lunedì 6 gennaio 2014

PLAY THE GAME NELLA TERRA DI MICHELINO DA BESOZZO

La locandina della mostra_Michelino da Besozzo, Miniatura per l'Elogio di Pietro da Castelletto, 1403

NEOLUDICA festeggia il suo primo lustro di vita nella terra di due maestri del Gotico Cortese, Michelino da Besozzo e suo figlio Leonardo.
Cinque anni che l’hanno vista protagonista, in prima mondiale, nel connettere i beni culturali alla nuova arte del videogame:
ad Aosta (2009),
alla Biennale di Venezia (2011),
e in tante altre esposizioni che hanno rivisitato, in modo originale e aperto al nuovo linguaggio dei giovani, la ricchezza del nostro patrimonio artistico.
Dal castello di Quart, dove Debora Ferrari e Luca Traini nell’estate del 2008 ebbero la prima illuminazione di una nuova arte, colta e popolare, al castello di Besozzo, alla sala delle mostre del Comune.
Quanto meraviglioso passato c’è nel nostro futuro! L’importante è esserne coscienti, ora. L’importante è non arrendersi alla crisi, oggi come nel 1400. Seguire la lezione di stile di Michelino e Leonardo e non avere paura di diventare protagonisti sapendo le enormi possibilità che si aprono, in tutti i campi, con i nuovi scenari.
Guardate la miniatura di Michelino in alto, connessa alla locandina della nostra mostra. Il “summus in arte pictoria et designamenti” (così viene definito l’artista nei registri del Duomo di Milano) illustra le origini mitiche dei Visconti con l’unione di Venere e Anchise. Un gioco di alta politica che diventa una specie di Middle Age’s Invaders, un'infografica come diremmo oggi.
E il figlio Leonardo? Guardate come rappresenta Prometeo che plasma l’uomo: è il sogno dell'uomo-macchina che tanto successo riscuote dall'antichità ai nostri giorni (per i rischi comunque connessi a questo gioco divino vedere Let’s Play: Ancient Greek Punishment, un recente videogame dalle intriganti forme arcaiche e arcade).


Leonardo da Besozzo, Miniatura dalla Cronaca Crespi, 1435-1442_Let's Play: Ancient Greek Punishment


In un contesto storico come l’attuale è importante dare nuova vita e nuove forme di connessione a queste formidabili eredità: uno sviluppo che deve procedere di pari passo con il restauro filologico dei monumenti.

Il cinema è stato capace di farlo nel ‘900. E’ la missione per il XXI secolo del grande e variegato mondo che ancora definiamo come “videogame”.

Ogni interazione, un’interpretazione. L’arte si mette in gioco per questo.



Conferenza L'ARTE E' IN GIOCO_NUOVE FRONTIERE TRA VIDEOGIOCHI E SOCIETA'
Sabato 25 Gennaio ore 17

FINISSAGE Domenica 2 Febbraio ore 15
Conferenza ARTE E VIRTUALITA' a cura di di Emanuele La Loggia


Sala Mostre Comune, Via Mazzini 4
http://neoludica.blogspot.it/2014/01/play-game-game-art-varese-elarte-e-in.html

Per altre informazioni sul progetto

giovedì 24 ottobre 2013

QUANDO LA STORIA FA "PONG" Nixon, Mao e un leggendario videogioco



Pace e videogame

Si parla tanto – e quasi sempre a sproposito – di violenza e videogame e ci si dimentica che i videogame sono figli della pace. Infatti l’ideazione del primo, Cathode Ray Tube Amusement Device (opera di Thomas T. Goldsmith Jr. ed Estle Ray Mann), risale non a caso al 1946. Certo era frutto della tecnologia bellica dei radar e ispirato alla missilistica dell’epoca, ma quante volte l’aspetto ludico della vita si ispira – ed esorcizza – il suo lato cruento!



Allo stesso modo Tennis for Two (1958), messo a punto per oscilloscopio e computer analogico Donner 30 da W. Higinbotham e R. V. Dvorak, rispecchiava le oscillazioni diplomatiche seguite al disgelo politico fra Est e Ovest della seconda metà degli anni ’50.




Nel caso di Space War di Steve Russell, realizzato per computer DEC PDP-1 nel febbraio del ’62, ci troviamo poi addirittura di fronte a una specie di prefigurazione profetica (e apotropaica) della Crisi dei Missili di Cuba nell’ottobre dello stesso anno.



L’Odyssey di Pong

Ma il caso più clamoroso di profonda connessione fra storia e videogame riguarda quel gioco dalla doppia vita che è diventato famoso col nome di “Pong”. Quei formidabili pixel, minuscoli quadrati che diventano sfere (millenaria ossessione della quadratura del cerchio) e vengono fatti rimbalzare da due piccoli rettangoli ai lati di uno schermo, sono stati una rivoluzione tanto tecnologica quanto artistica (le due realtà vanno quasi sempre di pari passo). E anche nel caso di questo gioco, di questa nuova arte, la storia della nascita sembra legarsi per l’ennesima volta inscindibilmente all’epica. Non a caso il nome originario è Odyssey. Il suo creatore, Ralph Baer, un ingegnere di origini ebraiche emigrato negli USA dalla Germania nazista. Lo sviluppo del suo lavoro, tormentato come il viaggio di Ulisse, frutto di sperimentazioni durate anni (l’incipit data 1966, la stessa data riportata nella prima mostra mondiale dedicata all’arte del videogame alla Biennale di Venezia, NEOLUDICA Art is a Game 2011-1966), fino all’approdo ai televisori con la Magnavox nel 1972.




E’ proprio in questo fatidico anno viene anche lanciata la sua versione "Coin-op", frutto di quella che in musica verrebbe chiamata Variazione su Tema, ad opera di altri due ingegneri, Allan Alcorn e Nolan Bushnell, quest’ultimo fondatore, insieme a Ted Dabney,  dell’Atari.



Le ragioni politiche di un successo

L’interesse per entrambe le versioni è immediato, ma successo commerciale e grande impatto sulla cultura popolare saranno prerogativa di Pong e del  suo elegante cabinato giallo. Infatti colore e rimando al tennistavolo, sport dominato dall’Estremo Oriente dai primi anni ‘50, non erano un caso - e non solo per il richiamo “esotico” dei film di Bruce Lee: da un anno era scoppiata la pace fra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese grazie alla “Diplomazia del Ping Pong”.



C’era già stata tutta una serie di precedenti di influenze reciproche fra Cina e Occidente degna di una saga videoludica: il viaggio di Marco Polo, la missione di Matteo Ricci, la moda delle “cineserie” durante il Rococò, il “Grande Gioco” fra Gran Bretagna e Russia nell’Asia del XIX secolo e l’influenza della “Rivoluzione Culturale” maoista sui movimenti del ’68. Tuttavia, il riavvicinamento fra due stati anche e soprattutto politicamente agli antipodi era avvenuto grazie al progressivo disimpegno americano in Vietnam e ai primi scontri fra due potenze comuniste, Cina e Unione Sovietica, sul fiume Ussuri nel 1969. Il realismo politico premeva perché  entrambi trovassero un accordo per contenere il gigante russo. Per chi volesse approfondire tutti i retroscena di questa spossante gara di scacchi diplomatica consiglio la lettura de La lunga rivoluzione, opera di un maestro dell’azzardo giornalistico, l’americano Edgar Snow, non a caso unico invitato occidentale ai festeggiamenti del XXI della rivoluzione cinese a Pechino nel 1970 (previo incontro col ministro degli esteri Zhou Enlai a una partita, naturalmente di ping pong, fra Cina e Corea del Nord).



Poi sarebbe venuto il 1971, i campionati mondiali di tennistavolo a Nagoya, in Giappone, con un componente della squadra americana, Glenn Cowan, che perde casualmente il suo autobus e viene invitato a salire sul pullman della nazionale cinese. Qui il tre volte campione del mondo, Zhuang Zedong, nel silenzio generale, lo avvicina e gli regala – un caso anche questo? - una serigrafia, ricevendo in cambio qualche giorno dopo una maglietta col simbolo della pace. Un altro e ben più famoso Zedong, Mao, prende la palla al balzo e il giorno prima della chiusura dei mondiali, il 6 aprile, invita l’intero team a una tournée in Cina. Senza incontrare opposizione da Washington - per quanto all’epoca riconoscesse come legittima solo la Cina nazionalista di Taiwan - già il 10 aprile i giocatori fanno il loro ingresso nella Repubblica Popolare via Hong Kong, primi americani (tranne qualche eccezione) a mettervi piede dal 1949.
L’impatto mediatico è enorme.



E’ il preludio agli incontri segreti di luglio fra Kissinger e Zhou Enlai e alla storica visita di Nixon a Pechino nel febbraio del 1972. A seguire, anche il premier giapponese Tanaka riconosce formalmente la Repubblica Popolare Cinese.
Nel frattempo, in aprile, esattamente un anno dopo lo storico evento, lo squadrone cinese è negli Stati Uniti per ricambiare il favore. Il tennistavolo non avrebbe più conosciuto un simile successo di massa.


Happy End, Happy Start

A settembre il primo "Coin-op" di Pong fa il pieno di monete nella Andy Capp’s Tavern di Sunnyvale (California) e, approfittando anche dell’atmosfera di ottimismo creata dal trattato SALT 1, firmato in maggio da USA e URSS, supera poi di slancio perfino la crisi energetica del 1973 entrando nella leggenda.




Zhuang Zedong è morto proprio il 10 febbraio di quest’anno, ma la sua visita negli Stati Uniti nel 2007 ha certamente ispirato Barack Obama per il suo famoso doppio a tennistavolo col premier inglese Cameron a Londra nel 2011.




Se l’alba dell’era videoludica si tinge di mitico – pensiamo solo al termine “Arcade”, che oltre al suo significato tecnico rimanda all’Arcadia cara a tanti pittori e poeti – lo si deve anche a un retroscena storico così pregnante perché ricco di attese di pace, di voglia di giocare, finalmente.

Luca Traini, Nolan Bushnell e Ilaria Amodeo di AESVI alla Games Week 2013

Luca Traini

Luca Traini e Debora Ferrari sono stati presenti a Milano con lo stand di Neoludica Game Art Gallery (attiva dal 2009) alla Games Week 2013 e con una scelta di opere a Playing the Game.

venerdì 6 settembre 2013

"ECCELLENZA" E' FEMMINILE: SOFONISBA, CHRISTINE, TAMARA

La trama della scacchiera risale quella dei damascati fino al gioco degli sguardi. Tre sorelle, quattro donne e un paesaggio generato dai loro sogni ad occhi aperti, creato dalla sorella assente davanti alla tela, dietro al quadro, che tutto permea di un amore concreto: colori caldi, tenerezza scultorea.

Sofonisba Anguissola, Le sorelle della pittrice agli scacchi, 1555
Commento musicale Barbara StrozziMiei pensieri

Innamorato dell’opera, indignato per la condizione femminile in ogni epoca, provo a immaginare una delle ragazze mentre, da vera regina, dà scacco matto a un re del Rinascimento e prova che le artiste della sua epoca non devono essere per forza cortigiane(Veronica Franco) o suore (Vittoria Colonna) o violentate (Artemisia Gentileschi) o assassinate (Isabella di Morra). Nelle vesti di una nuova regina devi scorgere la Giovanna d’Arco del poema di Christine de Pizan, anzi, due regine, mentre costruiscono la Città del Donne della poetessa, pietra angolare di una nuova cultura e non semplice costola della Città di Dio di sant’Agostino:

Miniatura tratta da La città delle donne (1405) di Christine de Pizan

“Je conclus que tous les hommes raisonnables
Doivent considérer les femmes, les chérir, les aimer,
Et ne doivent avoir à cœur de les blâmer
Elles de qui tout home est descendu”

“Io concludo che tutti gli uomini ragionevoli
Devono le donne stimare,  prediligere, amare,
E non devono aver a cuore di biasimare
Esse da cui ogni uomo è disceso”.

Così come il ritratto di un uomo prende vita dai pennelli di Tamara de Lempicka – grande amore di mia madre, pittrice di sole donne.

Tamara de Lempicka nel suo studio, 1928
Commento musicale Grażyna BacewiczToccata

Immagina le sue donne monumentali dai colori taglienti, anche da questa foto in bianco e nero, da questa eleganza che sublima in occhi di fuoco, perché la realtà delle donne è ancora tutta in chiaroscuro.

domenica 25 agosto 2013

UN POEMA ELETTRICO DEL SETTECENTO

Commento musicale Benjamin Franklin(1706-1790)  Quartet for strings with continuo (glass harmonica)

Donato Creti (1671-1749), Donna e cometa

Devo essere ancora nel teatro degli automi di Jaquet-Droz al Musée d’Art et d’Histoire o al Fantastic Film Festival di Neuchâtel quando passo da un lago all’altro e attracco ad Arona per trovare su una bancarella Il globo di Venere  di Antonio Conti (1677-1749).


Illustrazione da Le Philosophe sans prétention di Louis-Guillaume de Lafolie, 1775

Un poema. Un segno, perché no? Fantascienza DOC: il viaggio astrale di un abate cosmopolita, dalla natia Padova a Parigi, da Londra ad Hannover passando per l’Olanda, fino al pianeta Venere, oggetto dei suoi versi. Impresa agevolata dal fatto che il poeta era anche filosofo (traduttore di Voltaire) e scienziato di prestigio tale da diventare una specie di arbitro nella disputa sul calcolo infinitesimale fra Newton e Leibniz, suoi corrispondenti.
Precursore del Neoclassicismo - quindi più caro a Foscolo che alla contemporanea Arcadia - nei suoi limpidi endecasillabi sciolti figli degli esperimenti del Trissino e di Torquato Tasso, si avventura nel “cielo profondo” virgiliano in compagnia della Storia vera di Luciano, de L’altro mondo di Cyrano de Bergerac (quello vero non la maschera di Rostand) e della cortese sollecitazione dell’amica Madame de Caylus.
Forse è proprio quest’ultima a vestire i panni di Eubulìa, donna guida nell’opera a metà strada fra la Beatrice di Dante e un concetto greco preso pari pari dall’Etica Nicomachea di Aristotele  (traduzione letterale: “buon consiglio”). E’ grazie a lei che approdiamo in un pianeta che è tutt’altro che la sorella infernale della Terra dove la sonda Venera 13 riuscì a resistere solo 127 minuti, ma una sfera  luminosa e calda ricca di palazzi, statue e templi: su tutti quello dedicato alla nobile Antonietta Anguissola, moglie appena scomparsa del dedicatario Paolo Carrara.
In realtà, il fisico preilluminista ci ha tratto in un luogo dell’anima, la Venere Celeste cara a Platone e Petrarca dove Bellezza e Armonia (“ed amar la virtude, amar il bello/ natura è in noi”) scaturiscono dalla simbiosi fra Ragione e Immaginazione (“le parole alate/ del dolce mele che non sazia il senso”) e si materializzano in un défilé internazionale di bellezze femminili guidate da Laura e Beatrice: “Agili ninfe in breve gonna e cinte/ di corone di rose i biondi crini/ le seguiano tessendo allegri balli;/ indi sacerdotesse in bianca veste/ con incensieri, con vessilli e faci;/ultimamente due reine o dive,/ che dive mi sembraro agli atti, al volto,/ al serto d’oro, allo stellato manto,/ da’ due fanciulli che le stanno a lato/ sfavillanti di luci, e con occhiute/ piume sul dorso e colorite ad Iri”.
Il fatto che questa fantasmagoria presenti all’orizzonte montagne la cui cima è “ingombra/ di metalliche piante” per qualche istante mi fa tornare alla mente il paesaggio da incubo descritto da Stanislav Lem ne L'Invincible, dove microautomi dominano il pianeta Regis III. Tuttavia il cristallino corpo celeste cartesiano del poeta, che pure presenta un intero regno animale costituito da automi, è decisamente più pacifico, stile lupo e agnello biblici.  Dal motore niente affatto aristotelico, l’elettricità: “Veniano a volo aquile e colombe,/ e sui fiori scherzavano e su l’erbe/ cervi, leoni ed agnelletti e tigri./ Tali appariano a la sembianza esterna,/ ma pe’ nervi metallici vagava/ elettrico vapor, elastic’aura/ che trasfondea quasi energia di vita”. Sembra il destino dell’Occidente, già intravisto dal Lokapannatti, trattato cosmologico birmano di origine indiana in cui l’eco remota della razionalizzazione agricola dell’impero romano faceva immaginare un’economia gestita da “macchine veicoli di spiriti”.
Già, l’elettricità, la stessa che oggi mi permette di scrivere comodamente su questo computer. E il destino della rivoluzione scientifica e industriale aveva già condotto a una gita di piacere sul Verbano proprio l’inventore della pila, Alessandro Volta. Faccio ritorno dall’Anno Domini 2013 al 1776. Vacanza presto risolta nella minuziosa perlustrazione dei canneti delle sponde e dell’Isolino Partegora di fronte al municipio di Angera, rimuovendo una bella quantità di fanghiglia, provocando tutta una serie di bollicine, facendo scaturire a colpi di acciarino tante piccole lingue di fuoco sulle rive. Scoprendo insomma la natura organica del metano, definito dal grande scienziato "aria infiammabile nativa delle paludi".
Proprio così, il metano, le stesse lingue blu che uscendo dai fornelli della cucina permettono a noi scrittori di avere qualche ora in più da dedicare all’arte. Ma quanto deve l'arte alla tecnologia (quando insegnavo mettevo sempre le Lettere di Volta nel programma di Italiano)! E magari aveva portato in barca proprio il libro del Conti. Dopotutto il collegamento che fa tra caduta delle comete e “diluvi” (e qui rimando alla lettura del capolavoro di Paolo Rossi, I segni del tempo) si è ormai dimostrato scientificamente valido: l’acqua dei nostri oceani (e quindi anche il mio lago) sembra proprio avere origine da .

“Le immagini riflesse/ incontrano le dense e terse nubi”. E Angera.

Luca Traini, Il cigno e l'Isolino Partegora

“Il sogno mi disparve: io mi destai”. Approdo e ultimo verso del poema.


lunedì 19 agosto 2013

MEET ME IN ST. LOUIS: GATEWAY ARCH

Viaggio nella memoria a 360°


Volevo scrivere di questo arco teso senza spasimo da Eero Saarinen e Hannskarl Bandel perché fu completato quando ero ancora in gestazione (28 ottobre 1965) e può sembrare una grande pancia.

File:GatewayFountain-Arch.jpg

A lungo l’ho tenuto come salvaschermo e ora che sento giunto il momento di cambiare lo salgo per l’ultima volta tenendomi stretto al verso di Michelangelo tradotto da Emerson – “The power of a beautiful face lifts me to heaven” - che si perde fra le nuvole di Windows.

File:Ray Ewry, vainqueur du saut en hauteur sans élan aux Jeux Olympiques de 1908 (Londres).jpg

I 2 metri e 41 saltati da Bondarenko ai Mondiali di Mosca mi fanno planare dalla cima alle Olimpiadi del 1904, quando proprio a Saint Louis uno dei miei miti di giovane atleta, Ray Ewry, saltò, da fermo, più di 1 e 60 come sospinto dall’ultimo sciame sismico del terremoto di un secolo prima. Continuando il suo volo sullo Spirit of Saint Louis fino a Parigi. Atterrando nella Biblioteca di Etienne-Louis Boullée, nella stessa grandiosa umanità che ha ispirato il Gateway Arch.


Uno smisurato sfarfallio di pagine riattraversa l’oceano trasformandosi in musica, fino alle Ameriques di Edgard Varèse, giusto commento musicale con cui approdare fra le ali del coleottero gigante sempre forgiato da Saarinen per l’aeroporto di New York: Terminal TWA.


File:TWA Flight Center IMG 6887.JPG

Luca Traini

Nota La prima foto dall'alto è di Dirk Beyer; la seconda, di Robert Srenco; l'ultima, di 21flowerpower21.

sabato 3 agosto 2013

COLTIVANDO LA LUCE

TraRariTipi, Coltivando la luce, 2012 (c)

Ho fiducia nelle lampadine perché ho esperienza delle candele.
Guardo il sole dando le spalle all’ombra, perché tra cinque miliardi d’anni finirà. L’ombra, come il sole.
La tenebra un tempo solleticata dalla luce della candela tremava. Perché stupirsi che l’ombra sia sfuggita a Peter Schlemihl?
Fissata dall’invenzione di Swan e di Edison, resta immobile, disponibile a una stretta di mano come a una dissezione.
Ci sono amore, scienza, pigrizia e speranza in questo vaso di fiori pieno di lampadine bruciate. Quale posto nella differenziata per una luce omologata? Quale differenza col passato quando la luce, passato il tramonto, tremava.
In principio le donne vissero la luce elettrica come un trauma: il trucco adatto per singulti luminosi risultava troppo vistoso allo sguardo severo del tungsteno. Vittoria apparente del genere maschile, ma la visione al femminile avrebbe presto rinnovato il maquillage.
Poi c’è la luce dell’eterno che è un altro discorso, nella fede che sia uguale per i sessi senza essere standard.
Farò appello quindi a una nuova nettezza urbana per la mia coltura di luce.


mercoledì 24 luglio 2013

ARCADIA IN FIAMME

DUE MORTI PER UN CONCETTO

Una diversa lettura  dell’Eutìfrone di Platone



L’Eutìfrone mi ha sempre colpito per la brutalità della causa scatenante il dialogo: due orrendi omicidi in quella che doveva essere “la campagna di una volta” (chiamala “durezza” se vuoi, ma non basta). Due di quelle morti violente perpetrate fra le quattro mura di casa, al chiuso, morti che puzzano il doppio. Un bracciante ubriaco fradicio che ammazza uno schiavo e poi viene buttato dal padrone in un pozzo e dimenticato lì.
Ecco, l’aereo discorso sulla “santità” parte da questa vicenda terra terra, da un vecchiaccio dispotico che lascia crepare non tanto un assassino, ma un pezzente maldestro che gli ha rotto un oggetto di proprietà, una cosa parlante. E il figlio, l’Eutìfrone che dà nome al dialogo, ha il coraggio di denunciarlo: cosa inaudita anche nella democratica Atene - e poi non ha mica ucciso un consanguineo!


Immagine correlata

E' anche il parere di Socrate e da subito si vede quanto parteggi per il padre padrone, uno di quei vecchi terribili poi tanto cari al terribile vecchio Platone delle LeggiQuando nell'incalzare del dialogo citerà, censurandoli, i comportamenti di Zeus e Crono verso i rispettivi padri, è chiaro che alluderà al comportamento di Eutìfrone.
Certo, quest'ultimo, un indovino pare neanche particolarmente apprezzato, di certo non un mago della dialettica, nell'ambito del dialogo non fa un gran figura, mostrando una discreta ottusità nel mettere in discussione le sue, poche, granitiche certezze. Non dobbiamo però dimenticare che questo è il punto di vista, diciamo l'opinione, del Platone che si cela nella statuetta di Sileno del suo Socrate, del filosofo impegnato a fondo in un grande progetto di rifondazione aristocratica che non ha certo tempo da perdere in cause che riguardano braccianti o schiavi.


File:NAMA Satyres & silènes.jpg

Tuttavia, agli occhi di un moderno ben contento di essere tale, la tentata denuncia del povero indovino nei confronti del padre violento - possiamo immaginare come sarà andata a finire - è un gesto di grande umanità, che merita di essere ricordato. 


Quindi un figlio contro il padre e due omicidi. Ma la cupa premessa non finisce qui. I due s'incontrano all'ingresso del tribunale dell'arconte re (e la presenza dietro le quinte di questa arcaica figura non è certo un caso). Uno sta per entrare, l'altro è appena uscito: dialogo immediato, senza intermediari o reminiscenze, magia drammatica di Platone. Socrate è in punto di fare il suo ingresso per respingere l'accusa di Meleto (non a caso fisiognomicamente brutto dentro e fuori, come Tersite) e sappiamo la fine che farà. Senza contare che Atene, il grande corpo della polis, è appena uscita da una guerra civile e da una catastrofe  militare che ha visto la rivolta di buona parte degli ex-sudditi del suo impero.


File:1784 Bocage Map of the City of Athens in Ancient Greece - Geographicus - AthensPlan2-white-1793.jpg

In  questa situazione di crisi profonda a cui la restaurazione democratica di Trasibulo sta cercando di rimediare in qualche modo (ne mimneskein “non ricordare”, la parola d’ordine tutt'altro che platonica riportata dal filospartano Senofonte nelle sue Elleniche), ecco la scandalosa novità di un uomo che vuole accusare il padre per l’omicidio di un non-consanguineo (e forse solo una profonda crisi di “valori” poteva spingere a ciò un devoto all’antica come Eutìfrone) e addirittura un dialogo su ciò che è “santo” -ma, soprattutto, su ciò che non lo è (il dialogo molto “intelligente” – e astuto, specie nei confronti dei posteri – di un disperato, letteralmente e letterariamente, perché è pur sempre il Socrate di Platone).


File:Sacrifice south frieze Parthenon BM.jpg

Alla fine del testo non si approderà a nulla, se non a smontare le premesse teoriche di Eutìfrone (ma speriamo non lo abbia distolto dal suo fine). Una buona, anzi, ottima scusa per far capire che in fondo il “santo”, cioè il “giusto” della cui “giustizia” la “santità” è parte, è lui, Socrate: una specie di difesa prima dell’Apologia.
L’esegeta, l'esperto di leggi, che tanto diceva di aver cercato il vecchio omicida per un parere (mentre il suo lavorante agonizzava nel pozzo), l’ha trovato il figlio. E’ Socrate, il figlio dello scultore, il pronipote di Dedalo inventore di automi, ispiratore alla lunga dei cittadini della Repubblica che forse è in cielo, Socrate che volò alto, come l’accusato del modo proverbiale “Accusi forse uno che vola?” (Eutìfrone 4a), come il sofista mascherato delle Nuvole di Aristofane. Ovvero, “Accusi me” sembra dire Socrate, perché se il mantis parla come un folle, allora è come Meleto e questa città (la parte democratica), che lo condannerà, condannerà il maestro di Platone, il padre spirituale che il discepolo penserà, anzi, meglio, crederà di non tradire mai.


La città malata di stasis come i vecchi di Eutìfrone, incapace di stabilire un criterio di giustizia il più possibile non contraddittorio (e quindi privo di contraddittorio, non solo in tribunale), quella condannerà Socrate, come un figlio ingrato. Come Eutìfrone.