Commento musicale Costanzo Festa, Se mai vedet 'amanti
Le nuove tecnologie forniscono a
livello di massa gli strumenti per contesti emozionali che una volta erano
privilegio di pochi artisti. La totale immersività della realtà virtuale, quegli “oculi”, che
sembrano rendere ciechi agli occhi degli estranei, in un’ottica storica
sembrano riflettere l’autosindrome di Stendhal di certi pittori. Il mio amato
Piero di Cosimo ne è un ottimo esempio,
con la sua casa, il suo studio dove stava sempre rintanato, come l’enorme casco
virtuale di un mondo incantato: “essendo ito col cervello ad un’altra sua
fantasia”, “tanto amico de la solitudine” (tra virgolette il biografo, il
Vasari). Ecco, un incanto da cui non si vuole uscire se non per le strette
necessità di sopravvivenza di un corpo diventato avatar di una Matrix in
simbiosi col Mito, la Fabula che insegna e non permette una vita normale
all’affabulatore. Le sensazioni non devono essere per forza piacevoli (basta vedere la sua ossessione per il mito di Prometeo). Il
piacere del gioco implica anche il dolore della perdita, del rischio di
annichilazione del giocatore quando perde l’approdo a un nuovo livello. Apri
Piero di Cosimo in un motore di ricerca, Immagini, mettiti gli occhiali del
Sant’Antonio della “Visitazione”, calza gli stivali alati di Mercurio e diventa
Perseo che vola incurvando montagne celesti, sprofonda nei gorghi del mostro,
riaffiora dagli spruzzi delle sue narici e libera Andromeda. Nel quadro magico
c’è anche una colonna sonora fatta di musicisti esotici e strumenti
impossibili. C’è casa sua sulla collina selvaggia di sinistra, non in città,
non a Firenze, con la natura che va per i fatti suoi per espresso desiderio
dell’artista - “lasciava crescere le viti et andare i tralci per terra, et i
fichi non si potavono mai, né gli altri alberi, anzi si contentava veder
salvatico ogni cosa” – perché l’ordine è astratto, è arte, è sogno, è gioco: il
gioco degli dei evocato, imitato, travisato, concretizzato – olio, pigmenti o
Photoshop – dal giocatore.
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