Sedia rossa e blu di Gerrit Rietveld (1918)
Rietveld, come i suoi compagni De
Stijl, andava alla ricerca di certezze dopo lo sterminio di futuristi e
futurista della “grande guerra”.
Gli assi cartesiani trovarono un
attimo di respiro dai grafici della produzione bellica.
Il blu del cielo e il rosso-sangue interrogano il nero.
Sedia Wassily di Marcel Breuer (1925)
Breuer, il
poeta della sedia. Essenziale, come tutti i grandi poeti.
Tubolari
metallici piegati in armonia, da un lottatore greco.
Equilibrio
di forze, come in un poema epico: la Bauhaus
contro il totalitarismo sempre strisciante e pasticcione, accademico, sempre.
Modello B3 del 1925, amato da Kandiskij, per il
suo Cavaliere Azzurro in esilio.
Lounge Chair and Ottoman di Charles e Ray Eames (1956)
Poltrona dei signori Eames, ovvero, l’umiltà.
E’ come
certi grandi disegnatori della Disney
Corporation, il genio si cela nell’alveo tumultuoso della produzione: “Un mobile adempie il proprio scopo nel
migliore dei modi se non diviene l’oggetto primario dell’attenzione” (ipse
dixit).
Confronto
fra due parti, dialogo democratico dalla testa ai piedi.
E i signori
Smith amavano attendere, comodi comodi, la fase REM del Sogno Americano sui due
piccoli troni dei signori Eames.
Al caldo.
Durante la
Guerra Fredda.
Introitus a posteriori
L’ominide che a Laetoli
(Tanzania) lasciò le impronte camminò per altri tre milioni e cinquecentomila
anni. Divenuto “uomo” - e quindi più stanco - inventò la sedia. I suoi dei - e
le dee soprattutto, callipigie, “belle natiche” - sedettero anch’essi.
Nella sua Repubblica Platone, rinnovando il design
divino, arredò il mondo delle idee con letti altrettanto ideali. Non lo dice
espressamente - i letti erano più “nobili” - ma nell’anticamera della
perfezione c’erano anche le sedie.
Perché
la sedia sta fra l’azione e il sonno: due estremi. La sedia quindi è
compromesso, mediazione - pausa di meditazione.
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