Commento musicale:Sergej Rachmaninov, Concerto per piano e orchestra n.4, II
Non pensavo di trovare anche
il conte di Montesquiou. La forza sottile delle pagine proustiane si innerva e si
dilata in questo gesso patinato bronzo. La sprezzatura dell’uomo pare ingentilirsi
in distrazione. Ma il distacco è sempre apparente: “Anche voi qui? Anch’io non
vi aspettavo. Questa mostra è perfetta,
ma, come tutto ciò che è perfetto, sarà solo un ricordo”.
Il fantasma della nobiltà
diventa nobile concretezza (rammentando sempre che sotto il bronzo c’è il
gesso).
Signora Troubetzkoy, il vostro
sorriso vince il tempo.
Rappresentazione di George
Bernard Show: il piglio di una vitalità che si rinnova nella lotta contro
miserie materiali e morali. E arriva a compiere 94 anni. Contraltare: il busto
di Segantini, morto a 41, vittima di
peritonite, albergatori e immagini turistiche. Lo scultore celebra due diverse
luci, due sfide, due diversi titani.
Il terzo è Leone Tolstoj. La sfida dell’uomo vestito da contadino a
fianco della trasfigurazione di quel volto nella profondità spirituale di un
popolo. L’anima russa in perenne ricerca di riscatto, punto focale delle
geografie interiori di Troubetzkoy, anche quando scolpirà quella specie di
ippopotamo a cavallo (la definizione non è mia) che fu lo zar Alessandro III. Ed era, è, come Tolstoj, Russia. Anche quella.
Poi un altro padre della patria, uno vero: Garibaldi. Geometria
essenziale di due grandi uomini: il condottiero, lo scultore. Eccezione di
rilievo al gigantismo lillipuziano dell’Italia umbertina, che lo rifiutò. A monumentali
sciocchezze risponde un grande monumento.
Lo stesso accadrà per il Monumento ai Caduti: una madre, un bambino, un
fiore. Nel bozzetto come nella statua a fianco del lago, di fronte alla piccola
città anch’essa ferma nel gesto, nel tempo. “Bella Pallanza” - e struggente.
Grandezza della semplicità.
Ces nymphes, je les veux
perpétuer.
Si
clair,
Leur incarnat léger
Stéphane Mallarmé, L’après-midi d’un faune
Le donne di Troubetzkoy non
si possono dimenticare. Sorte da una specie di tempio maya, da un salotto o
dall’intimità della camera
troneggiano fin dai bozzetti, danzano libere,
sfidano con eleganza il perbenismo imperante.
Ottima l’idea della proiezione di rari e
preziosi fotogrammi della rivoluzionaria danza di Lady Constance Stewart-Richardson – a piedi scalzi e con pochi veli (le costò
l’ostracismo a corte) – accanto al bronzo in cui fu ritratta. Giusto
all’incrocio fra muro e soffitto affrescato, per dare maggiore profondità,
anche simbolica, in uno spazio espositivo già di per sé ricco di fascino.
Paolo Troubetzkoy, lo
scultore vegetariano che amava gli animali e in particolare, come il
sottoscritto, i cani, che in mostra accompagnano il visitatore dai giochi
innocenti della prima giovinezza alla commemorazione del suo atelier. Avevo
imparato a conoscerlo nella grande mostra “La scapigliatura milanese” che Debora Ferrari aveva curato nel Chiostro di Voltorre (2001): l’”impressionismo”
della sua scultura è anche debitore di questa importante esperienza.
E’ l’immagine
progressista dello scultore - dominante anche nella bellissima mostra al Museo del Paesaggio curata dal conservatore Federica Rabai - di un artista che aveva fatto buon uso del privilegio di essere nobile e ricco
per scelte libere e controcorrente. Ma non dobbiamo dimenticare che fu anche il
principe russo in là con gli anni, terrorizzato dalla rivoluzione sovietica,
che, sulla scia del culto dei grandi uomini, s’infervorò per il fascismo e la
figura di Mussolini, cui dedicò alcune opere (per un approfondimento rimando alle
ottime pagine di Giuseppina Giuliano: I russi alla "corte" di Mussolini).
Il dolcissimo ritratto
della moglie e del figlio all’ingresso, il cielo che si rasserena, fanno
passare in secondo piano queste ombre. E, percorrendo Via Ruga, scopro una
delle librerie più belle, complete e originali che abbia mai incontrato: la Libreria Spalavera.
Ci trovo l’edizione
originale de “Le civiltà scomparse dell’Africa” del ghanese deGraft-Johnson, Feltrinelli 1960 (recentemente ripubblicato da
Res Gestae),
una vera rarità per la mia collezione di storia delle culture africane.
Un’altra storia da
narrare.
Testo e foto di Luca Traini
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