“Cultura” è una parola abusata, definire il termine tutt’altro
che facile, ma non è questo il luogo. C’è tutto un dibattito, è un bene, e
abbiamo il dovere di essere ottimisti, costi quello che costi.
In primo luogo vengono la responsabilità di chi scrive e la
preparazione di chi si impegna. La competenza deve essere al più ampio raggio
possibile, profonda e aggiornata. Due rischi vanno assolutamente evitati:
abbarbicarsi alla prestigiosa eredità del nostro Paese (“rischio muffa”) o
svendersi ai brillanti luccichii della globalizzazione (“rischio chewing gum”).
Tutela e sviluppo devono procedere insieme per un reale progresso: rivalutiamo
anche questo termine. Il conseguimento di questa osmosi prevede anzitutto il
superamento dei compartimenti stagni della nostra cultura. Una cultura che già
tradizionalmente, tranne rare eccezioni, non comunicava tra i suoi vari ambiti
(pensiamo solo al rapporto problematico fra arte e scienza) e che si trova oggi
ad affrontare, in casa, anche le sfide della multiculturalità. E’ stato fin
troppo facile criticare il granello dell’eccessiva specializzazione all’estero
e non vedere la trave della mancanza di un dialogo vero fra diverse realtà del
nostro sapere. Bisogna sviluppare questa sinergia in primo luogo nell’alveo
della nostra tradizione (che è multiculturale) per avere poi gli strumenti per comprendere o quanto
meno avvicinarsi alle altre culture, non solo europee, nel segno di un
reciproco riconoscimento di termini come “diversità” e “uguaglianza” nella
“complessità”. Per conseguire questo obiettivo è fondamentale una spinta
continua verso l’interdisciplinarità e la multiculturalità sulla base del
rispetto e del dialogo con l’altro. Si tratta né più né meno di Politica, nel
senso più ampio e nobile del termine, il cui dovere morale concreto – e quindi
realmente democratico - deve essere quello di riallacciare una connessione profonda
fra cultura alta e di massa senza cedere a snobbismi o luoghi comuni, entrambi
senza prospettive. Nonostante i soliti profeti di sventura e i profitti della
cronaca nera, la spinta dal basso in questo senso non è mai stata forte come
oggi.
Tutti questi propositi, inoltre, devono essere espressi in
modo semplice, chiaro e piacevole. Nulla è realmente difficile perché tutto è
umano.
La scuola è il primo luogo in cui agire. In Italia, soprattutto
nell’istruzione primaria e secondaria inferiore siamo all’avanguardia, è bene
sottolinearlo. Certo, se tutte le classi fossero composte al massimo di venti
alunni, avremmo già risolto buona parte dei nostri problemi. Le soluzioni sono
più semplici di quello che sembra, ma, poiché viviamo in una situazione
complicata, è bene continuare il percorso degli
ultimi quarant’anni continuando a sottolineare non tanto il prestigio
dell’educazione (o la sua corrispondente antimateria: l’inutilità) quanto la
sua importanza nella vita di tutti i giorni, perché diventi migliore, più
cosciente della ricchezza del quotidiano. Fondamentale, poi, dato che la
tecnologia ha permesso la democratizzazione dell’arte, l’uso dei nuovi media
per confrontarsi con tradizione e innovazione fondendoli in modo ragionato e
originale nel crogiolo del XXI secolo. La scrittura per diventare da
contabilità letteratura – e il libro da volumen papiraceo all’odierno codex,
solo per fare qualche esempio - ha impiegato secoli. Non possiamo permetterci
più questi lussi da vecchi aristocratici. Non possiamo pensare, solo per
restare nel campo dell’arte in senso stretto, di essere aggiornati a colpi di
mostre sull’impressionismo: rischiamo di confondere l’oggi con cento anni fa. E’
necessario far conoscere e rendere orgogliosi anche della contemporaneità,
chiudendo una volta per tutte il capitolo delle vulgate del crocianesimo.
In questo quadro l’intervento pubblico deve essere
sensibilizzato a una sinergia con i settori produttivi privati più dinamici nel
campo delle nuove tecnologie favorendo una matrice umanistica tutta italiana
alla loro attività, una nuova specie di Made in Italy. Commercio e turismo
hanno iniziato finalmente ad agire in questo senso e tale predisposizione va
incentivata.
E’ bene ricordare che non è solo cultura la tutela e il
restauro del nostro passato remoto, che vanno assolutamente incentivati e certo non per fini nostalgici (non
dobbiamo dimenticare i suoi orrori: è lo storico che parla), ma anche le
cattedrali dell’acciaio, i viadotti delle autostrade e i tralicci sulle cime
più inaccessibili. Non perché siano un modello di sviluppo valido per il futuro
(sappiamo che le scelte per i prossimi anni dovranno essere altre ed ecologicamente
compatibili), ma perché la presa di coscienza e la valutazione critica di
un’epoca storica che ha dato tanto in fatto di cultura – cultura del lavoro, la
più alta mai raggiunta dall’essere umano - sono imprescindibili per sognare ad
occhi aperti un nuovo futuro non alienato. La nuova realtà digitale è fatta di
mani.
Non dobbiamo avere paura: il provincialismo e l’accettazione
supina delle mode vanno a braccetto e recidono troppo spesso alla radice tutta
una serie di forze preziose, deprimendo soprattutto l’entusiasmo dei giovani e
favorendo il romitaggio delle generazioni più anziane.
La confusione diffusa a livello planetario in questa epoca di
passaggio andrà presa alla lettera: con-fusione per un nuovo abbraccio vitale
con tutta la ricchezza presente di un grande passato.
Credo che con intelligenza e perizia si possano contemperare sviluppo e tutela!
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