Stefano Mossettaz Magister ymaginum
"Io dormo, ma il mio cuore veglia"
Cantico dei Cantici 5,2
Avevo già amato altre statue del sonno.
La Notte di Michelangelo, la sua poesia, a me particolarmente cara.
"Caro m'è 'l sonno, e più l'esser di sasso,
mentre che 'l danno e la vergogna dura;
non veder, non sentir m'è gran ventura;
però non mi destar, deh, parla basso".
E Ilaria di Jacopo della Quercia, dove la fatica di Eva scolpita sulla facciata di San Petronio si era sciolta in un sogno di infinita dolcezza.
"Son di marmo
rassegnato le palpebre, il petto
dove giunge le mani in una calma
lontananza".
Pier Paolo Pasolini, Appennino
Poi, nel Tesoro della Cattedrale di Aosta, vidi i gisants di Stefano Mossettaz, “magister ymaginum”, ricomposti con amore dopo un lungo oblio.
1430-1431 Per l'opera dello scultore: Bruno Orlandoni, Stefano Mossettaz
Il conte Tommaso II di Savoia, innestato sul letto di morte come radice di una dinastia ascesa al titolo di duca (1416). C’è da credere sia stato voluto proprio da Amedeo VIII – passato alla storia anche come antipapa Felice V – probabilmente di passaggio ad Aosta nel 1430 per la concessione degli Statuta Sabaudiae. Ispirato, chissà, da quelle profetesse savoiarde cui accenna Enea Silvio Piccolomini (alias Pio II, papa con tutti i crismi) nei suoi Commentari: “Alcune streghe, che sono numerose in Savoia e predicono con magie e arti diaboliche il futuro, si presentarono ad Amedeo e gli predissero che sarebbe stato elevato al sommo pontificato”.
Il sogno del conte, del duca: un papa.
Ma l'artista scolpì un vescovo più bello.
Oger Moriset, pastore di due diocesi (Aosta, Saint-Jean-de-Maurienne) e due sepolcri, opera di Mossettaz. Ultimo vescovo-conte della “Roma delle Alpi”, con tutto il potere che ne conseguiva dopo la svolta conciliarista di Costanza (1414-1418).
Il mecenate, il signore, l’uomo ossessionato dalla morte sembrano riposare in pace nei precisi ricami del marmo della prima tomba. Vuota. Soltanto l’arte oggi, la pietra su cui fondò la sua chiesa.
Il mecenate, il signore, l’uomo ossessionato dalla morte sembrano riposare in pace nei precisi ricami del marmo della prima tomba. Vuota. Soltanto l’arte oggi, la pietra su cui fondò la sua chiesa.
Vedi anche Elena Brezzi Rossetti, Antologia di restauri
Una smorfia prende vita dalle labbra scheggiate di Francesco di Challant. Prigioniero del marmo, come il poeta Charles d’Orléans nel suo carcere, dopo l’ultima battaglia, cerca di ricordare stringendo le palpebre per l’ultima volta i suoi versi:
“Ballades, chanson et complaintes
Sont pour moi passées dans l’oubli”.
Invece è solo apparenza. Devo immaginare un corpo non ridotto a frammenti, ma vestito a festa con colori squillanti, come un principe Maya.
Dovrei, ma il tempo lascia la Storia nuda e al fasto preferisco ciò che resta nell’arte, il restauro pieno d’amore dei miei contemporanei.
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