Flavio Stilicone, console per la prima volta.
Ritratto insieme alla moglie Serena e al figlio Eucherio, davanti a un frontone non più triangolare ma trapezio, non inquadrati da un cerchio perfetto.
Vorrebbe guardare il cielo, ma è come se esitasse.
Sono al culmine della gloria, eppure qualcosa non torna. Spira come un’aura di tristezza, di quella malinconia fatta di trionfi e di rovesci improvvisi. Tu lo vedi che non dura (per gli esseri umani voglio dire, non per l’avorio).
Lei era figlia adottiva di Teodosio, ma in realtà nipote, nata da un fratello di cui resta solo il nome: Onorio.
E a te, altro avorio, altro Onorio avevano fatto sposare una figlia appena adolescente.
E morta quella un’altra ancora, che di li a poco avresti rinchiuso in convento.
E mai uno straccio di erede.
Ah! Ah! Ah! Come ti definiva lo scolaretto di sant’Agostino, il piissimo storico Orosio? ”Di continenza ammirabile in un re”!
Beh, noi della poco pia setta dei senatori mormoravamo solo: “Impotente!”.
Crudeli noi; crudele tu, che hai sterminato l’intera famigliola; crudeli tutti, perché abbiamo festeggiato quella strage.
Cos’è, amico mio? Un brivido di gelo? È sceso il vento della Coumba Frèide?
Ma non parlavamo di arte?
[...]
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