Commento musicale Joep Franssens, Echo's
Ho ritrovato Caravaggio senza accendere la luce.
La vocazione, la scrittura, il dramma avvolti ancora nel fumo dei ceri appena spenti.
Nel buio tre versi, di un altro Michelangelo:
“O notte, o dolce tempo, benché nero,
Con pace ogn’opra sempr’al fin assalta;
Ben vede e ben intende chi t’esalta”.
Eppure basterebbe una moneta per accendere i
riflettori sui quadri di Michelangelo Merisi, luce fissa come il sole invece
delle candele che tremavano quand’era vivo, quando la luce strappata alle
tenebre vibrava nei quadri al ritmo degli stoppini accesi, del fumo sinuoso, in
balia di ogni respiro.
Invece il buio. La cecità di chi obbligò quelle
opere a essere deposte in spazi così infelici. La museruola agli occhi della
Controriforma, il rifiuto della prima versione di Matteo e l’angelo. Di Matteo non più arcigno esattore ma non ancora
santo, bravo a fare i conti ma impacciato nello scrivere l’addizione più complessa: un dio che si fa uomo e muore
sulla croce degli schiavi. L’angelo che guida della mano, quell’angelo così
giovane, è una soluzione. E allo stesso tempo un problema.
Semioscurità. Come la foto che resta del primo quadro,
bianco e nero. Incendi. Nel cuore del pubblicano che diventa apostolo. Negli
occhi del pittore, perché la forma emerge da un fondo atro. E l’incendio che
rifiuta ogni metafora, quello che brucia trama e tela in una torre di cemento a
Berlino (A.D. 1945).
Il Matteo che oggi sopravvive meglio all’ombra non
ha più angeli al suo fianco, ma una creatura celeste che pende sulla sua
intelligenza avvolta in un lenzuolo dal cerchio perfetto. Mente dell’uomo non più
assopita, messaggero di Dio che trascende ogni gerarchia di sintassi per
computare all’evangelista un miracolo politico: i gradi di parentela di Gesù
col re Davide.
Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi, Cappella
del cardinale Mathieu Cointrel, dove un verso di Jean De Sponde sta ai tre
quadri di Caravaggio:
“E m’inabissa, mi scuote e m’incanta”.
Matteo che senza l’indice di Cristo a spalancare un
vortice di luce viva resterebbe nella penombra di una finestra dai vetri opachi.
Matteo che muore e cade senza che sia bello cadere
tre secoli prima di Rilke, goffo come un plebeo che non sa tenere in mano uno
straccio di arma, quella palma del martirio che pure un angelo fatica a
piazzargli in mano.
Il pittore si ritrae costretto a ritrarsi. Dov’è
che l’evangelista o l’angelo avevano scritto: “Non sono venuto a metter pace,
ma una spada”?
La pace è solo nostra, conquistata a fatica nei
secoli. Luce elettrica e monete per accenderla. Per accedere e accendere l’arte
nunc et semper.
Il mio dramma Morte di Caravaggio in https://lucatraini.blogspot.com/2014/11/caravaggio.html
Altro testo sulla chiesa di San Luigi dei Francesi in https://lucatraini.blogspot.com/p/amori.html