Pierre-Louis Pierson, La Contessa di Castiglione, 1863
THE EYE IN GAMELAND: MIRRORS OF CULTURE
Metamorphosis
is one of the substantial elements of Neoludica. It is
the picture of a great reality – not just a strictly artistic one – in a
tumultuous state of post-production. Since we are optimists, and therefore not
afraid of the usual catastrophes, our metamorphosis rather than a Kafkian one is
Ovidian (“In nova fert animus mutates dicere formas / Corpora,” “Of bodies changed
to various forms, I sing,” Ovid, Metamorphoses, I,1) or
maybe inspired to Max Ernst’s magnificent hybrids. The expressive tools of the
past, the media through which we have tried to comprehend within and beyond
ourselves (once established our identity and individuality) have long exceeded
their original function to become something else. It is now time to digitalize
historical analogies, the transitions between a historical or artistic forms,
to finally accomplish the aesthetic revolution operated by the Virtual. The
Virtual concretely becomes NEO-LUDIC, as in a coherent field of new forms of
expression, wittingly including all those who are identified as their
predecessors.
Massimo Giuntoli, Eye in Gameland
(in Neoludica_Art is a Game, 54.Biennale di Venezia, mostra a cura di Debora Ferrari e Luca Traini)
(in Neoludica_Art is a Game, 54.Biennale di Venezia, mostra a cura di Debora Ferrari e Luca Traini)
All the
resources of Crossmedia are used to evoke here and now, in a new and
original way, the "remote connections" interweaving the threads of history on
different levels of that game of mirrors and screens between technology and the
arts which concerns form, and more specifically the very profound forms of
communication we have every reason – not the sleep but the dream of
reason – to call Art.
The
points we must clarify to give an exhaustive view of the polymorphic paths
leading to this new digital humanism are basically three:
1. The
individual inquiry symbolically represented by the EYE
2. The
mirrored relationship involving the other, which
takes place through a filtering SCREEN
3. The
immersion in and
surfacing of society,
requiring a perspective on the CITY.
In the
first case, the basic reference cannot be but to Aristotle, who, besides being
the father – or grandfather – of the term “virtual” (which by the way is “dynamis”
– “power” – in Greek), picked out what is to this day the privileged organ of
Western knowledge, the same that has produced all the hardware and software we
use: “For not only with a view to action, but even when we are not going to do
anything, we prefer seeing (one might say) to everything else”. Then, the image
we could start with is that of the structure connecting the brain with the eye,
as it was drawn, in the wake of Aristotelian studies, during the Middle Ages, both
in Western and Islamic cultures. So the eyes and the brain are connected, according
to Leonardo. Having said that, either we follow up Da Vinci’s manuscript with young
Parmigianino’s self-portrait (in which the artist almost seems to be hiding a mouse in his
hand), or we lead up to it with Van Eyck’s mirror from the Arnolfini
Portrait (in
that light room the painter almost certainly portrayed himself among the crowd
of the attendants).
Next, Ledoux’s engraving with his visionary theatrical eye:
a symbol of the great utopian project inscribed by the Age of Enlightenment in
its scientific view of reality. And Pierson’s portrait of the Countess of
Castiglione, where the freshly invented art of photography emphasizes its focus
in a century when another woman, Ada Lovelace, daughter of poet George Byron, invented
the ancestor of modern software (not coincidentally, our 2009 exhibition The
Art of Games in Aosta was dedicated to her). And again, film, with
the “Kulesov effect,” showing how the attentively-scrutinizing eye is also the
deceitful creator of a world of its own which impalpably but relentlessly
penetrates our image of reality (an image that is by no means simple or “natural”:
this is the statement we want to make, with all due respect to variety and
complexity). Dulcis in fundo, the eyes of a computer or
a human being in front of that screen which, as we are about to see in a
specific chapter, we have been willing to get through for thousands of years.
All this, perhaps, in a venue such as the altar designed by Bramante in the
church of Santa Maria presso San Satiro in Milan, where the power of
perspective vision was for the first time used for a functional, very human
illusion: creating architectural and spiritual depth in a space of 97
centimeters.
Jan van Eyck, Ritratto dei coniugi Arnolfini, 1434
He did
not give up: neither will we.
Claude-Nicolas Ledoux, Théâtre de Besançon, disegno, fine XVIII sec.
La metamorfosi è una delle cifre
sostanziali di NEOLUDICA, cioè la fotografia di una grande realtà – non solo
artistica in senso stretto – in tumultuosa postproduzione. E poiché siamo
ottimisti e non abbiamo paura delle solite apocalissi, la metamorfosi in questione,
più che kafkiana, è ovidiana (“In nova fert animus mutatas dicere formas/
Corpora”, “La mente mi sprona a cantare forme/ Mutate in corpi nuovi”, Ovidio, Metamorfosi, I,1) o figlia degli
splendidi ibridi di Max Ernst.
Gli strumenti espressivi del passato, i media con cui si è
cercato di comprendere dentro e fuori di noi (una volta stabilite identità e
individualità) hanno già da un pezzo superato la funzione per cui erano stati
inventati per essere altro. E’ quindi giunto il tempo di ritrarre in digitale le
analogie storiche, i trapassi da una forma storica e artistica ad un’altra per
approdare infine alla rivoluzione estetica del virtuale che si fa concretamente Neoludica Game Art Gallery, ovvero, orizzonte unitario di nuove forme espressive che racchiudono
in se coscientemente tutti quelli che vengono individuati come loro precursori.
Tutte le risorse della crossmedialità sono chiamate a evocare hic et nunc in modo
nuovo e originale le "connessioni remote" che legano le trame della storia
ai diversi livelli di quel gioco di
specchi e di schermi fra tecnologia e arte che ha come posta in palio la forma,
le forme più profonde di comunicazione che possiamo ben definire a ragione – il
sogno e non il sonno della ragione – Arte.
I punti in questione da elaborare
per evocare e rendere evidenti i percorsi polimorfici di approdo di questo
nuovo umanesimo digitale sono essenzialmente tre:
- 1. La dimensione di indagine individuale
rappresentata simbolicamente dall’OCCHIO
- 2. Il rapporto speculare che implica l’altro e
avviene sempre tramite uno SCHERMO che filtra
- 3. L’immersione ed emersione nella società e quindi
il punto di vista sulla CITTA'.
Raffaello, Motore Immobile, 1511
L'occhio è lo schermo dell'anima
Nel primo caso il riferimento di
base è naturalmente Aristotele, che, oltre a essere il padre – o il nonno - del
termine “virtuale” (che comunque in greco è “dunamis”, cioè, “potenza”), nella
sua “Metafisica” individua quello
che è ancora oggi l’organo privilegiato del sapere occidentale, lo stesso che
ha prodotto gli hardware e i software che conosciamo: “Preferiamo la vista a
tutto, si può dire, non solo ai fini dell’azione, ma anche quando non dobbiamo
fare nulla”. Per questo l’immagine da cui si potrebbe partire è proprio quella
della struttura del cervello collegata all’occhio, così come viene disegnata,
sulla scia degli studi aristotelici, nel medioevo in occidente o nel mondo
arabo. Quindi occhi e cervello collegati secondo Leonardo.
Poi, o si fa seguire
il manoscritto davinciano dall’autoritratto a tutto tondo del Parmigianino
giovane (che sembra quasi nascondere un mouse nella mano) o lo si fa precedere
dallo specchio di Van Eyck presente nel ritratto dei coniugi Arnolfini (dentro
quella camera chiara quasi certamente il pittore ha ritratto se stesso nella
folla dei partecipanti alle nozze). A seguire, l’incisione di Ledoux col suo
visionario occhio teatrale: simbolo del grande disegno utopico iscritto nella
visione scientifica della realtà dell’illuminismo. E il ritratto di Pierson della
contessa di Castiglione, dove anche la nascente fotografia valorizza il suo
punto focale nel secolo in cui un’altra donna, Ada Lovelace, figlia del poeta
George Byron, inventa l’antenato del software moderno (non a caso proprio a lei
era stata dedicata la nostra mostra The
art of games di Aosta nel 2009).
Quindi il cinema con l’”effetto Kulesov”,
che ha mostrato come l’occhio attento indagatore sia anche ingannatore e
creatore di un mondo tutto suo che, impalpabile, pervade con forza l’immagine
che ci facciamo della realtà (un’immagine tutt’altro che semplice o “naturale”:
questo è il messaggio che vogliamo lanciare nel nome del rispetto della varietà
e della complessità). Dulcis in fundo gli occhi del computer o di un essere umano di
fronte a quello schermo che, come vedremo nel capitolo a questo dedicato, da
migliaia di anni vogliamo superare. Il tutto magari nella cornice dell’altare
edificato da Bramante nella chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano,
dove la potenza della visione prospettica fu per la prima volta messa a
servizio di una utile, umana illusione: creare una profondità spaziale e
spirituale avendo a disposizione 97 centimetri.
Parmigianino, Autoritratto allo specchio, 1524
Alfred Edward Chalon, Ada Lovelace, 1840
Non si scoraggiò lui, non lo
faremo neanche noi.
Odilon Redon, À Edgar Poe, 1882
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