venerdì 23 marzo 2012

IL QUADRO E IL TEATRO: UNA NASCITA PARALLELA NELL'ANTICA GRECIA

Non c'è gloria se non per quelli che dipinsero quadri

Plinio il Vecchio

Casa della Farnesina (Palazzo Massimo) 30-25 a.C.

Il quadro - la tavola, la tela, quella cosa lì che vedete appesa al muro – è una rappresentazione astratta che, se tutto va bene, ha duemila e cinquecento anni.
Il muro, quello sì che è più antico. E il quadro serve proprio a superarlo.
Il quadro è nato più o meno quando è stato perfezionato il vetro: il quadro in Grecia, il vetro in Fenicia, ma nulla è davvero trasparente.


Testa, perlina in vetro fenicia, VII sec. a.C.

Tu metti il vetro per proteggere la tavola o la tela con i colori che prendi dalla realtà se non chiudi gli occhi. Se sogni, sogni in bianco e nero. Il vetro è tutta la sabbia di cui è fatto, ma i granelli non li riesci a contare.
I granelli di sabbia contano se riesci a tenere in mano il pennello e fai qualcosa di giusto, di doveroso perché sei erede dell’albero che è morto per darti il legno della tavola, il legno che con quattro assi piallate ti regge la tela.
Perché il quadro nasce in Grecia col teatro, che dovrebbe essere specchio della vita – e quella ti sfugge di mano come la sabbia nelle quinte, fra il pubblico.


Casa della fontana grande, Pompei

E il pubblico vuole la tela, la tavola dove quello che hai visto, che hai in testa, che hai astratto dalla realtà in un lampo che squarcia una specie di notte – astrapto è il verbo – rimpasti con tecnica esperta, sapiente, che ha sapore ed è techne, arte, mescolando la chimica organica della tua mano con quella inorganica che sgorga dal tubetto acquistato in colorificio: tutta la nostra realtà è un colorificio dove il colore ha costi, energia, precisi.


Pere Borrell del Caso, Sfuggendo alla critica, 1874

Esposizione. Luogo espositivo. Galleria. Passaggio nel buio da una luce – la vita - ad un’altra, l’arte, che in radice è “artiglio”, artiglio di qualcosa che vola, vuole volare e fissa il cielo artigliato ai rami di un albero, le radici dell’albero da cui la tavola, il sostegno della tela, sostegno della vita, per cui l’artista consacra la vita – perché “sacro” ha a che fare con la morte che lui, che noi vogliamo vincere, almeno per un attimo – la vita nel quadro vuole riconoscersi da almeno 2500 anni, vuole superare i muri che si è costruita da 15000, vuole fare del suo percorso una galleria, esporsi alla notte per raggiungere ancora una volta la luce, essere un colorificio, fluire da tutti i tubetti possibili non per essere oggetto ma soggetto di scambio nell’agorà, nella piazza del mercato dove allestiranno l’ennesimo teatro.
Il prezzo da pagare è questo.


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