La
Coena Cypriani
Antipasto: “Eva (prende) un frutto di fico,
una mela Rachele, Anania delle prugne,
dei bulbi Lia, olive Noè,
una salsa all’aceto Gesù”
Invito
a cena con delitto nella Roma di papa Giovanni VIII (forse il primo a morire
assassinato). E’ la Coena Cypriani, “La cena di Cipriano”, un piccolo gioiello,
una satira mimata, uno “iocus” colto fra tardo antico e alto medioevo che imparai ad
amare trent’anni fa, quando studiavo latino medievale alla Statale di Milano col mitico Giovanni Orlandi.
L’attribuzione
a Cipriano, vescovo di Cartagine nel III secolo, è fittizia: il testo
originario è opera di un anonimo del V secolo. Il contesto, uno scenario dove
tradizione letteraria latina e biblica sono ormai in simbiosi. La trama, esotica e senza tempo: “Quidam rex
nomine Iohel”… “Un certo re, di nome Gioele, le nozze celebrava in Oriente a
Cana di Galilea, e molti invitò a partecipare alla sua cena” (la traduzione,
come in tutte le citazioni che seguono, è sempre di Albertina Fontana). Il
fine, didascalico (“gradevole e utile, proprio perché permette di riportare
alla memoria tante vicende e tanti personaggi”, parola di Rabano Mauro):
infatti gli invitati, una bella folla, sono personaggi dell’antico e del
nuovo testamento, connotati dal vestiario all’alimentazione. Il tutto è ai
nostri occhi a dir poco bizzarro, ma si tratta di un mondo immerso nella sfera religiosa e la sacra rappresentazione
procede allegra e festosa fin quasi alla fine, quando si trasforma in dramma…
Rabano Mauro (780-856), De numeris
Premessa:
il testo che leggiamo non è l’originale, ma una delle tre rielaborazioni
operate nell’alto medioevo che hanno purgato i versi da personaggi non presenti
nella sacra scrittura. Autore: Giovanni Immonide (825-880 d.C.), uno dei
principali artefici della politica culturale di Giovanni VIII (papa dall’872
all’882), per il quale scrisse anche una fortunata Vita di Gregorio Magno: “Mi sono divertito con questo scherzo
(ludus);/ tu, papa Giovanni,/ accettalo; ora puoi anche permetterti
di ridere,/ se ne hai desiderio./ Mentre corrono tempi tristi, che tutto
riducono/ A rovina,/ cogli dottrine a te care da questi
versi”.
Riprendo
in mano il caro Duchesne, I primi tempi dello Stato pontificio.
Anno
Domini 876: il papa ha da poco incoronato imperatore il suo prediletto,
Carlo il Calvo, e stabilizzato il potere nell’Urbe. Nonostante il pungolo
costante delle flotte saracene alleate del duca di Napoli e lo stato di guerra
endemica fra potentati nella penisola italica e in Europa (roba da far
impallidire i contrasti di oggi), la Pasqua può essere festeggiata in un clima
di relativa tranquillità: “Con quest’opera si diletti il papa/ durante i giorni di Pasqua…/… Carlo imperatore offra/ ai suoi commensali questa
Cena…/…La chiesa, per ben due volte minacciata/ può rallegrarsi”.
I
brani finora citati sono tratti da lettera dedicatoria, prologo ed epilogo aggiunti dall’Immonide. Ora è
il caso di entrare nel vivo della festa. La cena è servita, “risus paschalis” e ritmo carnascialesco esorcizzano la morte, ma il vero cibo è la Scrittura, l’esempio quello del profeta
Ezechiele (3,1): «Figlio dell'uomo,
mangia ciò che hai davanti, mangia questo rotolo, poi va' e parla alla casa
d'Israele».
Nel dettaglio.
Antipasto: “Eva (prende) un frutto di fico,/ una
mela Rachele, Anania delle prugne,/ dei bulbi Lia, olive Noè,/…/ una salsa all’aceto
Gesù”.
Prima portata: “Saul porta il pane, Gesù lo
spezza,/…/ offre lenticchie Giacobbe,/ solo Esaù le mangia”.
Scoppia una rissa. “Resta digiuno Giovanni,/ nulla riesce ad assaggiare Mosè,/ rimane senza cibo Gesù,/ nemmeno una bricciola raccoglie Lazzaro”.
Scoppia una rissa. “Resta digiuno Giovanni,/ nulla riesce ad assaggiare Mosè,/ rimane senza cibo Gesù,/ nemmeno una bricciola raccoglie Lazzaro”.
Torna la pace e vengono serviti diversi tipi di
carne, le parti distribuite naturalmente da un esperto di animali come Noè: “Adamo
il fianco, la costola Eva,/ il seno Maria, Sara il ventre,/ Elisabetta la
vulva,/…/ le natiche Lot, Giacobbe i piedi,/ raccoglie Ezechiele gli ossi”.
Poi è il momento del pesce, con i termini
letteralmente pescati dalla Storia Naturale di Plinio il Vecchio: “Eva una
murena, una pelamide Adamo,/ Giovanni una "locusta",/ un pesce spada Caino,/ Assalonne un capitone, un polpo Faraone,/ una torpedine Lia, Tamar un'orata".
Catacombe di Priscilla (Roma, II-V sec.), Banchetto cristiano
Dolci: "Giovanni (porta) il miele,/ Abramo il latte; Sara fa la pasta,/ Gesù prepara i dolci, tutto serve Paolo".
Vini: "Vino passito beve Gesù, marsico Giona,/.../ Giovanni albano,/ Abele campano, vino di Signa Maria,/ Rachele fiorentino".
Effetti collaterali: "dorme ebbro Noè,/ di bere è sazio Lot, russa Oloferne,/ preda del sonno è Giona,/ veglia Pietro fino al canto del gallo/.../ Giacomo tenta di bere nella coppa di un altro./.../ chiede Pilato acqua per le mani".
Musica: "alla cetra dà un tocco Davide,/ prende in mano un timpano Maria,/ Jubal introduce il salterio,/ guida le danze Giuditta,/ canta Asaf, Erodiade danza/.../ Isacco se la ride, dà baci Giuda,/ manda saluti Jetro".
Festa in maschera: "Gesù vestito da maestro,/ Giovanni da carcerato,/ da reziario Pietro, Faraone da inseguitore,/ Nemrod da cacciatore, Giuda da traditore,/ Da ortolano Adamo, da attrice di esordi Eva".
Il peccato originale, miniatura mozarabica dal Beato de El Escorial (X sec.)
Colpo di scena: è stato rubato qualcosa (e i furti nella Bibbia non mancano: "Beniamino (ha rubato) una coppa/ un anello con sigillo Tamar,/ Giuditta una coperta di seta,/.../ Abimelech la moglie di un altro"). C'è sgomento fra i presenti: "Geroboamo mente, prende paura Susanna,/ Rebecca arrossisce/ si lamenta Geremia".
Delitto e castigo: il re ordina un'inchiesta. E' l'inizio della parte truculenta, specchio dei tempi in cui autorità faceva sempre rima con atrocità. Il risus paschalis inizia la sua salita al Calvario. In questo genere di menù è prevista la tortura dei convitati: "Isaia è straziato, Giona spogliato,/ lapidato Geremia, accecato Tobia,/ Dina viene stuprata, ingannato Esaù,/.../ Eva interrogata, Caino risponde 'Non so',/ è trattenuto ma nega Pietro". E' previsto anche un colpevole - è così nel teatro e anche il re ne è certo. La Bibbia (Giosué, 7, 1-26) lo aveva già condannato con famiglia e greggi a una pena atroce, lapidazione: si tratta di Acan, figlio di Carmi. Sulla scena invece è previsto il linciaggio e tutta la sacra famiglia si accanisce sul capro espiatorio. La finzione prevede: "Daniele (che) lo scaraventa a terra,/ lo colpiscono/ Davide con un sasso, con la verga Aronne,/ Gesù con una sferza di cordicelle,/ lo squarcia in due Giuda,/ Eleazar con la lancia lo trafigge".
"Lieto fine". Tutti si danno una mano a seppellire il corpo del reato: "Offre aromi Marta,/ richiude il cadavere Noè nel sepolcro,/ pose l'iscrizione Pilato,/ Giuda riceve il compenso". Il sacrificio è consumato. Ite, missa est, esodo dalla festa, tutti a casa fra le righe della Scrittura. A due versi dalla fine "sorride dell'evento Sara".
Eco ne farà il refrain de Il nome della rosa, dove la Coena Cypriani sarà anche presa a modello per un sogno di Adso. Così come era stata archetipo dei pranzi pantagruelici di Rabelais e di Sade, di film come “L’angelo sterminatore” di Buñuel, "La grande abbuffata" di Ferreri o “Invito a cena con delitto” della coppia Neil Simon/Robert Moore. Oggi la vedrei bene recitata dall'inossidabile Gigi Proietti.
"Lieto fine". Tutti si danno una mano a seppellire il corpo del reato: "Offre aromi Marta,/ richiude il cadavere Noè nel sepolcro,/ pose l'iscrizione Pilato,/ Giuda riceve il compenso". Il sacrificio è consumato. Ite, missa est, esodo dalla festa, tutti a casa fra le righe della Scrittura. A due versi dalla fine "sorride dell'evento Sara".
Eco ne farà il refrain de Il nome della rosa, dove la Coena Cypriani sarà anche presa a modello per un sogno di Adso. Così come era stata archetipo dei pranzi pantagruelici di Rabelais e di Sade, di film come “L’angelo sterminatore” di Buñuel, "La grande abbuffata" di Ferreri o “Invito a cena con delitto” della coppia Neil Simon/Robert Moore. Oggi la vedrei bene recitata dall'inossidabile Gigi Proietti.
L'imperatore in trono (dalla Prima Bibbia di Carlo il Calvo, IX sec.)
Il pontificato di Giovanni non avrebbe più goduto
di questa tranquillità. Soltanto un anno dopo sarebbe morto Carlo il Calvo.
Due, e il papa sarebbe dovuto fuggire in Francia, a incoronare un altro
imperatore – debole, balbuziente e già malato – che sarebbe morto l’anno successivo. Alla fine, nell’881, si dovette rassegnare a porre la corona in capo a
un franco orientale (germanico), Carlo il Grosso, che non riuscì a fare meglio del
precedente e con la cui deposizione, soltanto sei anni dopo, sarebbe finita in
modo inglorioso la dinastia dei carolingi.
In un’Europa in preda a violente spinte
disgregatrici, con l’amministrazione dei beni ecclesiastici ormai in balia del
nascente feudalesimo e la
stessa Roma, confinata nel Patrimonio di San Pietro, preda a cospirazioni di ogni genere, i disegni egemonici del papa erano
destinati a un finale tragico. Nell’882 Giovanni VIII morì probabilmente
assassinato dai suoi parenti, che lo fecero avvelenare e finire a colpi di
martello.
L’altro Giovanni, l’Immonide, l’aveva già preceduto nella tomba col suo
lieto fine.
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