The fountains of creative activity
are discovered and released.
John Dewey
Zibe, Pensiero fluido, foto di Luca Traini
La visione di questo gioiello di street art a Milano, confluenza di via Canonica in viale Elvezia, bacio surreale di due cervelli (vera centralina dell'amore) ha reso fluido anche il mio pensiero. L'approdo progressivo in linea retta dalle strisce pedonali al bianco/nero vintage dei due amanti subisce un'improvvisa accelerazione a fronte di queste circonvoluzioni elettriche - è l'anima del semaforo - per trovare poi pace nelle macchie colorate degli altri due contenitori, liberati dal grigiore classicista della tecnologia d'uso.
La storia della strada millenaria percorsa per affermare la dignità del cervello: da Erofilo di Calcedonia (letteralmente "amico dell'amore") a Leonardo, che non ebbe tempo di aggiungere colore alle sue esplosioni cerebrali.
Il graffito avrà vita più facile del manoscritto: è in buona compagnia nel progetto Energy Box - Urban Art Renaissance, che sta trasformando Milano nella principale galleria europea di arte metropolitana a cielo aperto. Un bel motivo per essere fieri dell'età contemporanea, perché il cervello di questo geniale ragazzo (chi fa graffiti è sempre giovane) mi ha ricordato, per antitesi, quello che avrebbe rischiato in tempi passati spesso facile oggetto di mito.
Storico di formazione, fin da ragazzo innamorato dell'autunno del medioevo (Musica per Hugo van der Goes), sono andato a ripescare un mio testo dedicato a François Villon, di cui trovate altri frammenti nella pagina Teatro.
Avesse avuto in mano una bomboletta spray! E invece a lui, come a tanti altri giovani scolastici prima e dopo, era toccata la mnemonica in testa a colpi di potenza aristotelica, in forma di bastone.
Villon - Come funziona la
memoria quando la testa viene percossa come un tamburo? A lampi, a singhiozzi,
in mezzo alle lacrime. Tutto dovrebbe diventare trasparente e invece finisci
quasi per annegare, come Narciso, e senza vedere niente.
Santo Aristotele, che
hai detto tutto, correggi tu questo dettato o almeno dammi un tampone che
l’inchiostro si squaglia tutto.
Ci indicavano l’insegnante come
il babau quando ce la facevamo ancora sotto credo per una questione di
coerenza, perché quanto dicevano “città degli uomini” o “di Dio” aveva una
matrice di violenza che ci dovevano stampare a ceffoni (quando andava bene). Il
peccato originario prevedeva che ai piccoli agnelli spuntassero per forza i
canini a colpi di botte, frantumando i denti da latte.
Trovo sia un miracolo se
non sono diventato come quei cani che i pastori picchiano fin da piccoli perché
non provino mai affetto, forse perché in realtà di natura l’uomo è buono – e lo
dice uno che è diventato anche lupo e felice di esserlo (ora sì che me ne
vergogno). Cento anni di guerra nella nostra dolce Francia non sono nati per
caso: io stesso sono stato uno dei suoi frutti avvelenati.
Ma fosse il problema la guerra:
il fatto è che la pace, le nostri paci sono orrende, sono soltanto il prologo
di continue tragedie. E questo che io sappia da sempre: ebrei, greci, romani o
barbari (e io li definirei, ci definirei “barbari” tutti) non hanno fatto altro
che ammazzarsi come bestie per chiamare “pace” solo gli intermezzi in cui
spolpavano le ossa. Poi, visto che le bestie sono migliori e uccidono solo per
necessità, si è cercato di copiarle inventando una specie di misura per i
nostri crimini: fino a un certo livello è legge, oltre delitto.
Il nostro glorioso condottiero
Gilles de Rais, il braccio destro della Pulzella d’Orléans, quanti bambini
scannò in santa pace – 80? 100? 200? – prima di essere imprigionato? E solo
dopo che ebbe pestato i piedi alle alte sfere, mica il gregge dei piccoli cenciosi,
nacque lo “scandalo” (bella parola questa)! Quanti altri valorosi cavalieri
hanno macellato i loro vitelli fermandosi in tempo – in tempo di “pace” perché
in guerra il numero non conta – fermandosi alla “giusta misura”, pulendosi i
denti per bene?
Ricordo il mio insegnante, che invidiando lo scettro dei re brandiva una
verga piena di nocche, e ti faceva rimettere Aristotele con rabbia peggio del
più vigliacco dei soldati col prigioniero in catene.
Ti faceva una testa con le
“facoltà dell’anima” del filosofo greco che dovrebbero stare proprio lì, nella
testa. Per questo prima le testava affibbiandoti una sberla sulla nuca, dove
sta la “memorativa”. E se tu perdevi anche un solo istante a ricordare, ne
partiva un’altra qualche centimetro più in alto, così, tanto per mettere in
moto pure la “cogitativa”. Dovevi provarci allora a non mettere in conto i due
gentili avvertimenti: partiva subito un pugno poco sopra l’orecchio, così anche
l’”estimativa” si sarebbe messa in atto, con uno spasimo, nel condotto del
“vermio”, piccolo verme, per accendere l’”immaginativa” piazzata un po’ prima
dell’orecchio, già pesto. E la “fantasia”, al piano superiore delle tempie, è
già gonfia come loro: il maestro ha colpito con precisione tre volte con la
stessa nocca.
Restava solo il “senso comune”,
bello piantato in fronte, a volte il primo a essere intravisto – e subito perso
– prima di chiudere gli occhi.
Bello quindi essere qui in autunno, 2015.