Commento musicale J. S. Bach, Vor deinen Thron tret' ich hiermit
Ci siamo incontrati nelle pagine del dramma di Peter Weiss, troppo spesso dimenticato. Quell’attacco: “Un lavoro su Federico Hölderlin/ non può evitare gli aspetti tetri/ perché anche quando immaginava/ un mondo tutto sano/ venivano poi sempre a sconciarglielo/ le circostanze”. Quelle stesse che lo portano a Tubinga: “Quando per la prima volta/ egli giunse in città/ la torre era già là/ sulla riva del Neckar/ vi gettò lo sguardo/ giù dalla bassa finestra/ della sua camera/ con la sua forma strana/ stava lì la sua prigione/ ed egli ne ebbe percezione”. Quante volte ho sentito l’eco di questi versi ne L'enigma di Kaspar Hauser di Herzog!
Nel dramma c’è il deus ex machina della Rivoluzione. Nella vita, la via di fuga nella follia: gli stessi anni che consumarono Leopardi.
“In alto il mio spirito si protese, ma, subito, amore
Lo tirò giù: dolore con più forza lo incurva;
Così ho percorso della vita
L’arco e ritorno donde mi mossi”.
E c’era quella meravigliosa, falsa Grecia alle radici del Romanticismo tedesco, tutta verde, che lui sentì piena di terribile entusiasmo descrivendo, in pagine tormentate, il panico del volo di Empedocle nell’Etna:
“Da questa generosa terra verdeggiante,
i miei occhi non devono separarsi senza gioia”.
“Da questa generosa terra verdeggiante,
i miei occhi non devono separarsi senza gioia”.
E i miei occhi restarono preda dell’immobilità ipnotica del film di Straub e Huillet.
Infine, il suo alter ego, Scardanelli, in una pausa di o dalla follia, forse l’ultima poesia, cui a volte – sempre le circostanze – sono tentato di mettere, in fondo, un punto interrogativo:
“Spesso appare il didentro del mondo annuvolato, chiuso,
Il sentire dell’uomo, pieno di dubbi, crucciato,
La splendida natura rasserena i suoi giorni
E resta lontana del dubbio la buia domanda”