Il fiume
Ilisso e il Prologo del Fedro di Platone
Commento
musicale Luigi Nono, ...Sofferte Onde Serene...
Oggi lo vedi cementificato,
quasi prosciugato l’Ilisso che lambiva Atene, interrato come tanti fiumi
torrenti su cui si è costruito il volto della città moderne, per evitare ogni
genere di irregolarità, le piene. E questa ricerca della "moderazione" di ogni
evento naturale sarebbe certo piaciuta al Socrate di Platone, che proprio
su queste rive discorre con Fedro nel dialogo omonimo. Le acque allora erano piacevoli,
pure e trasparenti e per fare chiarezza su un argomento come l’amore i due
protagonisti cercano l’ombra dei platani - “platano”: la stessa radice di “Platone” - che crescevano numerosi sulle sponde.
Fedro porta nascosto nel mantello un libro – e c’è da stupirsi di quale
formidabile nuova tecnologia fossero questi primi libri, patrocinati dagli
scandalosi sofisti – dentro c’è un discorso sull’amore del grande retore Lisia.
Un libro perché non l’aveva ancora imparato a memoria, colpa platonica di non
poco conto aver bisogno di un simile strumento, la scrittura figlia della
contabilità, per una facoltà fondamentale della tradizione dei sapienti,
tutelata non da una ma da due dee: Mneme e Mnemosine.
Parte
col piede sbagliato Fedro, che pure lo ha libero da calzari, come sempre scalzo
è Socrate – e l’acqua fresca dell’Ilisso è l’ideale nel torrido mezzogiorno
estivo che azzera le ombre degli uomini. E aggiunge che il vento sembra della
giusta misura, un venticello tonificante. Così Socrate risponde: “Fai tu da
guida”. Il vento, che nel testo ha lo stesso termine di “respiro”, non era
stato sempre così piacevole.
Fedro
allora ha un ricordo, una reminiscenza che prende forma di domanda: “Non è
proprio qui, da queste parti sull’Ilisso che
Borea (il vento del nord) rapì Orizia (figlia di un mitico re di Atene
fulminato da Zeus, Eretteo,
a suo volta nipote o figlio del mostruoso Erittonio)?”. E’ anche da notare che
Borea era diventato proprio nel V secolo a.C. (l’epoca del dialogo) una specie
di dio nazionale per gli ateniesi, in ragione di questa sorta di parentela con
i re mitici ma soprattutto perché si riteneva li avesse aiutati
scatenandosi contro la flotta di Serse, da cui una festa in suo onore e un
altare sulle rive dell’Ilisso.
Socrate
risponde: “Si dice, infatti”. E all’altro pare proprio il posto giusto per
vederci giocare delle fanciulle, con le acque così pure e diafane: l’esempio è
quello di Nausicaa e delle sue ancelle nell’Odissea.
Ma non è un gioco da ragazzi, il luogo del rapimento è più avanti, dov’è il santuario
del demo di Agra (da *akwa “acqua corrente”) c’è l'altare dedicato al dio del
vento del nord. Fedro ammette di non averci mai fatto attenzione, riflette e
prorompe in una domanda epocale: ”Ma, dimmi, per Giove, Socrate, tu pensi che
questo mito sia vero?”.
Il termine
che usa è “mitologema”, che di norma si traduce “racconto favoloso”, ma può
anche significare “materiale mitico”, “racconto primordiale” - ed è oggetto di
numerose discussioni in ambito accademico - ma il punto è se il nuovo sapiente,
cioè Socrate, dopo la messa in discussione del patrimonio tradizionale operata dalla filosofia e in
particolare dai sofisti, creda ancora a questa narrazione fondante ancestrale.
E’ la domanda tipica di tutti i profondi rinnovamenti delle culture, in particolare di quelle che hanno al centro la
vita nelle città, delle civiltà sottoposte a un ritmo di cambiamento più rapido e osservabile. Una domanda che, in questo caso, è rivolta a un
devoto dell’Apollo di Delfi, che sa di non sapere, non sapere abbastanza per
mettere in crisi la tradizione, al Socrate di Platone, che quella tradizione di sapere aristocratico vuole mantenere
rinnovandone i termini e ampliandone i contenuti. La sfida è con l’Atene
democratica, il suo sviluppo economico, la sua mobilità sociale, i nuovi
saperi che accoglie (dal naturalismo di Anassagora alla
sofistica di Protagora e Gorgia), che hanno scardinato la precedente visione di
un mondo agricolo e pastorale chiuso e definito nella tradizione orale dei
padri e padroni della proprietà terriera, gli “aristoi”.
Dunque
tu, Socrate, credi ancora a questi racconti di un favoloso passato? Sì, il Socrate
di Platone ci crede e dice che non sarebbe il personaggio strano, fuori moda,
che è se non ci credesse. Proprio perché, dall’eredità aristocratica del
pensiero dell’Apollo delfico, “sa di non sapere” e, non sapendo bene chi è (una
crisi di identità della vecchia classe dirigente che Platone vorrebbe superare)
non si impiccia delle cose che sono fuori di lui e, “mantenendo fede alle
credenze che si hanno di esse”, vuole evitare il rischio tragico
dell’arroganza, della “ubris” (un’avvertenza che sarà fatta propria da tante
teologie a seguire). Per questo invita Fedro a
sedersi all’ombra dell’agnocasto, simbolo non a caso di castità, di “purezza”,
per non restare “contaminato” da simili insinuazioni. Così Platone riconduce a “simbolo”
il mito di Borea e Orizia anche nel senso letterale della parola, di contratto,
di tessera divisa in due, ricomposta in mosaico dalla divinità che riconduce a sé,
in suo potere, quanto aveva diviso: la donna, l’essere umano, la sua apparente
libertà.
Un
pronunciamento del Socrate platonico è nella Repubblica, dove, una volta ridefiniti i diversi stati dell’animo
umano, la città e la sua cultura vengono riorganizzate operando una selezione
dei racconti del mito, riducendoli a simboli che rimandano ad altro e cercando
di ripulirli da quanto nel dibattito filosofico, a partire da Senofane e
Parmenide, era stato rinchiuso nel termine di “contraddizione”. Questa specie di legge quadro troverà il suo
regolamento nelle Leggi, dove il
“mitologema” diventerà il “racconto favoloso” finalizzato a “persuadere le
anime dei giovani a credere quello di cui li si vuole convincere” (Leggi 664a) – il legislatore dovrà avere
il coraggio “di mentire in qualcosa per il bene dei giovani e… per far compiere
a tutti, non con la violenza, ma volontariamente, ciò che è giusto” ( Leggi 663d-e) - e ogni dubbio sulla/e
divinità sarà bandito e passibile di condanna a morte o di detenzione in diversi carceri, fra cui il
Sofronisterion, l’”Assennatoio”, il “carcere di correzione”, prototipo di tutti
i famigerati “campi di rieducazione”.
Dal dialogo en plein aire al carcere sembra il destino
dello stesso fiume in riva al quale, con tanta piacevolezza
e a piena luce, era nato un discorso destinato ai filosofi quali guardiani
della parola scritta sull’amore. Rinchiuso in una cupa prigione dal filosofo
invecchiato e diventato guardiano tout court (insieme ad altri nove parte del Consiglio
Notturno delle Leggi, la notte più
amata dalla polizia politica che dai poeti, l'"eteria", la società segreta aristocratica ateniese filospartana elevata a modello di Stato). Dall’Accademia platonica all’accademismo che non ammette repliche. E come
rapiti in volo dallo stesso vento gelido, passiamo dalla fine dell’”epoca
d’oro” della democrazia ateniese ai cupi regimi anni ’30 del secolo appena
passato.
Sei
davvero convinto che qui scorreva, scorre l’Ilisso? Che ci fosse Platone alla
guida delle betoniere che fecero questa colata di cemento? Che il fascino di
interrare il passato in nome di una sua resurrezione in forma di lastricati,
squadrati a dovere, avvenne in nome di una reinvenzione della tradizione negli
anni di ferro della dittatura di Metaxas?
La
sfida è quella di sganciarsi dal “credo” per mantenere viva la domanda, il
dubbio costruttivo riguardo a ogni mitologia, considerare la stessa come
racconto in fieri la cui continua costruzione non deve prevedere per forza di
cose – o di idee - una cementificazione, dei fiumi come del pensiero.
Luca Traini
Biografia
Storia e Filosofia
Il Dittico di Aosta
Biografia
Storia e Filosofia
Il Dittico di Aosta
Foto (dall'alto) 1. Montaggio fra l'Ilisso del 1821 dipinto da Edward Dodwell e quello odierno fotografato da Dimorsitanos 2. Frammento papiraceo del Fedro di Platone (II sec. d.C.) 3., 4., 5. Diversi rapimenti di Orizia nei quadri di François Boucher e Francesco Solimena (XVII sec.) e Oswald von Glehn (XIX sec.) 6. Pianta dell'Atene classica 7. "Piante pericolose" (1850) 8. Carcere panottico dismesso dell'Isola di Santo Stefano (foto di Gaùcho) 9. Il dittatore Metaxas mentre fa il saluto romano insieme a membri dell'organizzazione giovanile greca in una riproposizione funerea di architetture "classiche" (ironia della storia il suo Paese sarà invaso proprio dal regime fascista italiano) 10. La Kylix di Exekias (foto di Matthias Kabel) raffigurante Dioniso trionfante sulla nave dei pirati, trasformati in pacifici delfini.