La voce della pietra, Elliot Edizioni
Presentazione del libro di Silvio Raffo
Biblioteca Civica di Varese, giovedì 13 dicembre, ore 18
Interverranno con l'autore Vittoria Gnocchi, ex docente di latino e greco al Liceo Classico Ernesto Cairoli e Luca Traini, scrittore e curatore d'arte
SilvioRaffo, il poeta, il maestro, il professore d’italiano che mi ha fatto
amare la scuola quando quasi non ci speravo più. Questo giovedì leggerò brani
dalla nuova edizione de La voce della pietra alla
Biblioteca Civica di Varese. Rileggerò con grande piacere la sua scrittura
preziosa come faccio dal 1981, quando mi regalò la Guida alla lettura della poesia italiana contemporanea.
Silvio Raffo ritratto davanti alla Christine de Pizan di Pina Traini (foto dell'autore).
"Quanto abbiamo vagato in questa selva –
quante penombre
abbiamo attraversato,
quanti fantasmi incontrato".
quante penombre
abbiamo attraversato,
quanti fantasmi incontrato".
Silvio Raffo, da Maternale
Al
nostro fianco ci sarà la professoressa Vittoria Gnocchi (latino e greco). Con
Silvio e la professoressa Rita Zumin (storia e filosofia) la trinità laica di
tre meravigliosi anni di liceo. Mancano le parole, come al giovane Jakob,
protagonista del libro. Il computer sottolinea in rosso quanto fatico a
scrivere. E’ entrato misteriosamente in modalità inglese… Certo un rimprovero
di Emily Dickinson, alter ego di Silvo, che ne ha curato la splendida
traduzione dei Meridiani:
Quando morii
– udii una mosca ronzare –
il silenzio
nella stanza
era come il
silenzio nell’aria –
fra folate di
tempesta –
La Voce della Pietra, ricerca sovrumana del silenzio, cifra
assoluta, abissale di ogni discorso. La comunione totale di un dialogo è
silenzio. Nel romanzo il legame è viscerale, madre morta e figlio, dalla lapide
tombale al muro della camera. La pietra dalla sapienza ancestrale e muta
con cui cerchiamo di entrare in contatto dalla Cueva de Las Manos a Villa
Rocciosa, dove tutto è ambientato nel 1961 dei grandi thriller in bianco e nero
amati dell’autore.
"JAKOB: In certi punti il muro è quasi ansioso di crollare, come mi pare di percepire da un sommesso rantolo delle crepe: un sibilo lieve che ho addestrato il mio orecchio a cogliere attraverso lunghi esercizi di auscultazione. Il palpito della pietra ha un suo modo particolare di annunciarsi... Quando appoggio l'orecchio all'instabile superficie della terra, sento i fremiti di radici millenarie che s'intrecciano contorte in tenebrosi viluppi"
"VERENA: "La prima immagine a cui torna la mia memoria nel mosaico che mi accingo qui a ricomporre è una striscia di luce frastagliata, un disegno bizzarro formato dall'intrico di rami di poderosi abeti riflessi sulla ghiaia di un sentiero a un'ora serale dello scorso settembre"
Silvio Raffo, La voce della pieta
La
matrice dell’opera è il Gothic anglosassone, ma io non posso fare a meno di fare il mio
ingresso nelle pagine del romanzo con l’accompagnamento musicale per organo di
Jehan Alain nel suo Jardin suspendu.
"VERENA: La sagoma della casa che quelle incredibili mura avvolgevano come in una morsa faceva pensare a un incrocio fra un sontuoso cascinale e un fortilizio. Grigia e duramente intagliata, tutta in pietra a vista... Non era possibile individuare una porta principale... Mi fermai incerta fra l'aia e il giardino ombreggiato da un'enorme magnolia. Mentre mi domandavo se fosse il caso di chiamare ad alta voce (ma chi? che cosa?) vidi alcuni veli colorati agitarsi come insegne luccicanti sotto i merli della torre"
"JAKOB: Non posso contare le notti che ho trascorso a osservare il cielo e il giardino da quando ha avuto inizio l'Era del Silenzio"
Silvio Raffo, La voce della pietra
Pausa.
Lascio la voce a tre grandi esperti della scrittura per commentare la profonda,
straniante bellezza dell’opera.
Muriel Spark: "Un gotico d’avanguardia di intensa potenza visionaria che avrebbe voluto scrivere Edgar Allan Poe".
Maria Corti: "Uno dei pochi romanzi destinati a restare nella storia della letteratura italiana di fine millennio".
Fernand Khnopff, Il velo (1887)
"Dunque sarà tutta una vita agli argini,
alle soglie del giorno che si annuncia..."
Silvio Raffo, da Invano un segno
Verena,
deuteragonista, ortofonista e nittalopa, ingaggia una lotta dolce e feroce con
Jakob per strapparlo al dialogo muto coi morti. Nel nome di una “conversazione”
che, in questo caso, è termine da usare anche in tutte le sue radici più
sinistre. Il cognome della donna è D’Angelo. A noi si presenta come vergine
serafica, al ragazzo in veste di messaggero diabolico. Quando penso a lei ho
negli occhi il volto di Lili Boulanger, il desiderio struggente di Verena, strappare
una vita al silenzio, diventa il Notturno di una compositrice morta a ventiquattro
anni.
"VERENA: Non capisci che è stata la tua mamma a mandarmi qui?... Io sono un'umile ancella della tua Colomba"
"JAKOB: E' stato un errore guardarla come l'ho guardata prima di lasciare la sala: l'odio è pur sempre un sentimento, e lei lo ha colto nei miei occhi chiaramente. Non devo commettere altri errori. Soprattutto non devo dubitare d'essere io, comunque vadano le cose, quello che dirige le regole del gioco. Ho due poteri che lei ignora. Io ascolto la pietra, ricevendone i messaggi. E quello che scrivo, se non mi fermo a metà della pagina e non pronuncio parole umane, può facilmente avverarsi"
Silvio Raffo, La voce della pietra
Nel controcanto fra
stili tipografici di queste pagine due certezze cercano di sgretolarsi, crepe
nel muro di anime che vagano in un contesto allucinato e sospeso (la Storia è
assente, come il padre, scultore, di cui restano le opere come fossili
minacciosi). Gli altri personaggi (la zia materna di Jakob, la Guardiana, e il
maggiordomo Alessio) sono apparizioni coerenti nel loro
restare ai margini, coscienti di essere didascalie umane di un dramma lirico.
Le note, l’aspirazione a dirigere l’orchestra, Verena. Pause, pause
lunghissime, tendenzialmente eterne, Jakob. La madre morta, pianista, Malvina –
stesso nome, mai casuale in quest’opera di corrispondenze, di una fanciulla
curata un tempo da Verena e poi suicida - la vera direttrice dell’opera.
Questione di nomi assegnati da voci, di uno schema perfetto nel suo gelo
pulsante. Non fosse per l’entropia intrinseca a ogni equilibrio apparente. Nell’arte
della scrittura è aprosdoketon,
sovversione dell’inatteso. Tutta l’opera di Silvio Raffo è attesa
dell’inatteso, di quel segno invisibile che rende concreto il segno della
scrittura e allude alla concretezza che
siamo qui perché siamo altrove. Voliamo alti, come Nigro, il falcone di Jakob.
La preda di cui restiamo prede è l’Assoluto.
E il pensiero va a Le acque profonde di Magritte, copertina
della prima edizione (1996).
"Della vita si apprezza sovente
più tardi del dovuto
l’intima leggerezza, il senso muto
di quel vuoto apparente"
più tardi del dovuto
l’intima leggerezza, il senso muto
di quel vuoto apparente"
Silvio Raffo, Quel vuoto apparente
Il
film tratto dal libro ha incontrato la piena approvazione del romanziere e del
sottoscritto. Prodotto dall’ultimo erede di una dinastia del cinema come gli Zanuck e
diretto da un formatore di stuntman abituato a volare come Eric Dennis Howell, offre un esempio di rara eleganza e raffinatezza (è proprio il caso di
dirlo) inconsueti nella produzione contemporanea. Emilia Clarke, non avevamo
dubbi, veste perfettamente i panni di Verena, così come la promessa Edward Dring quelli di Jakob. Senza contare che il cast si avvale di due glorie del
nostro cinema come Remo Girone e Lisa Gastoni, perfettamente a loro
agio in questa atmosfera di perseverante stupore.
Ho lasciato in
sospensione il romanzo, come si deve per un thriller soprannaturale. La
suspense è una condizione degli spiriti che sentono troppo e rasenta la follia
come la verità, due condizioni reali in attesa di definizione. Indefinibili
come la poesia.
Quindi è giusto tacere.
Lasciando le ultime parole al poeta.
"Non sanno che ho trovato
il Luogo
dove il Tempo è già passato:
qui, dove gli orologi dell’Eterno
battono
mezzogiorno
estate e inverno"
Silvio Raffo, Poesie da Altrove