Nel recupero dei testi dei miei Teatri di guerra è la volta del capitolo dedicato al lato oscuro del Futurismo italiano (in specie l’esecrabile slogan “Guerra sola igiene del mondo”), uno dei primi che ho scritto, sviluppo di quanto avevo pubblicato sull’argomento nel catalogo della mostra 12 progetti per la città alla Triennale di Milano (1995). Le prime due scene hanno per titolo un brandello di poesia di Filippo Tommaso Marinetti, la terza una definizione di Umberto Boccioni. Nei fogli ritrovati l’episodio precede quello dedicato a Erwin Piscator alla New School di New York.
1. “Alto uccelli cinguettano beatitudine ombrie”
L’architetto Antonio Sant’Elia e il pittore Umberto Boccioni in abiti civili e in piedi accanto ai rispettivi cadaveri in abito militare. Parleranno solo le loro voci fuoriscena, come fossero quelle dei morti. Davanti a loro un becchino armato di pala.
Becchino
Un discorso sul Futurismo italiano non può evitare i toni
cupi. Il nitore ingannevole dei progetti di Sant’Elia, l’iconoclastia gioiosa -
a parole - di Boccioni furono spazzati via dalla messe futurista di proiettili
dell’industria pesante.
Signori, io devo seppellire i vostri cadaveri.
Voce di Boccioni
Forma inquieta… forma irrequieta come la cavalla da cui sei caduto, davanti a un bellissimo autocarro.
Voce di Sant'Elia
Gli assi cartesiani… gli assi cartesiani sono un luogo di pace indescrivibile.
Boccioni e Sant’Elia escono. Nel
silenzio il becchino scava la fossa. Buio.
2. “Urto di tutti gli angoli acuti”
Luce. Entra Marinetti. La fossa è ormai così profonda che il becchino non si vede.
Marinetti
Devi proprio scavare così in profondità?
Becchino
È lo Stato Maggiore.
Marinetti
Il soldato Sant’Elia doveva costruire un cimitero a Quota 85.
Becchino
Non è questo.
Marinetti
Il soldato Boccioni doveva arrivare a cavallo per un’esercitazione militare.
Becchino
Non ha fatto in tempo.
Marinetti
Avrei dovuto morire anch’io.
Becchino
Non c’è più posto.
Marinetti esce. Dopo qualche
secondo un grande bagliore seguito da una deflagrazione scuote la scena. Buio.
Risuona “L’ululatore” di Luigi Russolo.
3. “Paesaggio verde di rabbia”
Luce. Gabriele D’Annunzio sospeso per aria dentro un aereo giocattolo da fiera sopra quello che ormai è diventato un mucchio di detriti. Prende una pila di volantini e comincia a lanciarne in modo enfatico qualcuno. Si accorge presto che non ne vale la pena e cessa.
D’Annunzio
Futuristi al passato. Uno che muore da cavallo, l’altro da becchino. E il becchino con loro. E io a chi lancio i miei volantini da un aereo nuovo di zecca? A chi parlo di quarto Risorgimento se questi non risorgono? Tanta tecnologia e non si scoperchiano le tombe? Avete predicato male, Marinetti. Il vero becchino siete voi.
Marinetti (Fa il suo ingresso in bicicletta e subito si
ferma.)
Ruote che girano, ruote che travolgono: è il motore della storia. C’è chi dà una passata ai vecchi cimiteri e chi ne costruisce di nuovi. Qualche aereo svolazzava anche in Libia, ma voi eravate in Francia, blateravate di guerra nella vostra Merope, versi indegni anche di questo mucchio di detriti. Poesia era per me uccidere tre arabi a colpi di Mauser. Poesia ora è sparare agli austriaci. E non si tratta solo di piacere, ma di un concreto contributo allo sviluppo della nostra grande industria.
D’Annunzio
Predicate pubblicità a chi se ne intende. La bella morte di questi
giovani eroi per la campagna del Prestito Nazionale! Per noi, che non siamo più
giovani, l’ispirazione in ospedale. Io perderò un occhio e bendato da corsaro
scriverò Notturno. Voi, imitatore da
quattro soldi, sarete colpito solo all’inguine - e troppo in alto. Scriverete
quella porcheria di Come si seducono le
donne, quelle che avreste voluto in guerra come amazzoni - e magari
avrebbero centrato meglio il bersaglio. (Ride,
poi si ricompone)
A noi il futuro! Le nostre parole torneranno nei libri sui banchi di scuola. Per altri giovani che cadranno al nostro posto in altre guerre.
Marinetti
(Ride anche lui, poi si ricompone.)
Parole in libertà. La nostra.
Buio.
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