Zia Ida, tu sei lì, in quella foto, con tutta la tua dolce solitudine: un terrazzo neutro - e il mare, il cielo delle Marche in lontananza. La mano con cui ti sostieni alla ringhiera, la mano con cui forse indichi qualcosa, non c’è, non si vede: è svanita nella cornice bianca della Polaroid.
domenica 25 febbraio 2024
PRO-ZIA IDA Storia breve di amore e assenza nell'ex manicomio di Fermo
martedì 20 febbraio 2024
CANTERBURY TALE Eadmero, Anselmo d'Aosta e i figli di Guglielmo il Conquistatore: il dramma sacro della politica
Commento musicale Godric of Finchale, Sainte Nicholaes, Godes Druth
"Anselmo, del quale nessun uomo è mai stato più tenace nella giustizia, nessuno così scrupolosamente erudito,
nessuno così profondamente spirituale, lui padre della patria, lui esempio per il mondo"
Guglielmo di Malmesbury, Storia dei re d'inghilterra
"Eadmero ha esposto con tale chiarezza ogni cosa da farla in certo qual modo rivivere davanti ai nostri occhi"
Guglielmo di Malmesbury, Storia dei vescovi d'Inghilterra
Dopo Re Artù e prima di Robin Hood il mondo tutto concreto, ma non meno affascinante, di storia e politica inglese a cavallo fra XI e XII secolo. Narrato con rigore, passione - e senza miracoli - da Eadmero, discepolo fedele del teologo aostano quanto della musa Clio (peccato che alla lunga provocò la rottura col maestro, poco amante di storici e agiografi). Peccato da noi perdonatissimo, specie in questi brutti tempi di Brexit, perché fonte insostituibile per un periodo poco noto della mia amata storia della Gran Bretagna. Poco conosciuto specie in Italia (Valle d’Aosta esclusa): a scuola tutto si ferma con battaglia di Hastings e Arazzo di Bayeux e si riparte con le Crociate e un Riccardo Cuor di Leone che si fatica a sottrarre alla solita aura leggendaria.
La sua Historia novorum in Anglia è storia di tutta una serie di novità. Una nuova dinastia normanna, scandinava ma nulla a che fare con la dominazione danese di Canuto il Grande, perché ormai francese, con latino e lingua d'oïl a corte. Una nuova dominazione benedetta da papi riformatori come Alessandro II, che da tempo cercavano di ricondurre il clero anglosassone sotto l’egida di Roma sul modello di Gregorio Magno. E un nuovo contrasto fra potere temporale e spirituale che culminerà nel 1170 con l’assassinio del più illustre dei successori di Anselmo all’arcivescovado di Canterbury: Thomas Becket (anche questo idealizzato nel capolavoro teatrale di T. S. Eliot, ma c’era da combattere il nazismo).
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Le radici dell’affetto di Eadmero e del dramma politico-religioso di Anselmo trapelano da queste righe, accomunate dal deciso sostegno della primazia di Canterbury su tutte le altre sedi episcopali in terra inglese. Un bel problema, perché le fonti storiche a fondamento di questa affermazione, in primis la Storia Ecclesiastica del mio caro Beda (VIII sec.), erano tutt’altro che chiare, anzi. Papa Gregorio Magno, a cavallo fra VI e VII secolo, aveva previsto per il suo inviato Agostino un arcivescovado a Londra, ma questi aveva potuto esercitarlo solo nella capitale del re di cui era ospite, Etelberto del Kent, cioè Canterbury. Aveva inoltre comandato che stabilisse un episcopato anche a York, altra città importante nella memoria che avevano dell’impero romano, ma che non sarebbe rimasto in subordine alla morte dello stesso Agostino. Progetti di difficile attuazione anche per il forte controllo esercitato anche allora dal potere regio (sembra il peccato originario del cattolicesimo inglese). Come ha sottolineato il grande Peter Brown in quel capolavoro che è La nascita dell’Europa cristiana (Laterza, 1995): “La comunità monastica di Canterbury fu ridotta ad assomigliare a una residenza recintata di privilegiati stranieri – persone apprezzabili ma potenzialmente disgreganti che era meglio tenere sotto sorveglianza vicino alla corte reale – e non le fu consentito di ricreare quell’estesa rete di episcopati ‘romani’ com’era nei voti di Gregorio”.
Era stato nei fatti, in seguito a tutta una serie di convergenze di natura politica, che, nella seconda metà del VII secolo, Teodoro, greco dell’Asia Minore bizantina inviato sull’isola da papa Vitaliano, era diventato “il primo arcivescovo cui tutta la chiesa degli Angli acconsentì di obbedire” (Beda il Venerabile, Storia ecclesiastica degli Angli, IV,2, Città Nuova Editrice, 1987). Grazie anche all’operato di un altro coltissimo prelato, il berbero Adriano, che a Canterbury aveva creato una vera e propria scuola dove “sia l’uno che l’altro, istruiti a fondo nelle lettere sia sacre che profane, raccolta una schiera di discepoli, diffondevano ogni giorno fiumi di dottrina salutare per irrigare i loro cuori. Infatti insieme allo studio delle Sacre Scritture fornivano nozioni di arte metrica, di astronomia, di computo ecclesiastico (per calcolare la data della Pasqua). Ne è prova che alcuni dei loro discepoli conoscono la lingua greca e latina come la loro lingua madre” (Beda il Venerabile, come sopra). Il vescovo poeta Aldelmo di Malmesbury (639-709), il primo grande classico della letteratura anglosassone - di cui abbiamo già parlato in La scuola misteriosa e la grammatica inquietante di Virgilio Marone Grammatico - è uno dei migliori prodotti di questo insegnamento. Grazie a Teodoro e Adriano col Sinodo di Whitby (664) l’influenza della Chiesa di Roma si sostituisce a quella irlandese. Ma il dominio di Canterbury resta pur sempre de facto e Lanfranco da Pavia dovrà fare non poche acrobazie (chiamiamole così) per giustificarlo al Concilio di Windsor del 1072. La questione resterà ancora aperta durante l’episcopato anselmiano e il teologo dell’esistenza a priori di Dio dovrà faticare fino agli ultimi giorni per affermare questa pratica tutta a posteriori.
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È il nuovo contesto storico inaugurato da Gugliemo II nel 1087 a far precipitare la situazione. Un nuovo quadro che in realtà ha molto di vecchio. Costretto a far fronte a cospirazioni interne (lo zio vescovo Oddone) ed esterne (il fratello Roberto duca di Normandia) e quindi a far cassa con una rapacità degna del padre (ma senza il suo prestigio), il giovane re si appropria di tutta una serie di terre ed entrate della Chiesa di Canterbury dopo la morte di Lanfranco e, su suggerimento del consigliere Rainulfo Flambart (ironia della storia, un vescovo), lascia di proposito il seggio vacante. Il rischio di nuove sollevazioni e lo stato endemico di guerra con Scozia e Galles fanno sì che gli espropri, d’altro canto legittimi per il potere laico, non vengano meno, creando un malcontento diffuso nel clero meridionale dell’isola. C’è da chiedersi quanto Guglielmo pensasse di poter ritardare la nomina del nuovo arcivescovo. Eadmero, che naturalmente lo detesta, gli mette in bocca parole pesanti degne di un Enrico VIII o di un dramma shakespeariano: “Ma, per il Sacro Volto di Lucca - così infatti aveva l’abitudine di giurare (interessante questa prima singolare liaison anglo toscana) - nessuno sarà arcivescovo eccetto me”. Dietro le quinte la realtà era più complessa. L’uomo poteva permettersi di essere in privato poco religioso se non addirittura scettico: ho idea che quando Anselmo parla di “infedeli” nel Cur Deus homo, oltre a rivolgersi agli Ebrei invitati in Inghilterra e protetti dai re normanni, si riferisca proprio a lui quando afferma “Se si chiama ingiusto l’uomo che non rende all’uomo quanto deve, molto di più è ingiusto l’uomo che non rende a Dio quanto deve”. Il sovrano cattolico no, anche se una bella fetta dell’episcopato era tutt’altro che scontenta di una chiesa inglese acefala, non poteva rimandare all’infinito il ripristino di una consacrazione che durava da mezzo millennio.
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