Bartolomeo Veneziano, Lucrezia Borgia - Tiziano, Pietro Bembo
Per sfatare certi giudizi nefasti
su Lucrezia Borgia, anche se portano la firma di Victor Hugo e Gaetano Donizetti, non c’è niente di meglio che la lettura de La grande fiamma - Lettere
fra Pietro Bembo e Lucrezia Borgia (1503-1517), edito da Archinto.
Sì, perché fra lo scrittore
veneziano poi cardinale e la figlia di papa Alessandro VI, allora moglie di
Alfonso I d’Este e duchessa di Ferrara,
fu vero amore (e, a quanto pare - e
nonostante i gusti petrarchisti di entrambi - non solo platonico).
In meno di
cento pagine, nelle
poche lettere rimaste (lui quaranta, lei appena nove), il dialogo a
distanza tra il futuro architetto della lingua italiana e la raffinata
mecenate di poeti (su tutti l’Ariosto) rispecchia in modo cristallino,
tormentato e sognante tutti i chiaroscuri della vita di corte
rinascimentale.
Perché proprio il cuore, nel linguaggio cifrato dei due amanti, è
chiamato
“cristallo” (seconda lettera di lei “lo incontro del vostro o nostro
cristallo”, terza lettera di Pietro, in endecasillabi: “Avess’io almen
d’un bel
cristallo il core” e quarta, in prosa, “Ora m’è il mio cristallo più
caro che
tutte le perle de gl’indiani mari”). Perché particolarmente preziosi
erano
stati cinque esametri latini del Bembo, il cui incipit era inciso in un
braccialetto d’oro a forma di serpente di proprietà della duchessa e
dove il
gioiello in prima persona cantava l’unione tra i fiumi Tago e Po.
E la donna – già, la donna, perché
dell’avvelenatrice non c’è traccia in questa storia d’amore che è storia, non
leggenda – la dama, in perfetta sintonia con il suo tempo, inviava brani di canzoni
spagnole (“Yo pienso si me muriesse”, quinta cobla da “Si mis tristes
pensamientos” di Lope de Stúñiga)
al suo amato, che rispose con tre sonetti fra quelli di miglior cesello della sua
raccolta di Rime (esattamente i numeri 88 89 90 dell’edizione curata da Carlo Dionisotti).
In particolare quattro versi
dell’89:
“Madonna più che mai tranquilla, umile,
con tai parole e ‘n sì cortese affetto
mi si mostrava, e tanto altro diletto
ch’asseguir no ‘l poria lingua né stile”.
Raffaello, Ritratto di giovane (Pietro Bembo?) - Bartolomeo Veneziano, Ritratto di giovane (Lucrezia Borgia?)
Commento Musicale Tielman Susato, Danze rinascimentali
Commento Musicale Tielman Susato, Danze rinascimentali
Un rapporto nato ai primi di
giugno del 1503, con l’arrivo del poeta a Ferrara e l’invio alla duchessa dei
suoi dialoghi sull’amore, gli Asolani.
Un gioco amoroso che ha avuto il
suo culmine nei due anni successivi.
Pietro: “A voi bascio ora quella
mano col cuore, che fra poco verrò a basciare con quella bocca che ha in sé il
vostro bel nome sempre”.
Lucrezia: “Misser Pietro mio, cum
singolare piacere e consolatione ho receputa e lecta una vostra lettera, per la
quale inteso lo che mi scrivete”.
Una fitta corrispondenza che
testimonia insieme alla condivisione tutte le difficoltà che possiamo immaginare (“mille
lontananze, mille guardie, mille steccati, mille muri”, Bembo, Lettera 27), poi
sempre più rarefatta con la dipartita dell’uomo dalla città (1505).
Una passione via via negli anni
sempre più idealizzata dal poeta, fino all’ultima corrispondenza che data 13 ottobre
1517: “Né lunghezza di tempo né mutamenti di fortuna mi torranno giammai che io
non sia, e che io non isperi a qualche tempo più ozioso poterla e visitare e
servire”.
Resta - oltre le lettere, le
canzoni, i versi – la ciocca di capelli (“Più
simili ad oro che altro”, Bembo - «Sono i
capelli più biondi che si possano immaginare», Lord Byron) che Lucrezia donò al suo Pietro (come non
cambiano i gesti di chi ama), custodita dal 1685 alla Pinacoteca Ambrosiana di
Milano, nella teca realizzata da un grande gioielliere del ‘900, Alfredo Ravasco.
“Con promessa de ferma perseveranza.
La vostra Duchessa de Ferrara” (Lettera 6).
Luca Traini
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