà che anche d’Armagnac finirà decapitato e diseredato. Parola del nostro signore, Luigi.

Villon

Ora sì che li sento, grande miniatore: tutti felici se avranno più spazio per sgomitare. E tu che farai? Illustrerai soltanto i soliti Davide e Salomone? Il tomo di quel grande traditore è più grande di una forma di formaggio ma, attento, il suo sapore è amaro. Quando l’antica monarchia si spacca in due come te la caverai con i grandi re del regno d’Israele, uno più peccatore degli altri? Sceglierai solo quelli che si salvano del piccolo regno di Giuda? Basta una semplice pestilenza a fare la storia e gli Assiri fanno a pezzi la torta più grande mentre ci restano secchi quando cercano di azzannare un  boccone più piccolo.

Fouquet

Fare e disfare. Nel mio piccolo farò quanto in grande hanno disegnato e disegnano i re della dolce Francia, scampati a un pesce più piccolo, ma famelico, come il regno inglese. E poiché loro dicono di discendere dai troiani come i romani, io prenderò di mira solo i romani perdenti come Pompeo, anche se cari al nostro Petrarca, a Boccaccio e alla nostalgia degli Italiani che ho visitato, così fieri delle loro piccole, fragili paci. Celando ancora una volta le mie inquietudini. Come l’autoritratto che ho voluto dai contorni dorati mentre emerge dal nero, cosciente di quanto sia apparente, oscuro. Fissalo bene: ho dipinto volto, abito, cappello e nome in oro sfidando la tenebra.

Coro dei cortigiani

Autorità! Autorità di Parigi, cosa aspettate a svegliare quest’uomo che dorme e si diceva poeta?

Villon

Un poeta è sempre sveglio, signori, specie se sogna. Villon è sempre stato sveglio. E tu? Tu, François?


Pace fatta con Parigi?

Commento musicale Josquin DesprezQui habitat


L'uomo François Villon, prima ancora che il poeta, dopo tante traversìe, volle fare pace con la sua città, Parigi.

VILLON
Ci siamo lasciati così male, mia città. Ora invece te lo dico col cuore e in bel latino: “Ave atque vale”, “Addio e stammi bene, curati”.  E tu non dici niente? Devo fingere una brezza per credere che tu mi accarezzi?
Così sia, Parigi Lutezia nata dal fango, come è scritto nel Libro che sia stato per l’uomo: abbiamo ancora bisogno di carezze, come i bambini, come i cani.
Eh sì, che mi hai grattato via come la rogna. Come un cane rognoso mi hai sbattuto fuori di casa.

E poi io - io – sono guarito perché mi è apparsa la Poesia. Veniva dalla taverna del “Cavallo bianco” a quella de “L’asino a strisce”, dove dormivo ubriaco fradicio. Mi diede una tale sberla con quelle candide manine, che ancora mi sembra di sentire un giglio rovente sulla guancia destra.
Strabuzzo gli occhi e ti vedo un viso così dolce - la Bellezza, quella vera, lo sai, ferisce – “Tu dormi” scandì sorridente “ma io, il tuo cuore, veglio”.

Fu allora che Dama Memoria venne dall’osteria “La mula”. Fissai anche lei un po’ demente, anche lei ridente. Che pure mi mollò un ceffone. Lo stesso bruciore sulla guancia sinistra. E la stessa allegria in quest’altra donna alle parole: “Ho reciso il filo della tua vita passata, come una tessitrice”.
E tutt’e due insieme, a me ardente, finalmente sveglio e sorridente: “Godi, figlio nostro, nella tua nuova adolescenza!”.

E svanirono. E mi svegliai di nuovo. Sono sveglio, attento, mi guardo tutt’attorno - dove sono? – in cerca di un po’ di vento.
Parigi, tu lo sai, si dice che il lupo vive di vento. E io lo attendo, per avere in cambio la tua carezza: alita dal tuo fango un po’ di rezzo!


Nota I nomi delle taverne tratti dalla XII strofa del “Lascito”; “Io dormo, ma il mio cuore veglia”, qui rivisitato come gli altri brani biblici, è da Isaia; Dama Memoria è la personificazione del trattato citato nella strofa XXXVI del “Lascito”; “Hai reciso il filo della mia vita come un tessitore” è preso da Giobbe e già citato nel “Testamento” alla XXVIII strofa come “Godi, figlio mio, nella tua adolescenza”, tratto dall’Ecclesiaste, nella XXVII; il detto popolare “Il lupo vive di vento” è nella strofa II del “Lascito”.


Arazzi politici, danze selvagge, re folli

Commento musicale Pierre de La Rue, Autant en emporte le vent 

“Negli Arazzi di Alessandro Magno,seguendo l’interpretazione di Aby Warburg, vediamo ritratti nei panni di immaginari soldati macedoni il duca di Borgogna Carlo il Temerario e il suo esercito. La lotta contro gli ‘uomini selvaggi’, aggiungo io, è quella contro i francesi, rappresentati alla luce del Ballo degli Ardenti narrato da Jean Froissart. Nel 1393, infatti,quattro danzatori vestiti da ‘sauvages’ che si esibivano col re Carlo VI (che già mostrava segni di squilibrio mentale) erano finiti bruciati vivi nell’incendio provocato da una torcia portata dal fratello del re, Luigi d’Orléans”.

Così raccontavo nel mio corso Alessandro Magno e la sua leggenda (1996). Un arazzo in apparenza esotico, ma concretamente politico. Una danza per esorcizzare aspetti “selvaggi” e “demoniaci” mentre la “civiltà” era in preda alla follia non solo del re, ma delle atrocità della Guerra dei Cento Anni.

Raffinatezza e ferocia che mi avevano già attratto e disgustato nel '92, quando avevo scritto e rappresentato parte del mio dramma: 

VILLON

Tutta questa raffinata nostalgia

Trasudava di vernice fresca.

Dopo i tornei, i balli e i canti

Sarebbe venuta la macelleria.

Poi la noia,

La muffa

E ancora la nostalgia


Luca Traini

venerdì 20 dicembre 2019

RESURREZIONE E MORTE DI JEAN-ANTOINE WATTEAU (1989)

Presentato su Rai2 nel 1997 fr.wikipedia.org/wiki/Antoine_Watteau 

"Luca Traini ha creato una combinazione davvero curiosa e molto suggestiva: ha messo insieme il teatro e la pittura.

Ha dato la parola ai ritratti di gente sepolta da secoli e li ha fatti dialogare con i pittori che li hanno dipinti

o con altri personaggi dei quadri usando uno stile lirico e rarefatto, delicatissimo"

Dacia Maraini, Amata scrittura, Rizzoli, Milano, 2000

Prima di lavorare come curatore d’arte ho scritto diversi drammi su artisti a me cari. Quello che propongo è stato composto nel dicembre del 1989, recitato a teatro l’anno successivo e trasposto in mediometraggio nel ‘96. Nel 1997, ospite del programma RAI Io scrivo, tu scrivi presentato da Dacia Maraini, ho letto parti dell’opera alternandole alla messa in onda di spezzoni del video.

La stessa Maraini ha riassunto il suo giudizio nel capitolo che mi ha dedicato in Amata scrittura, (Rizzoli, 2000): “Luca Traini ha creato una combinazione davvero curiosa e molto suggestiva: ha messo insieme il teatro e la pittura. Ha dato la parola ai ritratti di gente sepolta da secoli e li ha fatti dialogare con i pittori che li hanno dipinti o con altri personaggi dei quadri usando uno stile lirico e rarefatto, delicatissimo”.

La particolare originalità del testo consiste nel fatto che l’azione drammatica vede il protagonista dialogare post mortem direttamente con i suoi quadri (a teatro mi rivolgevo alla proiezione delle opere per intero e in dettaglio con lo voci fuoriscena dei personaggi dipinti).

Il senso della rappresentazione consiste nel richiamare l’irrevocabile, tragico distacco fra la vita dell’artista e quella delle sue opere: la prima destinata alla morte, la seconda all’immortalità congelata delle persone in carne e ossa che hanno fatto da modello. Contesto, il raffinato labirinto di maschere in cui la Francia della Régence (1715-1723) cercò nei quadri di Watteau (1684-1721) un’eternità tutta umana, cosciente della propria fragilità, di quel gioco di contraddizioni tanto lontano dalla precedente “gloire” del Re Sole quanto
dalle future certezze dei Lumi, ma così attuale.

Il dialogo sospeso fra un pittore scomparso e i suoi quadri consegnati alla vita degli altri, alla Storia, è figlio dello spirito di quei tempi, ma anche di una condizione esistenziale più ampia: il rapporto fra essere umano e  cose che dice sue e altri poi chiamano “arte”. Domande senza risposte. Realtà sognanti. Ognuno dei 16 di cui si compone l’opera viene alla luce con l’inizio di un brano musicale dell’epoca.


Prologo

Appare "Antoine Pater".


In lontananza: 
 Tombeau pour Mr. de Lully di Marin Marais.



Antoine Pater

Signor Jean Antoine Watteau

A nome mio e di questo gelido volto di pietra su cui poso la mano

A nome di questi occhi certo non miei ma vostri

A nome di questa lunga parrucca bionda

Voi che tanto avete amato la maschera

A nome di questi bottoni che voi

E voi soltanto

Avete impedito di pagare quale obolo a Caronte

A nome di questa tenebra che la vostra mano ha reso così dolce

A nome mio e di questa luce non più mia né vostra

Addio

Vostro Antoine Pater

Che vi destò un certo interesse a trent’anni

E di cinque vi precede nella tomba


Silenzio.

“Antoine Pater” svanisce.


Quadro 1/15

Luce. Sulla destra della scena Watteau, pallido e sudato. Veste una camicia slacciata che pende da un paio di calzoni a mezza gamba. Accanto a lui una sedia nera - o di paglia - sulla quale di tanto in tanto si riposerà.

Watteau

Io sono Jean Antoine Watteau

Morto di tubercolosi il 18 luglio 1721

Battezzato il 10 ottobre 1684

Anche se non ricordo con esattezza

Il giorno in cui sono nato

Uno degli artisti più amati del mio tempo

Ma

Con estrema fatica

E dolore

Faccio ritorno alla vita


Appare "Gilles".












Gilles
Come sei triste Gilles
Gli ultimi giorni a Parigi
Prima di fuggire
Li abbiamo passati insieme
In un buio scantinato

L’uomo a cavallo dell’asino
Niente paura creatore
Facciamo noi la guardia al suo Gilles

Watteau
Gilles mi sei venuto alla luce
Che quasi ero cieco

L’uomo vestito di rosso
Strana bestia l’asino
Occhi nobili di pietà
Intelligenti

La donna
Povera piccola bestia
Non scalciarmi
Non scalciarmi

Watteau
Guarda l’uomo col cappello a cresta che ho dipinto dietro di te
Pieno di stupore
Ma tu Gilles
Sei così lontano

L’uomo a cavallo dell’asino
Non ride
Non piange
Forse attende una carezza dagli alberi
Ma vedete
Vedete le fronde sono ancora lontane

Watteau
Non ride e non piange
Forse una foglia un fiore
Che non ho dipinto

L’uomo a cavallo dell’asino
Guardate il mio asinello
Anche gli animali piangono sapete?
Ma l’occhio resta lucido
Come quello di un pittore

Watteau
La maschera resta sospesa e non piange
Le mani disegnano mani con la sanguigna
I disegni restano segni senza colore

Chiudi
Chiudi quegli occhi ragazza

Il quadro è finito


"Gilles" svanisce.


Quadro 2/15

Appare "Il contratto nuziale in campagna".

Crescendo musicale del Primo Movimento della Suonata No.2 per Violino di Élisabeth-Claude Jacquet de La Guerre



Curato

Facendo silenzio Allora benedetti signori

Questo contratto di matrimonio

Lo vogliamo firmare?


L’uomo con la parrucca bianca

Signor curato

Qui ognuno pensa ormai alla festa

L’unione è benedetta da Dio e da questa bella giornata

Fate ballare questa benedetta penna


Fidanzato

Che hai mia cara?


Fidanzata

Il signor curato ancora non ha messo la firma

Sulla testa mi pesa

La corona di fiori


Riprende la musica con la Suite No.3 in A minor di Élisabeth-Claude Jacquet de La Guerre.

"Il contratto nuziale in campagna" svanisce.


Quadro 3/15

Appare "Arlecchino galante". Stormire di fronde.

In lontananza: Jean-Féry RebelTombeau de Monsieur de Lully



Arlecchino

Rivolto alla donna dipinta alla sua destra. Non copritevi il seno

 

La donna sbigottita

Oh Arlecchino

Il volto la maschera

Scompare nell’ombra

Sembrate un corpo senza testa

 

Arlecchino

Avete la mano sul cuore

 

Erma solitario

Dipinto in mezzo alle fronde, sopra i due.

Con voce lieta. Sono di marmo

Con voce triste. Sono di pietra

 

L’uomo seduto col cappello rosso

Rivolto alla ragazza seduta con un libro aperto in mano.  E’ un gioco signorina

 

La ragazza seduta

Sono pagine bianche signore

 

L’uomo seduto col cappello rosso

Non scherzate

E’ un libro aperto

 

La ragazza seduta

Vi sbagliate

Sono solo pagine bianche

 

L’uomo seduto col cappello rosso

Non sono pagine aperte a caso

Sono poesie d’amore

 

La ragazza seduta

Continuate a voler credere

In qualcosa che non c’è

Sono solo pagine bianche

 

L’uomo in piedi appoggiato all’albero

Sono triste

Sono affranto

Non ho più voglia di vivere

 

Arlecchino

Sempre rivolto alla donna di prima. Signora sentite

Quant’è fredda la pietra

E quale calore emana il mio corpo.


"Arlecchino galante" svanisce.


Quadro 5/15

Appare "Un passo falso"



Watteau 
Rivolto all’amante dipinto mentre tenta goffamente di baciare una ragazza che lo respinge.
Un passo falso
Un passo falso
Non dovevi
Non dovevi
Giura di non farlo mai più

L’amante ridicolo
Vi amo
Datemi un bacio

La ragazza del rifiuto
Con disprezzo.
Siete ridicolo

La mano sinistra della ragazza del rifiuto
Prenderò la terra
Gliela sbatterò sul muso
Così non mi vedrà
Diverrò brutta come una strega

L’amante ridicolo
La vostra pallida carne...

La mano sinistra della ragazza del rifiuto
Un pugno di terra
Questo bacerai

La mano sinistra dell’amante ridicolo - Voglio stringerti
Voglio toccare
Mi scappi
Mi eviti

Luce.

Watteau - Stupido amante
Troppo abbronzato
Troppi giorni a piena luce per il corpo di lei
Fossi rimasto nell’ombra 

Il quadro svanisce

Nessuna pietà
Nessuna via di scampo 


Quadro 6/15

Appare "La famiglia di Mezzettino"


















Mezzettino
Rivolto a Watteau, cantando.
Avanti creatore
Non siate così triste
La vita è bella
Ora c’è luna ora c’è sole

Watteau
Io sono morto

La moglie di Mezzettino
Rivolta a Watteau.
Come siete triste signore
Il canto del mio candido marito non v’allieta?

Il seduttore
Tiene la testa appoggiata alla spalla destra di Mezzettino e si rivolge alla figlia di questi che stringe un cagnolino.
Dai
Se il tuo bel pittore è morto
Io sono ben vivo
Non fare gli occhi tristi
E sorridi
Come faccio io

Watteau
Sorridi ragazzina
Sorridigli non mi fai un dispiacere
E’ un giovane di belle speranze
Dalle labbra rosse

Mezzettino
Antoine Antoine
Se hai messo una rosa fra i neri capelli di mia figlia
Non deve appassire
Se pena le stringe il cuore
Quasi lo soffoca il cagnolino
E se stringesse l’amante invece
Mi darebbe nidiate di figli

Watteau
In un improvviso scatto di collera.
Crescete e riproducetevi!

Breve pausa. Si riprende. Cupo.
Falso
Falso

La figlia di Mezzettino
Poca allegria signor Watteau
Vi amo
E son morta come voi su questa tela
E non piango per amore
O la vostra cara morte
Perché tutti ci avete condannato
Noi tutte larve impastate di colore
Che mai la vita la vostra
Vissuta per quasi quarant’anni
Abbiamo assaporato
Neppure privati di essa
Fantasmi
Fantasmi condannati a perpetua
Splendida
Morte

Il seduttore
Quante sciocchezze sciocchina
Solo per darvi un tono
Se il creatore è morto peggio per lui
Io sono ben vivo

Mezzettino
Adirato con quest’ultimo.
Non è vero seduttore da quattro soldi!

Vedete signor Watteau
Di questo ci si può disperare
Che nessuna pietà
Nessuna
Può giungere a chi è morto
Da chi mai nato
E’ nato morto
Vedete anche voi
Non è un gioco di parole
La sinistra è pronta Si riferisce alla posizione delle sue mani sulle chitarra.
Ma la destra è sul punto di suonare
E non lo farà mai


Watteau
Abbattuto, rivolto al ragazzo vestito di rosso alla sinistra di Mezzettino.
E tu
Non dici nulla?

Il ragazzo vestito di rosso
Che posso dirvi?
Con un sorriso vi compiango
Perché tornaste da morto
A essere più triste che in vita

Watteau
E’ vero
E’ colpa mia

Mezzettino
Tornando a cantare.
Forse di nessuno è la colpa
Ma la vita
Così bella
Ora c’è luna
Ora c’è sole

Ora c’è luna

Ora c’è sole


“La famiglia di Mezzettino” svanisce.


Quadro 7/15

Appare “L’imbarco per Citera”.

Esistendo due opere con questo titolo si è qui prescelta la versione presente al Louvre.


















Watteau

(in uno scatto di entusiasmo) Partiamo

(si placa subito) Esitanti amor mio

Preghiamoci l’un l’altro

Su alzati

E’ tempo di partire

 

Il Fanciullo

(tirando per la gonna l’amata)

Svelta signorina

Che è tempo di morire

 

Amante

(che l’aiuta a rialzarsi)

Non è vero amor mio

Là ci ameremo per sempre

 

Il Fanciullo

Svelta signorina

Che dovete morire

 

Amante

Il vascello vi assicuro

E’ rivestito di un drappo rosso come l’amore

 

Coro dei Cupidi

Nudi e immortali

Vestiti a festa

Morti

 

Erma con rose e frecce

Gelo

 

Watteau

Rose

 

Erma con rose e frecce

Gelo

 

Watteau

Faretra e frecce

 

Erma con rose e frecce

 Gelo

 

Watteau e l’amante in ginocchio

Destiamoci amor mio

Che è tempo di morire

 

Watteau - Un sogno

E’ tutto un sogno

 

Il battelliere

Agli amanti, con solennità.

Partite per amarvi e morire?

 

Coro degli amanti

 

Coro dei cupidi

Nudi e immortali

Vestiti a festa

Morti

 


“L’imbarco per Citera” svanisce.


Quadro 9/15


Appare "L'indifferente"

In lontananza: François Couperin, Les barricades mysterieuses

 


Watteau

 Porti una rosa sul cappello

Una rosa per ogni scarpa

E nella destra che tieni?

Certo un esile invisibile fiore

Ma la sinistra?

Un semplice atto

Non ho più fiori per la tua sinistra

 

Indifferente

Oblio Antoine

Nulla m’interessa

A tutto sono indifferente

Alla tua morte resto indifferente

 

Watteau

Ti ho creato morto ragazzo

 

Albero (dipinto alle spalle dell’indifferente)

Questo giovane cilestrino

Neppure mi degna di uno sguardo

 

Watteau

Lo so

Lo so

 

Albero

Sembra accennare un passo di danza creatore

 

Watteau

La natura e il cielo sono evanescenti

 

Indifferente

Tutto mi è indifferente

 

Watteau

Il colletto ti soffoca

 

Indifferente

Ti sbagli creatore

Io misuro la nostra distanza

E’ un filo esile invisibile

Ecco si sta già spezzando

 

Watteau

Ho slacciato la camicia

Mi sentivo soffocare

 

Indifferente

Antoine Antoine

Tu sei morto

 

La musica si spegne, “L’indifferente” svanisce.



Quadro 12/15

Appare "La Finette"



Watteau

Ricordo un ballo

Noi e la "Chaconne" del signor De Visée

Automi impalpabili

Un quadro danzante per la vostra tiorba, signora

 

Per alcuni secondi si avverte in lontananza l'eco dei primi accordi della musica, sempre più evanescenti, fino a scomparire.

 

(cercando di vincere il silenzio) Ti vesto dell’abito più bello

Ma il prezzo per vincere l’oblio lo conosci anche tu


La Finette

Antoine

Antoine

Ascolta

 

“J’avois juré de n’aymer plus"



"La Finette" svanisce.

[...]


Luca Traini