La musica di Hugo van der Goes
Hugo van der Goes, Edward Boncle in adorazione della Trinità (part.), 1480 c.a
Parlerò di come ho immaginato la
musica di un pittore che amo, curato col canto da quanto agli altri parve follia.
Emile Wauters, La follia di Hugo van der Goes, 1872
Ho sempre sfogliato con tenerezza
il volume dei Maestri del Colore dedicato ad Hugo van der Goes, perché la biografia in bianco e nero riportava
solo qualche notizia strappata al silenzio prima dei suoi accessi di malinconia
feroce. Restava segnata qualche traccia del successo di un artista inquieto -
dovevi investire nel tessile, fiammingo, e sei rimasto prigioniero della trama
di una tela: non avevi neanche trent’anni e, nel 1468, figuravi già tra i
migliori salari per le decorazioni delle nozze fra Carlo il Temerario e
Margherita di York. Decano della gilda dei pittori di Gent nel 1474, confermato
nell’incarico fino al 15 agosto del 1476, ma, già nell’autunno del ’75, frate
converso nel convento degli agostiniani presso Bruxelles: lo studio innamorato
del nudo del Peccato originale diventava la slavina umana alle falde
della montagna nuda del Compianto di Cristo.
I profeti aprono lo
scenario della sacra rappresentazione dell’Adorazione dei pastori e poi quella profusione di ori
nell’Adorazione dei Magi, figlia delle ricchezze – e dell’arte – dei mercanti
fiorentini. Il priore del convento, padre Thomas, chiude un occhio ma tu sei
ossessionato dall’Antico Testamento, dal Vitello d’oro cui hanno consacrato la
loro vita gli agenti commerciali dei Medici, come Tommaso Portinari.
E il
Trittico Portinari è il tuo capolavoro e, contraddizione dell’Arte che
pretende la consunzione, forse lo termini in convento. Ora è il momento della
musica.
Gilles Binchois, Amoreux suy per il ritratto della giovane
figlia del committente, Margherita, fulgida bellezza bionda accanto alla madre
diafana.
De plus en plus la santa omonima col libro e il dragone e
la Maddalena, gli unguenti che non guariranno.
La natura viva di fiori – gigli rossi e aquilegia, iris bianchi e garofani che alludono a tragedia e
immortalità – e il covone di frumento che è eucaristia, “Betlemme”,
letteralmente “Casa del pane”, per te amaro. Eppure convitati e angeli sembrano
cantare la Missa Ecce ancilla Domini di Dufay, diretta dal mio René Clemecic,
dall’”antico” Clemencic Consort sulla quinta traccia dell’ LP e del CD, quel
maestoso finale del Kyrie.
Poi, Hugo, ci dovrà essere quell’impassibile
Ritratto di donatore con S. Giovanni Battista o La morte della Vergine mentre il tuo
priore dispone il coro per cercare di rasserenarti, inventando la musicoterapia.
Ma il pane non può essere spezzato su una tavolozza di colori. Alle mani giunte
in preghiera deve essere strappato il pennello. La stessa cosa accade a
Botticelli più o meno negli stessi anni.
Hugo van der Goes, dopo il 1479
Tu, come scrive il tuo compagno
di noviziato Gaspard Ofhuys, vinci l’autodistruzione e la condanna di Dio ed
esci dalla “frenesis magna” per morire, come si dice, “sano di mente”. Forse
volevi diventare anche musicista ma non ne avesti il tempo. Il genio vuole
provare tutto prima che sia troppo tardi. Ed io, insano per la tua bellezza, a
più di mezzo secolo, non posso fare a meno di dedicarti il Planctus o la
Déploration di Ockeghem sulla morte di Binchois.
“Omnia vincit amor”.
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