domenica 10 gennaio 2021

MICHELE MARULLO E "ASSASSIN'S CREED"


Un videogioco per la grande poesia dell'Umanesimo



Un poeta greco vissuto in Italia che ha scritto in latino. A scuola non era in programma, però riuscivo a dedicargli qualche ora quando insegnavo prima di affrontare Foscolo. Le analogie sono forti: la Grecia, l'esilio, il compianto per un fratello dallo stesso nome, Giovanni (“Per tela, per hostes… Venio tristis... Teque peregrina, frater, tellure iacentem”, “Attraversando armi e nemici… Giungo triste... A te, fratello, che giaci in terra straniera”, Epigrammata XXII, De morte Iani fratris). E l’esperienza militare: soldato di ventura il primo, combattente di più alti ideali democratici il secondo.
Eccolo Marullo in alto a sinistra nel ritratto di Botticelli (neppure la recente asta di Frieze è riuscita a piazzarlo), dove l’ho messo in controcanto con la Giovane ignota di Lorenzo di Credi, immaginando fosse la sua sposa, Alessandra Scala, tanto bella quanto raffinata poetessa italiana di versi greci e attrice di drammi classici dalla pronuncia attica perfetta, adorata dal Poliziano. Sempre di Lorenzo di Credi, pittore da riscoprire, la Caterina Sforza al centro, anche lei donna affascinante e tenace.
Ma torniamo al gioco di complesse eredità del poeta. Nato proprio l’anno del crollo della sua Costantinopoli - forse nei mesi degli ultimi, disperati scontri - sognò sempre il ritorno in patria e seguì col suo  consueto entusiasmo i sogni (vani) di crociata del re di Francia Carlo VIII. E, da coraggioso protagonista di battaglie già perse in partenza, si schierò con Caterina Sforza nell’eroica, disperata difesa della Rocca di Ravaldino a Forlì contro le truppe del papa - e, ironia della Storia, di un altro re francese - guidate da Cesare Borgia, a cavallo fra XV e XVI secolo. Finì, come spesso nel tanto sublime Rinascimento, in una macelleria da cui si salvò a stento. Salvo annegare pochi mesi dopo in uno sfortunato tentativo di guado di un fiumiciattolo come il Cecina (11 aprile 1500). Si dice che morendo avesse con se una copia del suo amato Lucrezio: “È naturale che tutto perisca…/ Così anche le mura del grande mondo/ Cadranno infine espugnate in rovina” (De rerum natura, II, 1144-5). Simbolo malinconico della fine di un’epoca, nata con grandi sogni e sopraffatta dalle artiglierie come dai rigagnoli. Il futuro, il nostro presente avrebbe reso giustizia.
Tutte cose che vent'anni fa dovevo spiegare di fretta e solo coi miei amati libri (di testo e non), quando il multimediale si riduceva a qualche documentario se non al film con Virna Lisi del ’59 (non proprio un capolavoro, inadatto per giovani di quarant’anni dopo). Insomma, per entusiasmare i ragazzi non avevo ancora a disposizione un videogame come Assassin’s Creed, che nel suo secondo episodio vede proprio il protagonista Ezio Auditore, combattente e letterato come il Tarcaniota, intervenire in aiuto di Caterina nientemeno che con un Niccolò Machiavelli armato di tutto punto. Bello vedere anche in questa nuova arte protagonisti classici che, seppure trattati con quella certa libertà permessa ai nuovi media espressivi, in questa nuova veste possono comunque interessare tutti ed essere un ottimo, divertente e sentito apprendistato per chi vorrà approfondire il discorso. Ogni tanto bisogna togliere la muffa dai testi storici. Io ci sono arrivato coi fumetti. Oggi la stessa cosa si può fare partendo dai videogiochi. L’ha fatto Ubisoft, multinazionale franco-canadese, anche perché in Italia le catene della tradizione, meglio, del tradizionalismo, sono dure a essere spezzate. Pensiamo solo al povero Manzoni, poeta d’avanguardia e innovatore della forma romanzata, quanto e per quanto è stato ridotto a mummia! E invece la saga Assassin’s Creed ha vinto la scommessa di ambientare il suo gioco nella storia meno conosciuta e quasi sempre in siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO: davvero una bella lezione.
Ma torniamo a Marullo che, contrariamente al suo grande rivale Poliziano, non è uno dei personaggi del videogame. Però quanto gli somiglia Ezio Auditore! Li avevo già collegati con questi versi quando curai, con Debora Ferrari,  Assassin’s Creed Art (R)Evolution al Museo di Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano nel 2012, la prima grande mostra sull’arte di questo classico dei videogiochi:
“Non ego tela, non ego enses,/ Non incendia pestilentiasve,/ Non minas vereor ferociorum,/ Non hymbres, mare, turbines, procellas,/ Non quaecumque aliis solent nocere,/Quae cuncta unius aestimamus assis”.
“Io non ho paura di frecce o di spade,/ Non temo le pestilenze o gli incendi,/ Né le minacce di gente feroce,/ Né piogge, mare, turbini, procelle,/ Né quanto di solito nuoce ad altri:/ Tutte queste cose non stimo un soldo” (Ad Accio Sincero vv.1-6).
Ecco quindi l’Auditore in ascolto di una Caterina Sforza nelle vesti di eroica condottiera in sella al suo destriero. Sembrano due innamorati. Tornano inevitabilmente alla memoria gli splendidi versi che il Tarcaniota aveva dedicato a Neera: “Suaviolum invitae rapio dum, casta Neera,/ Imprudens vestris liqui animam in labiis…/ Misi cor quaesitum animam; sed cor quoque blandis/ Captus oculis nunquam deinde mihi rediit”.
“Mentra ti strappavo a forza un bacio, o casta Neera,/ Ho dimenticato l’anima sulle tue labbra…/ Mandai il mio cuore in cerca dell’anima: ma anche il cuore,/ Preso dal tuo dolce sguardo, da allora non è più tornato da me” (Epigrammata IV).
Il loro screenshot fra la mia amata edizione Ricciardi-Einaudi (curata dall’Arnaldi e dalla Gualdo Rosa) e un incunabolo, fresco gioiello della tecnologia dell'epoca, col suo ultimo ritratto  (ed ero tentato di inserire al suo posto la prima mitica edizione curata da Benedetto Croce).
Deus ex machina e quindi obbligatorio lieto fine, almeno nella finzione, nella poesia, con l’epigramma a un altro greco umanista latino, Manilio Rallo:
“Sat mala laeti quoque sorte, caelum hoc/ Hausimus olim./ Profer huc cadum, puer Hylle, trimum,/ Cedat ut moeror procul et dolores:/ Tota nimirum Genio mihique/ Fulserit haec lux”.
“Felici quanto basta anche in disgrazia,/ Respirammo l’aria di questo cielo./ Illo, ragazzo, il vino di tre anni/ Tira fuori ché fuggano lontano/ tristezza e malinconia: a me e al mio Genio/ rifulga tutta la luce del giorno”.
Prosit!

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